La considerazione “graduale” dell'interesse dei creditori nell'amministrazione straordinaria

Danilo Galletti
27 Maggio 2022

Il presente contributo offre un'approfondita analisi dell'interesse del ceto creditorio nella procedura speciale dell'amministrazione straordinaria, nella quale s'impone un delicato bilanciamento tra gli interessi privati e l'interesse pubblico.
Sfere valoriali e ordinamenti concorsuali generale e speciali

Le recenti evoluzioni del diritto concorsuale hanno riportato in primo piano la considerazione dell'assetto valoriale su cui il sistema sarebbe imperniato.

Se l'ordinamento concorsuale “generale” vede il primato dell'interesse del ceto creditorio sempre più “assediato” dalla considerazione di sfere assiologiche ulteriori, fra cui quella ricollegata alla dimensione della prosecuzione dell'attività d'impresa, e dunque alla permanenza (o ripristino) della continuità aziendale, esiste invece un sottosistema normativo in cui il paradigma valoriale di riferimento è senz'altro da tempo differente, e non risulta imperniato sulla tutela del credito: questo comparto è caratteristico delle procedure “amministrative”, in particolare della amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (nel prosieguo, soltanto “AS”).

Mi sembra infatti agevole desumere dalle norme speciali di riferimento che l'interesse primariamente tutelato dalla procedura di A.S. è proprio quello relativo alla conservazione del compendio aziendale come realtà dinamica in esercizio, id est alla preservazione dei valori anche immateriali rappresentati dallo stesso inteso come “aggregato”; interesse che, in questo caso, sembra solo superficialmente privo di un sostrato soggettivo di riferimento, posto che la dimensione dello stesso risulta ipostatizzata nelle norme, in favore della percezione di un interesse pubblico o generale che però non pare poter essere esteso in via di generalizzazione a qualsiasi compendio aziendale, a prescindere dalle sue dimensioni, rilevanza ed interconnessione col tessuto economico circostante.

Tale obiettivo è considerato dal legislatore come quello primariamente tutelato dalle disposizioni, sul presupposto che in tal modo si creino le migliori condizioni per preservare altresì i livelli occupazionali (ciò anche in forza dell'avvenuto superamento del paradigma economico “classico”, per cui la liquidazione degli assets aziendali favorirebbe nel lungo termine la migliore allocazione degli stessi anche in funzione produttiva, e quindi finirebbe per tutelare così anche l'occupazione, ponendo le condizioni per creare nuova ricchezza ed anche nuove e migliori occasioni di impiego), ed in ultima analisi, una volta soddisfatti tali obiettivi principali, anche le prospettive di tutela dei creditori, concorsuali come successivi all'instaurazione della procedura (c.d. prededucibili: in tal senso v. ZANICHELLI, L'amministrazione straordinaria, in Fallimento e altre procedure concorsuali diretto da FAUCEGLIA e PANZANI, Torino, 3, 2014 s.; PATTI, La tutela dei diritti dei creditori nella nuova amministrazione straordinaria, in Fallimento, 2005, 258 ss.; DI MARZIO - MACARIO, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, in Tratt. proc. conc., diretto da JORIO e SASSANI, Milano, 2017, 601 ss.; BARTOLIN, L'apertura della procedura, e CAIAFA, La definizione e l'esecuzione del programma, entrambi in L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza a cura di COSTA, Torino, 2008, 172 ss. e 518 ss.; in giurisprudenza cfr. Cons. Stato 12 aprile 2005, n. 1674; Cons. Stato 18 luglio 2017, n. 3527).

Vi è tuttavia una chiara ed evidente gerarchia fra tali assetti “valoriali”, posto che se la prosecuzione dell'attività in chiave di conservazione della integrità del compendio costituisce sicuramente un interesse tutelato in modo prioritario, e se quello relativo all'occupazione è un valore sicuramente avvertito come ancillare al primo, l'interesse dei creditori è invece con certezza tutelato in modo secondario e recessivo.

La conservazione del compendio d'altro canto non deve essere intesa in termini assolutistici, posto che il concetto va certamente riferito alla conservazione della parte vitale del complesso aziendale, quella cioè che presenta possibilità di essere ricondotta al concetto di equilibrio (non prenderò partito in ordine al problema se tale riequilibrio, nella A.S., debba essere inteso in termini solo finanziari, od anche obbligatoriamente economici, posto che il problema mi sembra assai poco rilevante almeno nel caso, assai comune, ove la procedura appronti un piano di cessione); ciononostante occorre pur sempre, a mio modo di vedere, che nel compendio “risanato” sia riconoscibile il complesso aziendale dell'imprenditore decotto (cfr. PATTI, Crisi di impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009, 188), pur se modificato e ristrutturato in termini industriali, economici e finanziari, in modo da rimuovere le cause che hanno determinato l'insolvenza.

Nell'elaborazione giurisprudenziale si è ritenuto addirittura che la cessione del compendio possa essere disposta persino se la liquidazione in forma atomistica e disaggregata dei singoli assets possa assicurare ai creditori un trattamento migliorativo (v. App. Milano 3 maggio 2004, in Dir. fall., 2004, II, 759; cfr. PANZANI, Cessione d'aziende in relazione al programma del commissario, in Fallimento, 2000, 1083; BRAN, La cessazione della procedura, in L'amministrazione straordinaria a cura di COSTA, cit., 623), ed alla luce della gerarchia ordinamentale fra valori tutelati, ritengo che la conclusione sia pienamente condivisibile (con i limiti che si vedranno appresso).

Questo concetto è chiaramente espresso dalle norme: così gli artt. 1, 27, 55, 56, 63, 65bis D.Lgs. 270/1999. In particolare, l'art. 55 vincola l'attività del commissario alla salvaguardia della “unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori”.

Il rapporto assiologico è notoriamente invertito quanto alle procedure concorsuali “classiche”, ove l'interesse dei creditori riveste “primazia” fra quelli tutelati, laddove gli altri valori, in particolare quelli espressi dai lavoratori e dagli stessi titolari delle posizioni in equity, ricevono tutela soltanto in seconda battuta, e secondariamente a quello principale (v. ora gli artt. 4 e 84 CCII).

In sintesi, nell'elaborazione dogmatica come nel diritto applicato, appare possibile, in tali contesti, privilegiare soluzioni regolatorie della crisi che favoriscano il soddisfacimento degli interessi “recessivi” soltanto ove ciò non elevi in alcun modo il rischio che scontano gli interessi dei creditori, e se la soluzione comporta la prosecuzione dell'attività di impresa, addirittura soltanto ove ciò assicuri un vantaggio addizionale anche alla sfera creditoria (dunque in termini di soluzione “Pareto- efficiente”).

Tutto ciò è esplicito ad es. negli artt. 104 e 104bis l.fall., che condizionano la prosecuzione dell'impresa nel fallimento alla assenza di pregiudizio per l'interesse principale, e che talvolta danno rilevanza ad es. all'interesse occupazionale, ma sempre in forma recessiva rispetto a quello creditorio (arg. ex art. 104bis); ma un ragionamento analogo potrebbe essere condotto a proposito dell'art. 186bis.

La stessa Direttiva comunitaria “Insolvency” mira sì a mettere a disposizione dei debitori strumenti giuridici per la ristrutturazione precoce, nonché per la prevenzione della crisi, ma ciò sul presupposto ed a condizione che ciò assicuri altresì la migliore tutela dei creditori, posto che, come si è già visto, se la ristrutturazione non è un obiettivo sostenibile per l'impresa, essa deve essere liquidata “nel più breve tempo possibile”.

I canoni elaborati e diffusi nel contesto delle procedure classiche appaiono pertanto di scarso ausilio ai nostri fini.

D'altro canto, però, la tutela degli interessi creditori nella A.S. ha conosciuto stagioni differenziate: se nel tessuto dell'intervento normativo originario, del 1979, le posizioni soggettive dei creditori venivano considerate come “affievolite” al rango di interessi legittimi (cfr. ex multis Cons. Stato 17 marzo 2009, n. 1585; Cons. Stato 29 luglio 1991, n. 492), e non incontravano specifici strumenti di tutela, nella struttura riformata del 1999 dette situazioni attive assurgono al rango di diritti soggettivi: esse sono non solo accertate dal giudice ordinario, ma altresì talvolta tutelate nella modalità di soddisfacimento prescelte dalla procedura (v. l'art. 65, che assicura tutela nella liquidazione avanti il giudice ordinario, non amministrativo: cfr. sul punto le pronunzie sul caso “Merloni”, citt. infra.).

L'art. 56 impone che il commissario, nel programma, dia evidenza, da un lato, dei “modi di copertura del fabbisogno finanziario”, alle “previsioni economiche e finanziarie connesse alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa”, nonché dei “costi generali e specifici complessivamente stimati per l'attuazione della procedura”, così dando risalto alle variabili che incidono sul “costo” della prosecuzione dell'attività a carico della Massa creditoria; e dall'altro, più specificamente, alle “previsioni in ordine alla soddisfazione dei creditori”.

L'interesse dei creditori, pertanto, viene sussunto quantomeno in termini procedimentali, e deve essere obbligatoriamente ponderato con quelli principali.

Infine, gli artt. 69 e 70 impongono la conversione della procedura in fallimento là dove la prima non possa utilmente proseguire, oppure sia decorso inesitato il termine per l'attuazione del programma autorizzato.

Ciò primariamente su segnalazione del commissario straordinario, ma anche in seguito a valutazione officiosa del Tribunale, il quale dunque è chiamato ad una perdurante funzione di vigilanza della capacità della procedura di perseguire con efficacia i propri fini primari, anche e soprattutto a tutela dei creditori.

Il Tribunale a tali fini utilizzerà soprattutto le relazioni periodiche sullo stato di attuazione della procedura che non casualmente il commissario deve trasmettergli, mediante deposito presso la Cancelleria.

Se la gerarchia astratta fra valori non appare in discussione, l'esame contestuale e sistematico delle norme evidenzia, da un lato, come l'interesse dei creditori non possa essere semplicemente annichilito, ma debba comunque essere ponderato con quelli principali, in modo da ricondurlo ad una visione il più possibile armonica; dall'altro, tuttavia, l'ordinamento non sembra voler esprimere in termini precisi quale sia il limite oltre il quale l'interesse recessivo del ceto creditorio possa essere compresso, a vantaggio di quelli essenziali.

Sembrano dunque errate tanto l'affermazione per cui la prosecuzione dell'attività possa comunque giustificare qualsiasi compressione delle aspettative di soddisfo della massa creditoria, quanto quella per cui la diseconomicità di tale prosecuzione debba essere comunque censurata, posto che il riequilibrio, nel caso del piano di cessione, sembra dover essere perseguito anche attraverso la soluzione del trasferimento del compendio a terzi, i quali potranno ristrutturarlo e condurlo ad equilibrio, anche valorizzando le sinergie conseguibili con il proprio patrimonio imprenditoriale autonomo, pur se dovranno farsi carico obbligatoriamente di tali oneri, ad es. accettando di conservare determinati livelli occupazionali, obbligo compensato attraverso uno “sconto” dal prezzo di acquisto di costi relativi al badwill spalmato su due anni a venire (cfr. sul punto, e sulle implicazioni sistematiche, SPIOTTA, L'incidenza del badwill nella determinazione del valore dell'azienda, in Giur. comm., 2014, II, 1130 ss.).

La insospettabile resilienza della par condicio creditorum

A mio avviso la ricognizione della comprimibilità dell'interesse creditorio, necessariamente sottordinato a quelli principali implicati dalla prosecuzione dell'attività, e dunque della possibilità di tollerare compressioni orizzontali del ceto creditorio, potrebbe legittimare in sé e per sé ed in astratto anche compressioni verticali, sotto specie di deroghe all'ordine delle cause legittime di prelazione, id est all'ordine legale di distribuzione dell'attivo, quella regola che più sinteticamente viene ricondotta alla formula della par condicio creditorum.

Il canone infatti ha valore primario sotto l'egida delle procedure principali, ma, da un lato, viene riconsiderato di recente per la sua portata sistematica ed essenziale persino in quell'ambito (valore d'altro canto sempre più in crisi nel sistema, non solo italiano: cfr. di recente FABIANI, La par condicio creditorum al tempo del codice della crisi, in questionegiustizia.it, n. 2/2019; ed anche ID., La regola della par condicio creditorum all'esterno di una procedura di concorso, in Fallimento, 2020, 333 ss.); e, dall'altro, non dovrebbe trovare necessariamente attuazione nel contesto di una procedura che mette al primo posto altri valori.

Se tali interessi possono essere legittimamente compressi nella loro proiezione orizzontale, dunque, non si vede perché non dovrebbero poter essere compressi anche nella loro dimensione “verticale”.

L'esame delle altre norme del decreto, tuttavia, sembra portare alla luce una visione sistematica del legislatore differente, ove ad es. nella disciplina degli acconti (art. 68), ed in particolare nell'affermazione della loro legittimità condizionata alla stima delle “somme che saranno prevedibilmente attribuite in via definitiva nel rispetto delle cause legittime di prelazione”, sembra evidenziare l'esigenza che comunque la pianificazione della prosecuzione dell'attività, anche se proiettata verso la cessione a terzi del compendio, non possa prescindere da una solida ed affidabile previsione circa la improbabilità della conclusione della procedura attraverso deviazioni da quella regola generale.

Sarà dunque legittimo procedere a pagamenti dei debiti prededucibili anche con deroga all'ordine legale sotto il profilo temporale, e senza onere di riparto, neppure parziale, nella prospettiva della prosecuzione dell'impresa al fine di consentirne il ricollocamento sul mercato, soltanto laddove e quando si possa escludere ragionevolmente che, in esito all'attuazione del programma, l'attivo disponibile per i riparti sia insufficiente per addivenire ad una distribuzione definitiva che rispetti il suddetto ordine legale (in tal senso ad es. ZANICHELLI, L'amministrazione straordinaria, cit., 2058; DI MARZIO - MACARIO, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, cit., 715).

In caso contrario il commissario dovrà astenersi dall'effettuare pagamenti di debiti anche prededucibili, dovendo procedere soltanto tramite il meccanismo del riparto; d'altro canto la necessità di adempiere proporzionalmente, e secondo procedure che tutelino la par condicio, financo le posizioni prededotte, quando l'attivo sia prevedibilmente insufficiente, si colloca una risalente tradizione, tanto giurisprudenziale (cfr. Cass., 3 marzo 2011, n. 5141) quanto dottrinale (v. per tutti già RESCIGNO, Contributo allo studio della par condicio creditorum, in Riv. dir. civ., 1984, I, 370 ss.), culminata oggi nella traduzione del principio nelle norme di cui agli artt. 111bis ss. l.fall., i quali, benché non espressamente richiamati nella A.S., debbono ritenersi parimenti applicabili, siccome ricognitivi appunto di principi di carattere generale di ogni procedura concorsuale, non derogati in subiecta materia.

L'interesse dei creditori, infatti, nella sua sfera “minimale”, viene pur tutelato, nella A.S., con disposizioni inderogabili, quantomeno nell'aspetto della c.d. par condicio (e cfr. esplicitamente in tal senso le pronunzie sul caso “Merloni”, nonché Cass., sez. un., 27 maggio 2009, n. 12247/2009).

L'ordinamento, dunque, sembra tutelare i valori espressi dal concetto di “preferenzialità” (che del resto godono, come è noto, di protezione penale: art. 216, comma 3, l.fall.) in modo assai forte, persino laddove l'interesse “di massa” dei creditori sia collocato in secondo piano

Ciò detto, non potrà nemmeno dirsi di contro che la cessione possa essere perseguita ad ogni costo, e dunque al fine di realizzare qualsiasi prezzo, con compressione illimitata delle aspettative di soddisfo del ceto creditorio, posto che comunque deve trattarsi di pianificazione di una cessione per un prezzo congruo, rappresentativo o almeno comparabile con il valore più attendibile da attribuire al compendio (cfr. in tal senso Trib. Ancona 20 settembre 2013; App. Ancona 28 aprile 2014, in Fallimento, 2005, 579, entrambe nel citato caso “Merloni”; le due pronunzie affermano altresì la inderogabilità del procedimento di vendita e di stima previsto dal D.Lgs. 270/1999, a tutela proprio degli interessi incomprimibili dei creditori, ricavandone altresì la nullità della vendita posta in essere in violazione di tali disposizioni. Cfr. altresì la successiva Cass., sez. un., 24 novembre 2015, n. 23894, la quale ha cassato la pronunzia della Corte di Appello, pur condividendo la qualificazione delle dette norme in chiave di imperatività, su cui v. anche la sopra citata Cass., sez. un., 27 maggio 2009, n. 12247, ma ritenendo che il prezzo giusto non sia il valore di stima, bensì il valore di mercato, la cui formazione sarebbe comunque garantita dal rispetto del meccanismo incrementale della gara).

In questi limiti, ed in questo ambito, si deve esercitare la difficile arte della discrezionalità del commissario. Oltre questi limiti può esservi soltanto l'obbligo di instare per la conversione della A.S. in fallimento.

In particolare, ritengo che la procedura, per i fini specifici di cui all'art. 69, non possa essere utilmente proseguita non tanto quando le perdite maturate, e soprattutto che è possibile prevedere per il futuro, e che si tradurranno in maggiori debiti prededucibili, siano tali da rendere la prospettiva della vendita, pur ancora possibile, subottimale rispetto agli interessi dei creditori. Tale ultima evenienza infatti, che caratterizzava l'applicazione dell'art. 192, comma 3, l.fall. (cui l'art. 69 letteralmente si ispira), non può assumere portata dirimente altro che per quelle procedure in cui l'interesse dei creditori abbia primazia sugli altri rilevanti; ma ciò, come sappiamo, non caratterizza l'A.S. A me pare piuttosto che la conversione si imponga quando la vendita è ancora prospettabile, ma in termini di realizzo tali da annichilire in realtà non soltanto qualsiasi aspettativa creditoria, ma anche qualsiasi stima di valore ragionevole del compendio.

Ove dunque sia ragionevolmente possibile riprogrammare i tentativi di collocamento del compendio, con previsioni di ricavo apprezzabili, nell'arco temporale residuo del piano, se del caso anche previa sua modifica, il commissario potrà procedere lungo lo stesso percorso, pur se la prosecuzione dell'attività possa deteriorare oggettivamente il valore del patrimonio del debitore, e dunque deprima le aspettative di soddisfo del ceto creditorio.

Di contro, ritengo, quando i pagamenti ragionevolmente e prevedibilmente necessari per alimentare tale prosecuzione, assicurando una vitalità almeno essenziale al compendio, nell'ottica del suo collocamento sul mercato, possano condurre con apprezzabile probabilità ad una situazione finale e definitiva dell'attivo disponibile tale da sanzionare alterazioni dell'ordine legale (la c.d. par condicio) cui si faceva cenno poc'anzi, la richiesta del commissario ai sensi dell'art. 69 divenga l'opzione obbligata.

La giurisprudenza in materia di conversione non appare abbondante, ma mi sembra che abbia significativamente ragionato in termini non dissimili (cfr. Trib. Piacenza, 3 luglio 2014, e 13 febbraio 2015, n. 14, le quali hanno rilevato “come cause di conversione ex art. 69 le seguenti fattispecie concrete: la antieconomicità della procedura di amministrazione straordinaria, la gestione in perdita dell'impresa in esercizio, la produzione di spropositate prededuzioni, l'impossibilità di coprire il fabbisogno finanziario, lo svilimento del valore dei beni, l'inutile protrarsi della procedura, ogni altra situazione che, pur non concretizzantesi specificamente in quelle previste dall'art. 70, possa vanificare con sufficiente certezza, anche se solo prospetticamente, gli scopi della procedura di amministrazione straordinaria così come individuati dagli artt. 1 e 27 cioè il recupero dell'equilibrio economico finanziario delle attività imprenditoriali, rendendo attuale la necessità della conversione della procedura in fallimento, all'interno del quale peraltro, a seguito della riforma del 2006, lo scopo del salvataggio dei complessi aziendali può comunque trovare realizzazione, pur contemperato con il primario interesse dei creditori”).

L'interesse dei creditori percepito in relazione al “tempo” della procedura

Da quanto precede si deduce come l'interesse dei creditori, pur non occupando il grado primo nella scala di valori che domina la gestione della procedura di A.S., debba comunque essere ponderato con quelli che godono di primazia, nel contesto delle scelte che vi vengono adottate, e non possa mai essere completamente annichilito.

L'ordinamento d'altro canto dimostra di attribuire un ruolo centrale, ai fini di quella ponderazione, anche alla variabile-tempo, posto che l'attuazione del programma incontra limiti cronologici ben precisi, ed alla scadenza del termine, se non subentri la sua proroga, deve verificarsi la conversione in procedura fallimentare.

Nel procedimentalizzare la decisione circa la eventuale richiesta di proroga, peraltro, il legislatore ha realizzato ulteriori graduazioni circa gli interessi in gioco, in modo da far riemergere in qualche modo la rilevanza di quello dei creditori; d'altro canto appare normale che il passare del tempo, unitamente alla omessa realizzazione degli obiettivi pianificati, affievolisca progressivamente la centralità dei valori inerenti alla prosecuzione dell'attività di impresa; la compressione dell'interesse creditorio, infatti, non può che trarre la sua giustificazione dalla perdurante plausibilità del tentativo di ristrutturazione, e deve dunque terminare con la definitiva falsificazione di quell'obiettivo; al contempo, la progressiva emersione di ostacoli pratici che si frappongono rispetto alla realizzazione del programma, può (e forse deve) produrre la parallela riespansione del ruolo assiologico esercitato dalla tutela delle aspettative creditorie.

Così, se la semplice perenzione del termine inizialmente assegnato può essere arrestata mediante una richiesta del commissario di proroga dello stesso, che nell'A.S. generale viene concessa dal Tribunale (previa autorizzazione del MISE: art. 66 D.Lgs. 270/1999), mentre nella variante “Marzano” vede come interlocutore diretto lo stesso Ministero (art. 4, comma 4ter, D.L. 347/2003), l'ordinamento settoriale tutela ancora la libertà dell'organo di gestione di perseguire in extremis le linee del suddetto progetto, concedendo la ulteriore facoltà di chiedere, stavolta comunque e direttamente al MISE (pur facendo salve le facoltà officiose del Tribunale), un'ultima ed eccezionale proroga del medesimo termine (art. 57, comma 4bis, per la A.S. generale; art. 4, comma 4septies, D.L. 347/2003, quanto alla “Marzano”).

Mentre, tuttavia, le condizioni di esercizio del potere di proroga “generale” non vengono specificate, con riferimento agli interessi tutelati (il solo comma 4septies dell'art. 4 D.L. 347/2003 precisa che in tali casi le “operazioni” debbono essere “di particolare complessità”, e menziona inoltre le “difficoltà connesse alla definizione dei problemi occupazionali”), lasciando così trasparire la volontà del legislatore di assoggettare la decisione alle medesime valutazioni che sottostanno all'approvazione in via ordinaria degli obiettivi pianificati, nel momento in cui l'ordinamento introduce la proroga in extremis, ha invece cura di specificare che ciò debba avvenire “senza pregiudizio per i creditori” (art. 57, comma 4bis, per la A.S. generale), attraverso “l'utile prosecuzione dell'esercizio d'impresa” (art. 4, comma 4septies, per la “Marzano”).

Peraltro il comma 4septies dell'art. 4 D.L. 347/2003, nella versione attualmente vigente, è stato introdotto nel 2014, laddove l'art. 57, comma 4bis scaturisce dalla promulgazione del D.L. 154/2015 (conv. in L. 189/2015).

La successione cronologica delle norme, e la loro considerazione sistematica, sembra tale da dover discriminare in modo netto il relativo campo applicativo; d'altro canto è vero che con la novellazione del 2015 il legislatore ha evidentemente tenuto in considerazione il modello del comma 4septies, alla cui impostazione letterale palesemente si rifà; ma in occasione dello stesso intervento del 2015 (che era sicuramente rivolto soprattutto a porre rimedio alle disfunzioni registratesi nella gestione delle già più volte citate procedure di A.S. “Merloni”) il legislatore, quando lo ha ritenuto, ha espressamente esteso alle procedure “Marzano” il campo applicativo delle norme (arg. ex art. 2, comma 1ter).

Sicché non sembra possibile predicare una applicazione combinata delle due disposizioni: il comma 4bis, insomma, si dirige (solo) alle A.S. “generali”, ed il comma 4septies alle (sole) “Marzano”.

Tuttavia, lo schema valoriale presupposto sembra differente atteso che, mentre nelle norme dedicate alla “Marzano” si menziona solo la “utile prosecuzione” dell'impresa (concetto già noto ed impiegato nel contesto della disciplina della A.S.: v. supra), solo con la disposizione della proroga in extremis del termine della A.S. ordinaria si fa esplicito riferimento al “pregiudizio ai creditori”.

Parrebbe dunque che la peculiare rilevanza ed incidenza degli interessi extracreditori tutelati dalla disciplina “Marzano” consenta una valutazione della proroga in termini ancora non troppo distanti da quelli che caratterizzano ordinariamente la gerarchia assiologica che la normativa in generale contempla; laddove (solo) quanto alle A.S. semplici il decorso del termine, “anche” prorogato, produce la integrale riespansione dell'interesse creditorio, e dell'esigenza della sua tutela con primazia.

In concreto non è detto peraltro che le due valutazioni vengano a divergere, in molte delle situazioni tipiche che le norme contemplano: infatti, se da un lato, come si è visto sopra, la “utile prosecuzione” non è impedita di per sé dalla diseconomicità, dall'altro la considerazione diretta dell'interesse creditorio può comportare che si debba valutare comunque positivamente l'esigenza di proroga, pur in presenza di perdite di gestione che generino ulteriori prededuzioni, ove ad es. diversamente la conversione in fallimento non possa attribuire nulla di più ai creditori (si pensi ad es. al caso in cui l'omessa adozione di determinati step previsti in un contratto di cessione del compendio, possa provocare il mancato perfezionamento dell'operazione negoziale, e non vi siano ragionevoli possibilità di liquidare altrimenti il compendio, in termini almeno equivalenti).

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