Inadempimento dell'obbligo di acquisire partecipazioni societarie e applicazione dello sconto di minoranza all'opzione put

Giorgio Cherubini
23 Maggio 2022

La stima di una partecipazione societaria di minoranza deve tener conto del relativo sconto, qualora si sia in presenza dell'esercizio di un'opzione put; la valutazione della partecipazione non deve prevedere alcuna riduzione in quanto si tratta di una stima assimilabile all'esercizio del diritto di recesso ex art. 2437-ter c.c.
Massima

La stima di una partecipazione societaria di minoranza deve tener conto del relativo sconto, qualora si sia in presenza dell'esercizio di un'opzione put; la valutazione della partecipazione non deve prevedere alcuna riduzione in quanto si tratta di una stima assimilabile all'esercizio del diritto di recesso ex art. 2437-ter c.c.; applicando lo sconto, alla decurtazione del valore della partecipazione di minoranza, conseguirebbe un'illegittima compressione del diritto del socio recedente

L'art. 2932 c.c. dispone che, qualora l'obbligato a concludere un contratto non adempia la propria obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.

Quanto ai contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprieta' di una cosa determinata ovvero la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non puo' essere accolta, se la parte che l'ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.

Ai sensi dell'art. 1349 c.c., se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita ad un terzo e non risulta che le parti abbiano volutorimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento, che si traduce in una valutazione che deve tenere conto di tutte le circostanze note o conoscibili secondo la comune diligenza e deve apprezzarle in modo obiettivo. La valutazione è vincolata a criteri tecnici di comune accezione ed il giudizio del terzo deve essere ispirato a criteri di buona fede, mentre l'intervento del giudice è possibile, qualora la determinazione dell'arbitratore manchi o sia manifestamente iniqua o erronea.

Il caso

Una società conveniva in giudizio un'amministrazione comunale al fine di accertarne, ai sensi dei patti parasociali sottoscritti, l'inadempimento all'obbligo di acquistare la partecipazione sociale detenuta in una S.p.A. e di trasferire la quota azionaria detenuta dall'attrice nella S.p.A. all'amministrazione comunale, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2932 c.c., con sentenza sostitutiva di rogito ed avente efficacia traslativa tra le parti.

Chiedeva anche la condanna dell'amministrazione comunale a corrispondere una somma quale prezzo per il trasferimento della quota azionaria ovvero, in alternativa, a concludere il contratto di compravendita della partecipazione sociale con condanna al pagamento degli interessi legali maturati sul prezzo della compravendita, in quanto possedeva l'intero capitale sociale della s.p.a. e l'attrice aveva acquistato una partecipazione nella società, dopo la sua parziale privatizzazione, stipulando con l'amministrazione comunale dei patti parasociali di durata quinquennale che prevedevano che, nell'ipotesi di loro mancato rinnovo, l'attrice avrebbe potuto esercitare entro un anno dalla scadenza una opzione put, rivendendo le proprie azioni all'amministrazione comunale, obbligata a riacquistarle al prezzo stimato da un perito scelto di comune accordo tra le parti ovvero, in caso di mancato accordo, da un collegio di tre periti.

Alla prima scadenza, l'amministrazione comunale procedeva al rinnovo dei patti parasociali ma poi si rendeva inadempiente e l'attrice proponeva domanda di arbitrato richiedendo l'accertamento degli inadempimenti del Comune in relazione agli obblighi di esercitare il proprio voto in assemblea oltre al relativo risarcimento del danno.

In seguito, l'attrice instaurava un giudizio arbitrale in virtù della clausola compromissoria esistente, conclusosi con un lodo a lei favorevole; persistendo l'inadempimento dell'amministrazione comunale, alla seconda scadenza quinquennale, i patti parasociali non venivano rinnovati e l'attrice si avvaleva della opzione put, chiedendo al Presidente del Tribunale di procedere con un accertamento peritale.

Il Collegio dei periti stabiliva il valore della partecipazione sociale nella s.p.a e, in seguito, l'attrice invitava il Comune a stipulare il contratto di compravendita della partecipazione azionaria e, rimanendo inadempiuto, doveva ricorrere all'autorità giudiziaria al fine di ottenere una pronuncia che, ai sensi dell'art. 2932 c.c., tenesse luogo del contratto di compravendita.

Nel costituirsi in giudizio, l'amministrazione comunale chiedeva, in via preliminare, di sospendere il giudizio ex artt. 295 e/o 337, comma 2, c.p.c. fino alla definizione con sentenza passata in giudicato della controversia relativa all'invalidità ed inefficacia del rinnovo dei patti parasociali, pendente dinanzi alla Corte di Appello di Roma, chiedendo di accertare e dichiarare l'invalidità e/o l'inefficacia del loro rinnovo per carenza di potere rappresentativo del Sindaco in mancanza di preventiva autorizzazione del Consiglio Comunale ai sensi dell'art. 42 TUEL; dato atto del divieto del Comune di assumere partecipazioni in società commerciali di cui alla L. 244/2007, accertare e dichiarare la risoluzione per impossibilità sopravvenuta dell'opzione put o l'estinzione per impossibilità sopravvenuta dell'obbligo del Comune di acquistare la partecipazione dell'attrice nella s.p.a.

In subordine, chiedeva di accertare la legittimità del rifiuto del Comune di dare esecuzione all'opzione put e, dato atto della erroneità ed iniquità della stima, procedere alla determinazione del valore della partecipazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 1349, comma 1, 2° cpv. c.c., in quanto l'attrice era decaduta dal diritto di esercitare l'opzione put, giacché i patti parasociali non si erano rinnovati alla prima scadenza e l'opzione esercitata era priva di effetto.

Interveniva sentenza non definitiva con la quale il Tribunale accertava l'inadempimento del Comune di acquisire la partecipazione nella spa disponendo ctu per verificare la correttezza dei criteri di stima adottati dagli arbitratori per la stima del valore della quota di partecipazione.

Con la sentenza in commento, il Tribunale ha trasferito al Comune la partecipazione pari 36,55% del capitale sociale della s.p.a., condannando il Comune al pagamento della complessiva somma di €. 7.840.000,00, oltre interessi, subordinando il trasferimento al pagamento ed autorizzando la parte più diligente ad iscriverlo nel Registro delle imprese, compensando integralmente le spese del giudizio e ponendo in misura paritaria a carico di entrambe le parti, con solidarietà nei confronti dei consulenti tecnici, le spese della consulenza tecnica d'ufficio.

Le questioni giuridiche

Il provvedimento in commento ha ad oggetto diversi ambiti giuridici; l'inadempimento ad alcune previsioni dei patti parasociali sottoscritti inter partes e la manifesta iniquità della determinazione del valore della partecipazione societaria; secondo il Supremo collegio, in mancanza di un criterio legale, la manifesta iniquità ricorre in presenza di una valutazione inferiore alla metà di quella equa (Cass., 30 dicembre 2004, n. 24183).

Infatti, quanto agli errori di valutazione, essi debbono assumere un'entità tale da essere rilevabile e la questione più interessante riguarda quanto evidenziato dai consulenti tecnici circa i criteri di stima adottati nel corso del giudizio arbitrale, manifestamente erronei riguardo la stima del valore del patrimonio netto rettificato, la determinazione del tasso di attualizzazione, la definizione del reddito prospettico e l'orizzonte temporale di attualizzazione dei sovraredditi.

Lo sconto di minoranza non si applica nel caso di esercizio di un'opzione put nei confronti di un altro socio, trattandosi di un'operazione assimilabile all'esercizio del diritto di recesso e la valutazione della partecipazione di minoranza deve avvenire secondo il criterio proporzionale, a partire dalla stima del valore complessivo della società.

Il cosiddetto premio di maggioranza è il valore addizionale di una partecipazione rispetto alla corrispondente frazione di valore complessivo della società, correlato al fatto che una tale partecipazione ne consente l'effettivo controllo; invece, lo sconto di minoranza rappresenta una diminuzione del valore di una partecipazione, rispetto al suo valore intrinseco, dovuto alla presenza di disutilità riconducibili alla mancata detenzione del controllo.

Il terzo arbitratore, a meno che le parti si siano affidate al suo mero arbitrio, deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, pur ammettendo un certo margine di soggettività, ancora a criteri obbiettivi le valutazioni (Cass., 30 giugno 2005, n. 13954).

Nella sentenza oggetto di commento, il Tribunalenon condivide l'orientamento del Supremo Collegio che, ritiene doversi far riferimento, in mancanza di un criterio legale, al principio desumibile dall'art. 1448 c.c. per stabilire quando la determinazione della prestazione da parte del terzo sia impugnabile per manifesta iniquità, (Cass., 30 dicembre 2004, n. 24183).

Va detto che è assai differente la valutazione della quota nel caso di sua libera negoziabilità, dove possono assumere importanza sia il premio di maggioranza che lo sconto di minoranza e la valutazione in caso di recesso, dove, come evidenziato, il socio esercita una sua prerogativa; il valore di mercato indicato nel Codice Civile in tema di valutazione della partecipazione in caso di recesso, non va riferito alla quota, ma al patrimonio sociale, ed il valore sarà frutto di un mero calcolo matematico effettuato avendo come riferimento il valore di mercato del patrimonio sociale.

Pertanto, la non applicabilità dello sconto di minoranza deve valere anche nel caso di stima legata all'esercizio di un'opzione put verso altro socio, ipotesi non assimilabile all'acquisto di una quota negoziabile sul mercato, mentre il recesso svolge la funzione di riequilibrare i rapporti di forza tra i soci di minoranza e la società.

Osservazioni

Risulta condivisibile la soluzione fornita dal Tribunale di Roma perchè, da un punto di vista tecnico, la stima di una partecipazione di minoranza deve tener conto del relativo sconto; tuttavia, nel caso di specie, la valutazione non deve considerare alcuna riduzione giacché si tratta di una stima legata all'esercizio di un'opzione put, operazione assimilabile all'esercizio del diritto di recesso ex art. 2437-ter c.c.

In altre parole, la decurtazione del valore della partecipazione di minoranza, in seguito allo sconto, cagionerebbe un'illegittima compressione del diritto del socio recedente, titolare del diritto d'opzione ex art. 2437 ter c.c.

Ciò posto, come affermato (Trib. Roma, 20 aprile 2015, n. 8457), va esclusa l'applicazione dello sconto di minoranza con riferimento alla fattispecie del recesso del socio di minoranza di una S.r.l., dovendosi individuare nel criterio di mercato e nel metodo proporzionale, in assenza di disposizioni statutarie, le linee guida della fattispecie relativa alla stima del valore di partecipazioni non totalitarie.

E, ancora, appare fuori luogo qualsiasi riferimento alla difficoltà della vendita ed alla scarsa appetibilità di una partecipazione minoritaria, non incidente sulla gestione della società; l'art. 2473 comma 3 c.c. riferisce il valore di mercato da considerare in caso di recesso non alle singole quote, ma al patrimonio sociale nel suo complesso. (Trib. Padova, decr., 22 maggio 2014, n. 980).

Infine, quanto alla natura giuridica dei patti parasociali, essa è quella di contratti plurilaterali con comunione di scopo, aventi un'efficacia puramente obbligatoria e non reale, producendo effetti solo tra i sottoscrittori e non verso i terzi.

La durata massima di cinque anni può essere derogata qualora i patti parasociali si inseriscano in un contesto di concertazione fra soci di natura più ampia.

L'eventuale violazione del patto può valere solo come inadempimento contrattuale tra i soggetti sottoscrittori, ma non è opponibile ai terzi.

Il voto in assemblea contrario al patto produce la responsabilità contrattuale di chi ha leso il patto di fronte agli altri sottoscrittori, ma non inficia la legittimità della delibera assembleare.

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