Quando un soggetto può essere esentato dall'obbligo vaccinale?

Francesca Siccardi
20 Maggio 2022

L'obbligo di sottoposizione al vaccino anti Covid-19 può venire meno purché sia rispettato lo stringente dettato dell'art. 4 comma 2 del D.L. 44/2021, che prevede l'ipotesi di esenzione per colui che ottenga un'attestazione...
Massima

L'obbligo di sottoposizione al vaccino anti Covid-19 può venire meno purché sia rispettato lo stringente dettato dell'art. 4 comma 2 del D.L. 44/2021, che prevede l'ipotesi di esenzione per colui che ottenga un'attestazione, rilasciabile – a tali fini – esclusivamente dal medico di medicina generale, con la quale si dia atto di un accertato pericolo per la salute dell'interessato e che sia corredata da specifica documentazione clinica a supporto.

Il caso

Una lavoratrice, addetta quale Operatrice Socio Sanitaria (OSS) in un appalto presso una rsa, ha contestato la legittimità del provvedimento datoriale dell'aprile 2021, con cui era stata sospesa dal servizio e dalla retribuzione per aver rifiutato di sottoporsi alla profilassi vaccinale anti Covid-19, messole a disposizione dalla datrice di lavoro, instaurando un giudizio ex art. 700 c.p.c. dinnanzi al Tribunale di Ivrea.

Si è costituito in giudizio il datore di lavoro, sostenendo la legittimità del proprio operato – in perfetta aderenza al dettato normativo, rammentando l'eccezionalità del contesto pandemico di riferimento e chiedendo il rigetto.

La questione

L'ordinanza cautelare esaminata è uno dei tanti provvedimenti che nell'ultimo anno i vari Tribunali italiani hanno emesso in ordine alla problematica della sospensione del lavoratore, che non ha ottemperato all'obbligo vaccinale, dalle mansioni e dalla retribuzione, ai sensi dell'art. 4 D.L. 44/2021, conv. in L. 76/2021.

Il ricorso della OSS, in punto fumus boni iuris, è fondato su una molteplicità di doglianze, e, in particolare: 1) insussistenza dell'obbligo vaccinale per gli OSS; 2) assenza del potere di disporre la sospensione del dipendente in capo al datore di lavoro, giacché di competenza dell'Asl; 3) insussistenza dell'obbligo vaccinale in assenza di un vaccino in grado di prevenire l'infezione; 4) impossibilità per il datore di lavoro di imporre ai dipendenti assunzione di farmaci, specialmente se sperimentali; 5) contrasto della normativa emergenziale con quella costituzionale e sovranazionale; 6) irrazionalità della norma impositiva dell'obbligo, essendo presenti efficaci cura contro l'infezione; 7) violazione del principio di precauzione, giacché la disposta sospensione porterebbe a morte certa d'inedia; 8) violazione del principio di proporzionalità, in considerazione dell'aumentato numero di guariti; 9) erroneo bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti, specialmente con riferimento ai soggetti che già hanno contratto il virus; 10) violazione del diritto all'obiezione di coscienza; 11) violazione degli artt. 5 e 8 della L. 300/1970, avendo il datore di lavoro effettuato indagini sulle scelte relative alla salute dei dipendenti non consentiti; 12) possibile inefficacia del vaccino; 13) limitata diffusione del virus nella Regione ove lavora la ricorrente, cioè il Piemonte.

In punto periculum in mora, poi, la ricorrente ha sostenuto l'imminenza del pregiudizio irreparabile, essendo priva di ulteriori redditi e dovendo far fronte a un canone di locazione mensile pari ad euro 300,00 ed al mantenimento della figlia.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Ivrea ha respinto il ricorso, ritenendo la carenza del fumus boni iuris, partendo dall'esame della normativa di riferimento e confutando, punto per punto, le doglianze della lavoratrice.

Innanzitutto, il GM ha ritenuto che gli OSS rientrino pienamente tra i destinatari dell'obbligo vaccinale previsto per legge, in quanto, pur non essendo operatori sanitari, certamente rientranti nella dizione di operatori di interesse sanitario. Tale qualifica, infatti, si ricaverebbe dall'Accordo Stato Regioni del 2001, così come rilevato in recente pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza n. 4340/2021).

In secondo luogo, poi, si è rilevata l'infondatezza della censura in ordine al potere di sospensione in capo al datore di lavoro, posto che proprio dalla lettura dell'art. 4 D.L. 44/2021 si evincerebbe come la sospensione stessa sia una conseguenza direttamente voluta dalla legge, essendo compito dell'Asl esclusivamente l'adozione dell'atto accertativo di violazione dell'obbligo, a cui consegue, a cascata, il provvedimento datoriale. Il tutto anche a prescindere dal fatto che, secondo la normativa emergenziale, il vaccino è requisito essenziale per l'espletamento della prestazione lavorativa, non ravvisandosi neppure, in parte qua, alcuna violazione delle disposizioni di cui alla L. 300/1970 in capo al datore di lavoro che prenda informazioni circa le determinazioni del dipendente in ordine all'attuazione dell'obbligo stesso, anche considerando il potere-dovere gravante sul datore in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Non sussisterebbe neppure alcuna impossibilità giuridica di attuazione della norma impositiva dell'obbligo, posto che sarebbe fallace la tesi secondo cui i ritrovati farmaceutici, non proteggendo dall'infezione ma solamente dalla manifestazione della malattia in forma grave, non potrebbero definirsi vaccini: a prescindere da ogni disquisizione di natura tecnico-scientifica sulla definizione del vaccino, il GM ha ritenuto dirimente sul punto la considerazione per cui non avrebbe avuto alcun senso emanare un decreto legge – il cui presupposto è, come noto, la necessità ed emergenza dell'intervento – per porre un obbligo condizionato ad una scoperta incerta e futura.

Alcuna violazione di normativa sovraordinata, tra l'altro, sarebbe ravvisabile, in quanto:

- L'invocata disapplicazione della normativa interna per violazione della risoluzione del Consiglio d'Europa n. 361/2021 è, ex se, impossibile, posto che tale atto non proviene da un'istituzione dell'UE, bensì da organizzazione internazionale e, in ogni caso, non ha efficacia vincolante per gli Stati che a detta organizzazione aderiscono;

- La Costituzione tutela certamente il diritto alla salute, declinato come interesse del singolo e delle collettività, così come il diritto di autodeterminazione, consentendo ai consociati di rifiutare le cure mediche. Nel caso di specie, l'obbligo vaccinale è stato imposto esclusivamente ad una categoria di lavoratori, che, per le specifiche mansioni svolte, vengono in contatto con soggetti fragili, i quali, se infettati, potrebbe subirne gravissime conseguenze, anche fatali: il legislatore, nel caso, ha quindi effettuato, a monte, un attento ed equo contemperamento dei diritti in gioco, limitando l'autodeterminazione del singolo in casi in cui appare necessario tutelare il diritto di salute dei soggetti fragili, essendo, in ogni caso, garantito il diritto del singolo stesso a non sottoporsi a vaccino, risultando altresì salvaguardata la sua posizione lavorativa, eventualmente previa adibizione a diverse mansioni, essendo prevista la mera sospensione dal lavoro e non già il licenziamento (che, ove irrogato, sarebbe illegittimo).

Il Tribunale ha evidenziato l'infondatezza dell'asserita sussistenza di ragioni di salute incompatibili con l'inoculazione del vaccino: la ricorrente, infatti, ha ricavato tale incompatibilità dall'alto livello di anticorpi Abi SARS CoV2 IgM e IgG – S1/RBD nel proprio sangue, conseguenti alla contrazione della malattia, producendo un certificato di un medico che le ha “sconsigliato vivamente di fare il vaccino”. Tuttavia, il GM ha ritenuto insufficiente quando dedotto, in quanto l'art. 4 comma 2 del D.L. 44/2021 prevede l'esenzione da vaccino solo per l'ipotesi di “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”, non sussistendo nel caso di specie i requisiti normativi, mancando in radice qualsivoglia giudizio di pericolosità del trattamento e provenendo il certificato da soggetto non legittimato al rilascio.

Neppure, poi, coglierebbero nel segno gli argomenti secondo cui il vaccino sarebbe sperimentale e, comunque, non garantirebbe una protezione al 100%: se è vero che i preparati di cui si discute sono stati autorizzati in via condizionata e che non ne sono certi gli effetti a lungo termine, tuttavia è altrettanto certo che gli enti regolatori (Ema ed Aifa) ne hanno approvato la commercializzazione, cosicché possono dirsi passibili di obbligo vaccinale. Inoltre, sebbene la protezione sia certamente non totale, non inibendo i vaccini la contrazione dell'infezione, tuttavia, secondo la letteratura scientifica maggiormente accreditata, i preparati vaccinali riducono in maniera significativa la possibilità sia di contrarre la malattia sia di trasmetterla.

Infine, appare totalmente infondato il richiamo all'obiezione di coscienza discendente dalla presenza di feti abortiti nei preparati, posto che né dal ricorso, né dalla documentazione in atti si evince che la ricorrente abbia mai rifiutato il vaccino per tali ragioni, essendo l'argomentazione del tutto ipotetica.

Osservazioni

L'ordinanza in commento ha respinto il ricorso, ritenendo l'insussistenza di uno dei presupposti richiesti dall'art. 700 c.p.c., vale a dire del fumus boni iuris, cosicché si è resa superflua ogni valutazione in ordine all'ulteriore requisito del periculum in mora.

Il GM ha analizzato con attenzione le censure della ricorrente con argomentazioni logiche, che, però, sotto alcuni profili meritano delle precisazioni.

Innanzitutto, il problema relativo alla sussumibilità degli OSS (Operatori Socio Sanitari) all'interno delle categorie di soggetti destinatari dell'obbligo vaccinale risulta superato, anche a prescindere dalla piena condivisibilità di quanto in precedenza argomentato nella già menzionata giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sent. 4340/2021), e cioè dalla qualifica degli OSS quali operatori di interesse sanitario e non già quali esercenti professioni sanitarie, essendo quest'ultima definizione di più ristretta portata (ricomprendendo solo medici, farmacisti, odontoiatri, psicologi ed infermieri).

Infatti, successivamente all'emissione del provvedimento cautelare in commento, è stato emanato il D.L. 122/2021, che ha introdotto l'art. 4-bis al D.L. 44/2021, sancendo, al comma 1, che “…l'obbligo vaccinale previsto dall'articolo 4, comma 1, si applica altresì a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 1-bis, incluse le strutture semiresidenziali e le strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità…”, così espressamente imponendo l'obbligo vaccinale a tutti coloro che operano nella rsa, soggetti tra cui certamente rientrerebbe la ricorrente.

Si dà atto, inoltre, che la platea dei destinatari dell'obbligo vaccinale è stato vieppiù ampliato ad opera del D.L. 172/2021, che ha previsto la profilassi anti Covid-19 quale requisito essenziale per lo svolgimento dell'attività lavorativa anche per molte altre categorie di soggetti che operano al di fuori del settore sanitario.

Leggermente carente, dal punto di vista motivazionale, appare poi la parte dell'ordinanza che affronta la doglianza in ordine alla carenza o meno del potere sospensivo in capo al datore di lavoro.

In proposito, infatti, appare necessario precisare come l'art. 4 del D.L. 44/2021, conv. in L. 76/2021, delinei un articolato iter procedimentale, che prevede un incalzante susseguirsi di attività, espressamente conferendo al datore di lavoro il potere sospensivo del dipendente non vaccinatosi e non esentato dall'obbligo. In particolare: la trasmissione da parte degli ordini professionali e dei datori di lavoro degli elenchi dei rispettivi iscritti a Regioni e Province autonome (comma 3); la verifica, da parte di questi ultimi, dello stato vaccinale dei soggetti indicati in detti elenchi e la segnalazione alle Aziende sanitarie territorialmente competenti dei nominativi di chi non risulti vaccinato (comma 4); l'invito agli interessati, da parte delle rispettive Asl, a documentare entro cinque giorni l'avvenuta vaccinazione, la sua richiesta oppure l'insussistenza dei presupposti dell'obbligo (comma 5); l'adozione, ad infruttuoso termine scaduto, da parte delle Asl dell'accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale (comma 6); la comunicazione, da parte delle predette Asl, al datore di lavoro dell'accertamento stesso (commi 7 e 8); la verifica datoriale in ordine all'adibizione del dipendente non vaccinato a mansioni che non comportino contatti tra persone o rischio di diffusione del contagio e, in caso di impossibilità, disposizione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione sino al completamento del piano vaccinale (commi 8 e 9). È evidente, quindi, che il datore di lavoro sia titolare di un potere, certamente di natura privatistica e impattante sul rapporto lavorativo (a differenza di quello dell'Asl, avente natura accertativa e che non produce diretti effetti sul rapporto di lavoro).

Infine, appaiono condivisibili le affermazioni in ordine all'insussistenza del paventato contrasto con la normativa costituzionale, essendo certamente ragionevole il bilanciamento di interessi sotteso al D.L. 44/2021, quantomeno nella versione vigente ai tempi della decisione, essendo l'obbligo vaccinale stato imposto ad una ristretta categoria di soggetti che operano a stretto contatto con persone fragili, molto spesso costrette, per le proprie condizioni di salute, ad accedere a contesti potenzialmente rischiosi e che, laddove contagiate, sconterebbero un'alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave, e che, in ogni caso, il diritto all'autodeterminazione del singolo soccombe a fronte dell'interesse collettivo alla salute.

Altrettanto condivisibili sono le argomentazioni svolte con riferimento all'invocata violazione della risoluzione del Consiglio d'Europa n. 361/2021, non sapendo se la ricorrente abbia svolto in ricorso ulteriori doglianze con riferimento ad atti normativi dell'Unione Europea. Infatti, i presupposti che l'ordinanza del Tribunale di Ivrea tace, dandoli per scontato alla luce della giurisprudenza oramai granitica, è che siano passibili di disapplicazione solamente quegli atti legislativi interni che si pongano in contrasto – per il tramite degli artt. 11 e 117 Cost. – con il diritto dell'UE (promanante, quindi, dalle Istituzioni Europee e non già da organizzazioni internazionali, quale è il Consiglio d'Europa, pur potendo il suo nome creare equivoci) o, più precisamente, con atti di natura vincolante e suscettibili di diretta applicazione per gli Stati Membri (tra cui, come noto, non rientrano, in ogni caso, le risoluzioni, in quanto rientranti nella categoria della soft law, con meri effetti di moral suasion).

In ordine all'assenza del fumus boni iuris:Trib. Padova, ord. rigetto del 28 aprile 2022; Trib. Torino, Sez. Lav., ord. del 3 marzo 2022; Trib. Vincenza, Sez. Civ., ord. del 26 gennaio 2022; Trib. Ravenna, Sez. Civ., ord. del 31 dicembre 2021; Trib. Genova, Sez. Lav., ord. del 6 ottobre 2021; Trib. Prato, Sez. Lav., ord. del 19 agosto 2021; Trib. Roma, Sez. Feriale, ord. del 18 agosto 2021; Trib. Treviso, ord. dell'11 giugno 2021; Trib. Verona, Sez. Lav., ord. del 20 maggio 2021; Trib. Modena, ord. del 19 maggio 2021.

In ordine alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'obbligo di vaccinazione contro il virus Sars-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie: Cons. Stato, Sez. III, n. 6401 del 2 dicembre 2021; Cons. Stato, Sez. III, n. 7045 del 20 ottobre 2021; Cons. Stato, Sez. II, n. 6790 dell'11 ottobre 2021; Trib. Vincenza, Sez. Civ., ord. del 26 gennaio 2022; Trib. Ravenna, Sez. Civ., ord. del 31 dicembre 2021; Trib. Verona, Sez. Lav., ord. del 20 maggio 2021.

Rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale, da ultimo: Tar Lombardia, Sez. I, ord. n. 712 del 30 marzo 2022; Cons. Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, ord. 351 del 22 marzo 2022; Trib. Militare Napoli, Sez. Pen., ord. del 3 febbraio 2022; Trib. Padova, ord. del 28 aprile 2022.

Rimessione alla Corte di Giustizia della questione di pregiudizialità europea: Trib. Padova, ord. del 7 dicembre 2021.

In ordine all'assenza del periculum in mora: Trib. Imperia, ord. dell'11 aprile 2022; Trib. Napoli, Sez. Civ., ord. del 26 ottobre 2021; Trib. Catanzaro, ord. del 17 dicembre 2021; Trib. Roma, Sez. Lav., ord. del 16 luglio 2021; Trib. Modena, Sez. Civ., ord. del 19 maggio 2021.

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