La cessione di quote e il passaggio generazionale
31 Maggio 2022
Introduzione
Nell'ambito della disciplina del passaggio generazionale dell'impresa, nell'ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano quote o azioni emesse dai soggetti di cui all'art. 73, comma 1, lett. a), del TUIR e cioè società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato, l'esenzione dall'imposta di successione spetta per il solo trasferimento di partecipazioni che consenta ai beneficiari di acquisire oppure integrare il controllo, ai sensi dell'art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., con la finalità di proseguire l'esercizio dell'attività d'impresa. La nozione di controllo di diritto si realizza quando un soggetto dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria. Nel caso in cui il trasferimento della partecipazione di controllo avvenga a favore di più discendenti in comproprietà, il beneficio viene riconosciuto a condizione che, ai sensi dell'art. 2347 c.c., i diritti dei comproprietari siano esercitati da un rappresentante comune che disponga della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. L'esenzione non trova applicazione per le categorie di quote che non attribuiscono il diritto di voto.
La cessione di quote societarie oggetto di interpello
Con la Risposta ad interpello 262 del 13 maggio 2022, l'Agenzia delle Entrate ha dato importanti indicazioni in merito al trattamento tributario in caso di cessione di quote e passaggio generazionale. Nel caso di specie, l'istante era socio di maggioranza, per il 98%, dell'intero capitale sottoscritto ed interamente versato, nonché Presidente del C.d.A. di una società, Alfa. La coniuge partecipava nella residua misura del 2% del capitale. L'istante rappresentava che, allo scopo di una migliore gestione della totalità delle partecipazioni di detta società, di cui era previsto, a breve, il totale conferimento in una new company, e di quelle che successivamente sarebbero pervenute e, in generale, del patrimonio della famiglia, era in programma la costituzione di una società Beta. La prospettata operazione di riassetto societario avrebbe consentito, secondo l'istante, una gestione professionale delle partecipazioni della società, idonea a consolidare e a mantenere il valore delle attività imprenditoriali, creando contemporaneamente le condizioni favorevoli, da una parte, per la gestione dei rapporti interpersonali e familiari dell'attuale compagine sociale, e, dall'altra, per il futuro passaggio generazionale delle attività imprenditoriali, che, secondo gli intendimenti dell'istante, erano da ritenere prevalenti. L'holding familiare sarebbe stata connotata dalla previsione statutaria di diverse categorie di quote, caratterizzate da diritti diversi tra loro e/o da mancanza di diritto di voto, anche in deroga agli artt. 2468, commi 2 e 3, e 2479, comma 5, c.c., come previsto dall'attuale normativa delle S.r.l. PMI, di cui ai commi 2 e 3 dell'art, 26 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, come modificato dal successivo d.l. 24 aprile 2017, n. 50. In particolare, nel caso concreto, nella costituenda holding sarebbero coesistite quote di categoria "A", attribuibili solo ai soci fondatori (l'istante e la coniuge) e, successivamente, ai discendenti diretti e consanguinei dell'istante, nella misura massima del 2% di partecipazione all'intero capitale, aventi tutti i diritti amministrativi e patrimoniali, fatta eccezione del diritto di voto per la nomina dell'organo amministrativo (in quanto riservato come diritto particolare ex articolo 2468 c.c. all'istante stesso), con quote di categoria "C", prive di diritto di voto, nella misura massima del 98% di partecipazione all'intero capitale della costituenda holding. Considerato quindi che: - al momento della costituzione della holding famigliare, la partecipazione del socio fondatore sarebbe stata pari al 97,50% dell'intero capitale sottoscritto, composta da quote di categoria "A" per 1,5% e da quote di categoria "C" per il restante 96% del capitale; - per espressa previsione della bozza di statuto, al fine di agevolare il passaggio generazionale nella guida del Gruppo, le quote "A" e "C" sarebbero state trasmissibili a causa di morte, con pieno effetto nei confronti della società, solo a favore dei discendenti diretti consanguinei dell'istante che fossero maggiorenni al momento di apertura della successione. - in caso di morte dell'istante, quindi, sarebbe stata trasmessa ai suoi discendenti diretti e consanguinei l'intera partecipazione, pari al 97,5% del capitale, composta, come già evidenziato, da quote di categoria "A" e quote di categoria "C"; - nella predetta partecipazione sarebbe rientrata la maggioranza (1,5% del complessivo 2% previsto ex statuto) delle quote di categoria "A", che giustificavano la richiesta di applicazione dell'agevolazione di cui all'art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346/1990 di sottrazione integrale dall'imposta di successione dell'intero valore della partecipazione, a patto che fossero rispettate le condizioni richieste dalla medesima normativa; ovvero che la partecipazione ricevuta attribuisca il controllo ai sensi dell'art. 2359, comma 1, n. 1 c.c. e detto controllo acquisito sia detenuto dagli eredi (eventualmente in comunione ereditaria, se più di uno, con necessaria nomina di un rappresentante comune per l'esercizio dei diritti sociali) per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento. Tanto premesso, l'istante chiedeva quindi chiarimenti in merito all'applicazione dell'art. 3, comma 4-ter, del TUS alla descritta operazione, con particolare riferimento al valore dell'intera partecipazione caduta in successione.
L'istante riteneva applicabile al caso concreto l'agevolazione prevista dal citato comma 4-ter dell'art. 3 TUS al valore dell'intera partecipazione caduta in successione, anche se le uniche quote attributive della maggioranza dei voti esercitabili in sede di decisione dei soci non rappresentavano l'intera partecipazione, essendo quest'ultima composta anche e - soprattutto - da quote di categoria "C" prive di diritto di voto per espressa previsione statutaria. Al riguardo, evidenziava che il citato comma 4 ter è stato introdotto prima dell'entrata in vigore della recente disciplina sulle S.r.l. PMI, che ha consentito le previsioni statutarie di quote caratterizzate da diritti diversi. Secondo l'istante con la locuzione "quota di partecipazione" di un socio - rinvenibile nel codice civile - si intendeva individuare un'entità unica rispetto alle altre detenute dagli altri soci - come unitaria e indivisibile - e mai come somma di quote. Ne derivava quindi che, in primo luogo, il tipo sociale s.r.l. valorizza la centralità del socio e i rapporti contrattuali tra i soci; e, in secondo luogo, che se la quota di partecipazione è unitaria significa che non può essere frazionata in più parti. Così, nel caso in cui un socio titolare di una propria quota, ne acquisti una ulteriore, quest'ultima confluirà nella prima, consolidando le due quote in una unica partecipazione. L'istante, sulla base del principio dell'unicità della quota di partecipazione in S.r.l., osservava peraltro che anche la riforma operata con il decreto legge n. 50 del 2017 ha introdotto per le S.r.l. PMI la possibilità di creare categorie di quote e di offrirle al pubblico, senza però derogare al divieto di suddividerle in azioni. Al fine di conciliare il principio dell'unicità della partecipazione in s.r.l. con la possibilità di creare categorie di quote, l'istante richiamava inoltre un orientamento notarile, ritenendo che il principio di unitarietà, in presenza dell'emissione di più categorie di quote, non può più considerarsi riferibile a tutte le categorie di quote di una S.r.l. PMI, ma attiene alle singole categorie di quote, che disciplinano "per categoria" i diritti e gli obblighi interni di ciascuna categoria. Concludendo, secondo l'Istante, "unico è il rapporto di cui ogni socio è investito, indipendentemente dal numero di quote di diversa categoria a lui appartenenti, quote categorizzate che influiscono sulla misura della partecipazione ai proventi sociali e al governo della società, ma non possono mai tradursi in un moltiplicatore della posizione del socio". Tale soluzione, ad avviso del contribuente, sarebbe stata del resto coerente con un importante principio del diritto successorio, ovvero l'inammissibilità di un'eventuale accettazione ereditaria parziale, avente per oggetto solo le quote di categoria "A", da parte del chiamato all'eredità interessato solo ad acquisire il controllo della società ai sensi dell'art. 2359 c.c. Si tratterebbe, in sostanza, di una delazione unitaria, avente ad oggetto un'unica partecipazione sociale, sebbene questa - sotto il profilo meramente interno dei rapporti con la società e gli altri soci - sia composta da quote di diversa natura, caratterizzate da diversi diritti. Anche con riferimento poi al regime legale di esercizio dei diritti sociali in caso di comproprietà in comunione ereditaria della partecipazione tra due o più eredi, la soluzione, secondo l'istante, si presentava congrua con quanto stabilito in materia di nomina del rappresentante comune ex art. 2468, comma 5, c.c. Ragionando diversamente, infatti, si sarebbe dovuto ammettere - come logica conseguenza - la necessità della nomina di due rappresentanti: uno per ogni categoria di quote che compongono la partecipazione sociale del socio defunto e caduta in successione. Al riguardo, l'istante richiamava infine i chiarimenti della Circolare n. 11/E del 2007, riferiti a donazioni di partecipazioni sociali da genitori a figli, secondo cui "nel caso in cui la partecipazione di controllo posseduta dal dante causa, sia frazionata tra più discendenti, l'agevolazione spetta esclusivamente all'attribuzione che consente l'acquisizione o l 'integrazione del controllo da parte del discendente; nel caso in cui il trasferimento della partecipazione avvenga a favore di più discendenti in comproprietà, ai sensi dell'articolo 2347, cod civ., il beneficio viene comunque riconosciuto". Ad avviso dell'istante, tale soluzione avrebbe riconosciuto implicitamente il principio di unicità della partecipazione sociale oggetto di trasmissione al/ai discendente/i, la quale, diversamente, sarebbe potuta essere trasferita frazionata solo se così prevista nell'atto di donazione, o, in caso di successione mortis causa, attraverso la divisione fatta dal testatore nel testamento ex art. 734 c.c., o mediante singoli legati testamentari. Quando, invece, il trasferimento avvenga a seguito di successione intestata per legge, la partecipazione si trasmetterebbe unitariamente al singolo erede, o alla pluralità di eredi, realizzando in tal caso una comunione incidentale pro indiviso sulla medesima partecipazione. Nel caso di specie, in conclusione, il contribuente osservava che una limitazione della citata esenzione al valore della sola componente costituita dalle quote di categoria "A", non soltanto non avrebbe trovato un'obiettiva giustificazione, ma - soprattutto - si sarebbe presentata dissonante con i principi immanenti di diritto societario e successorio. Il contribuente segnalava poi il contenuto della risposta ad interpello n. 257/2019, significativo dell'orientamento dell'Amministrazione finanziaria volto a favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, dove il trasferimento del controllo, pur realizzandosi attraverso più atti di donazione contestuali e congiunti realizza "una complessiva finalità economica, idonea a garantire il passaggio generazionale dell'impresa conservandone l'unitarietà e la funzionalità", nonché la sentenza 23 giugno 2020, n. 120 della Corte Costituzionale, che ricorda come "L'agevolazione in esame, tuttavia, non è destinata direttamente all'impresa ma ad agevolarne la continuità a favore dei discendenti nel momento del passaggio generazionale".
L'Agenzia delle Entrate, nel rispondere al quesito, evidenzia quanto segue. L'art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, dispone che "I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l'esercizio dell'attività d'impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all'atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell'imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l'imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata". Con tale disposizione, come visto, il legislatore ha inteso favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, a condizione, tuttavia, che i beneficiari del trasferimento proseguano l'attività d'impresa, o mantengano il controllo della società, per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento. Il trattamento agevolativo spetta, quindi, esclusivamente ai beneficiari (discendenti o coniuge del disponente), sempreché rendano, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all'atto di donazione, apposita dichiarazione di proseguire l'esercizio dell'attività d'impresa, o detenere il controllo dell'attività d'impresa. Il mancato rispetto dell'impegno assunto in tal senso comporta la decadenza dall'agevolazione concessa e il conseguente recupero dell'imposta dovuta, nonché l'applicazione delle relative sanzioni e degli interessi. Al riguardo, la Corte Costituzionale, con la sentenza 23 giugno 2020, n. 120, ha peraltro chiarito che la finalità della norma in argomento è quella di agevolare, attraverso l'eliminazione dell'onere fiscale correlato al trasferimento per successione o donazione, la continuità generazionale dell'impresa nell'ambito dei discendenti nella famiglia in occasione della successione mortis causa, rispetto alla quale il trasferimento a seguito di donazione può rappresentare una vicenda sostanzialmente anticipatoria. La citata sentenza precisa inoltre che lo scopo della norma "è innanzitutto evincibile dal suo tenore letterale che, da un lato, riguarda esclusivamente complessi aziendali, partecipazioni sociali e azioni; dall'altro, subordina la fruizione del beneficio alla condizione che i discendenti proseguano l'esercizio dell'attività d'impresa o detengano il controllo per un periodo di almeno cinque anni". In particolare, secondo la Consulta l'agevolazione in esame "non è destinata direttamente all'impresa ma ad agevolarne la continuità a favore dei discendenti nel momento del passaggio generazionale. Da questo punto di vista va allora considerato che, in via più generale, l'esigenza di garantire la continuità aziendale nella giurisprudenza di questa Corte è stata valorizzata in particolare in quanto preordinata alla garanzia del diritto al lavoro, laddove il legislatore ha "inteso realizzare un intervento diretto a garantirne la continuità ed a permettere la conservazione del rilevante valore dell'azienda (costituita da una pluralità di beni e rapporti, di varia natura), al fine di scongiurare, in tal modo, anche una grave crisi occupazionale" (sentenza n. 270 del 2010). In astratto, quindi, anche la finalità perseguita dall'agevolazione in oggetto, con riguardo all'aspetto inerente alla continuazione dell'attività produttiva, potrebbe rispondere all'esigenza di evitare che il peso delle imposte nel momento della successione possa generare difficoltà finanziarie tali da mettere in pericolo la sopravvivenza dell'impresa, con una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico. Con la circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E, nonché con precedenti documenti di prassi (circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E, risoluzione 26 luglio 2010, n. 75/E), l'Agenzia delle Entrate ha inoltre fornito istruzioni in ordine all'ambito applicativo della riportata disposizione, nonché alle condizioni richieste dalla norma per l'accesso al regime agevolativo. L'Amministrazione finanziaria ha in particolare chiarito che nell'ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano quote o azioni emesse dai soggetti di cui all'art. 73, comma 1, lett. a), del TUIR e cioè "società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato (...)", l'esenzione spetta per il solo trasferimento di partecipazioni che consenta ai beneficiari di acquisire oppure integrare il controllo, ai sensi dell'art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., con la finalità di proseguire l'esercizio dell'attività d'impresa. Secondo la disposizione codicistica, la nozione di controllo di diritto si realizza del resto quando un soggetto "dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria". E, al riguardo, l'Agenzia delle Entrate fa presente che, nel caso in cui la partecipazione di controllo, posseduta dal dante causa, sia frazionata tra più discendenti, l'agevolazione spetta esclusivamente per l'attribuzione che consente l'acquisizione o l'integrazione del controllo da parte del discendente. Nel caso in cui il trasferimento della partecipazione di controllo avvenga a favore di più discendenti in comproprietà, il beneficio viene riconosciuto a condizione che, ai sensi dell'art. 2347 c.c., i diritti dei comproprietari siano esercitati da un rappresentante comune che disponga della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. Come sopra osservato, la disposizione agevolativa contenuta nell'art. 3, comma 4-ter, del TUS vincola la fruizione dell'agevolazione alla sussistenza in capo al beneficiario di una situazione di controllo di diritto. Tale controllo, dunque, è da verificare in capo al beneficiario (o in capo ai beneficiari in comproprietà).
Considerazioni conclusive
Applicando i suddetti principi al caso di specie, l'Agenzia delle Entrate rileva che l'art. 26 d.l. 18 ottobre 2012, 179, così come modificato dall'art. 57 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, dispone che "L'atto costitutivo della PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata può creare categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 2468, commi secondo e terzo, del codice civile" (comma 2). E che "L'atto costitutivo della società di cui al comma 2, anche in deroga dall'articolo 2479, quinto comma, del codice civile, può creare categorie di quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative" (comma 3). Con la riforma operata con il predetto d.l. n. 50 del 2017, il legislatore, tra l'altro, ha inteso estendere a questa tipologia di società alcune possibilità prima riservate alle sole società per azioni, anche sul piano della circolazione della partecipazione e della possibilità di creare categorie di quote fornite di diritti diversi, tra le quali anche: - categorie di quote che non attribuiscono il diritto di voto; - categorie di quote che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta; - categorie di quote che attribuiscono diritti di voto limitati a particolari argomenti, o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Al riguardo, il principio di unicità della quota si ritrae dalla previsione di cui all'art. 2468 comma 1 c.c., secondo cui "Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni ...", che non risulta derogata dalla riforma. Ne consegue quindi che le singole categorie di quote fornite di diritti diversi non costituiscono una "frazione" di una partecipazione unitaria, bensì rappresentano ciascuna una quota di partecipazione del socio che la detiene, alla quale conseguono diritti diversi (amministrativi o patrimoniali). Dalla bozza di statuto allegata all'istanza, emergeva che le quote di categoria "C" erano prive del diritto di voto e non dovevano essere pertanto computate ai fini della determinazione dei quorum e delle maggioranze costitutive e deliberative previste dalla legge e/o dallo statuto, fatta eccezione solo per le delibere relative ai casi di esclusione del socio dalla società. Le quote di categoria "C" erano prive, altresì, dei poteri di controllo ex art. 2476, comma 2, c.c. e, precisamente, erano prive del diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali, purché fosse in essere - per obbligo di legge o per decisone dei soci - la funzione di controllo sulla gestione. Le stesse quote erano invece dotate del diritto alla consultazione del libro soci, ove istituito, e del libro delle decisioni dei soci. Risultava, inoltre, possibile effettuare il trasferimento delle partecipazioni per atto tra vivi per ogni distinta categoria, con autonoma circolazione, laddove, tra l'altro, le quote di categoria "A" - destinate in sede di costituzione della società ai due soci fondatori e, successivamente, ai discendenti diretti consanguinei dell'istante che fossero chiamati ad amministrare la società - non erano trasferibili se non a favore di soci che possedessero la medesima categoria di quote; mentre le quote di categoria "C" sarebbero potute essere trasferite a titolo oneroso o gratuito anche a soggetti terzi non soci, purché nel rispetto dei particolari diritti di prelazione disciplinati dallo statuto. Alla luce di quanto sopra, l'Agenzia delle Entrate riteneva quindi che, nella specie, l'esenzione potesse essere invocata in sede di dichiarazione di successione solo in relazione al trasferimento mortis causa delle categorie di quote di partecipazione (quelle di categoria "A" per l'1,5%), che consentivano ai beneficiari di acquisire, oppure integrare, il controllo, ai sensi dell'art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., ossia la maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria. Alla luce della ratio dell'agevolazione in esame, l'esenzione non trovava applicazione, invece, per le categorie di quote che non attribuivano il diritto di voto. |