Il datore di lavoro è libero di intraprendere trattative sindacali escludendo alcune sigle sindacali

Giovanni Fiaccavento
31 Maggio 2022

In capo al datore di lavoro non esiste alcun obbligo generale a trattare: il datore di lavoro può legittimamente scegliere con chi trattare...
Massime

In capo al datore di lavoro non esiste alcun obbligo generale a trattare: il datore di lavoro può legittimamente scegliere con chi trattare, potendo anche eventualmente escludere dalla trattativa alcuni sindacati; parimenti non esiste un obbligo a trattative separate (nella specie è stata ritenuta legittima la scelta aziendale di trattare il rinnovo di un accordo aziendale con la sola FIM CISL firmataria della precedente intesa; l'esclusione dal tavolo della FIOM CGIL non integra gli estremi della condotta antisindacale).

In tema di condotta antisindacale, non può essere pronunciata la responsabilità in capo al datore di lavoro qualora il comportamento antisindacale, o quantomeno gli effetti di questo, difettino del requisito della attualità, presupposto necessario per l'esperibilità del procedimento previsto dall'art. 28 Stat. lav., atteso che quest'ultimo tende all'emanazione di una pronuncia costitutiva e non già di mero accertamento.

Il caso

Con ricorso ex art. 28, l. 20 maggio 1970, n. 300, la FIOM CGIL conveniva in giudizio la Società COMEL S.p.A. per ottenere la censura della condotta posta in essere da quest'ultima, diretta ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale e la rimozione dei relativi effetti.

In particolare, la COMEL S.p.A. aveva escluso la FIOM CGIL sia dalle trattative per il rinnovo dell'accordo sul premio di risultato, nonostante le reiterate richieste da questa avanzate, sia dall'assemblea sindacale indetta dalle R.S.U. per la presentazione dell'esito di tali trattative.

Parte convenuta, nei propri atti difensivi, eccepiva che la FIM CISL contava in azienda 95 iscritti, contro i 4 della FIOM CGIL ed era l'unica sigla firmataria dell'accordo aziendale relativo al patto di risultato. Inoltre, la stessa FIM CISL aveva rifiutato la trattativa unitaria con la FIOM CGIL per delle accuse ingiuriose da questa subite durante e dopo la fase elettorale.

A tal proposito, la COMEL precisava di aver informato la FIOM CGIL di tale rifiuto, motivo per cui, legittimamente, era stato impedito l'accesso del funzionario sindacale esterno all'assemblea indetta.

Le questioni

Le questioni esaminate dal Giudice a quo attengono:

a) alla sussistenza di una condotta antisindacale del datore di lavoro che esclude una sigla sindacale dalle trattative per il rinnovo di un accordo;

b) all'attualità della predetta condotta, requisito sul quale può fondarsi il procedimento ex art. 28, l. 20 maggio 1970, n. 300.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Padova, chiamato ad operare una valutazione in merito alla condotta datoriale, ha rilevato come questa fosse dettata da dinamiche di palese conflitto tra le sigle sindacali.

In particolare, a fronte del chiaro e netto rifiuto da parte della Fim Cisl a dialogare con la Fiom Cgil, il datore di lavoro era impossibilitato allo svolgimento di una trattativa unitaria.

Il Giudice di prime cure, si è posto nella prospettiva della legittima contrapposizione di interessi sul piano negoziale, ed ha, pertanto, escluso l'antisindacalità della condotta datoriale.

Sul punto, viene espressamente richiamato il principio di libertà sindacale inteso come libera scelta della controparte contrattuale, in virtù del quale non sussiste un obbligo a trattare con tutte le organizzazioni sindacali: il datore di lavoro può legittimamente scegliere di non intavolare la trattativa richiesta dai sindacati oppure di iniziarla solo con alcuni, escludendone altri.

La mancata partecipazione all'assemblea di un delegato di una sigla sindacale, infatti, non può essere considerata lesiva della libertà e dell'attività sindacale. Il datore di lavoro poteva – come in concreto ha scelto di fare – decidere di negoziare il rinnovo dell'accordo aziendale con il solo sindacato firmatario della precedente intesa.

Parimenti, non sussiste in capo al datore un obbligo a trattative separate, modalità, nel caso di specie, ritenuta inappropriata rispetto alle dimensioni e alla realtà aziendale.

Conformemente ad alcuni precedenti giurisprudenziali in sede di legittimità, il Giudice padovano ha escluso altresì la sussistenza di un diritto in capo al dirigente esterno del sindacato rappresentato nella R.S.U., a partecipare all'assemblea non “in quota R.S.U.” ma indetta dalla R.S.U. di una sigla sindacale, ove non espressamente invitato.

In tal senso la Cassazione, con sentenza del 5 maggio 2003, n. 6821, si è espressa affermando che la rappresentanza interna di una sigla sindacale in seno alle assemblee della r.s.u. non equivale ad un titolo per ottenere la partecipazione di dirigenti esterni alle assemblee tenute ai sensi dell'art. 20 dello Statuto dei lavoratori.

Il Tribunale ha preso posizione anche sul requisito della “attualità” della condotta antisindacale, che deve sussistere al momento della presentazione della domanda.

In merito, nella pronuncia viene affermato che non è ammissibile una condanna in futuro, mentre per il passato, una volta intervenuto il rinnovo del contratto aziendale, risulta venuto meno l'interesse dell'organizzazione sindacale ricorrente; di conseguenza, il giudice ha ritenuto che l'azione fosse anche carente di interesse, requisito essenziale per l'esperibilità del procedimento previsto dall'articolo 28 dello Statuto.

Osservazioni

La pronuncia in commento muove da acquisizioni giurisprudenziali ormai consolidate.

Il richiamato principio di libertà di scelta della controparte contrattuale prevede che in difetto di obblighi a trattare di fonte legale o imposti dalla contrattazione collettiva, non è previsto un obbligo di parità di trattamento tra i sindacati ai fini dell'accesso alle trattative o alla stipula del contratto collettivo, essendo tutto rimesso sul piano dei rapporti di forza (contrattuale).

Il controllo giudiziale, in tale ottica, interviene soltanto in merito ad eventuali esclusioni arbitrarie e irrazionali, specie se a danno di sindacati maggiormente rappresentativi.

Ricorre, pertanto, una condotta antisindacale, censurabile ai sensi dell'art. 28 Stat. Lav., quando il rifiuto pregiudiziale di trattare oppure l'instaurazione di una trattativa con alcune organizzazioni con contestuale esclusione di altre, integri un uso distorto della libertà contrattuale, assumendo valenza discriminatoria e ledendo apprezzabilmente la libertà sindacale dell'organizzazione esclusa.

Per valutare la condotta del datore di lavoro in termini di antisindacalità si devono necessariamente ricomprendere tutta una serie di comportamenti sia materiali (intimidazioni, minacce, indagini antisindacali) omissivi (rifiuto di una promozione ad un lavoratore-sindacalista) ovvero attivi positivi (avanzamenti di carriera ad alcuni lavoratori in danno di altri che ricoprano le funzioni di rappresentanti sindacali).

La ratio sottesa all'art. 28 Stat. lav. va individuata nella tutela delle organizzazioni sindacali e della loro libertà, affinché venga rafforzata la collettività dei lavoratori.

Tuttavia non è ravvisabile una condotta antisindacale nelle ipotesi in cui si versi in una conflittualità non ascrivibile al datore di lavoro ma derivata da altre forme di conflittualità sorte fra le stesse organizzazioni sindacali.

E difatti, un clima di costante tensione innerva l'ordinamento intersindacale e il sistema di contrattazione collettiva, ove è (o sarebbe) necessario, al contrario, un clima collaborativo.

D'altro canto, il datore di lavoro nel caso che ci occupa, in presenza di una forte (ed irrisolvibile) conflittualità tra i vari sindacati, del tutto responsabilmente esclude una sigla sindacale in modo da garantire la stipula dell'accordo ed il beneficio dell'incremento retributivo per i lavoratori.

In siffatto contesto, il Giudice si è soffermato anche sull'oggetto della domanda di parte ricorrente e cioè di far cessare la condotta lesiva del datore di lavoro.

Correttamente, a tal punto, è stato rilevato il difetto del requisito dell'attualità della condotta contestata, da cui deriva la carenza di interesse ad agire. Il procedimento ex art. 28 Stat. Lav. – ribadisce il Giudice - ha come fine ultimo quello di emanare una pronuncia costitutiva e non è, pertanto, ammissibile una condanna in futuro.