Reclamabilità dei decreti di sospensione, scioglimento dei contratti pendenti e giudicato endoconcordatario

25 Maggio 2022

La Corte distrettuale si è pronunciata in merito alla reclamabilità di provvedimenti con valenza endoconcorsuale, precisando quale strumento debba essere utilizzato a tal fine e se l'omologazione del concordato preventivo possa formare un giudicato endoconcordatario.
Le massime

Le censure di nullità o di illegittimità dei provvedimenti di sospensione e di scioglimento dei contratti pendenti ex art. 169-bis l.fall. sono questioni da risolversi in sede endoconcorsuale, da far valere mediante lo specifico rimedio previsto dall'art. 26 l.fall. In ogni caso dette censure devono ritenersi assorbite dalla definitività del provvedimento di omologa del concordato preventivo e non possono essere riproposte in un diverso giudizio di merito.

Il procedimento endofallimentare del reclamo (ex art. 26 l.fall.) avverso i provvedimenti del giudice delegato o contro quelli del Tribunale fallimentare è diretto a risolvere conflitti che attengono ad atti diversi da quelli inerenti la formazione dello stato passivo e che incidono su diritti soggettivi; il reclamo assicura il doppio grado di giurisdizione avverso i provvedimenti monocratici emessi dal giudice delegato nel corso dello svolgimento della procedura fallimentare così come il doppio grado avverso i provvedimenti collegiali emessi dal Tribunale nei compiti ad esso propri.

L'omologa di concordato preventivo passata in giudicato non comporta (invece) la formazione di un giudicato sull'esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) dei crediti, sicché devono essere sempre accertate nelle forme della cognizione ordinaria le ragioni creditorie vantate nei confronti del debitore in concordato.

Il caso

Antefatto: la sospensione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato

Una società in concordato preventivo otteneva dal Tribunale di Treviso (ex art. 169-bis l.fall.) dapprima la sospensione (per 120 giorni) e poi lo scioglimento dei contratti bancari pendenti con alcuni istituti di credito, con conseguente sospensione degli effetti di tali contratti e così anche delle eventuali clausole di compensazione. Ne derivava l'impossibilità per gli istituti di credito di procedere a compensazione e il loro obbligo di rimettere alla società gli incassi successivi al provvedimento di sospensione.

La richiesta di restituzione degli incassi e la sentenza di primo grado

Poiché era emerso che una delle banche, dopo la sospensione e lo scioglimento senza soluzione di continuità dei contratti bancari, aveva incassato da terzi per conto della società la somma di euro 211.666,42, la società in concordato (poi fallita) - in mancanza di restituzione spontanea - agiva davanti al Tribunale di Treviso, attraverso un giudizio ordinario di cognizione, chiedendo la condanna della banca alla restituzione della somma indebitamente riscossa.

Costituendosi in giudizio, la banca contestavain via preliminare la nullità dei provvedimenti che autorizzavano la sospensione dei contratti bancari pendenti perché emessi senza avere integrato il contraddittorio con la medesima convenuta. Nel merito, invece, la banca eccepiva l'illegittimità dei provvedimenti di sospensione/scioglimento in quanto, a suo dire, i contratti bancari non potevano essere sciolti perché non qualificabili "contratti in corso di esecuzione” ai sensi dell'art. 169-bis l.fall. vigente ratione temporis.

Il Tribunale di Treviso, in accoglimento della domanda proposta dalla società in concordato preventivo, rigettava le eccezioni della convenuta e condannava la banca alla restituzione delle somme indebitamente riscosse.

In particolare, per quel che maggiormente rileva in questa sede, il primo Giudice ha dichiarato inammissibile la domanda di accertamento della nullità dei provvedimentidi sospensione e di scioglimento dei contratti bancari pendenti (adottati dal Tribunale di Treviso nel corso della procedura di concordato preventivo ex art. 169-bis l.fall.) in quanto non reclamati ai sensi dell'art. 26 l.fall.; ed anche perché la pretesa nullità dei provvedimenti di sospensione e di scioglimento dei contratti doveva ritenersi assorbita dal passaggio in giudicato del decreto di omologa del concordato preventivo.

L'appello

La banca soccombente ha impugnato la sentenza di primo grado, proponendo due motivi di appello. Con il primo motivo l'appellante ha criticato la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la domanda di accertamento della nullità dei provvedimenti di sospensione e di scioglimento dei contratti bancari pendenti ex art. 169-bis l.fall.

Quindi, ha riproposto alla Corte d'appello di Venezia la domanda tendente ad accertare la nullità e/o l'illegittimità dei provvedimenti di sospensione e di scioglimento dei contratti bancari pendenti, con conseguente accertamento della prosecuzione degli stessi contratti.

Col secondo motivo, invece, la banca ha contestato il fatto che il primo giudice – applicando alla lettera il provvedimento di sospensione emesso ex art. 169-bis l.fall. – aveva attribuito effetto retroattivo al divieto di compensazione conseguente alla sospensione del contratto bancario. Pertanto, nella denegata ipotesi in cui la Corte d'appello avesse ritenuto fondata la pretesa restitutoria della società, chiedeva la rideterminazione del quantum debeatur.

La Corte d'appello ha rigettato entrambi i motivi d'appello proposti dalla banca, con conferma della sentenza del Tribunale di Treviso.

Le questioni giuridiche alla base della decisione

La Corte d'appello e il Tribunale si sono interrogati sul perimetro e sull'ambito del cosiddetto giudicato endoconcordatario, pervenendo alla stessa conclusione.

Entrambi i giudici affermano che le doglianze aventi ad oggetto la legittimità dei decreti emessi dal Tribunale ex art. 169-bis l.fall. devono essere fatte valere mediante il reclamo ex art. 26 l.fall.

Infatti, siffatte censure, non investendo il titolo del credito fatto valere né l'esistenza o l'entità dello stesso, ma esclusivamente questioni da risolversi in sede endoconcorsuale, vanno fatte valere mediante lo specifico rimedio previsto dall'art. 26 l.fall.

E ancora: il procedimento endofallimentare del reclamo avverso i provvedimenti del Giudice delegato o contro quelli del Tribunale fallimentare è diretto a risolvere conflitti che attengono ad atti diversi da quelli inerenti alla formazione dello stato passivo e che incidono su diritti soggettivi. Il reclamo assicura il doppio grado di giurisdizione contro i provvedimenti monocratici emessi dal GD così come il doppio grado avverso i provvedimenti collegiali emessi dal Tribunale nei compiti ad esso propri.

Tribunale e Corte d'appello sono concordi anche nell'affermare che la questione della nullità dei provvedimenti di sospensione e di scioglimento dei contratti (al pari di altre censure relative a vicende endoconcordatarie/endofallimentari) deve ritenersi assorbita dal passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato preventivo.

Quindi, sembra esserci un doppio ostacolo che impedisce al giudice della cognizione ordinaria di riesaminare l'eccezione di nullità del decreto ex art. 169-bis l.fall.:

  • la mancata tempestiva proposizione del reclamo ex art. 26 l.fall. e
  • il passaggio in giudicato del decreto di omologa.

Osservazioni e spunti di riflessione

Gli artt. 26 e 164 l.fall.: i decreti reclamabili

La pronuncia in commento è tra le poche edite che si occupano espressamente del reclamo endoconcordatario e delle preclusioni legate all'omessa attivazione di tale rimedio impugnatorio. Preclusioni che, per di più, vengono rilevate in un giudizio ordinario di cognizione promosso dopo l'omologazione del concordato preventivo.

Prima di ogni altra considerazione, riteniamo opportuno fornire alcune coordinate di sistema.

Il reclamo ex art. 26 l.fall. - richiamato anche dall'art. 164 l.fall. a proposito del concordato preventivo - costituisce lo strumento tipico (al netto di rimedi ad hoc previsti da altre norme) per risolvere gli "incidenti contenziosi" o quei conflitti che insorgono in ambito concorsuale. Nel relativo procedimento camerale il giudice è tenuto ad esercitare un controllo che non è limitato alla verifica della legittimità del decreto impugnato, ma si estende anche al merito delle valutazioni effettuate dal giudice che ha pronunciato il decreto (cfr. Cass. 16 maggio 2018, n. 11957; Cass. 22 marzo 1999, n. 2649).

L'art. 164 l.fall. prevede testualmente: "I decreti del giudice delegato sono soggetti a reclamo a norma dell'articolo 26". Nulla dice espressamente la norma sui decreti del Tribunale.

Poiché - invece - l'art. 26 l.fall. prevede espressamente la reclamabilità sia dei decreti del giudice delegato (dinanzi al Tribunale) sia dei decreti del Tribunale (impugnabili dinanzi alla Corte d'appello), ci si è chiesti se in caso di concordato possono essere reclamati solo i provvedimenti del GD (come da tenore letterale dell'art. 164 l.fall.) o anche quelli del Tribunale (in via analogica con l'art. 26 l.fall. o interpretativa).

Sia il Tribunale di Treviso sia la Corte d'appello di Venezia non hanno avuto esitazione ad affermare che le doglianze contro i decreti emessi dal Tribunale avrebbero dovuto essere fatte valere mediante il reclamo ex art. 26 l.fall., così optando per la reclamabilità anche dei decreti del Tribunale.

I collegi veneti si pongono sulla stessa lunghezza d'onda della giurisprudenza di merito più recente, la quale ritiene possibile interporre reclamo sia avverso i decreti del giudice delegato sia, in via estensiva, avverso (anche) i decreti del Tribunale, con legittimazione ad impugnare dell'imprenditore in concordato, del comitato dei creditori e da parte di "chiunque vi abbia interesse” (cfr. App. Bologna 20 ottobre 2020; App. Bologna 12 luglio 2019; App. Firenze 11 luglio 2013), salvo diverse previsioni della l.fall. che escludano la reclamabilità (ad es. art. 161, commi 6 e/o 8 l.fall. in relazione all'art. 162, commi 2 e 3 l.fall.; art. 165 l.fall. in relazione all'art. 39 l.fall.).

La doppia preclusione nella sentenza della Corte d'appello

La Corte d'appello veneziana (al pari del Tribunale di primo grado) ha dunque ritenuto inammissibile, e non ha esaminato, l'eccezione di nullità dei decreti (endoconcordatari) di sospensione e di scioglimento dei contratti bancari (pronunciati ex art. 169-bis l.fall.), affermando che la illegittimità di tali decreti doveva essere fatta valere mediante il reclamo ex art. 26 l.fall. e/o comunque prima del passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato preventivo.

Quindi: due preclusioni, in apparenza concorrenti tra loro.

La prima preclusione si può sintetizzare nei seguenti termini. Poiché contro i decreti del GD o del Tribunale che dispongono la sospensione o lo scioglimento dei contratti pendenti (ex art. 169-bis l.fall.) è ammissibile il reclamo ai sensi degli artt. 26 e 164 l.fall., allora i vizi del decreto e/o del procedimento in parola devono necessariamente farsi valere con tale reclamo, da considerarsi l'impugnazione ordinaria prevista in materia. Con la conseguenza che la mancata impugnazione nei termini previsti rende successivamente improponibili le doglianze contro quegli stessi decreti.

La seconda preclusione è rinvenibile nel seguente passaggio: le censure contro i decreti emessi ai sensi dell'art. 169-bis l.fall. - in ogni caso (locuzione presente in sentenza) - non possono più essere sollevate dopo il passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato preventivo.

I confini del reclamo e del giudicato endoconcordatario delineati dalla Corte d'appello

La Corte d'appello prova a delineare i contorni e i confini del reclamo endoconcorsuale e, nello specifico, del reclamo endoconcordatario.

La sentenza ci dice che possono (anzi devono) essere risolti in sede endoconcorsuale, mediante lo specifico rimedio previsto dall'art. 26 l.fall., i conflitti interni alla procedura che non riguardano la formazione dello stato passivo e che non incidono su diritti soggettivi.

In un altro passaggio della sentenza leggiamo che si possono far valere col reclamo ex art. 26 l.fall. soltanto censure che non investono il titolo del credito fatto valere, né l'esistenza o l'entità dello stesso. Quindi, il giudice d'appello ha concluso che le doglianze sui vizi procedurali del decreto ex art. 169-bis l.fall. o sul difetto dei presupposti per la sospensione/scioglimento dei contratti pendenti andavano sollevate mediante lo specifico rimedio previsto dall'art. 26 l.fall.

In tal modo ha ricondotto tali censure/doglianze a quei conflitti interni alla procedura reclamabili con i rimedi endoconcordatari.

Dubbi e ipotesi da validare

Tale conclusione, che riteniamo "sostanzialmente" corretta, potrebbe però non resistere fino in fondo; forse andrebbe integrata e/o meglio spiegata. Anche perché vi sono delle pronunce della S. Corte che – almeno a prima lettura – sembrerebbero potenzialmente contrastanti con le affermazioni della sentenza di merito in commento.

Innanzitutto, analizzando alcune pronunce della Corte di cassazione (in tema di ricorso straordinario ex art. 111 Cost.), si possono ricavare ulteriori elementi per meglio comprendere la natura dei decreti endoconcordatari.

In alcune sentenze della S.C. (cfr. Cass. 23 novembre 2020, n. 26568) si legge che i decreti che decidono (anche in sede di reclamo) sulle istanze di sospensione o scioglimento dei contratti a norma dell'art. 169-bis l.fall., non possono essere impugnati col ricorso straordinario ex art. 111 Cost. perché sono "inidonei a produrre effetti di diritto sostanziale con efficacia di giudicato" (Cass. 3 settembre 2015, n. 17520, Cass. 16 luglio 2018, n. 18830) e perché sono ritenuti "privi dei requisiti della decisorietà e definitività" e "non deputati a risolvere controversie su diritti".

Sempre secondo la Cassazione, i decreti endoconcordatari consistono soltanto in "atti di esercizio del potere di amministrazione e gestione dei beni del debitore" e rappresentano strumenti con "funzioni di direzione della procedura concorsuale" (Cass. 15 giugno 2020, n. 11524 e Cass. 19 gennaio 2018, n. 1442, in tema di scioglimento; Cass. 2 marzo 2016, n. 4176, in tema di sospensione).

Partendo da tali affermazioni, la giurisprudenza di legittimità sembra dire - quindi - qualcosa di diverso, a tratti in contrasto con i principi enunciati dal Tribunale di Treviso e dalla Corte d'appello di Venezia. Leggiamo infatti che, "in ipotesi di autorizzazione da parte del G.D. (o diniego) allo scioglimento dei contratti, a norma della L. Fall., art. 169-bis, la parte non soddisfatta può adire il giudice e contestare la ritenuta sussistenza (o insussistenza) dei presupposti per lo scioglimento del contratto attraverso una domanda da proporsi nell'ambito di un giudizio a cognizione piena" (Cass. 23 novembre 2020, n. 26568; nonché Cass. 15 giugno 2020, n. 11524, Cass. 19 gennaio 2018, n. 1442, Cass. 3 settembre 2015, n. 17520).

Tale conclusione riguarda anche la ritualità del procedimento di autorizzazione allo scioglimento (Cass. 12 febbraio 2020, n. 3441, Cass. 19 gennaio 2018, n. 1443), i suoi effetti negoziali (Cass. 14 marzo 2018, n. 6243) e il trattamento da riservare al credito derivante dallo scioglimento del contratto ex art. 169-bis l.fall., "quale credito anteriore piuttosto che prededucibile" (Cass. 12 febbraio 2020, n. 3441). A meno di non voler identificare il giudizio di reclamo ex art. 26 l.fall. con quello che la Cassazione indica con la locuzione "giudizio a cognizione piena", sembrerebbe delineata una più ampia possibilità di ricorrere davanti ad un giudice (della cognizione piena) diverso da quello del reclamo camerale ex art. 26 l.fall.

Possibilità che trova ancor più esplicita menzione in passaggi di altre pronunce della Corte (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1442), laddove si legge che "il provvedimento del giudice che autorizza lo scioglimento […] rimuove un ostacolo ad un potere di parte e appartiene, quindi, alle tutele autorizzatorie. Ne consegue che l'eventuale vulnus arrecato al soggetto che subisce il provvedimento si consolida con l'esplicazione di quel potere e, dunque, non è il decreto del giudice che scioglie il contratto ma la volontà del debitore, per cui il contraente in bonis può, poi, promuovere un giudizio a cognizione piena contro il debitore concordatario per far accertare l'erroneo esercizio del potere".

Ecco, allora, che vacillano alcune di quelle certezze che sembravano provenire dalla sentenza in commento. In tale contesto diventa difficile tratteggiare nettamente i contorni di un potenziale giudicato endoconcordatario. Possiamo essere abbastanza certi del fatto che il giudicato endoconcordatario "non copre" le questioni che hanno ad oggetto il credito vantato verso il debitore in concordato (titolo, esistenza o entità dello stesso), e neppure le questioni che incidono su diritti soggettivi; tutte questioni che devono essere sempre accertate in un giudizio di cognizione ordinaria. Tale discorso, oltre che per il giudicato conseguente al mancato reclamo ex art. 26 l.fall., dovrebbe essere valido anche per la sentenza di omologazione del concordato preventivo passata in giudicato: essa determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull'esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, nè sugli altri diritti implicati nella procedura stessa" (Cass. 25 settembre 2014, n. 20298).

Invece, dal panorama giurisprudenziale attuale, non riusciamo a ricavare delle grandi certezze su quali censure/doglianze subiscono il giudicato interno al concordato (a causa del mancato esercizio dell'impugnazione tipica endoconcordataria) e non possono essere ulteriormente sollevate dinanzi ad un giudice in sede di cognizione ordinaria.

Se, come scrive la Cassazione, il contraente in bonis può promuovere un giudizio a cognizione piena contro il debitore concordatario per far accertare l'erroneo esercizio (da parte del debitore in concordato) del potere di sciogliersi dal contratto (così spostando il problema dal decreto del giudice alla volontà del debitore di sciogliersi dal contratto), allora - in tal modo - residuerebbe sempre uno spazio, una sorta di zona grigia, utilizzabile per superare un potenziale giudicato legato alla mancata impugnazione tipica del decreto.

Il contraente in bonis, promuovendo un giudizio a cognizione piena contro il debitore concordatario per far accertare l'erroneo esercizio del potere di sciogliersi dal contratto, avrebbe spazio per rimettere in discussione questioni coperte dal giudicato interno sul decreto ex art. 169-bis l.fall.

E vi sarebbe ancor più spazio se valorizzassimo anche le affermazioni della S.C. in base alle quali la parte non soddisfatta può adire il giudice attraverso una domanda da proporsi nell'ambito di un giudizio a cognizione piena per contestarela ritenuta sussistenza (o insussistenza) dei presupposti per lo scioglimento del contratto o la ritualità del procedimento di autorizzazione allo scioglimento. Il che sembrerebbe tutto l'opposto di quanto si legge nella sentenza in commento, per la quale i vizi procedurali del decreto ex art. 169-bis l.fall. o il difetto dei presupposti per la sospensione/scioglimento dei contratti pendenti vanno fatti valere con lo specifico rimedio previsto dall'art. 26 l.fall., e non sono più proponibili nel diverso giudizio ordinario di cognizione.

Probabilmente, una soluzione ragionata per districarsi nel ginepraio che ci si pone davanti dovrebbe muovere da una constatazione preliminare: il reclamo endoconcordatario e il reclamo endofallimentare – entrambi disciplinati dall'art. 26 l.fall. (e dall'art. 164 l.fall.) – devono fare i conti con delle procedure a tratti profondamente diverse, con dei principi affermati in ambito fallimentare che non possono essere traslati automaticamente in ambito concordatario. Solo rimeditando alcune affermazioni, più calzanti in una procedura fallimentare e meno in quella concordataria, si può provare a ricostruire un sistema armonico, in grado di meglio orientare l'interprete.

Non vorremmo essere troppo maliziosi, ma ci è venuto il sospetto che anche la Corte d'appello (e prima il Tribunale di Treviso) abbia percepito la scivolosità del tema, tant'è che ha cercato di "chiudere" la vicenda ritenendo le censure mosse dalla banca "in ogni caso" assorbite dalla definitività del provvedimento di omologa del concordato preventivo.

Questa doppia preclusione, seppur in grado di frapporre un doppio ostacolo al riesame della questione davanti al giudice della cognizione ordinaria, non aiuta a fare chiarezza su quali siano davvero i limiti e i contorni del giudicato endoconcordatario e su quali siano le conseguenze della mancata impugnazione ex art. 26 l.fall. dei decreti di sospensione o di scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo.

Almeno una certezza

Prima di chiudere, però almeno una certezza vorremmo lasciarla al lettore (probabilmente) disorientato.

La regola dell'improponibilità delle censure avverso un decreto non reclamato ai sensi dell'art. 26 l.fall., soffre certamente un'eccezione (probabilmente valida sia in caso di fallimento che di concordato preventivo). Si tratta dell'ipotesi di nullità assoluta del provvedimento, che si riscontra nei casi limitati ed eccezionali riconducibili al concetto di abnormità o inesistenza del decreto, nei quali faccia difetto alcuno dei requisiti essenziali del provvedimento giurisdizionale (non nelle ipotesi in cui ricorrano vizi attinenti al contenuto del provvedimento stesso). In tale ipotesi, infatti, ci troviamo dinanzi ad un vizio che può essere fatto valere (oltre che, tempestivamente, con i normali mezzi di impugnazione) in ogni tempo, mediante un'azione di accertamento negativo, l'actio nullitatis, ovvero con un'eccezione, l'exceptio nullitatis, onde quel provvedimento verrà disapplicato, ove dal medesimo si intendano trarre effetti processuali o sostanziali (cfr. Cass. 15 ottobre 2020, n. 22334, riguardante un decreto endofallimentare).

Conclusioni

Proviamo a lanciare qualche spunto di riflessione.

Abbiamo visto che - in generale - quando un provvedimento è soggetto a reclamo endoconcorsuale ai sensi dell' art. 26 l.fall., ma il reclamo non viene proposto (nè ai sensi del comma 3, nè ai sensi del comma 4), le successive censure contro lo stesso provvedimento diventano improponibili, con la sola eccezione dell'actio nullitatis.

Ebbene, alla luce di quanto esposto potremmo dire che tale affermazione è quasi sempre corretta se ci riferiamo al reclamo in sede fallimentare; un po' meno se pensiamo al reclamo contro i decreti emessi in un concordato preventivo (come quelli ai sensi dell'art. 169-bis l.fall.).

In quest'ultimo caso, per cercare soluzioni convincenti potrebbe essere opportuno partire da alcuni punti fermi che caratterizzano (soltanto) la procedura minore; a cominciare dal dato oggettivo che nella procedura di concordato non possono essere risolte (se non ai fini del voto) questioni relative all'esistenza, entità e rango dei crediti né questioni che possono incidere su diritti soggettivi. Tali questioni devono essere sempre risolte all'interno di un giudizio di cognizione ordinaria.

Mentre, in via residuale, devono essere risolti in sede endoconcordataria, mediante il rimedio previsto dall'art. 26 l.fall., soltanto i conflitti interni alla procedura che non riguardano le questioni riservate alla cognizione ordinaria.

Come possano, poi, tali regole essere ben coordinate con alcune affermazioni e principi ribaditi dalla Corte e/o con altri istituti concorsuali e processuali è un altro discorso, che l'operatore giuridico potrà affrontare di volta in volta, magari beneficiando anche degli spunti di riflessione che precedono.

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