La contestazione dei fatti allegati dal danneggiato: note critiche sull'applicazione dell'art. 115 c.p.c. nel giudizio di responsabilità civile

Giuseppe Chiriatti
16 Maggio 2022

Per meglio comprendere il concreto atteggiarsi delle preclusioni in ambito risarcitorio occorre muovere da una premessa e cioè che il danno-conseguenza si manifesta nella sfera di chi lo subisce e, dunque, resta ignoto al responsabile: per l'effetto, è da escludersi che – in un processo caratterizzato da una “struttura dialettica a catena” (così Cass. 12636/2005) – l'integrazione delle allegazioni attoree possa essere determinata dalla necessità di replicare alle difese svolte dal convenuto, atteso che quest'ultimo non è gravato di alcun onere di contestazione del pregiudizio lamentato dal danneggiato (Cass. 3576/2013)...
Introduzione

Per meglio comprendere il concreto atteggiarsi delle preclusioni in ambito risarcitorio occorre muovere da una premessa e cioè che il danno-conseguenza si manifesta nella sfera di chi lo subisce e, dunque, resta ignoto al responsabile: per l'effetto, è da escludersi che – in un processo caratterizzato da una “struttura dialettica a catena” (così Cass. 12636/2005) – l'integrazione delle allegazioni attoree possa essere determinata dalla necessità di replicare alle difese svolte dal convenuto, atteso che quest'ultimo non è gravato di alcun onere di contestazione del pregiudizio lamentato dal danneggiato (Cass. 3576/2013).

In definitiva, quantomeno in ambito risarcitorio, quell'approccio “rigorista” secondo cui l'attore deve allegare analiticamente tutti i fatti a sostegno della propria domanda già in citazione (Cass. 13328/2015) ben potrebbe – e dovrebbe - assurgere a orientamento prevalente e ciò al fine di pervenire ad una maggiore “concentrazione” della fase introduttiva (così come perseguita, peraltro, dalla Legge delega di riforma del processo civile).

Premessa

Nella giurisprudenza della Cassazione è affermazione ricorrente quella secondo cui il sistema delle preclusioni risponde non solo all'interesse delle parti ma anche all'interesse pubblico ad un celere svolgimento del processo civile e comporta - per entrambe le parti - l'onere di collaborare, fin dalle prime battute del procedimento, per circoscrivere la materia controversa (così Cass. 12636/2005)

Muovendo da tale premessa, un'adeguata comprensione del sistema delle preclusioni impone, dunque, di coordinare le regole di cui agli artt. 163, 167 e 183 c.p.c. con quella prevista dall'art. 115 c.p.c. (“il giudice deve porre a fondamento della decisione … i fatti non specificatamente contestati dalla parte”).

In particolare, la Corte di Legittimità ha chiarito come tale disposizione non sia rivolta unicamente al Giudice – prescrivendogli di "astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato" (Cass. SU 761/2002) - ma ponga in capo alle parti un vero e proprio onere di contestazione dei fatti allegati dall'altra, che dev'essere assolto in modo tempestivo e cioè alla prima difesa utile (Cass. 31837/2021).

In altri termini, per come interpretato dalla Cassazione, l'art. 115 c.p.c. non si limita a circoscrivere il potere del Giudice in fase di decisione, ma prima ancora concorre a definire le regole del contraddittorio nella fase introduttiva del procedimento, assoggettando il corretto assolvimento dell'onere di contestazione ad una stringente decadenza processuale e quindi "integrando" il regime delle preclusioni: è la stessa Cassazione, del resto, ad affermare che il “carattere dispositivo del processo comporta una struttura dialettica a catena” (Cass. 12636/2005), con la conseguenza – ed è questa l'ipotesi che il presente contributo si propone di verificare – che il danneggiato ha facoltà di precisare la propria domanda (così come svolta nell'atto di citazione) e di allegare i fatti c.d. secondari (ovvero quelli da cui desumere, in via deduttiva, la prova dell'esistenza del fatto costitutivo della domanda principale) solo nei limiti in cui ciò sia reso necessario dalle eventuali contestazioni del convenuto.

Occorre considerare, invero, come la giurisprudenza della suprema Corte, anche di recente, abbia affermato che i fatti secondari possono essere indicati per la prima volta anche nel termine di cui all'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. (Cass. 8525/2020), così riconoscendo all'attore la facoltà “incondizionata” di ottenere la concessione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. e, per l'effetto, di meglio integrare le proprie deduzioni anche a prescindere dalla necessità di replicare alle difese svolte dal convenuto nella propria comparsa.

D'altro canto, non potremmo omettere di rilevare come la stessa giurisprudenza di Cassazione abbia talvolta affermato che - in citazione - l'attore dove indicare “analiticamente” tutti i fatti a sostegno della domanda risarcitoria(Cass. 13328/2015) e ancora, che la mera richiesta di una delle parti non obbliga il Giudice a concedere i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. (Cass. 4767/2016).

In definitiva, l'obiettivo del presente contributo è quello di comprendere se, almeno nei giudizi risarcitori e in particolar modo in quelli aventi ad oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale (la cui prova è prevalentemente fornita in via presuntiva), la prassi attorea di introdurre domande non adeguatamente circostanziate (confidando nella successiva concessione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c.) sia conforme alla già sopra richiamata “struttura dialettica a catena” del processo, che - in quanto tale - dev'essere necessariamente “alimentata” dallo stesso convenuto e, dunque, può “procedere” nei limiti in cui ciò sia reso necessario dalle difese svolte da quest'ultimo.

Nondimeno, per poter verificare l'ipotesi avanzata nel presente contributo, occorre analizzare preliminarmente alcuni principi espressi dalla Cassazione in tema di contestazione per poi valutare se ed in che termini gli stessi possano trovare effettiva applicazione in ambito risarcitorio.

Contestazione del fatto storico e contestazione del danno-conseguenza

Tra questi principi, la Cassazione ha affermato che la contestazione dev'essere specifica (Cass. 31837/2021); nondimeno, affinché la contestazione possa essere specifica, è necessario che la parte onerata abbia conoscenza del fatto. Non è dunque casuale che la Cassazione abbia affermato – anche di recente - che “l'onere di contestazione sussiste soltanto per i fatti che siano noti alla parte” (Cass. 2174/21) ed è proprio tale principio che risulta maggiormente rilevante ai fini del nostro contributo, dal momento che la fattispecie illecita può dirsi integrata solo al ricorrere di una pluralità di fatti (quali la condotta, l'evento e il danno conseguenza) e che, in ragione delle loro concrete e rispettive modalità di “manifestazione”, non tutti gli elementi costitutivi della pretesa del danneggiato potrebbero essere noti al convenuto/preteso responsabile (e cioè alla parte teoricamente gravata dell'onere di contestarli).

Ed infatti, se è possibile affermare che il convenuto/preteso responsabile abbia di norma conoscenza diretta delle modalità di accadimento del c.d. fatto storico (essendo egli stesso “presente” all'evento), a ben diverse conclusioni dovremmo giungere con riguardo al danno conseguenza, che si pone in momento logicamente e cronologicamente successivo all'evento dannoso e che, in ogni caso, si manifesta nella sfera privata del danneggiato (e dunque resta di norma sottratto alla conoscenza del convenuto/preteso responsabile).

Tale conclusione, del resto, risulta confermata – quantomeno in termini generali - da un'interessante pronuncia in cui la Cassazione ha affermato che “l'onere di contestazione è prospettabile solo in relazione a fatti noti al convenuto, e non anche a fatti ignoti, quali la sussistenza del danno” e ciò in considerazione del fatto che “il danno, inteso come effetto pregiudizievole, non è mai in re ipsa, ma è sempre una conseguenza del c.d. evento di danno” (Cass. 3576/2013).

Invero, dovremmo considerare come - in non pochi casi – il convenuto/preteso responsabile non ha conoscenza diretta neppure delle modalità di accadimento del fatto storico: si pensi, ad esempio, al committente che - ai sensi dell'art. 2049 c.c. - può essere chiamato a rispondere del fatto altrui o ancora (se non soprattutto) all'assicuratore della RC Auto, che in forza dell'art. 144 CAP potrebbe ritrovarsi convenuto in giudizio direttamente da danneggiato.

Con riguardo a tale ultima ipotesi, invero, non potremmo omettere di rilevare come l'art. 144 CAP, a differenza della fattispecie di cui all'art. 2049 c.c., preveda al contempo il litisconsorzio necessario del responsabile (ciò che dunque dovrebbe favorire la partecipazione dell'autore dell'illecito, il quale, ove si costituisca in giudizio, ben potrebbe contestare il fatto storico così come allegato dal danneggiato); e ancora, si consideri come l'art. 1913 c.c. ponga a carico del responsabile/assicurato uno specifico obbligo di denuncia del sinistro e ciò dovrebbe consentire all'assicuratore di poter comunque svolgere le proprie difese in punto di responsabilità anche nell'ipotesi in cui l'assicurato resti contumace.

Sempre nel corso della fase stragiudiziale è peraltro frequente che l'assicuratore della RC Auto proceda con gli accertamenti peritali finalizzati alla valutazione ed alla quantificazione del pregiudizio biologico lamentato danneggiato. Ed è proprio qui che entriamo nel merito della nostra indagine.

La contestazione del danno biologico

Verrebbe da chiedersi, infatti, se lo svolgimento di tali attività istruttorie nel corso della fase stragiudiziale abbia l'effetto di investire l'assicuratore di una “conoscenza” diretta del danno e, conseguentemente, dell'onere di contestare il pregiudizio allegato dal danneggiato in citazione.

Ebbene, sul punto occorre intanto rilevare come la già sopra richiamata Cass. 3576/2013 (unica, tra le pronunce rinvenute, ad essersi espressa con specifico riguardo all'applicazione dell'art. 115 c.p.c. in ambito risarcitorio) traesse origine da una controversia di natura contrattuale, in cui il danneggiato lamentava il danno patrimoniale conseguente all'inadempimento del professionista convenuto (nella specie, un commercialista), il quale dunque si ritrovava in una posizione di tale “prossimità” da poter certamente conoscere il danno direttamente patito dalla controparte.

Pertanto, se in quel caso la Corte ha escluso che il professionista fosse gravato dell'onere di contestare il danno, alle medesime conclusioni dovremmo giungere con riguardo all'assicuratore che non è il responsabile dell'illecito, ma il mero garante di quest'ultimo.

D'altro canto, non potremmo omettere di considerare come l'assicuratore RC Auto si ritrova comunque in una posizione “peculiare”, dal momento che dispone di un pieno diritto di procedere con tali accertamenti sulla persona del danneggiato vuoi in forza di quanto previsto dall'art. 148, c. 3, d. lgs. 209/2005 nella procedura ex art. 148 CAP vuoi in forza del principio di buona fede che integra il contratto (art. 1375 c.c.) e che, dunque, obbliga il danneggiato a collaborare col proprio assicuratore nell'ambito della procedura ex art. 149 CAP (Cass. 1829/2018): potremmo affermare, cioè, che l'assicuratore si ritrova in una condizione giuridicamente qualificata che gli consente di conoscere il danno e conseguentemente di contestarlo in caso di successivo giudizio.

Nondimeno, anche rispetto ad un simile rilievo, dovremmo tener conto del fatto che l'istruttoria stragiudiziale – come, del resto, quella giudiziale svolta davanti al Giudice – sia finalizzata ad una ricostruzione ex post dell'illecito e, dunque, non possa giammai integrare una vera e propria conoscenza “diretta” del fatto.

Conoscenza del danno e valutazione tecnica

Oltretutto, non possiamo esimerci dal rilevare come l'accertamento medico legale (che sia effettuato dal fiduciario incaricato dall'assicuratore o dal CTU nominato del Giudice) non possa giammai costituire una fonte di prova del danno, ma assurga a mero strumento di valutazione dello stesso. In altri termini, il medico legale potrà sì quantificare l'invalidità permanente sofferta dal danneggiato e verificare che tale compromissione dell'integrità psicofisica sia “compatibile” con le lesioni anatomico - funzionali lamentate in conseguenza del sinistro: nondimeno, la prova che tali lesioni (e cioè l'evento dannoso) si pongano in nesso causale col sinistro (o meglio, con la condotta del preteso responsabile) dovrà esser ricavata da altra fonte (in primis la documentazione sanitaria).

In definitiva, la formula “accertamento medico legale” reca con sé il rischio di ingenerare confusione tra due momenti distinti quali appunto l'assunzione della prova e la successiva valutazione della stessa: e proprio in tal senso le Sezioni Unite hanno anche di recente rimarcato la natura prevalentemente valutativa (e non probatoria) della consulenza tecnica d'ufficio, sancendone la nullità ogni qualvolta l'ausiliario proceda con l'accertamento di fatti diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda (Cass. SU 3086/2022 commentata su questa rivista da GENTILE I., I poteri del CTU e le conseguenze in ipotesi di CTU che abbia esorbitato il mandato peritale e/o abbia acquisito documenti non versati dalle parti, 22 febbraio 2022).

Allegazione (e contestazione) del danno da perdita del rapporto parentale

Se alla luce di quanto sopra dobbiamo escludere che le attività istruttorie stragiudiziali investano l'assicuratore di uno specifico onere di contestazione del pregiudizio biologico lamentato dal danneggiato, alle medesime conclusioni (se non a maggior ragione) dovremmo giungere con riguardo a quelle circostanze eccezionali che potrebbero giustificare il ricorso alla personalizzazione (ex multis Cass. 25164/2020) e che - inerendo allo specifico atteggiarsi della vita di relazione del danneggiato - non possono certo essere conosciute dal convenuto. E ancora, dovremmo escludere che responsabile e assicuratore siano gravati dell'onere di contestare il danno da perdita del rapporto parentale, vertendosi su di un pregiudizio che è caratterizzato dal massimo grado di soggettività ed interiorità e che, in quanto tale, non solo non può essere noto al convenuto, ma - prima ancora - non potrebbe neppure essere “provato” in via diretta. Ma su tale ultimo aspetto s'impone una breve riflessione.

È noto, infatti, come il danno da perdita del rapporto parentale venga provato in via prevalentemente presuntiva (ex multis Cass. 8827/2003) e, dunque, ai fini della sua liquidazione concorrano una serie di circostanze “oggettive” da cui il Giudice può dedurre la sussistenza e l'entità del pregiudizio.

È altrettanto noto come la Cassazione abbia di recente statuito che il danno da perdita del rapporto parentale “dev'essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi” (Cass. 10579/2021).

Ebbene, si consideri come, di norma, le circostanze ritenute “indefettibili” ai fini della “costruzione” della tabella risultino tutte già desumibili dall'atto di citazione, fatta eccezione per la convivenza, la quale potrebbe comunque essere dedotta in via presuntiva dalla comune residenza anagrafica di vittima primaria e secondaria (e, dunque, provata dal danneggiato mediante la mera produzione della relativa certificazione amministrativa).

È quindi evidente che, volendo fare applicazione della tabella a punti ipotizzata dalla Cassazione nella sua struttura “indefettibile”, il danneggiato si ritroverebbe nelle condizioni di ottenere il risarcimento già solo limitandosi ad allegare le circostanze di cui si è detto e a riversare in atti la certificazione anagrafica attestante la comune residenza di vittima primaria e secondaria, senza dover dare seguito ad alcuna ulteriore attività istruttoria.

È pur vero che la stessa Cass. 10579/2021, nel selezionare le circostanze “rilevanti” e “indefettibili” ai fini della costruzione della tabella, non ha comunque esclusoche il sistema a punti possa valorizzare anche ulteriori elementi di fatto nonché prevedere dei correttivi in ragione della particolarità della situazione concreta. D'altro canto, non vi è dubbio che, al netto di tali ulteriori elementi di fatto e/o di possibili correttivi, il sistema tabellare prospettato dalla Cassazione – già solo nella sua struttura essenziale – consentirebbe comunque al danneggiato di conseguire agevolmente il risarcimento (quale che ne sia l'ammontare) e, dunque, di ottenere l'accoglimento della domanda.

Pertanto, a fronte del maggior favore che Cass. 10579/2021 accorda alla posizione del danneggiato, sarebbero proprio le esigenze di economia processuale (così come rievocate in premessa) a suggerire un'interpretazione rigorosa del sistema delle preclusioni che imponga all'attore di allegare già nell'atto di citazione tutte le circostanze “rilevanti” nonché di produrre - già in quella sede - la documentazione comprovante tali fatti, senza possibilità di integrare ulteriormente le proprie deduzioni.

Convivenza e coabitazione

Oltretutto, alle medesime conclusioni dovremmo giungere anche nell'ipotesi in cui l'elemento della convivenza non sia accompagnato dalla coabitazione e, dunque, non possa essere provato in via presuntiva mediante l'esibizione di certificazione amministrativa comprovante che vittima primaria e vittima secondaria risiedessero nello stesso luogo.

Ed infatti, proprio la Cassazione ha chiarito che la coabitazione tra partners, alla luce di alcuni importanti mutamenti sociali, economici e culturali che hanno favorito l'emersione di relazioni affettive a distanza con una frequenza di gran lunga maggiore rispetto al passato, non costituisce più un dato fattuale imprescindibile per qualificare il rapporto di convivenza, cioè quello fondato sull'assunzione di un impegno di assistenza e di collaborazione reciproca (Cass. 9178/2018 commentata su questa rivista da RUSSO R., Risarcibile il danno per la morte del partner in assenza di coabitazione, 17 settembre 2018).

In altri termini: dalla coabitazione ben può essere desunta la convivenza, ma tale ultimo rapporto non può essere escluso per il sol fatto che vittima primaria e secondaria non coabitassero.

Ebbene, anche con riguardo ad un simile caso non si rinvengono ragioni per non pretendere che l'attore alleghi già in citazione tutti i fatti secondari da cui dedurre l'elemento della convivenza così come definito dalla Cassazione nella pronuncia appena richiamata e ciò a maggior ragione nel caso in cui vittima primaria e secondaria fossero legati non da un vincolo giuridico ma da una relazione di fatto, come nel caso della convivenza more uxorio.

Ed infatti, sebbene - in termini generali - sia possibile affermare che “il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza della relazione parentale, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità” (così Cass. 7592/2022), con riguardo alla convivenza more uxorio la Corte di legittimità ha da tempo chiarito “come non sia sufficiente, perché si possa parlare di famiglia di fatto, la semplice coabitazione, dovendosi far riferimento ad una relazione interpersonale, con carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare che, come nell'ambito di una qualsiasi famiglia, si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale” (ex multis Cass. 2988/ 1994).

In altri termini, con riguardo alla relazione more uxorio la convivenza non può essere considerata alla stregua di “una tra le circostanze” che concorrono a definire (o meglio sarebbe dire “provare”) il danno, ma costituisce prima ancora il presupposto che legittima l'attore a richiedere il risarcimento (Tribunale Milano, Sez. X, G.I. dott. D. Spera, Sent., 07/07/2021, n. 5947).

Pertanto, nell'ipotesi in cui riferisca di aver vissuto more uxorio col de cuius e, al contempo, non alleghi già in citazione i fatti secondari volti a provare una relazione “avente le stesse caratteristiche di quelle dal legislatore ritenute proprie del vincolo coniugale” (così Cass. 8976/2005), il danneggiato si ritrova esposto non tanto al rischio di vedersi liquidare un risarcimento inferiore a quello atteso, bensì a quello di vedersi rigettare integralmente la domanda.

Conclusioni

Nel caso da ultimo prospettato, invero, ci si potrebbe chiedere se l'atto di citazione non sia addirittura affetto da nullità per mancata “esposizione dei fatti” a fondamento della domanda (art. 163 comma 3 n. 4 c.p.c.) e, proprio in tal prospettiva, non può non condividersi il rilievo di un autore secondo cui la “sistematica disapplicazione dell'art. 164 c.p.c.(e della sanatoria ivi prevista) sarebbe “una delle cause principali delle incertezze circa l'ammissibilità della modifica della domanda nei giudizi di risarcimento del danno: ed infatti i dubbi più gravi in tema di mutatio libelli sorgono a fronte di citazioni ambigue, incomplete, inesaustive, generiche” (così ROSSETTI M., Risarcimento del danno, onere di allegazione e mutamento della domanda, 7 febbraio 2022).

Non vi è dubbio, peraltro, che tali incertezze siano state favorite da un'equivoca trasposizione in ambito processuale del principio di unitarietà e onnicomprensività del danno non patrimoniale, che era stato enucleato dalle Sezioni Unite del 2008 al mero fine di prevenire quelle indebite duplicazioni risarcitorie determinate dall'impiego di automatiche sottovoci di danno e che, invece, ha finito per “legittimare” la formulazione di domande risarcitorie eccessivamente generiche con espressa riserva di meglio allegare nei successivi termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. i singoli pregiudizi che appunto confluiscono nella categoria unitaria del danno non patrimoniale (sul punto PENTA A., Le preclusioni assertive in ambito risarcitorio, 31 gennaio 2022).

D'altro canto - lo si è visto – l'allegazione e la prova del pregiudizio restano pur sempre prerogative esclusive dell'attore, non potendosi rinvenire in capo al convenuto alcun onere di contestazione del danno ai sensi dell'art. 115 c.p.c. (ferma la “comprensibile” prudenza - da parte di quest'ultimo - nel replicare in ogni caso e sin da subito alla domanda attorea non solo in punto di an ma anche di quantum).

Alla luce della nostra ricognizione, pertanto, l'approccio “rigorista” di cui si è detto in premessa (e cioè quello espresso da Cass. 13328/2015, secondo cui l'attore dove indicare “analiticamente” tutti i fatti a sostegno della propria domanda già in citazione) ben potrebbe e dovrebbe assurgere a orientamento prevalente quantomeno in ambito risarcitorio. Del resto, come ben rilevato da un autore, “l'ispirazione che sta al fondo della linea di ‘maggior rigore' nella definizione del contenuto essenziale della domanda di risarcimento è quella di una stretta responsabilizzazione dell'attore” (così BARLETTA A., Ancora in tema di domanda, oneri di allegazione e prova e poteri del giudice nel processo di risarcimento del danno, 17 gennaio 2022) e ciò risulta di certo coerente con gli obiettivi individuati dalla Legge delega per la riforma del processo civile (Legge n. 206/2021) e, in particolare, con quello di “concentrare” il contradditorio nella fase introduttiva che dovrebbe precedere la prima udienza (art. 1 comma 5 lett. f).

Non potremmo neppure omettere di considerare come proprio l'attuazione della delega possa costituire una proficua occasione per dirimere, direttamente in via normativa, i dubbi determinati dalla non univoca interpretazione del regime delle preclusioni. L'auspicio, dunque, è che il dibattito attualmente in corso su questa rivista possa contribuire, se non ad una “ricomposizione” della giurisprudenza pronunciatasi in materia, quantomeno ad una migliore attuazione della riforma del processo e degli obiettivi ad essa sottesi.

Riferimenti
  • BARLETTA A., Ancora in tema di domanda, oneri di allegazione e prova e poteri del giudice nel processo di risarcimento del danno, 17 gennaio 2022;
  • CHIRIATTI G., La liquidazione del danno parentale secondo Cass. 10579/2021: più che un endorsement per Roma, un invito a Milano, 22 giugno 2021;
  • GENTILE I., I poteri del CTU e le conseguenze in ipotesi di CTU che abbia esorbitato il mandato peritale e/o abbia acquisito documenti non versati dalle parti, 22 febbraio 2022;
  • PENTA A., Le preclusioni assertive in ambito risarcitorio, 31 gennaio 2022;
  • ROSSETTI M., Risarcimento del danno, onere di allegazione e mutamento della domanda, 7 febbraio 2022;
  • RUSSO R., Risarcibile il danno per la morte del partner in assenza di coabitazione, 17 settembre 2018.

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