Iniziativa del P.M. per la dichiarazione di fallimento: ammissibile nella fase delle indagini preliminari

16 Maggio 2022

La Cassazione si è pronunciata in merito all'ammissibilità della richiesta di fallimento presentata dal pubblico ministero anche nella fase delle indagini preliminari, precisando quale rilevanza abbiano le sorti del procedimento penale per la valida instaurazione della procedura concorsuale.
La massima

L'art. 7 l.fall., sotto la rubrica “Iniziativa del pubblico ministero”, prevede che tale organo possa presentare la richiesta di fallimento di cui al primo comma del precedente articolo nei seguenti casi:

  1. quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore;
  2. quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Ne consegue che le ipotesi in cui il pubblico ministero può presentare istanza di fallimento sono tipizzate e, fondamentalmente, ricollegate alle modalità attraverso le quali viene a conoscenza dello stato di insolvenza dell'imprenditore.

Il caso

Con il provvedimento in oggetto, la corte di Cassazione esamina la seguente vicenda processuale: la Corte d'appello di Catania ha respinto il reclamo proposto, ai sensi dell'art. 18 l.fall., avverso una sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il fallimento di una società su ricorso del pubblico ministero.

La notitia decoctionis non consisteva, nel caso di specie, nell'iscrizione della notitia criminis nel registro degli indagati, ma la Corte d'appello siciliana ha ritenuto sussistente la legittimazione del pubblico ministero ad agire ai sensi dell'art. 7 l.fall., avendo egli richiesto il fallimento una volta appresa la notizia dell'insolvenza dell'imprenditore nell'ambito di un procedimento pendente nella fase delle indagini preliminari, senza attendere l'esito della fase suddetta.

Anche il provvedimento della Cassazione, emesso dopo che la trattazione è stata svolta col rito camerale ex art. 380 bis c.p.c., considera il pubblico ministero legittimato a richiedere il fallimento ai sensi dell'art. 7 n. 1 l.fall., con interpretazione estensiva, e quindi anche in tutti i casi in cui l'insolvenza emerga dalle condotte previste e punite dalla citata norma che non presuppongono come indispensabile la pendenza di un procedimento, di conseguenza potendo emergere anche da un procedimento iscritto nei registri degli atti non costituenti reato, il c.d. modello 45.

Il contesto di riferimento e i principi giuridici esplicitati dalla Cassazione

La corte di Cassazione ha ritenuto dunque il pubblico ministero legittimato a richiedere il fallimento non solo qualora apprenda la notitia decoctionis nel corso di un procedimento penale pendente, ma anche qualora tale contesto emerga dalle condotte indicate nella norma sopra indicata, le quali non sono necessariamente esemplificative di fatti costituenti reato e non presuppongono come indefettibile la pendenza di un procedimento penale.

Nell'ampio dibattito, si inserisce anche Cass. civ., sez. I, 25 agosto 2017, n. 20400 secondo la quale il pubblico ministero è legittimato a chiedere il fallimento dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 7, n. 1, l.fall., quando la notitia decoctionis sia stata appresa nel corso di un procedimento penale, anche se avviato nei confronti di soggetti diversi dal medesimo imprenditore e conclusosi con esito favorevole alle persone sottoposte alle indagini.

In tale fattispecie, la notitia decoctionis è, in ogni caso, irrilevante ai fini della regolarità del procedimento fallimentare avviato a seguito della richiesta del pubblico ministero, non potendosi attribuire rilevanza che all'accertamento dello stato d'insolvenza, che rappresenta l'unico dato rilevante ai fini della dichiarazione di fallimento, piuttosto che alle cause che l'hanno determinato.

È stata peraltro esaminata in giurisprudenza anche la richiesta di fallimento formulata dal pubblico ministero a seguito della dichiarazione di improcedibilità della domanda di concordato preventivo per rinuncia del proponente, e in tal caso non si è ritenuto applicabile l'art. 7 l.fall., in quanto la parte pubblica, una volta informata della proposta di concordato preventivo ai sensi dell'art. 161, comma 5, l.fall., partecipa ordinariamente al procedimento, rassegnando in udienza le proprie conclusioni orali, che possono comprendere anche l'eventuale richiesta di fallimento dell'imprenditore in ragione della sua ritenuta insolvenza, di cui ha avuta conoscenza per effetto di detta partecipazione (Cass., sez. I, 16 marzo 2019 n. 6649 e Cass., sez. I, 13 aprile 2017, n. 9574).

Conclusioni

La corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha ritenuto, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, che il pubblico ministero sia legittimato a depositare la richiesta ai sensi art. 7, comma 1, l.fall. ogni qualvolta l'insolvenza emerga dalle condotte specificamente indicate dalla norma, la quale non presuppone come indefettibile la pendenza di un processo penale, cosicché esse possono emergere anche da un procedimento iscritto nel registro degli atti non costituenti notizie di reato. La corte ha aggiunto che, ai fini della regolare instaurazione del procedimento prefallimentare introdotto ad iniziativa del pubblico ministero, l'eventuale esito favorevole per l'imputato del procedimento penale nel corso del quale tale organo ha ravvisato la notitia decoctionis è del tutto irrilevante.

In conclusione, la corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società fallita, affermando il principio di diritto enunciato in premessa.

La sentenza in commento si pone in sintonia anche con il nuovo art. 38, comma 1, CCI non ancora entrato in vigore, che estende le ipotesi di legittimazione attiva del pubblico ministero, prevedendo la possibilità di presentare il ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza.

Il primo motivo spiegato dalla ricorrente, afferente la mancata indicazione di un procedimento penale pendente nei confronti della società dal quale potesse emergere lo stato di insolvenza della stessa, è stato ritenuto inammissibile perché la ratio dell'art. 7 l. fall., venuto meno il potere del tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è nel senso di estendere la legittimazione del pubblico ministero alla presentazione della richiesta, in tutti i casi nei quali l'organo abbia appreso la notitia decoctionis interpretandosi estensivamente la locuzione “nel corso di un procedimento penale”, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo (Cass. 5 maggio 2016, n. 8977) o di terzi.

Ne consegue anche che un eventuale esito favorevole all'imprenditore dei procedimenti penali nel corso dei quali il pubblico ministero abbia ravvisato la notitia decoctionis sarebbe, in ogni caso, privo di riflessi sulla regolarità del procedimento fallimentare instaurato a seguito della richiesta, atteso che nessuna influenza sull'accertamento dello stato oggettivo di insolvenza, unico dato rilevante ai fini della declaratoria di fallimento, può attribuirsi alla verifica delle sue cause.

Il secondo motivo spiegato dalla ricorrente è stato poi ritenuto inammissibile perché del tutto generico, consistendo, al di là dell'unico prospettato motivo di violazione di legge, in una mera critica, al di fuori dei limiti di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., della sufficienza motivazionale della decisione impugnata.

Relativamente alla validità degli estratti di ruolo in punto di prova relativa allo stato d'insolvenza rilevante ai fini della dichiarazione di fallimento, la giurisprudenza della corte di Cassazione riconosce detta qualità agli estratti di ruolo, ammettendo che essi, oltre a fornire prova dei debiti tributari ai fini dell'insinuazione al passivo fallimentare per i crediti tributari e per i crediti previdenziali, assolvano alla stessa funzione probatoria, anche in assenza della notificazione delle cartelle di pagamento, con riferimento alla prova dello stato d'insolvenza per la dichiarazione di fallimento.

La sentenza in commento si è adeguata a tali principi di diritto, dando conto della rilevante esposizione debitoria della società, quale emergente da debiti tributari, documentati con gli estratti di ruolo non specificatamente contestati, e dall'inconsistenza, in proporzione, dell'attivo patrimoniale, in relazione ad un'impresa in stato di liquidazione.

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