Esclusa a priori la compatibilità con un rapporto di lavoro subordinato per il presidente del consiglio di amministrazione?

Teresa Zappia
17 Maggio 2022

In tema di imposte sui redditi sussiste l'assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico...
Massima

In tema di imposte sui redditi sussiste l'assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza, di direzione, di controllo e di disciplina dell'ente sociale rende impossibile la diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni, il che è necessario perché sia riscontrabile l'essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente.

La compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita.

Il fatto

La Commissione tributaria regionale della Sardegna accoglieva parzialmente l'appello presentato dalla società cooperativa avverso la sentenza del giudice tributario di primo grado, con la quale era stato rigettato sia il ricorso presentato dalla società contro l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, ai fini IRES, sia i ricorsi presentati da due soci ed amministratori, contro il silenzio-rifiuto formatosi sulle rispettive istanze di rimborso Irpef.

In particolare, il giudice d'appello dichiarava l'inerenza ai costi e, dunque, la deducibilità dei compensi da lavoro corrisposti dalla società ai due soci, essendo l'erogazione giustificata dalle operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione prestate a favore della società di appartenenza.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate la quale, con un unico motivo di impugnazione, asseriva la mancata prova del vincolo di subordinazione tra datrice-società e soci, godendo l'uno di autonomia decisionale e l'altro ricoprendo il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione, dovendosi pertanto escludere la contemporanea presenza dell'attività di lavoro subordinato.

L'Agenzia, inoltre, sottolineava la mancanza del requisito della diversità delle mansioni svolte dal soggetto avente la duplice qualità di amministratore e lavoratore subordinato.

La questione

È compatibile con la qualità di lavoratore subordinato quella di presidente del cda ovvero di socio-membro del cda di una società di capitali?

La soluzione della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione.

Nel caso di specie risultavano mancanti le caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato, quali il potere direttivo, gerarchico e disciplinare. In particolare, con riferimento al socio ed amministratore, componente del cda della società, questi godeva di autonomia decisionale e, nello svolgimento delle sue mansioni, non rispondeva del suo operato ad un superiore gerarchico. Quanto al presidente del cda, egli era munito della rappresentanza generale della società, sicché non poteva ammettersi la contemporanea presenza dell'attività di lavoro subordinato, equivalendo il potere di rappresentanza al potere di controllo, con la conseguente incompatibilità delle due cariche.

Secondo la Corte di Cassazione, il giudice di appello aveva errato nell'applicazione dei principi giurisprudenziali di legittimità in materia, con riferimento alla possibilità del socio amministratore di svolgere anche, in parallelo, una attività di lavoro subordinato. Si è, infatti, affermato che la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio - dirigente alle direttive ed al controllo dell'organo collegiale amministrativo, formato dai medesimi due soci.

La qualità di amministratore di una società di capitali è, dunque, compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l'assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare. In mancanza di un siffatto assoggettamento, l'osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza della subordinazione.

Solo in ipotesi di amministratore unico di società di capitali non potrebbe essere configurabile il vincolo di subordinazione, mancando la soggezione ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla.

Richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia, la Corte rammenta che così come non sussiste alcuna incompatibilità di principio tra la qualità di componente (non unico) dell'organo di gestione e quella di lavoratore subordinato alle dipendenze della società, allo stesso modo non vi sono ostacoli alla configurabilità di un siffatto rapporto fra la società ed il socio titolare della maggioranza del capitale sociale, neppure quando la percentuale del capitale detenuto corrisponda a quella minima prevista per la validità delle deliberazioni dell'assemblea, attesa la sostanziale estraneità dell'organo assembleare all'esercizio del potere gestorio.

Resta fermo la non configurabilità di un rapporto di lavoro con la società quando il socio - a prescindere dalla percentuale di capitale posseduto e dalla formale investitura a componente dell'organo amministrativo - abbia di fatto assunto, nell'ambito della società, l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione. Anche la qualità di socio “maggioritario”, di una società di capitali, non è, quindi, ex se di ostacolo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, allorché possa in concreto ravvisarsi il vincolo di subordinazione, il quale deve in generale escludersi unicamente nelle ipotesi di socio “amministratore unico”, o di socio “unico azionista” o di “socio sovrano”.

Nel caso di specie, l'incarico di presidente del cda escludeva la possibilità di svolgere un'attività di lavoro subordinato in favore della società. Inoltre, con riferimento al socio anche componente del consiglio di amministrazione, il giudice d'appello avrebbe dovuto verificare in concreto l'esistenza di un parallelo rapporto di lavoro subordinato, fondato sulla esistenza del potere direttivo, gerarchico e disciplinare nei suoi confronti. Doveva essere accertata, inoltre, l'attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita. Nell'ipotesi in cui la suddetta diversità non sussista, essendo attribuite soltanto le funzioni proprie del rapporto organico, la nullità del rapporto di lavoro avente ad oggetto tali funzioni, pur non facendo venire meno il diritto al compenso, esclude la deducibilità dei costi da attività di lavoro subordinato (Cass., 11 novembre 1993, n. 11119).

La sentenza è stata, dunque, cassata con rinvio.

Osservazioni

Con la decisione in esame la Corte di Cassazione conferma la posizione giurisprudenziale in materia di compatibilità della qualità di amministratore di lavoratore dipendente, non costituendo lo svolgimento di un ruolo gestorio una condizione di per sé sola escludente la subordinazione. Il rapporto organico, infatti, concerne soltanto i rapporti con i terzi, rispetto ai quali assume rilevanza la persona giuridica rappresentata, e non anche la persona fisica-amministratore, sicché non è preclusa la stipula di un contratto di lavoro subordinato, purché ne sussistano le caratteristiche proprie, quali l'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione dell'ente.

Ammessa, dunque, l'astratta possibilità che tra la società e la persona fisica, che la rappresenta e la gestisce, sia instaurato un rapporto autonomo e parallelo con le caratteristiche del lavoro subordinato, non è comunque possibile prescindere dall'accertamento dello svolgimento, in concreto, di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione. Nel caso dell'amministratore, le mansioni dovranno essere diverse dalle funzioni proprie della carica rivestita e non rientranti nelle deleghe (Cass. n. 10308/2021).

Tali punti ermeneutici vengono compendiati nel secondo principio di diritto indicato nella sentenza in commento. Elemento di “novità” appare, tuttavia, la esclusione automatica della subordinazione con riferimento alla figura del presidente del cda.

Su tale ultimo punto appare opportuno considerare la posizione espressa dall'INPS nel messaggio del 17 settembre 2019 (richiamante il messaggio n. 12441 dell'8 giugno 2011): secondo quanto affermato dall'Istituto, la carica di presidente, in sé considerata, non è incompatibile con lo status di lavoratore dipendente, poiché anche il presidente di una società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell'organo collegiale. Tale affermazione, precisa l'INPS, non sarebbe neppure contraddetta dall'eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi.

In base all'art. 2521 c.c., nell'atto costitutivo della cooperativa deve essere indicato il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, individuando quali tra essi hanno la rappresentanza della società. Tale potere di rappresentanza è attribuito, di regola, al presidente. Tuttavia, qualora l'atto costitutivo non specifichi dettagliatamente i poteri ed i compiti del legale rappresentante, esso non è investito di potere deliberativo, il quale resta in capo al consiglio di amministrazione. L'art. 2381 c.c. (in materia di società per azioni, ma riferibile anche alle società cooperative) dispone che il presidente “convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri”, salvo diversa previsione dello statuto. Sarà, dunque, quest'ultimo, nel rispetto dei limiti di legge, a riservare al presidente ulteriori poteri e compiti.

Tenuto conto di quanto sopra, e sebbene possa essere destinatario di deleghe gestionali (si veda, comunque, in merito l'art. 2, punto 4 Codice di Corporate Governance) il presidente del cda non potrebbe, sic et simpliciter, essere equiparato all'amministratore unico il quale, essendo detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell'ente, come anche dei poteri di controllo, di comando e di disciplina, non potrebbe, in veste di lavoratore, essere subordinato sostanzialmente a sé stesso. L'assenza di una relazione intersoggettiva rende, dunque, incompatibile la qualità di lavoratore dipendente e la carica di amministratore unico.

Analoghe considerazioni sono state svolte in merito all'amministratore delegato, facendo leva sulla portata della delega conferita dal cda: laddove essa sia generale, con facoltà di agire senza il consenso del cda, è esclusa la possibilità di instaurare un valido rapporto di lavoro subordinato con la società. Diversamente nell'ipotesi in cui venga attribuito il solo potere di rappresentanza ovvero specifiche e limitate deleghe.

La configurabilità del rapporto di lavoro subordinato è, inoltre, da escludere con riferimento al socio che abbia assunto di fatto, nell'ambito della società, l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione, tanto da risultare “sovrano” della società stessa.

In conclusione, la esclusione a priori della compatibilità tra qualità di presidente del cda e di lavoratore dipendente non sembra trovare una completa giustificazione nel ruolo societario, quantomeno in assenza di un accertamento specifico, caso per caso, dell'effettiva sussistenza o meno di subordinazione, nonché dello svolgimento di mansioni distinte dalle funzioni connesse a suddetto ruolo. Diversamente opinando, l'organo giudicante dovrebbe escludere automaticamente il cumulo, senza possibilità di prova contraria per le parti interessate.

Affinché possa negarsi o meno la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dovrebbe piuttosto essere rilevato: se il potere deliberativo – in forza di quanto stabilito nell'atto costitutivo e nello statuto - diretto a formare la volontà dell'ente, sia affidato ad un organo diverso dal presidente del cda; se quest'ultimo svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la cooperativa, contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione (eventualmente anche nella forma “attenuata” del lavoro dirigenziale).

Per approfondire

V.A. Poso, Una poltrona per due. La (inafferrabile) subordinazione di due soci paritari e amministratori di una società di capitali e il nodo dell'onere della prova in una controversia con l'INPS, 15 febbraio 2022, in Labor - Il lavoro nel diritto.

R. Lancia, La Cassazione si pronuncia sulla deducibilità dei compensi degli amministratori che svolgono anche attività di lavoro subordinato, 23 marzo 2022, in Labor -Il lavoro nel diritto.

T. Zappia, I poteri esercitati in concreto disvelano la simulazione del contratto di lavoro subordinato dell'amministratore, 28 settembre 2021, in Ilgiuslavorista.it.

A. Corrado, Il discrimine tra amministratore e lavoratore subordinato a fini fiscali, 12 novembre 2015, in Ilsocietario.it.

I. Azzolini, La compatibilità dei rapporti di dirigente e amministratore, 18 luglio 2014, in Ilgiuslavorista.it.

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