La rivalutazione contributiva per esposizione ultradecennale all'amianto: precisazioni interpretative del beneficio ex art. 13, comma 8, l. n. 257/1992

Teresa Zappia
20 Maggio 2022

L'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992 deve essere interpretato nel senso che il beneficio della rivalutazione contributiva deve essere riconosciuto al lavoratore che, dimostrato lo svolgimento di una lavorazione per la quale è richiesta l'assicurazione obbligatoria...
Massima

L'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992 deve essere interpretato nel senso che il beneficio della rivalutazione contributiva deve essere riconosciuto al lavoratore che, dimostrato lo svolgimento di una lavorazione per la quale è richiesta l'assicurazione obbligatoria, in base al combinato disposto degli artt. 1, 3 e 144 d.P.R. n. 1124/1965, per un periodo di almeno 10 anni (inclusi riposi, ferie e festività), provi anche che l'ambiente lavorativo, o comunque il ciclo produttivo, presentava una concreta esposizione al rischio delle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli fissati dal D.lgs. n. 277/1991, come modificato dalla L. n. 271/1992.

Il fatto

Il lavoratore conveniva in giudizio l'INPS, chiedendone la condanna, previo accertamento della sussistenza del rischio amianto ex art. 13, co. 8, L. n. 257/92, al riconoscimento in proprio favore dei benefici previsti ex lege. Il ricorrente asseriva di essere stato esposto all'amianto per un periodo superiore a 10 anni, in esecuzione del contratto di lavoro stipulato con la società-datrice.

Deduceva, inoltre, di aver adito il Tribunale di Bari per ottenere il riconoscimento dei benefici contributivi di cui alla L. n. 257/1992 e che tale procedimento si era concluso con sentenza di rito per improponibilità della domanda, non essendo avvenuta la presentazione dell'istanza amministrativa all'INPS in epoca precedente all'instaurazione del giudizio (sent. Trib. Bari n. 11653/2012). Il ricorrente, pertanto, presentava l'istanza suddetta all'INPS il 12 marzo 2021. La richiesta veniva rigettata dall'Istituto.

Le questioni

Da quale momento decorre il temine di prescrizione del diritto alla maggiorazione contributiva da esposizione all'amianto? Cosa deve provare il lavoratore affinché gli venga riconosciuto il beneficio di cui all'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992?

La decisione del tribunale

Il Tribunale di Bari ha dichiarato fondato il ricorso.

In via preliminare è stata rigettata l'eccezione di prescrizione del credito, richiamando l'orientamento della Suprema Corte (sent nn. 3586/2019 e 2856/2017) secondo cui “la prescrizione del diritto alla maggiorazione contributiva in conseguenza dell'esposizione all'amianto, che, incidendo su un autonomo diritto e non sulla rivendicazione di una componente del credito previdenziale, è definitiva e non limitata ai singoli ratei, decorre dal momento in cui il lavoratore abbia la consapevolezza della suddetta esposizione”. Nel caso oggetto della controversia, tale consapevolezza, in mancanza di elementi di fatto idonei a sorreggere un diverso assunto, doveva dedursi dal fatto dell'inoltro all'INAIL, nel 2000, della domanda di accertamento dell'esposizione. Il termine di prescrizione decennale, peraltro, risultava interrotto dall'instaurazione di un precedente giudizio definito, nel 2021, con pronuncia di improponibilità per mancanza di domanda amministrativa all'INPS. Relativamente a tale ultimo punto, il Tribunale ha richiamato la pronuncia n. 16293/2016 della Suprema Corte secondo cui “la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva e sospensiva della prescrizione riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui inerisce, senza che occorra proporre, nello stesso o in altro giudizio, una specifica domanda diretta a farli valere e anche quando, in quello pendente, tale domanda non sia proponibile”.

Alcun rilievo è stato riconosciuto al fatto che il precedente processo sia stato definito in rito (i.e. improcedibilità della domanda), in quanto agli atti introduttivi del giudizio va riconosciuta efficacia permanente fino alla data in cui intervenga una sentenza che, pur risolvendo questioni processuali, sia suscettibile di passare in giudicato.

Circa l'eccezione di decadenza ex art. 38 co. 1 D.L. n. 98/2011, essendo il ricorrente in pensione, il Tribunale ha richiamato l'orientamento dalla Suprema Corte secondo cui il beneficio richiesto dal ricorrente, seppure previsto dalla legge ai fini pensionistici, è dotato di una sua specifica individualità, sicché esso deve ritenersi autonomo rispetto al diritto alla pensione. Il dies a quo del termine decadenziale triennale per il diritto alla rivalutazione contributiva doveva, pertanto, essere fatto coincidere con la presentazione della domanda amministrativa di riconoscimento del diritto medesimo.

Parimenti infondata è stata dichiarata l'eccezione di decadenza ex art. 47 D.L. n. 269/2003. Il lavoratore aveva presentato la domanda amministrativa finalizzata ad ottenere dall'INAIL la certificazione dell'esposizione all'amianto il 30 novembre 2000, nel rispetto del termine di decadenza introdotto dall'art. 47 precitato. Quest'ultima disposizione legislativa, in quanto di stretta interpretazione, non poteva operare anche con riferimento alla presentazione della domanda amministrativa all'INPS.

Il Tribunale di Bari ha ritenuto fondato il ricorso anche nel merito, rilevando che: l'amianto è un pericoloso cancerogeno e l'inalazione delle fibre può comportare gravi patologie polmonari; dall'inalazione di amianto può derivare l'insorgere del mesotelioma della pleura, quale conseguenza diretta e non secondaria ad un preesistente stato infiammatorio; fra l'inalazione di amianto ed il mesotelioma pleurico o l'asbestosi vi è un nesso diretto e specifico; la pericolosità dell'amianto, già nota negli anni ‘50/'60 nonostante il suo ampio impiego in diversi settori industriali, è stata riconosciuta a livello comunitario solo nel 1983 con la direttiva CEE/83/477, attuata in Italia mediante il D.lgs. n. 277/1991, di talché per oltre dieci anni il sistema industriale italiano ha continuato ad utilizzare il prodotto con la piena consapevolezza della sua elevata nocività.

Alla luce di tale contesto fattuale e normativo, il giudice barese ha osservato che l'istituzione del diritto al moltiplicatore contributivo manifesta la volontà del legislatore di accelerare il percorso verso il trattamento pensionistico di chi sia stato esposto al rischio di cui sopra, così realizzando, mediante la valorizzazione pensionistica del periodo di esposizione, una sorta di risarcimento generalizzato in favore di chi, nell'inerzia legislativa, sia stato costretto a lavorazioni pericolose.

Con la modifica normativa intervenuta a seguito della L. n. 271/1993, evidenzia il giudice di Bari, il legislatore ha voluto evitare ogni selezione soggettiva derivante dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva datoriale, attribuendo centralità all'avvenuta ultradecennale adibizione del lavoratore ad attività soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, per la presenza, nel ciclo produttivo o, comunque, nell'ambiente di lavoro, di valori di rischio superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 D.lgs. n. 277/1991, così riconoscendo il diritto all' “ultravalutazione” del periodo lavorativo - ai fini delle prestazioni pensionistiche - a tutti coloro che, per essere stati a contatto con polveri di amianto in una concentrazione significativa, siano stati soggetti, in relazione alle mansioni svolte ed al tempo di esposizione, al rischio (effettivo e non meramente ipotetico) di contrarre le malattie che la sostanza è capace di generare.

Secondo il Tribunale di Bari, dunque, il comma ottavo dell'art. 13 prefato deve intendersi nel senso di presupporre lo svolgimento di una delle attività soggette ad assicurazione obbligatoria in base al combinato disposto degli artt. 1, 3 e 144 d.P.R. n. 1124/1965, ma con valori di esposizione pari (o superiori) a quelli che la L. n. 257/1992 (artt. 24 e 31) considera a rischio.

Il giudice barese ha rammentato che, nell'esaminare la fondatezza della domanda del beneficio suddetto, l'organo giudicante deve accertare - nel rispetto dell'art. 2697 c.c. - se l'istante, dopo avere provato la specifica lavorazione praticata e l'ambiente presso il quale ha svolto per più di dieci anni (inclusi riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente presentava una concreta esposizione al rischio delle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli fissati dal D.lgs. n. 277/1991.

Nel caso esaminato, la documentazione prodotta, nonché la CTU disposta nel precedente giudizio definito con sentenza di improcedibilità, dimostrava la sussistenza delle condizioni sopra esposte, con conseguente riconoscimento del diritto del ricorrente ai benefici previdenziali previsti dalla L. n. 257/1992 e condanna dell'I. N. P. S. alla rivalutazione dei contributi relativi al periodo di esposizione all'amianto.

Osservazioni

L'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992 stabilisce che, per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5.

Tale materia è stata così riformata: l'art. 47 D.L. n. 269/2003 (come modificato dalla L. conv. n. 326/2003) prevede che, a decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente di moltiplicazione passa da 1,5 a 1,25 e che esso trova applicazione “ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime”. In base al terzo comma dell'art. 47, i benefici sono concessi esclusivamente ai lavoratori “che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno”. Tale soglia non si applica ove sia stata accertata l'insorgenza di una malattia eziologicamente connessa all'esposizione all'amianto.

La nuova normativa non trova applicazione per i lavoratori che, alla data del 2 ottobre 2003, avessero già maturato il diritto al conseguimento del beneficio o avessero già avanzato domanda di riconoscimento dell'esposizione all'INAIL ovvero già iniziato a riguardo un giudizio poi definito con sentenza favorevole.

Nella decisione in commento, il Tribunale di Bari ha individuato nell'autonomia del beneficio di cui all'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992 (applicabile alla fattispecie concreta) l'elemento principale sul quale fondare la reiezione delle eccezioni sollevate dall'INPS avverso l'istanza del lavoratore.

In particolare si è distinto tra la domanda di rivalutazione contributiva, per i periodi di esposizione ultradecennale ad amianto, e quella avente ad oggetto l'accesso alla prestazione pensionistica ovvero il quantum dei singoli ratei erroneamente liquidati.

Nel primo caso il lavoratore chiede la fruizione di un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici”, è connotato da una sua specifica autonomia, essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali deve sorgere, o è sorto, in base ai criteri ordinari, il diritto al trattamento pensionistico. In altri termini, non si è in presenza di una prestazione previdenziale a sé stante o di una pretesa all'esatto adempimento di una prestazione previdenziale riconosciuta solo parzialmente, ma di una situazione giuridica ricollegabile ad un "fatto" (i.e. esposizione qualificata all'amianto) strumentale ma distinto rispetto alla pensione.

Ne consegue che la prescrizione non può decorrere se non dal momento in cui la pretesa fondata sull'ottavo comma dell'art. 13 prefato può giuridicamente essere esercitata, recte dal momento in cui il lavoratore ha avuto consapevolezza della sua esposizione all'amianto e, quindi, dalla domanda amministrativa presentata all'INAIL per la certificazione di tale situazione di fatto.

Deve ritenersi “autonoma” anche l'applicazione dell'art. 47 d.P.R. n. 639/1970: il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale, infatti, coincide con la presentazione della domanda di riconoscimento del beneficio previdenziale e non a quella del trattamento pensionistico.

Si è osservato, inoltre, che nel caso in cui il lavoratore agisca in giudizio per il riconoscimento della rivalutazione contributiva e, contestualmente, per il diritto alla pensione - alla quale accederebbe proprio grazie al beneficio - se il termine decadenziale (da computarsi sempre con riferimento al procedimento amministrativo per i "benefici amianto") risulta rispettato, sarà impedita la decadenza anche riguardo al diritto a pensione contestualmente azionato, in quanto entrambi i termini avrebbero uguale decorrenza. La tardività dell'azione determinerebbe, invece, l'infondatezza della domanda diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione in quanto carente di un elemento costitutivo, rectius il beneficio previdenziale, inesistente perché estintosi per decadenza.

Sotto il profilo strettamente sostanziale, il Tribunale di Bari ha rammentato i presupposti condizionanti l'applicazione dell'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992, ossia l'assegnazione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti un effettivo e personale rischio morbigeno, a causa della presenza nel luogo di lavoro, o comunque nel ciclo produttivo, di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite indicati nel D.lgs. n. 277/1991 (superamento della concentrazione media della soglia di esposizione all'amianto di 0,1 fibre per centimetro cubo, quale valore medio giornaliero su otto ore al giorno, avuto riguardo ad ogni anno utile compreso nel periodo contributivo ultradecennale in accertamento).

Il giudice barese ha ritenuto dimostrata la sussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa, cui prova è posta a carico del lavoratore ai sensi dell'art. 2697 c.c.

Sul punto, tuttavia, si osserva la non facile dimostrazione, in difetto di un'indagine prettamente tecnica, dell'effettiva esposizione del richiedente a valori di rischio pari o superiori a quelli previsti ex lege. Taluni hanno, dunque, prospettato la possibilità di ritenere sufficiente la mera allegazione di tale presupposto della domanda, rimettendone l'accertamento ad una CTU.

Il richiedente, dunque, non dovrebbe dimostrare la quantificazione esatta della frequenza e della durata dell'esposizione, tenuto anche conto della difficoltà insita in tale prova in ragione del tempo trascorso e del mutamento delle condizioni di lavoro (“bonifica dall'amianto”), dovendosi procedere ad un accertamento “ora per allora” di pericolosità dell'ambiente lavorativo.

La consulenza tecnica d'ufficio, tuttavia, non è un mezzo istruttorio stricto sensu, avendo essa la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi (già) acquisiti, ovvero nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Tale mezzo di indagine, quindi, non potrebbe essere utilizzato al fine di esonerare la parte (i.e. il lavoratore) dal fornire la prova di quanto asserito, risolvendosi in un'indagine esplorativa. Il giudice, inoltre, potrebbe non ritenere necessaria la consulenza perché, ad esempio, la lavorazione in sé, ovvero la mansione al quale il singolo lavoratore-ricorrente era adibito, non era interessata dal rischio di esposizione all'amianto.

Si richiama, sul punto, una recente sentenza della Corte di Cassazione n. 15043/2019 secondo cui la mancata disposizione, da parte del giudice, di una CTU di cui si asserisce l'indispensabilità, è incensurabile in sede di legittimità laddove la consulenza sia finalizzata ad esonerare la parte dall'onere della prova, ovvero sia richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati. Sebbene nei giudizi sulla spettanza della rivalutazione contributiva di cui all'art. 13, co. 8, L. n. 257/1992, la prova del superamento dei limiti di soglia (anche in termini di rilevante grado di probabilità) richiede necessariamente un giudizio di carattere tecnico-scientifico demandato ad una CTU, ciò postula pur sempre che siano stati assunti tutti gli elementi probatori dedotti circa i fatti concernenti l'attività lavorativa comportante esposizione ad amianto, escludendosi a carico della parte istante solo l'onere di indicare in maniera dettagliata la quantità di fibre per centimetro cubo presenti nell'ambiente di lavoro. Nel caso di specie i giudici di merito avevano escluso in radice che le mansioni svolte dal ricorrente potessero aver implicato una qualche sua esposizione ad amianto (cfr.: Cass. nn. 3717/20199, 20695/2013, 461/2010).

Per approfondire

D. Garofalo, Accertamento tecnico della esposizione ad amianto - gli oneri di allegazione e prova per l'accertamento della esposizione qualificata ad amianto, Giur. It., 2017, 11, pp. 2441 ss.

C. Marotta, L'azione giudiziaria di cui al comma 8 art. 13 L. 257/1992 e succ.mod.: questioni aperte in tema di domanda amministrativa, decadenza, prescrizione, incontri di studio – Scuola Superiore della Magistratura, Napoli 16 aprile 2015.

M. Cama Rocco, Decadenza sostanziale dall'azione per i "benefici amianto", Lavoro nella Giur., 2012, 12, pp. 1174 ss.

R. Riverso, Nella torre di babele della decadenza previdenziale per l'amianto: cronistoria di un'ingiustizia, in Rivista giuridica del diritto del lavoro e della previdenza sociale, 2013, 1, pp. 655.

F. Collia, F. Rotondi, Rassegna del merito - coefficiente di rivalutazione contributiva, Lavoro nella Giur., 2012, 5, pp. 512 ss.

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