Mancata impugnazione del riparto ad opera della curatela ed irripetibilità delle somme incassate dal creditore fondiario

Pasqualina Farina
24 Maggio 2022

Laddove il g.e., ancorché reso edotto del fallimento del debitore esecutato, dichiari l'esecutività del progetto di distribuzione, la curatela – che non ha proposto il relativo rimedio oppositivo – subisce l'irretrattabilità della distribuzione, con conseguente irripetibilità delle somme percepite dal creditore.
Massima

Laddove il g.e., ancorché reso edotto del fallimento del debitore esecutato, dichiari l'esecutività del progetto di distribuzione, la curatela – che non ha proposto il relativo rimedio oppositivo – subisce l'irretrattabilità della distribuzione, con conseguente irripetibilità delle somme percepite dal creditore.

Il caso

Un istituto di credito, agendo in forza di contratto di mutuo fondiario, ha intrapreso, con pignoramento del 26 maggio 1995, un'esecuzione forzata immobiliare nei confronti di Alfa S.r.l.

In data 1° marzo 2006 il giudice dell'esecuzione di Palermo ha aggiudicato l'immobile per il prezzo di € 3.302.600,00. Con sentenza del 20 marzo 2006, il Tribunale di Palermo ha dichiarato il fallimento della medesima società.

In data 22 marzo 2006 il curatore fallimentare è intervenuto nel procedimento esecutivo, assumendo che il credito azionato non avesse o avesse perso la sua natura fondiaria, e chiedendo che al creditore procedente fosse assegnato soltanto il residuo capitale, con gli accessori indicati nell'atto l'intervento.

Dopo aver depositato il piano di riparto il g.e., replicando ad osservazioni delle parti, con ordinanza del 24 febbraio 2010, ha ritenuto che «gli istituti di credito fondiario... non sono... tenuti a sottostare all'obbligo di insinuazione al passivo». Con successiva ordinanza del 30 luglio 2010, dopo aver preso atto che la precedente ordinanza non era stata impugnata, il g.e. ha dichiarato esecutivo il progetto di distribuzione, ordinando il pagamento delle singole quote di liquidazione in favore del creditore fondiario e dichiarando esaurita la procedura. Nei confronti di tale ordinanza la curatela non ha proposto opposizione.

Con atto di citazione del 5 novembre 2012 il fallimento ha citato in giudizio il creditore fondiario (rectius il cessionario), chiedendo la restituzione dell'intero importo, pari a € 3.257.403,97, oltre accessori. Il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, al soggetto espropriato rimane preclusa, «l'azione di ripetizione di indebito contro il creditore procedente (o intervenuto) per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso». Tale decisione è stata poi confermata dalla Corte d'appello di Palermo.

Il Fallimento ha, quindi, proposto ricorso in cassazione.

La questione

Con il primo motivo di ricorso, il curatore del fallimento ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 512 e 615 c.p.c., anche in relazione agli artt. 51 e 52 l. fall. Ciò Perché la Corte d'appello di Palermo non avrebbe considerato le peculiarità date dall'interferenza tra la procedura fallimentare e la procedura esecutiva immobiliare individuale volta alla soddisfazione di un credito fondiario.

Con il secondo motivo il curatore lamenta la violazione dell'art. 52 l. fall., anche rispetto all'art. 41 t.u.l.b., in quanto la facoltà di prosecuzione dell'esecuzione individuale data al creditore fondiario si risolve in un mero privilegio processuale, inidoneo ad alterare le regole del concorso. Il terzo ed ultimo motivo ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell'art. 2855 c.c. A ben guardare, quest'ultima censura non costituisce una critica avverso la sentenza impugnata, trattandosi in realtà della riproposizione di una domanda subordinata in ordine al calcolo degli interessi sul residuo credito derivante dal mutuo fondiario, non esaminata dal giudice di merito perché assorbita.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Un primo punto fermo da cui muove il Collegio nel risolvere il caso concreto va individuato nella distinzione tra: a) l'intervento che il comma 2, secondo periodo, dell'art. 41 t.u.l.b., consente al curatore per far valere in sede esecutiva tutte le ragioni della procedura concorsuale, ivi compresa quella, contemplata dal terzo periodo della suddetta norma perché venga recuperato il residuo di quanto percepito dal creditore fondiario; e b) l'intervento di cui all'art. 107, comma 6, l. fall., che prevedeil subentro del curatore nell'esecuzionecon conseguente applicazione delle norme del c.p.c.; «ovvero, in alternativa, su istanza del curatore il giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione, salvi i casi di deroga di cui all'art. 51».

Chiarisce, poi, la Corte che l'art. 41 ora citato assegna al creditore fondiario un privilegio meramente processuale, in quanto può avvalersi della esecuzione individuale, senza incidere però sul diritto sostanziale del creditore ad essere soddisfatto. In altri termini, il creditore fondiario non può, in sede esecutiva percepire somme maggiori di quelle che otterrebbe in sede fallimentare. Proprio per questa ragione anche il fondiario soggiace alla regola del concorso formale di cui all'art. 52 l. fall., norma espressamente riformata dal correttivo attuato col d.lgs. 169/2007.

Ora, dall'esame del caso di specie, emerge la mancanza della volontà della curatela di subentrare al creditore procedente: il curatore che ha, infatti, insistito per l'insussistenza della natura fondiaria del credito, oggetto di cessione, e sulla quantificazione dell'importo spettante al creditore procedente.

Non solo. Dopo l'intervento, il fallimento non ha contestato l'ordinanza del 24 febbraio 2010, che negava l'onere del creditore fondiario di effettuare l'insinuazione al passivo. Parimenti il curatore è rimasto inerte anche dopo la pronuncia del progetto di distribuzione, con cui è stata assegnata al creditore procedente quasi l'intera somma ricavata dalla vendita forzata del compendio immobiliare, e riconoscendo ulteriori interessi, è rimasto inerte. Che non si sia trattato di una svista ma di una scelta consapevole emerge dal fatto che il curatore ha chiesto ed ottenuto dal g.d. non l'autorizzazione ad impugnare i provvedimenti adottati dal g.e. di Palermo, ma quella a proporre un'autonoma azione di restituzione delle somme.

Osservazioni

La Cassazione ribadisce come la condotta tenuta dalla curatela contrasti, inevitabilmente, con l'assunto che nega, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l'ammissibilità in capo al debitore di un'azione di ripetizione di indebito nei confronti del creditore procedente per ottenere la restituzione di quanto riscosso, sul presupposto dell'illegittimità dell'esecuzione.

In effetti, pur non risultando il provvedimento conclusivo dell'esecuzione coperto dall'efficacia propria del giudicato, esso presenta comunque il carattere dell'irrevocabilità dei provvedimenti del g.e., dopo che sono stati eseguiti ex art. 487 c.p.c.

Sicché la proposizione dell'azione di ripetizione (o altra azione restitutoria), dopo la conclusione del procedimento e la scadenza dei termini per le relative opposizioni si pone inevitabilmente in contrasto con i principi ispiratori del sistema e con le regole sui modi e sui termini delle opposizioni esecutive. Tale affermazione (risalente a Cass. 3 luglio 1969, n. 2434, in Foro it., 1969, I, 1641 ss) è costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis v., Cass. civ., 16 luglio 2021, n. 20331; Cass. civ., 17 agosto 2011, n. 17337; Cass. civ., 14 luglio 2009, n. 16369, che fonda la definitività dei risultati dell'esecuzione sul concetto di preclusione, più ampio di quello di giudicato).

A ben guardare, non si discosta da tale orientamento nemmeno Cass. civ., 20 aprile 2012, n. 6270, secondo cui se l'ipoteca perde efficacia con effetto retroattivo (a causa del vittorioso esercizio dell'azione revocatoria) dopo la distribuzione del ricavato, il creditore postergato, che in sede di distribuzione non sia riuscito a soddisfarsi, ha diritto di ottenere da quello, la cui causa di prelazione sia venuta meno, la restituzione delle somme indebitamente percepite, sempre però che tale circostanza non potesse dedursi nel giudizio di esecuzione.

Anche parte della dottrina ha sostenuto il principio della intangibilità dei risultati dell'espropriazione, argomentando che la mancata proposizione dell'opposizione di merito determina la stabilizzazione del risultato raggiunto dal processo esecutivo (Fabbrini, Eccezione, in Scritti giuridici, Milano, 1989, I, 518 ss.; Mazzarella, Contributo allo studio del titolo esecutivo, Milano, 1965, 18 ss. e spec. 54. Per la tenuta dei risultati dell'espropriazione alla stregua di una preclusione pro iudicato, v. Capponi, La verificazione dei crediti nell'espropriazione forzata, Napoli, 1990, 186 ss.; Mandrioli, L'azione esecutiva. Contributo alla teoria unitaria dell'azione e del processo, Milano, 1995, 546; Vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova, 2012, 193 ss. e spec. 200 ss.). Più di recente è stato altresì sostenuto che «la stabilità dei pagamenti eseguiti sulla scorta del piano di distribuzione poggia sulla natura autoreferenziale dell'esecuzione forzata che, in virtù di un documento che il legislatore definisce (...) titolo esecutivo comincia e si esaurisce senza essere pregiudicata da accertamenti cognitivi esterni» (Fuiano, La stabilità del riparto esecutivo, Bari,2020, 368 ss. e spec. 373).

Tale ricostruzione è invece messa in discussione da altra dottrina che condivide l'ammissibilità dell'azione di ripetizione una volta chiusa l'esecuzione, (Liebman, Le opposizioni di merito nel processo d'esecuzione, Roma, 1931, 224; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957, III, 105; Tarzia, L'oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, 49 s. e successivamente v. pure Bove, L'esecuzione forzata ingiusta, Torino, 1996, 155 ss., spec. nota 3). Una recente ricostruzione del problema si rinviene in Rusciano, Sul dogma della stabilità della distribuzione nel processo esecutivo, in RDP, 2021, 875 ss.

Sia consentita ancora un'ultima considerazione. La Suprema Corte conferma, con la pronuncia in commento, che per ottenere, poi, la provvisoria attribuzione delle somme ricavate dalla vendita forzata immobiliare, il creditore fondiario deve documentare al g.e. di avere sottoposto positivamente il proprio credito alla verifica del passivo in sede fallimentare, cioè di aver proposto l'istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura (anche se non ancora divenuto definitivo). In tal caso il g.e. attribuisce al suddetto creditore il ricavato della vendita nei limiti del provvedimento di ammissione, disponendo la restituzione del residuo al curatore. In difetto d'istanza di ammissione al passivo ovvero laddove il credito sia stato escluso dal passivo il g.e. devolve alla curatela l'intero ricavato della vendita.

Ora, tale ricostruzione (già effettuata da Cass. civ., 28 settembre 2018, n. 23482), si pone in linea con la decisione in commento. Ed infatti l'esito diverso raggiunto oggi dal Collegio rappresenta – è bene qui ribadirlo – una esclusiva conseguenza della condotta inerte tenuta dalla curatela. Fermo restando l'ineludibile onere del creditore fondiario di proporre domanda di ammissione al passivo, il caso portato all'attenzione della Corte nel 2018 era caratterizzato dal fatto che in seguito alla esecutività del piano di riparto da parte del g.e., il curatore aveva proposto una tempestiva opposizione agli atti, respinta dal giudice dell'opposizione e poi, invece, cassata dal Supremo Collegio.Da qui l'omogeneità dei risultati raggiunti dalla Corte.

Riferimenti

Per i riferimenti di dottrina e giurisprudenza si rinvia agli autori ed alle decisioni riportate nel testo.

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