L'obbligo di predisposizione degli assetti adeguati anche per la prevenzione della crisi
20 Maggio 2022
Premessa
Lo schema di decreto legislativo, varato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 17 marzo e in attesa di approvazione definitiva, che apporterà ulteriori modifiche al Codice della Crisi d'impresa (d.lgs. n. 14/2019), interviene anche sulla disciplina degli assetti organizzativi, definendo quali sono gli obiettivi che tali assetti debbono garantire ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa. Il presente contributo, che sviluppa e approfondisce i temi trattati dall'Autore nella Relazione tenuta al corso organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura “L'amministrazione delle società tra disciplina normativa e gestione dell'impresa” che si è svolto a Napoli, Castel Capuano, dal 2 al 4 maggio 2022, si concentra sul contenuto dell'obbligo relativo agli assetti adeguati, in un'ottica di reazione alla crisi e di ripristino della continuità aziendale, alla luce delle ultime novità normative. Gli interventi legislativi e la loro successiva evoluzione a partire dalla riforma Rordorf
La legge delega 155/2017, approvata dal Parlamento a seguito dei lavori della Commissione Rordorf all'art. 14, comma 1, lett. b) delegava il Governo a modificare il codice civile prevedendo “il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché' di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Il codice della crisi è stato emanato con il d.lgs. n. 14/2019 ed il successivo decreto correttivo n. 147/2020. Esso ha previsto da un lato la modifica dell'art. 2086 c.c. in conformità al dettato della legge delega e dall'altro l'introduzione nel testo del codice dell'art. 3, inserito nell'ambito dei principi generali, che riprendeva al secondo comma la disciplina dettata dall'art. 2086 e la estendeva al primo comma all'imprenditore individuale, in termini simili, ma non identici. A tali norme seguiva nel codice il complesso sistema dell'allerta, articolata in allerta interna, con obblighi di attivazione e segnalazione a carico dell'organo societario di controllo, ed esterna, con obblighi di segnalazione a carico di soggetti pubblici aventi natura di creditori istituzionali. A valle della segnalazione si apriva poi, dopo l'audizione dell'imprenditore da parte dell'OCRI, la possibilità per quest'ultimo di ricorrere alla composizione assistita della crisi, diretta a trovare un accordo con i creditori ed a porre fine alla situazione di crisi o d'insolvenza anche in difetto di accordo, attraverso l'accesso ad una delle procedure di composizione della crisi e dell'insolvenza disciplinate dal codice.
L'art. 2086 c.c. è una delle poche norme della riforma Rordorf che sono entrate subito in vigore e non hanno subito la lunga serie di rinvii, dovuti alla pandemia ed alla necessità di adeguamento del testo alla Direttiva UE 1023/2019, che n'è seguita. La disciplina degli assetti adeguati per questa parte è dunque vigente. In forza dell'art. 2086 l'imprenditore costituito in forma societaria o collettiva deve non soltanto rilevare tempestivamente i sintomi della crisi, ma anche adottare prontamente strumenti d'intervento idonei a porvi rimedio. Tra i doveri dell'organo di controllo in sede societaria rientra la vigilanza sul rispetto di tali obblighi da parte degli amministratori con la possibilità, ritenuta in alcuni casi dalla giurisprudenza, di denuncia al tribunale delle gravi irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c. (cfr. Trib. Cagliari, 19 gennaio 2022, in dirittodellacrisi.it; Trib. Milano, 21 ottobre 2019, in Giur.Imprese, 2021; Trib. Roma, 15 settembre 2020, in Ilcaso, 20 aprile 2021). L'art. 15 del d.l. n. 118/2021, convertito senza modificazioni dalla legge n. 147/2021 (anche lo schema di d.lgs. approvato dal C.d.M. il 17 marzo 2022 all'art. 25-octies riproduce l'art. 15 del d.l. n. 118 senza modificazioni), ha integrato questa normativa. L'organo di controllo societario segnala, per iscritto, all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di nomina dell'esperto e, quindi, per l'accesso alla composizione negoziata. La segnalazione è motivata e contiene la fissazione di un congruo termine di non oltre trenta giorni entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. In pendenza delle trattative rimane fermo il dovere di vigilanza dell'organo di controllo, ma tempestiva segnalazione e vigilanza debbono essere valutate ai fini dell'esonero o dell'attenuazione delle responsabilità dei componenti di tale organo ai sensi dell'art. 2407 c.c. L'art. 30-sexies del d.l. n. 152/2021, conv. in l. n. 233/2021 (e si veda ora l'art. 25-novies dello schema di d.lgs. approvato dal C.d.M. il 17 marzo 2022, il cui testo, salvo l'estensione dell'obbligo di segnalazione all'Inail, è sostanzialmente immutato), ha rivisto la disciplina dell'allerta esterna prevedendo soglie di indebitamento oltre le quali scatta l'obbligo dei creditori pubblici istituzionali, Agenzia delle Entrate, Inps, Agenzia delle Entrate – Riscossione, di segnalare questi omessi pagamenti “all'imprenditore e, ove esistente, all'organo di controllo, nella persona del presidente del collegio sindacale in caso di organo collegiale, tramite posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all'indirizzo risultante dall'anagrafe tributaria”. La segnalazione deve contenere l'invito a chiedere la composizione negoziata ..se ne ricorrono le condizioni. L'art. 25-novies dello schema di d.lgs. non reca molte novità rispetto al testo dell'art. 30-sexies, a parte l'inserimento accanto all'INPS ed all'Agenzia delle Entrate dell'INAIL. Nei primi commenti si è segnalato che le soglie perché scatti l'obbligo di segnalazione, la cui omissione a differenza del precedente regime di allerta previsto dal testo originario del codice della crisi non comporta più la perdita del privilegio sul credito per l'ente pubblico, sono molto basse sia in assoluto sia con riferimento ai parametri temporali presi in considerazione (ad esempio per l'Agenzia delle Entrate l'omesso versamento dell'IVA sulla dichiarazione periodica in misura superiore a 5.000 euro). Va però aggiunto che la segnalazione contiene sì l'invito a presentare la domanda di composizione negoziata, ma soltanto se ne ricorrono i presupposti (art. 25 novies, comma 3, che conferma il testo dell'art. 30 sexies d.l. n. 152/2021). Complessivamente la norma, figlia di un emendamento al testo originale del d.l. 118/2021, risente del poco tempo che il Governo ha avuto per la sua redazione, di cui è indice il riferimento al presidente del collegio sindacale senza alcuna considerazione delle società che hanno adottato un diverso sistema di governance. E' tuttavia apprezzabile lo sforzo del legislatore di ricondurre il sistema di allerta esterna alla segnalazione agli amministratori perché si avvalgano della composizione negoziale, purché ne ricorrano le condizioni. L'organo di controllo, ove esistente, viene avvertito, di modo che, di sua iniziativa o su segnalazione dei creditori istituzionali, possa a sua volta sollecitare gli amministratori, a ciò incentivato dal richiamo alla possibile responsabilità che consegue all'omissione ed alla possibilità di escluderla nel caso in cui si sia correttamente attivato. L'obbligatorietà degli assetti adeguati, la cui omissione può rilevare in sede di valutazione della responsabilità civile e penale degli amministratori, il dovere degli amministratori di attivarsi, sempre in base al disposto dell'art. 2086 c.c., senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale, la possibilità che tale strumento sia la composizione negoziata, eventualmente su segnalazione dell'organo di controllo, sono complessivamente strumenti idonei e conformi alla disciplina dettata dall'art. 3 della Direttiva UE 1023/2019 con riferimento agli early warning tools. Sono infatti presenti, come richiede il par. 2, lett. a) e c) della Direttiva, meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento e incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi. Si noti che il termine contabili (accountants nel testo inglese) può riferirsi all'organo di controllo in sede societaria e che sono espressamente citate le autorità fiscali e di sicurezza sociale, espressamente considerate dall'art. 30 sexies del d.l. n. 152/2021.
Con lo schema di d.lgs. approvato dal C.d.M. il 17 marzo, il legislatore ha parzialmente riscritto l'art. 3 c.c.i., che, a differenza dell'art. 2086 c.c., pure introdotto dal codice, non era immediatamente entrato in vigore per effetto del d.lgs. 14/2019. Come si è detto, l'art. 2086 c.c. aveva previsto l'obbligo degli assetti adeguati soltanto per quanto concerne le imprese costituite in forma societaria e collettiva. L'art. 3 c.c.i. nella versione originaria ampliava gli obblighi a tutte le imprese, comprese le imprese individuali. Ora con l'art. 3, nel testo risultante dallo schema di d.lgs., il legislatore, riprendendo la definizione dettata dall'art. 2086 e prima ancora dall'art. 2381 c.c., precisa non tanto in che cosa consistono gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, ma quali sono gli obiettivi che tali assetti debbono garantire ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa. Questi obiettivi sono indicati nei commi 3 e seguenti della norma, che chiarisce anche che essi debbono essere soddisfatti non soltanto dagli assetti obbligatori per le società e le imprese collettive, ma anche dalle misure che debbono adottare le imprese individuali secondo il primo comma.
Nella sostanza il legislatore riduce di molto la differenza di contenuto degli obblighi di tempestiva rilevazione della crisi a carico delle imprese societarie e collettive e delle altre imprese perché se è vero che soltanto le prime debbono istituire e mantenere assetti adeguati, gli obiettivi che le misure previste per le imprese individuali e gli assetti previsti per quelle collettive e societarie debbono assicurare sono i medesimi.
Si tratta: a) di rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore. Si noti che la nozione di squilibrio, che lo schema di d.lgs. ha espunto dalla definizione di crisi dettata dal codice, rientra nell'obiettivo della rilevazione affidata agli assetti adeguati ed alle misure (la nozione di crisi, secondo l'art. 2, comma 1, lett. a) diventa “«a) «crisi»: lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi»”); b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l'assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme indicati al comma 4 della norma. Fermandoci per il momento al primo degli elementi indicati, il concetto di non sostenibilità del debito richiama immediatamente la definizione di crisi accolta dal legislatore perché comporta l'inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni per il medesimo arco di dodici mesi cui fa riferimento la definizione in parola. L'assenza di prospettive di continuità aziendale si riferisce ad una situazione certamente più grave che prospetta un'insolvenza irreversibile, ma che potrebbe anche comportare un arresto tempestivo dell'attività d'impresa, prima che si manifesti la crisi quando sia dovuta ad un fatto oggettivo di mercato ( ad esempio l'attuale crisi ucraina e l'impossibilità di produrre a costi competitivi). L'arco temporale di riferimento, come si è detto, è di dodici mesi. Non sempre il legislatore fa riferimento a questo periodo di tempo. Nel caso della domanda di misure protettive che si può accompagnare all'accesso alla composizione negoziata, infatti, l'art. 7, comma 2, lett. d) del d.l. 118 richiede il deposito di un “piano finanziario per i successivi sei mesi. Tale criterio è conservato dalla corrispondente norma dell'art. 19, comma 2, dello schema di d.lgs. che richiede in aggiunta un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo. c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e ad effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento previsto dall'art. 13, comma 2, dello schema di d.lgs. per l'imprenditore che voglia accedere alla composizione negoziata. Il contenuto del test pratico e della lista particolareggiata di controllo sono determinati dal decreto dirigenziale previsto dal d.l. n. 118/2021 ed emanato dal Ministero della Giustizia il 28.9.2021. La check-list serve all'imprenditore per redigere un piano di risanamento affidabile sulla base di minimi requisiti organizzativi, della disponibilità di una situazione economico-patrimoniale aggiornata, dell'analisi della situazione in cui si trova l'impresa e dalle sue cause, della proiezione dei flussi finanziari, della determinazione del debito che deve essere servito da tali flussi anche per determinare il tipo ed il contenuto delle proposte da presentare ai creditori. Quindi in tanto gli assetti e le misure possono ritenersi adeguati in quanto permettano in ogni tempo all'imprenditore di predisporre un piano di risanamento grazie ad un adeguato sistema di rilevazione contabile che consenta di individuare i flussi finanziari presenti e futuri.
Va sottolineato che l'art. 13 dello schema di d.lgs. non prevede un adeguamento del decreto dirigenziale alle modifiche della disciplina legislativa da esso recate, come sarebbe stato opportuno. A differenza infatti del corrispondente art. 3 del d.l. n. 118, l'art. 13, comma 2, non indica che il decreto debba essere emanato entro un certo termine (come poi è avvenuto con il decreto 29.9.2021), ma si cita invece direttamente il decreto dirigenziale già adottato ai sensi dell'art. 3 d.l. n. 118.
Come si è già accennato, costituiscono segnali di allarme ai sensi del comma 4 dell'art. 3 dello schema di d.lgs. alcune situazioni elencate dalla norma: a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari ad oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) l'esistenza di esposizioni nei confronti di banche ed altri intermediari finanziari scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni. d) l'esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall'art. 25 novies, comma 1, vale a dire il superamento delle soglie per la segnalazione dei creditori pubblici istituzionali. Complessivamente queste situazioni sembrano indicare condizioni di forte difficoltà cui certamente corrisponde una crisi di liquidità, ma probabilmente anche una situazione di vera e propria insolvenza, non tanto per il superamento del termine di volta in volta previsto, ma per il rapporto tra il termine ed ulteriori condizioni che sono indicate, come ad esempio l'entità del debito scaduto non pagato rispetto a quello non scaduto. Va peraltro detto che questa norma, a differenza del combinato disposto degli artt. 13 e 24 del testo originario del codice della crisi dai quali è tratta, non evidenzia indicatori di crisi veri e propri, ma ha una funzione diversa. Il superamento dei termini e delle soglie non è rilevante in se stesso, ma in rapporto all'idoneità degli assetti e delle misure a rilevarne l'esistenza. Si tratta quindi di fattori che vanno valutati come elementi che contribuiscono ad evidenziare la non sostenibilità del debito e l'eventuale assenza di prospettive di continuità aziendale.
Per quanto concerne gli obblighi di segnalazione e stimolo, l'art. 25-decies dello schema di d.lgs. prevede obblighi di comunicazione delle banche e degli altri intermediari finanziari di cui all'art. 106 t.u.b. che debbono dare notizia anche agli organi di controllo societari delle eventuali variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti. Non si tratta di una novità, perché la norma figurava già nel codice della crisi al quarto comma dell'art. 14 ed è semplicemente stata spostata in questa sede. L'obbligo della banca di “dare notizia anche agli organi di controllo” delle comunicazioni inviate al cliente, nella specie agli amministratori della società beneficiaria degli affidamenti bancari, si inserisce nella dialettica tra gli organi amministrativi e gli organi di controllo della società affidataria. Consente che gli organi di controllo possano svolgere in modo rapido ed efficace i loro compiti di vigilanza e, in particolare, possano avere notizie di prima mano su circostanze di rilievo al fine di individuare precocemente eventuali indizi di crisi. Va aggiunto che l'informazione è quella stessa rivolta al cliente. L'organo di controllo non viene a ricevere maggiori o diverse informazioni di quelle che già debbono esser state inviate o che vengono contestualmente inviate agli amministratori. L'art. 25-undecies dello schemariproduce la disciplina contenuta nell'art. 30-quinquiesdel d.l. 152 relativamente all'istituzione di un programma informatico sulla piattaforma telematica nazionale destinata ad accogliere le domande di composizione negoziata diretto ad assicurare l'elaborazione dei dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente e che consente all'imprenditore il test pratico di accesso alla composizione negoziata per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento. E' ripresa la norma, anch'essa caldeggiata dalla Commissione europea, di un programma di rateizzazione per l'ipotesi che l'indebitamento complessivo non superi i 30.000 euro. In tale ipotesi se il programma informatico consente di ritenere che il debito sia sostenibile, esso elabora anche il piano di rateizzazione che, se comunicato ai creditori senza che essi manifestino il loro dissenso, diventerà vincolante. Si tratta però di norme che necessitano delle disposizioni di attuazione tuttora da emanare ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 25 undecies, sì che è prematuro diffondersi ulteriormente su tale disciplina, destinata a riguardare comunque situazioni di crisi di modesta entità, tuttavia relative ad attività d'impresa. Al verificarsi della situazione di crisi o di insolvenza, evidenziata in base ad un adeguato sistema di assetti ovvero in forza delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati per l'imprenditore ai sensi dell'art. 2086 c.c. e dell'art. 3 del codice, come rivisto dallo schema di decreto legislativo, sorge l'obbligo di attivarsi. L'art. 25 octies dello schema di d.lgs. è rimasto immutato rispetto all'art. 15 del d.l. 118/2021 con la conseguenza che su segnalazione dell'organo di controllo gli amministratori debbono attivarsi richiedendo la composizione negoziata, ovviamente se ne ricorrono le condizioni.
Come già si è accennato, complessivamente questa disciplina dà attuazione non al regime dell'allerta originariamente previsto dal codice della crisi, che dopo i vari rinvii che ha subito viene definitivamente accantonato, ma all'art. 3 della Direttiva 1023/2019 che fa obbligo agli Stati membri di istituire un sistema in forza del quale i debitori “abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”. Il par. 2 dell'art. 3 specifica che “Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”. E' evidente che gli obblighi di segnalazione agli amministratori a carico dell'organo di controllo e dei creditori pubblici istituzionali rientrano nella previsione della lett. c) ed a) della norma, mentre il programma informatico disponibile sulla piattaforma nazionale ed il test di ingresso fanno parte dei servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche e private considerati dalla lett. b). Il legislatore pertanto nella sostanza ha dato attuazione ad un meccanismo di allerta soft conforme al regime previsto dalla Direttiva, che fornisce informazioni e sollecitazioni ad attivarsi al debitore e non conta su sistemi di coercizione quali quelli che erano previsti dall'allerta affidata agli OCRI secondo la versione originale del codice della crisi. Va ancora aggiunto che l'art. 5-bis dello schema di d.lgs. prevede che sui siti del Ministero della Giustizia e del MISE siano pubblicate informazioni pertinenti ed aggiornate sugli strumenti per l'anticipata emersione della crisi, sui quadri di ristrutturazione preventiva e sulle procedure di esdebitazione previsti dal codice e dalle leggi speciali in tema di amministrazione straordinaria e l.c.a. In tali siti deve essere prevista anche la lista di controllo particolareggiata, adattata anche alle PMI, con indicazioni operative per la redazione dei piani di risanamento. Il contenuto della lista è definito con decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia. Anche queste disposizioni costituiscono attuazione dell'obbligo previsto dall'art. 3 della Direttiva 1023/2019 di istituire servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche e private.
L'art. 2086 c.c. pone due obbligazioni a carico delle società e degli imprenditori costituiti in forma collettiva. Oltre a porre rimedio alla situazione di crisi ed a ripristinare la continuità aziendale, l'imprenditore collettivo deve istituire assetti adeguati in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale. Mentre l'art. 3 CCII nella sua versione originaria, introdotta con la riforma Rordorf, si limitava a confermare la regola dettata dall'art. 2086, ribadendo che l'imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell'articolo 2086, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative, la nuova stesura della norma, prevista dallo schema di d.lgs., come si è visto, ha un contenuto più ampio, che aiuta a comprendere la portata degli obblighi posti a carico dell'imprenditore, ma che è legata all'effettiva entrata in vigore del complesso sistema di innovazioni previsto dallo schema di d.lgs. Va poi aggiunto che il legislatore ha modificato gli artt. 2257, 2380-bis, 2409-novies, 2475 c.c. per affermare, con riferimento ad ogni tipo societario, sia per le società di persone che di capitali, che l'istituzione degli assetti previsti dall'art. 2086 spetta esclusivamente agli amministratori. L'enunciazione del principio ha incontrato qualche difficoltà tecnica, tanto da obbligare il legislatore ad intervenire con il decreto correttivo (d.lgs. n. 147/2020) per riaffermare la regola senza alterare la disciplina generale della governance delle società di capitali (sul punto, si rinvia a L. Panzani, La disciplina degli assetti ai fini della rilevazione della crisi, con particolare riferimento alla s.r.l., in La società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi - Studi in onore di Oreste Cagnasso a cura di M. Irrera, Torino, 2020, ed ivi ulteriori riferimenti). Nonostante l'intervento legislativo possa essere definito sovrabbondante, essendosi affermata la regola generale nell'art. 2086, avendola ripetuta nell'art. 3 CCII ed ancora nelle norme relative alla governance societaria, non pare che il principio introdotto possa creare soverchie difficoltà. Gli assetti adeguati (la letteratura sul tema è oggi abbondante. Per tutti si vedano le perspicue osservazioni di R.Ranalli, Adeguatezza degli assetti organizzativi. “Indicatori” e prevenzione della crisi tra tecnica e diritto, in Atti del Convegno Courmayeur 20-21 settembre 2019, Milano, 2021) consistono anzitutto in un sistema coerente di strumenti che garantiscono agli amministratori della società o impresa collettiva e/o all'imprenditore individuale di disporre di informazioni aggiornate e precise riguardo alla capacità di produzione di cassa ai fini della verifica dell'equilibrio finanziario ed alla continuità aziendale dell'impresa. Si tratta quindi di intervenire almeno in tre aree dell'organizzazione e gestione dell'impresa ed eventualmente del gruppo, vale a dire sull'organizzazione aziendale, sul risk management e sulla tesoreria, assicurando la completezza, tempestività, attendibilità ed efficacia dei flussi informativi e la previsione dei flussi di cassa per un arco temporale che inizialmente nella prima versione del codice era indicato in sei mesi ed ora è stato portato a dodici. In tal modo si possono creare i presupposti per il monitoraggio del continuum temporale delle variabili chiave dei rischi e della capacità di stare sul mercato. Queste disposizioni di carattere generale trovano conferma nella disciplina prevista dal decreto dirigenziale 28 settembre 2021 del Ministero della Giustizia, emanato in attuazione dell'art. 3, comma 2, del d.l. 118, che disciplina il contenuto del test di ingresso dell'imprenditore alla composizione negoziata, la lista di controllo che deve essere verificata dall'esperto insieme all'imprenditore subito dopo l'avvio della composizione stessa, ed il protocollo delle attività che debbono essere compiute durante lo svolgimento del procedimento. L'art. 5, comma 5, del d.l. 118 prevede che l'esperto, accettato l'incarico, convochi senza indugio l'imprenditore per valutare l'esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall'organo di controllo e dal revisore, ove in carica. Soltanto quando ritiene che le prospettive di risanamento siano “concrete”, l'esperto incontra le altre parti interessate al processo di risanamento. Il decreto dirigenziale meglio articola i doveri dell'esperto e dell'imprenditore a questo proposito. Il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento permette di valutare il rapporto tra “l'entità del debito che deve essere ristrutturato e quella dei flussi finanziari liberi che possono essere posti annualmente al suo servizio”. Tale rapporto (punto 4 del test) consente di valutare se siano sufficienti iniziative industriali o se si debba pensare alla cessione dell'azienda, con l'avvertenza che in assenza di un MOL positivo occorre comunque pensare ad iniziative in discontinuità rispetto alla normale gestione. Questi accertamenti che l'imprenditore compie con il test ( eventualmente, ove non abbia provveduto prima, insieme all'esperto subito dopo la sua nomina) sono seguiti dalla redazione della lista di controllo, dove la stessa operazione viene confrontata con il piano predisposto da parte dell'imprenditore (si veda in particolare la sezione 5). I punti 2.4 e ss. del Protocollo precisano che lo stato d'insolvenza in sé non è incompatibile con l'avvio delle trattative, ma sottolineano che “a fronte (i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, (ii) dell'indisponibilità dell'imprenditore a immettere nuove risorse, (iii) dell'assenza di valore del compendio aziendale, le probabilità che l'insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque che in questi casi è inutile avviare le trattative”. Ed ancora “quando l'esito del test online indica che il risanamento dipende dall'efficacia e dall'esito delle iniziative che si intendono adottare in discontinuità rispetto alla normale conduzione dell'impresa (iniziative industriali, modifiche del modello di business, cessioni o cessazione di rami di azienda, aggregazioni con altre imprese), l'esperto, prima di sciogliere la propria riserva, compie gli opportuni approfondimenti esaminando il piano di risanamento” ( punto 2.6). Infine “qualora l'esperto reputi che il risanamento possa avere luogo in via indiretta attraverso la cessione dell'azienda o di rami di essa, dovrà tener conto delle concrete manifestazioni di interesse eventualmente ricevute dall'imprenditore o da terzi, delle ragionevoli stime delle risorse realizzabili pur in assenza degli effetti dell'articolo 2560, secondo comma, del codice civile, e della loro adeguatezza a consentire il raggiungimento di un accordo con i creditori” (punto 2.7). E' dunque evidente che l'adeguatezza degli assetti va valutata con riferimento all'idoneità dell'organizzazione aziendale a mettere l'imprenditore in condizione di espletare il test di accesso, anzitutto da solo o con l'ausilio dei propri consulenti e successivamente in seguito con l'intervento e l'ausilio dell'esperto, ed a redigere il piano di ristrutturazione rispondendo quindi in modo adeguato alla lista di controllo. Naturalmente, come prevede lo stesso art. 2086 c.c., gli assetti adeguati alla rilevazione tempestiva della crisi non sono che una parte del complesso degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili che, in base alla norma, non solo più gli imprenditori costituiti in forma societaria, ma ogni imprenditore collettivo deve istituire. Ai fini della rilevazione della crisi, pertanto, occorre prevedere procedure che si collocano all'interno del più ampio sistema dei modelli organizzativi generali dell'impresa. Gli assetti amministrativi e contabili rappresentano infatti soltanto un aspetto specifico della più ampia categoria degli assetti organizzativi. Essi permettono invero di determinare e verificare, a livello previsionale e/o consuntivo l'andamento ed i risultati della gestione, con ciò consentendo anche la rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita di continuità richiesta dal legislatore. Complessivamente, pertanto, perché la rilevazione tempestiva della crisi possa fondarsi su procedure efficienti occorrerà che in ogni impresa, costituita in forma societaria e individuale, e per quanto concerne i gruppi in ogni singola componente del gruppo e nella capogruppo con riferimento all'intero gruppo, vi siano procedure adeguate che riguardino almeno: l'individuazione di funzioni, compiti e linee di responsabilità, l'esercizio effettivo dell'attività decisionale da parte dei soggetti preposti, la completezza, tempestività, attendibilità ed efficacia dei flussi informativi generati, l'esistenza l'aggiornamento e la diffusione effettiva delle direttive e delle procedure aziendali, la gestione dei rischi e del sistema di controllo, la verifica dell'adeguata competenza del personale preposto alle diverse funzioni, ivi inclusi i consiglieri di amministrazione, la redazione di report trimestrali da parte degli amministratori, previsioni di tesoreria a dodici mesi. La capogruppo, con opportune direttive, può assicurare che ogni soggetto all'interno del gruppo si doti di procedure uniformi, idonee a coprire le aree in esame, generando flussi informativi fondamentalmente omogenei idonei a monitorare la situazione di ogni impresa. Tali flussi consentiranno inoltre di valutare la situazione del gruppo nel suo complesso e gli eventuali interventi da assumere (si richiamano, sul punto, le Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate del CNDCEC, 12 gennaio 2021 e in particolare la Norma 3.5). Quanto ora esposto riguarda da un lato l'organizzazione della governance a livello societario, nelle sue diverse articolazioni, e dall'altro il sistema di controllo interno. Senza ulteriormente soffermarci su questi profili possiamo ricordare che l'art. 6 (Principio XVIII) del Codice di Corporate Governance (gennaio 2020) definisce in questi termini il sistema di controllo interno: “Il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi è costituito dall'insieme delle regole, procedure e strutture organizzative finalizzate ad una effettiva ed efficace identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, al fine di contribuire al successo sostenibile della soci. I principi di revisione internazionali (ISA Italia) forniscono un'altra definizione di controllo interno nel glossario: “Il processo configurato, messo in atto e mantenuto dai responsabili delle attività di governance, dalla direzione e da altro personale dell'impresa al fine di fornire una ragionevole sicurezza sul raggiungimento degli obiettivi aziendali con riguardo all'attendibilità dell'informativa finanziaria, all'efficacia e all'efficienza della sua attività operativa ed alla conformità alle leggi e ai regolamenti applicabili
L'art. 2086 c.c. impone all'imprenditore collettivo di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. L'adempimento di quest'obbligazione grava anche su chi esercita l'attività di direzione e coordinamento nel gruppo perché, come si è più volte osservato, ciò rientra nell'ambito dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, come individuati dall'art. 2497 c.c. E' stato correttamente notato che la rilevazione tempestiva della crisi d'impresa e l'attuazione di uno degli strumenti specificamente previsti dall'ordinamento per il suo superamento sono due facce della stessa medaglia, perché non si potrebbe parlare di assetto adeguato se non si prevedesse una tempestiva reazione per il suo superamento (R.Ranalli, Adeguatezza degli assetti organizzativi. “Indicatori” e prevenzione della crisi tra tecnica e diritto, cit. 55 e ss.). Le domande che si pongono in questo caso riguardano l'individuazione di quali siano gli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale e se ed in quali limiti, nel caso di gruppi, l'intervento della capogruppo sia doveroso. E' indubbio che le espressioni utilizzate dal legislatore nella formulazione dell'art. 2086 c.c. sono enfatiche. Il favor del legislatore per la prosecuzione dell'attività d'impresa quale valore essenziale per l'interesse pubblico va pur sempre coordinato con il disposto dell'art. 41 Cost., secondo il quale l'iniziativa economica privata è libera, e con l'art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, oltre che con gli artt. 26 ss., 101 ss., 107 ss. TFUE, dai quali si ricava che l'ordinamento unionale si fonda sulla previsione di un mercato interno organizzato secondo criteri di stampo liberistico. Ne deriva che il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale sono obiettivi che vanno coltivati in quanto possibili, ferma restando la legittimità della decisione di procedere alla liquidazione dell'attività a condizione che non ne rimangano danneggiati i creditori.
L'art. 2086 c.c. stabilisce che per ottemperare agli obblighi di attivarsi senza indugio per il superamento della crisi ed il ripristino della continuità aziendale l'imprenditore collettivo deve adottare uno degli strumenti previsti dall'ordinamento. Si pone pertanto la questione di individuare quali siano tali strumenti. E' evidente che tra essi rientrano le procedure di composizione della crisi e dell'insolvenza, oggi nel linguaggio del codice della crisi emendato dalla Commissione Pagni quadri di ristrutturazione preventiva e liquidazione giudiziale, previste dal codice della crisi e, sino alla sua entrata in vigore, dalla legge fallimentare. Tali procedure, tuttavia, non esauriscono le possibilità perché, ove non si sia ancora verificata una situazione di insolvenza, è ben possibile che venga coltivata una soluzione negoziale extragiudiziale, attraverso il ricorso al piano od ai piani attestati o alle altre soluzioni previste dall'art. 11, comma 1, d.l. n. 118/2021 (art. 23 dello schema di d.lgs.). Il codice della crisi infatti mette a disposizione anche la procedura di composizione negoziata che può concludersi nelle forme previste dalla norma ora citata.
Il riferimento dell'art. 2086 c.c. agli strumenti previsti dall'ordinamento offre dunque all'imprenditore un ampio range di soluzioni con cui porre rimedio alla crisi e ripristinare o consolidare la continuità aziendale. Va sottolineato che nella scelta tra le varie soluzioni possibili gli amministratori della società o impresa collettiva, anche nel caso di holding, come del resto l'imprenditore singolo, godono di un'ampia discrezionalità. Si tratta infatti di scelte tecniche che dipendono dalla situazione concreta sulla quale occorre intervenire. Non si può neppure escludere che essi possano far ricorso a trattative stragiudiziali, senza accedere a nessuna delle procedure cui si è fatto riferimento, ovvero anche che la situazione di crisi venga risolta con apporti di capitale esterno. Il limite è evidentemente rappresentato dal dovere di mantenere o ripristinare la continuità aziendale, così come previsto dall'art. 2086 c.c., e di non dar luogo a profili di responsabilità connessi alla perdita del capitale sociale. Da questo punto di vista per le società di capitali la sospensione, dettata dalla disciplina emanata in risposta all'emergenza pandemica, della regola “ricapitalizza o liquida” e la previsione di regole di redazione dei bilanci che derogano ai criteri ordinari di valutazione delle poste secondo il principio del going concern, non fa venir meno il dovere di garantire la continuità aziendale. La regola dettata dall'art. 2086, infatti, non soffre eccezioni (si veda in proposito, dal punto di vista del revisore, il documento Assirevi,Linee guida per la relazione di revisione nei casi di utilizzo della deroga sulla continuità aziendale ai sensi dell'art. 38 quater del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 ( decreto rilancio), come convertito con modifiche dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, già previste dall'art. 7 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (decreto liquidità), convertito dalla l. 5 giugno 2020, n. 40, Documento di ricerca n. 240). E del resto anche la deroga ai criteri ordinari di redazione del bilancio, già limitata per legge alle società che non adottano i principi contabili internazionali, non è totale. L'ultima parte del secondo comma dell'art. 38-quater del decreto Rilancio stabilisce che “le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'art. 2427, primo comma, numero 1, c.c. anche mediante richiamo alle risultanze del bilancio precedente e soprattutto che Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonché alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito”. Tale principio è confermato per quanto concerne la deroga alla disciplina ordinaria degli ammortamenti dall'art. 60, comma 7 quater del d.l. 14 agosto 2020, n. 104, convertito in legge 13 ottobre 2020, n. 126, che prevede che “La nota integrativa dà conto delle ragioni della deroga, nonché' dell'iscrizione e dell'importo della corrispondente riserva indisponibile, indicandone l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio”. Ne deriva che la nota integrativa deve fornire non solo l'informativa sulla scelta fatta dagli amministratori di avvalersi della deroga ai criteri ordinari di redazione del bilancio, ma deve fornire anche un quadro aggiornato circa la capacità dell'azienda, alla data di approvazione del bilancio da parte degli amministratori, di continuare ad operare nel prossimo futuro (in questi termini Assirevi,Linee guida per la relazione di revisione nei casi di utilizzo della deroga sulla continuità aziendale, cit., 6. Il documento osserva anche che la nota integrativa deve dar conto delle situazioni di significativa incertezza di cui al paragrafo 22 dell'OIC 11). Va sottolineato che la deroga ai criteri ordinari di redazione del bilancio si applica, con i limiti ora indicati, anche al bilancio consolidato della capogruppo che si avvale della deroga nel proprio bilancio di esercizio (Assirevi, Linee guida, cit., ibidem). Il mantenimento o il ripristino della continuità aziendale rimane un imperativo categorico per tutte le imprese che fanno parte del gruppo e rientra nei doveri della capogruppo provvedere perché tale requisito venga sempre soddisfatto, salvo che per circostanze oggettive esso sia impossibile o che una motivata scelta imprenditoriale possa portare alla decisione di mettere in liquidazione una o più componenti del gruppo o tutte le imprese che lo compongono.
La disciplina della composizione negoziata contenuta nel d.l. 118, sostanzialmente confermata dallo schema di d.lgs. 17 marzo 2022, fornisce ulteriori elementi che definiscono il contenuto dell'obbligazione prevista dalla seconda parte dell'art. 2086 c.c. Come si è detto, una volta iniziate le trattative, l'imprenditore ha la piena disponibilità della gestione dell'impresa. Egli tuttavia deve rispettare il vincolo generale previsto dall'art. 2, comma 1, del d.l. che sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa e che, ai sensi dell'art. 9, comma 1, (ora art. 23, comma 1 dello schema di d.lgs.) non vi sia pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività. A tale proposito il punto 7.5 del Protocollo contenuto nel decreto dirigenziale rileva che “dinanzi ad uno stato di crisi, è opportuno che l'esperto ricordi all'imprenditore che deve gestire l'impresa per evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività”. A tale proposito si aggiunge: “non vi è di norma pregiudizio per la sostenibilità economico-finanziaria quando nel corso della composizione negoziata ci si attende un margine operativo lordo positivo, al netto delle componenti straordinarie, o quando, in presenza di margine operativo lordo negativo, esso sia compensato dai vantaggi per i creditori, derivanti, secondo una ragionevole valutazione prognostica, dalla continuità aziendale (ad esempio, attraverso un miglior realizzo del magazzino o dei crediti, il completamento dei lavori in corso, il maggior valore del compendio aziendale rispetto alla liquidazione atomistica dei beni che lo compongono)”. Infine “con le trattative in corso e ancora sussistendo concrete prospettive di risanamento, la gestione, in caso di insolvenza, dovrà avvenire nel prevalente interesse dei creditori”. Quest'ultimo vincolo non era indicato direttamente dal decreto legge nella sua stesura originaria, ma è ora espresso con chiarezza dall'art. 9, comma 1, nel testo modificato dalla legge di conversione 21 ottobre 2021, n. 147 ed è stato riproposto dall'art. 23 dello schema di d.lgs. La norma afferma che l'imprenditore in stato di crisi gestisce l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività. Quando nel corso della composizione negoziata risulta che l'imprenditore è insolvente, ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori. Il legislatore ha dunque meglio articolato la previsione dell'art. 2086, comma 2, c.c. che fa obbligo all'imprenditore una volta che sia emersa una situazione di crisi o di insolvenza, di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. In caso di insolvenza la composizione negoziata può proseguire soltanto quando sia questione di insolvenza reversibile ed esistano quindi concrete prospettive di risanamento. In caso di crisi deve essere garantita la sostenibilità economico-finanziaria dell'attività con la conseguenza, che si è già illustrata, che la gestione caratteristica sia attiva o generi perdite che non sono di pregiudizio per i creditori perché salvaguardano la continuità aziendale e quindi il maggior valore dell'azienda rispetto all'ipotesi liquidatoria. Le indicazioni dell'art. 9, primo comma, riguardano la composizione negoziata, ma hanno un chiaro valore di sistema e possono essere invocate per integrare e chiarire le prescrizioni dell'art. 2086 ed anche i doveri degli amministratori nella gestione conservativa che segue ad una causa di scioglimento. Ne deriva, pertanto, che l'esperto ha chiare indicazioni da seguire per quanto concerne i limiti entro i quali può essere coltivato il tentativo di raggiungere un accordo con i creditori. Ed anche qui qualora se ne discosti, può concorrere nella responsabilità relativa all'aggravamento del dissesto. Si è discusso molto in dottrina sulla natura e sui limiti dell'obbligazione prevista dall'art. 2086 c.c., se essa comporti o meno l'applicazione della business judgment rule. Parte della dottrina lo ha escluso, parte si è invece espressa positivamente. Con riguardo ai doveri previsti dall'art. 2086, merita di essere sottolineato il rilievo che, malgrado la sua portata precettiva, la norma non fa riferimento a regole vere e proprie, ma a standard di natura aziendalistica che lasciano margini di discrezionalità nella loro applicazione (in questo senso con ampia motivazione E. Barcellona, Business judgment rule e interesse sociale nella “crisi”, cit., 57 e ss. In senso contrario, da ultimo si veda M.Irrera, Adeguatezza degli assetti organizzativi tra correttezza e business judgment rule, in Crisi d'impresa, prevenzione e gestione dei rischi, cit., 81 e ss.). In realtà il problema non può, a nostro avviso, trovare una soluzione univoca. E' innegabile che le regole che gli amministratori, anche della capogruppo, sono chiamati ad applicare corrispondono principalmente ad un dovere di diligenza, che implica un certo margine di apprezzamento discrezionale nella valutazione delle situazioni che si possono verificare. Di conseguenza ci pare innegabile che in queste ipotesi gli amministratori siano tenuti appunto ad un dovere di diligenza il cui esercizio può essere sindacato soltanto nel quomodo esso sia stato adempiuto, vale a dire se vi sia stato un processo decisionale diligente e razionale. Vi è spazio, di conseguenza, per l'applicazione della BJR. Questo non è però, in gran parte, il contenuto delle regole dettate dall'art. 2086, soprattutto per quanto concerne la predisposizione di assetti adeguati alla tempestiva rilevazione della crisi. In queste ipotesi, infatti, il legislatore non si limita a chiedere il rispetto dell'obbligo di diligenza, ma impone dei doveri che si avvicinano ad una vera e propria obbligazione di risultato (afferma invece che si tratta in queste ipotesi e nella disciplina organizzativa diretta ad evitare la commissione di reati di vere e proprie obbligazioni di risultato V. Calandra Bonaura, Amministratori e gestione dell'impresa nel codice della crisi, in Giur.comm., 2020, 12), vi sono cioè obblighi specifici che debbono consentire, ad esempio, di valutare l'idoneità dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni future nei dodici mesi successivi. La condotta più diligente può non essere sufficiente a prevedere il verificarsi della crisi, ove si verifichino eventi imprevedibili, come ad esempio lo stesso scatenarsi della pandemia o, per restare a vicende recenti, il blocco temporaneo del traffico marittimo nel canale di Suez dovuto ad un mercantile che si era arenato. A ben vedere la BJR si può applicare a queste situazioni come in tutte le altre ipotesi di decisioni imprenditoriali. Il limite alla discrezionalità degli amministratori è rappresentato dalla diligenza che deve essere posta nella raccolta delle informazioni ai fini del processo decisionale. Nel caso delle regole poste dall'art. 2086 questo processo è regolato in modo più stringente rispetto alla normalità delle decisioni imprenditoriali, ma non vi sono differenze di carattere qualitativo. Chi afferma l'applicabilità piena della BJR sostiene che rimane sempre un margine di discrezionalità nelle scelte organizzative che ne impedisce il sindacato nel merito da parte del giudice. Si veda in questo senso A. Bartalena, Aspetti organizzativi e business judgment rule, cit., 1351. In realtà la procedimentalizzazione del comportamento doveroso, come nel caso degli obblighi previsti dall'art. 2086 c.c., riduce il margine di discrezionalità degli amministratori, anche se verosimilmente non può cancellarlo.
Considerazioni conclusive
Tornando al quesito che ci eravamo posti supra, che non riguarda gli obblighi organizzativi in generale o le obbligazioni relative alla tempestiva individuazione della crisi, ma la reazione al prospettarsi della crisi stessa ed il ricorso, per usare ancora una volta il linguaggio del legislatore, agli strumenti previsti dall'ordinamento per il ripristino della continuità aziendale, va osservato che qui certamente il margine di discrezionalità è decisamente maggiore. Si pensi alle scelte relative alla decisione di negoziare con i creditori in sede extragiudiziale o di ricorrere ad una delle procedure di composizione della crisi e dell'insolvenza, di avvalersi di consulenze esterne, di aderire a soluzioni transattive, di invocare moratorie ecc. Direi che la regola della BJR trova qui il suo terreno di elezione e ciò, evidentemente, anche nel caso in cui si tratti della condotta degli amministratori della capogruppo con riferimento ad una crisi che riguardi alcune componenti soltanto del gruppo ovvero l'intera organizzazione. Può anzi sottolinearsi che la redazione del piano o dei piani coordinati di gruppo, che non debbono ledere gli interessi dei creditori, ma che nel contempo debbono rispettare gli interessi delle singole componenti del gruppo, sia pur con i temperamenti previsti dalla possibilità di invocare i vantaggi compensativi che possono giustificare operazioni infragruppo, aumenta certamente i margini di discrezionalità e di errore incolpevole. Il rispetto dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale comporta però che la discrezionalità abbia dei limiti, alla luce dei principi di diligenza e professionalità.
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