Riforma processo civile: le novità in materia di arbitrato

Mauro Di Marzio
18 Maggio 2022

Pur essendo ormai in dirittura d'arrivo i decreti delegati che renderanno operativa la l. 206/2021 recante delega al Governo per la riforma del processo civile, conserva interesse soffermarsi in una pur rapida analisi delle novità in materia di arbitrato, anche perché la delega è già abbastanza dettagliata, sicché è possibile per alcuni aspetti prefigurare fin d'ora quale sarà l'esito dei decreti. 
Inquadramento

Pure essendo ormai in dirittura di arrivo i decreti delegati che renderanno operativa la l. 206/2021, recante: «Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», conserva interesse soffermarsi in una pur rapida analisi delle novità in materia di arbitrati, anche perché la delega è già abbastanza dettagliata, sicché è possibile per alcuni aspetti prefigurare fin d'ora quale sarà l'esito dei decreti.

La delega riunisce plurimi interventi riformatori, mossi da esigenze diverse, concernenti aspetti del processo civile eterogenei: ma è cosa nota che la spinta all'ennesima riforma del processo civile viene dall'Europa e, nel quadro della realizzazione degli obiettivi del PNRR, mira ad un radicale efficientamento del funzionamento della giustizia civile.

Che l'efficientamento, almeno di impatto radicale, non vi sarà, è scontato, dal momento che la riforma è un pannicello caldo che preme per lo più l'acceleratore dal versante della produttività, ossia per un aspetto in cui ormai c'è ben poco da efficientare, visto che, tanto per dire, la Cassazione ha licenziato lo scorso anno oltre 42.000 decisioni: ma, nondimeno, rimane un mistero che cosa abbia mai a che fare con un intento di massiccio efficientamento del processo civile la disciplina dell'arbitrato, che sta alla giustizia civile come le suite ai piani attici degli alberghi a cinque stelle lusso stanno alla ricettività complessiva di alberghi, pensioni, affittacamere e bed and breakfast del paese. Tanto più che l'arbitrato è stato riformato più e più volte, fino all'intervento anche troppo corposo del 2006, e non sembra che dalla base provenissero accorate suppliche volte ad ottenere un ulteriore intervento riformatore.

Ma, come che sia, guardiamo alle novità che si profilano, e che sono contenute nel comma 15 dell'articolo unico della legge delega.

Ricusazione e disclosure

La delega si propone di «rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza dell'arbitro, reintroducendo la facoltà di ricusazione per gravi ragioni di convenienza nonché prevedendo l'obbligo di rilasciare, al momento dell'accettazione della nomina, una dichiarazione che contenga tutte le, prevedendo l'invalidità dell'accettazione nel caso di omessa dichiarazione, nonché in particolare la decadenza nel caso in cui, al momento dell'accettazione della nomina, l'arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell'art. 815 c.p.c., possono essere fatte valere come motivi di ricusazione».

Si tratta di una novità perniciosa soprattutto sotto il primo aspetto. Le gravi ragioni di convenienza hanno un senso riferite al giudice, assai meno all'arbitro, che per lo più è un avvocato, ed è naturale che abbia una rete assai ampia di relazioni e rapporti. La previsione si tradurrà in un comodo strumento per rallentare, anche se non per bloccare, il procedimento arbitrale sulla base di elementi in realtà insignificanti: che so, l'arbitro è coautore con l'avvocato della controparte in un opera giuridica collettanea, magari un codice civile commentato, con un paio di centinaia di autori. Certo, l'istanza di ricusazione sarà infine respinta, ma si perderà tempo, e comunque rimarrà instillato il dubbio che in effetti i due ― nell'ipotesi fatta ― coautori siano due compagni di merende.

Quanto alla indicazione delle «circostanze di fatto rilevanti ai fini delle sopra richiamate garanzie», il problema non è meno serio. Qui la delega prevede un automatismo, e cioè la decadenza dell'arbitro. La cosa va benissimo se quest'obbligo di disclosure è rapportato a circostanze tassativamente tipizzate, dell'arbitro possa rappresentarsi dover comunicare, ma se invece è correlato a liquide e non meglio identificate gravi ragioni di convenienza, il meccanismo rischia di tradursi in un processo alle intenzioni.

Esecutività del lodo straniero

La delega stabilisce che i decreti delegati debbano prevedere in modo esplicito l'esecutività del decreto con il quale il presidente della Corte d'appello dichiara l'efficacia del lodo straniero con contenuto di condanna.

Anche qui qualche perplessità. Il procedimento di recepimento dei lodi stranieri è in buona sostanza modellato sul procedimento monitorio: l'interessato chiede al presidente della Corte d'appello un decreto di exequatur del lodo e il giudice adito provvede di conseguenza; dopodiché, avverso il decreto può essere fatta opposizione, sicché sorge il problema se il decreto recante l'exequatur sia di per se esecutivo o divenga esecutivo mancanza di opposizione oppure una volta che l'opposizione venga respinta. La materia è regolata dagli artt. 839 e 840 c.p.c., ed il tema è ampiamente controverso in dottrina. Ora, prevedere l'esecutività dell'exequatur è per un verso cosa buona poiché facilita la circolazione dei lodi. Però è chiaro che l'esecuzione portata a termine, nell'ipotesi in cui l'opposizione venga proposta e venga infine accolta, può porre problemi di non poco momento, ai quali ― potrebbe sostenersi ― non ha senso dar corso, tenuto conto della rapidità e semplicità del procedimento di opposizione. E tuttavia si potrebbe contro-replicare che da noi, in Italia, rapidità è una parola grossa, che può tranquillamente stare a significare qualche anno. Sicché in definitiva la novità, forse, non è malaccio.

I cautelari in arbitrato

Questo mi pare certamente la novità di maggior impatto, anche sistematico. La delega contempo «l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all'art. 829, primo comma, c.p.c. e per contrarietà all'ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario».

Il giudizio in linea di principio non può che essere positivo. Basterà osservare che gli arbitri sono titolari di poteri cautelari dovunque, perlomeno nel mondo occidentale. Tuttavia la riforma è solo un piccolo passo verso l'omogeneizzazione con le regole applicabili in paesi con i quali ha senso confrontarsi, per esempio la Francia e l'Inghilterra. Da noi gli arbitri hanno poteri cautelari se sono le parti ad affidarglieli espressamente. Altrove si segue il meccanismo inverso: gli arbitri sono di default titolari di poteri cautelari, salvo che ciò non sia escluso dal compromesso o dalla clausola compromissoria. Suppongo che se ne parlerà nella prossima riforma del processo civile, che ― ne possiamo essere certi ― non tarderà molti anni ad arrivare.

La legge delega prevede che il cautelare del suo dagli arbitri possa essere reclamato dinanzi al giudice ordinario. Mi sembra una scelta obbligata: escludere il reclamo sarebbe stato insensato, e visto che bisogna poter reclamare, non vi è altra possibilità di farlo che dinanzi al giudice ordinario. Del resto, sembra da escludere una eccessiva ingerenza di quest'ultimo nel giudizio arbitrale, ove si consideri che il reclamo è dato «per i motivi di cui all'art. 829, primo comma, c.p.c. e per contrarietà all'ordine pubblico», e cioè dinanzi a vizi di legittimità, senza che sia previsto un riesame del merito della decisione cautelare.

Certo, quando si tratterà di applicare la normativa, e regolare in concreto i rapporti tra arbitri e giudici, i problemi non mancheranno, ma questo non induce ad escludere il giudizio positivo sulla novità introdotta.

La scelta della legge applicabile

La legge delega impone di «prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile».

Qui la delega mostra di voler realizzare un intervento migliorativo della disciplina dell'arbitrato, avvicinandola a quella di altri ordinamenti stranieri mediante il riconoscimento alle parti dei poteri di optio legis. In questa sede non è il caso di approfondire ulteriormente il problema che richiederà di esaminare la norma nella sua versione risultante dai decreti delegati.

La riduzione del termine d'impugnazione

La delega si propone di ridurre a sei mesi il termine di cui all'art. 828, secondo comma, c.p.c. per la proposizione dell'impugnazione per nullità del lodo rituale, equiparandolo al termine di cui all'art. 327, primo comma, c.p.c.

Direi che si tratta di un'operazione di manutenzione. Quando il legislatore è intervenuto sulla disciplina dell'art. 327 c.p.c., riducendo il termine lungo per l'impugnazione da un anno a sei mesi, non si è invece occupato del secondo comma dell'art. 828 c.p.c., secondo cui l'impugnazione del lodo arbitrale non è proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione. Qui è nato un dibattito se il legislatore avesse deliberatamente scelto di lasciar fuori dal proprio intervento riformatore la norma sull'arbitrato, o se ciò fosse dipeso dal peculiare carattere di tale impugnazione. Personalmente sarei per la prima, ma, in ogni caso, si tratta di una novità di non grande rilievo, e che ha ben poco a che fare, come quelle che l'hanno preceduta, con la ragionevole durata del processo, dal momento che se il processo non va avanti perché le parti tardano ad impugnare, questi sono soltanto affari loro.

L'arbitrato societario

La delega impone di prevedere, nella prospettiva di riordino organico della materia e di semplificazione della normativa di riferimento, l'inserimento nel codice di procedura civile delle norme relative all'arbitrato societario e la conseguente abrogazione del d.lgs. 5/2003; prevedere altresì la reclamabilità dell'ordinanza di cui all'art. 35, comma 5, del decreto legislativo17 gennaio 2003, n.5, che decide sulla richiesta di sospensione della delibera.

Qui l'intervento dei decreti delegati avranno notevole peso. Non si tratterà soltanto di far traslocare nel codice di procedura civile le norme sull'arbitrato societario sopravvissute all'abrogazione del c.d. rito societario del 2003, bensì di effettuare un'opera di coordinamento dei distinti modelli di arbitrato, che la riforma del 2006 ha radicalmente omesso.

Anche in questo caso il giudizio deve quindi rimanere sospeso fino all'adozione dei decreti delegati.

La translatio iudicii

Secondo la legge delega occorre disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale.

Siamo nuovamente di fronte ad un intervento riformatore in cui si concentra un notevole rilievo sistematico, poiché il fatto che si possa passare dagli arbitri al giudice e dal giudice agli arbitri, come è stato stabilito a suo tempo dalla Corte costituzionale, sta a significare che gli uni e gli altri sono in definitiva parte di un unico sistema.

Qui l'intervento non potrà risolversi in un mero richiamo alle norme che, all'interno della giurisdizione ordinaria, disciplinano la translatio iudicii ad esempio in caso di declinatoria di competenza. Non è nel nostro caso idoneo l'atto riassunzione dall'uno all'altro organo di cui agli artt. 125 e 126 disp. att. c.p.c., riassunzione che si risolve in buona sostanza in una prosecuzione dello stesso giudizio da un giudice a un altro, mentre, nel caso di passaggio nell'uno e nell'altro senso abiti-giudice siamo semmai in un campo più prossimo alla translatio tra diverse giurisdizioni.

Il tutto con la sostanziale differenza tra l'uno e l'altro plesso derivante dall'esistenza di un ampio sistema di preclusioni nel giudizio ordinario, a fronte della massima elasticità di quello arbitrale. Sicché più di che di riassunzione dovrà trattarsi di riproposizione della domanda con salvezza degli effetti sostanziali e processuali.

Trasparenza nella nomina degli arbitri da parte del giudice

La legge delega richiede di prevedere che, in tutti i casi, le nomine degli arbitri da parte dell'autorità giudiziaria siano improntate a criteri che assicurino trasparenza, rotazione ed efficienza.

Non si può che essere d'accordo, ovviamente, purché la cosa non si traduca nell'introduzione di nuove regole procedurali tali da disseminare nel corso del processo arbitrale nuovi rischi di invalidità.

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