Il concordato preventivo per scampare alle azioni risarcitorie per mala gestio, tra abuso del diritto e atti in frode

Giovanni Gerbini
07 Giugno 2022

Gli atti di mala gestio compiuti dagli amministratori determinano la revoca dell'ammissione al concordato preventivo e comportano automaticamente la dichiarazione di fallimento? Il Tribunale di Arezzo, con articolata pronuncia, risponde agli interrogativi, precisando che ruolo abbia l'abuso del diritto nell'ambito delle procedure concorsuali.
La massima

Compie un atto potenzialmente decettivo, e quindi in frode ai creditori ai sensi dell'art. 173 l.fall., l'impresa che omette di indicare nella proposta di concordato preventivo un potenziale credito risarcitorio nei confronti dei propri amministratori per la responsabilità da mala gestio loro imputabile.

Atti di mala gestio di particolare incidenza patrimoniale possono legittimare il sospetto che l'iniziativa concordataria assuma contorni abusivi e che sia per lo più diretta a scongiurare il rischio dell'apertura di una procedura fallimentare e dunque delle conseguenti azioni di responsabilità.

Il caso

Nella vicenda in esame il Tribunale di Arezzo si è pronunciato su un'opposizione all'omologa di concordato preventivo in cui si contestava l'occultamento, nella proposta presentata dalla debitrice, del credito risarcitorio vantato nei confronti dei suoi amministratori per i fatti di mala gestio loro imputabili. Con il motivo principale dell'opposizione si deduceva infatti che la mancata menzione di tale credito avrebbe assunto portata decettiva, non consentendo ai creditori di valutare compiutamente la convenienza dell'alternativa fallimentare, ciò che integrerebbe un atto in frode ai sensi dell'art. 173 l.fall. e imporrebbe la revoca dell'ammissione alla procedura.

Sull'effettiva sussistenza dei profili di mala gestio in capo all'organo amministrativo, il quadro fattuale lasciava ben pochi dubbi: nella propria relazione, il commissario aveva infatti dimostrato che la società risultava aver perso il proprio patrimonio già (almeno) due anni prima del deposito della domanda di concordato, per effetto della intervenuta decozione di alcuni debitori, ma che ciò era stato artificiosamente occultato – con un espediente contabile frequente nella prassi – omettendo di registrare in bilancio le dovute svalutazioni dei relativi crediti; l'impresa aveva così illegittimamente continuato la propria attività, aggravando gli effetti del dissesto. In questo è stata evidentemente ravvisata una palese violazione degli amministratori rispetto al dovere di gestione conservativa a tutela dell'integrità patrimoniale nell'interesse dei creditori sociali, i quali secondo le stime del commissario giudiziale avrebbero subìto un danno quantificato in 1.500.000 euro. Di qui la pretesa risarcitoria vantata dalla massa nei loro confronti.

Il Collegio ha tuttavia notato che in giurisprudenza di merito ci sono opinioni discordanti sulla possibilità di qualificare l'occultamento di una pretesa risarcitoria, qui in particolare per mala gestio degli amministratori, quale motivo di revoca del concordato. Ad un primo orientamento che l'ammette (v. Trib. Alessandria 25 novembre 2016, con nota di Lendvai), infatti, contende il campo altro indirizzo che viceversa si esprime negativamente sostenendo, in particolare, che: i) l'attivo proveniente dall'esercizio dell'azione di responsabilità sociale sarebbe meramente potenziale e, come tale, ontologicamente non occultabile perché privo di concretezza; ii) non sarebbe ammissibile chiedere agli amministratori della ricorrente di denunciare la propria mala gestio nel piano concordatario, vuoi per il principio nemo tenetur se detegere, vuoi perché così facendo si reintrodurrebbe un requisito di meritevolezza; iii) rimarrebbe comunque la possibilità per i creditori di agire ex art. 2394 c.c. (cfr. Trib. Bolzano 30 maggio 2015, Trib. Ravenna 27 ottobre 2015).

Il Tribunale di Arezzo ha aderito al primo orientamento e concluso che la condotta degli amministratori dell'impresa concordataria certamente aveva assunto, nel caso di specie, i contorni di un atto in frode ai sensi dell'art. 173 l.fall.. Pur escludendo, infatti, che il mancato inserimento delcredito risarcitorio nei loro confronti possa considerarsi tale in termini assoluti, viene affermato che «è senz'altro vero che atti di mala gestio di particolare incidenza patrimoniale possono far sorgere quantomeno il sospetto che l'iniziativa concordataria assuma contorni abusivi e che sia per lo più diretta a scongiurare il rischio dell'apertura di una procedura fallimentare che invece non potrebbe omettere di valorizzare determinati profili gestori con le conseguenti iniziative, anche giudiziali». Agli occhi del Collegio lo svolgimento dei fatti e, in particolare, il comportamento tenuto dagli amministratori avrebbero non solo legittimato tale sospetto, ma offerto vere e proprie evidenze che l'iniziativa concordataria fosse appunto un escamotage per sottrarsi ad un fallimento incombente. Gli amministratori avrebbero infatti tentato di persuadere i creditori circa la convenienza della proposta concordataria rispetto all'alternativa fallimentare, enfatizzando più volte il ruolo fondamentale giocato in tal senso dal versamento di finanza esterna, proveniente di fatto dalle loro (degli amministratori) stesse tasche. Ma, si legge nel provvedimento, tale vantaggio competitivo sarebbe stato chiaramente solo millantato, dato che in caso di fallimento il curatore avrebbe potuto far valere il credito risarcitorio da mala gestio – che si ricorda viene quantificato in un milione e mezzo – e rivalersi sul patrimonio effettivamente capiente degli amministratori-debitori, incamerando ben più di quanto offerto a titolo di finanza esterna (circa 500.000 euro). Ad ulteriore conferma della reale natura dell'iniziativa concordataria, infine, i giudici hanno sottolineato che proprio in prossimità della presentazione della domanda gli amministratori si erano spogliati del proprio patrimonio immobiliare, compiendo vari atti distrattivi evidentemente revocabili non solo per la tempistica, ma anche perché disposti in favore di propri familiari e, in un caso, anche con riserva del diritto di abitazione.

Il provvedimento ha dunque concluso per il rigetto della domanda di concordato.

Sotto un profilo più strettamente processuale è interessante notare che, nonostante la revoca della procedura minore, il Collegio non ha disposto l'apertura del fallimento in capo alla debitrice, in quanto ha rigettato la domanda svolta specificamente a tal fine dall'opponente sul presupposto della carenza di legittimazione della medesima. Il Tribunale ha infatti osservato che “la dichiarazione di fallimento presuppone un'autonoma delibazione incidentale [...] circa la sussistenza del credito dedotto a sostegno dell'istanza, quale necessario postulato della verifica della legittimazione del creditore a chiedere il fallimento”; che tale presupposto tuttavia difettava nel caso concreto, dato che le ragioni vantate dall'istante si esaurivano in un credito ancora sub iudice e che l'azione svolta per il suo accertamento risultava tutt'altro che fondata. Peraltro, si aggiunge, trattandosi nello specifico di una revocatoria fallimentare (opponente era infatti una procedura), che il relativo credito “sorge soltanto contestualmente alla sentenza di accoglimento, la quale ha pacificamente natura costitutiva (Cass., sez. un., 24 gennaio 2018, n. 10416), di talché può seriamente dubitarsi che l'attore in revocatoria, in pendenza di quel giudizio e fino al passaggio in giudicato della pronuncia, possa provocare il fallimento del beneficiario dell'atto revocando”.

L'occultamento dei profili di mala gestio nella proposta concordataria come motivo di revoca

Così riassunto il caso in esame, il provvedimento del Tribunale di Arezzo offre tre spunti di riflessione di particolare interesse, su altrettanti temi di analisi: il primo (cui è riservato questo paragrafo) è ovviamente rappresentato dalla questione dirimente, vale a dire dall'occultamento, nella proposta concordataria, dei profili di mala gestio della impresa debitrice e dalla sua rilevanza ai fini della revoca dalla procedura; il secondo ed il terzo (su cui infra) riguardano rispettivamente la figura degli atti in frode e dell'abuso del diritto.

Cominciando dal primo, è soprattutto interessante soffermarsi sull'analisi che il Collegio formula con riguardo agli argomenti normalmente invocati dall'opposto orientamento giurisprudenziale al fine di escludere l'applicazione dell'art. 173 l.fall. in caso di mancata indicazione del credito da mala gestio nella proposta concordataria; e cioè, in breve: i) il principio nemo tenetur se detegere; ii) l'astrattezza del credito, in quanto solo potenziale; iii) la possibilità per i creditori di agire ex art. 2394 c.c.

Secondo il Tribunale, nello scenario appena descritto invocare il brocardo nemo tenetur se detegere apparirebbe un fuor d'opera, se è vero che presupposto dell'ammissione alla procedura concordataria è che l'imprenditore metta a nudo la propria situazione debitoria, finanziaria e patrimoniale, di fronte ai creditori, in maniera corretta e trasparente; cosa che ovviamente non avviene se la stessa procedura viene sfruttata dall'organo amministrativo per celare le proprie responsabilità. Né risulta condivisibile, sempre ad avviso del Tribunale, e venendo al secondo argomento, che il credito risarcitorio che ne deriva non sarebbe occultabile in quanto solo potenziale: si tratterebbe infatti pur sempre di vere e proprie poste attive, sebbene da valutarsi secondo le regole prudenziali che ne disciplinano la messa a bilancio. Quanto alla possibilità per i creditori di esercitare l'azione di responsabilità contro gli amministratori ex art. 2394 c.c., l'argomento viene definito «essenzialmente irrilevante», una volta considerato in concreto che «l'omissione informativa risulta funzionale a scongiurare l'azione di responsabilità del curatore nel fallimento ex art. 146 l.fall., che come noto cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali [...] E non v'è dubbio che la mancata menzione del credito risarcitorio tra quelli oggetto dell'attivo concordatario precluderebbe al liquidatore giudiziale di avviare l'azione di cui all'art. 2393 (la più agevole sul piano probatorio), non avendo egli alcuna legittimazione al riguardo».

Per quanto contenute, le considerazioni così esposte dal Tribunale appaiono del tutto condivisibili: ed altrettanto condivisibile, del resto, appare anche la conclusione del diniego di omologa cui si giunge nel caso specifico.

Decisamente meno condivisibili sono però ulteriori considerazioni contenute nel provvedimento, che pur non spostando il segno complessivo della decisione, investono profili di particolare importanza dogmatica nella materia di cui si discute. Ci si riferisce ai temi già introdotti sopra, cui – come detto – sono riservati i successivi paragrafi, della sanatoria degli atti in frode e dell'abuso del diritto, in relazione ai quali il provvedimento in esame presta il fianco ad altrettanti ordini di critica.

Primo ordine di critiche: la questione della sanatoria degli atti in frode a fronte del voto favorevole dei creditori

In due obiter dicta il Collegio riafferma il principio secondo cui «l'accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o [...] di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell'ammissione al concordato, a norma dell'art. 173 l.fall., indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche nell'ipotesi in cui questi ultimi siano stati resi edotti di quell'accertamento»; dunque, «il comportamento decettivo rileva in sé e per sé, senza che il voto dei creditori possa assumere valenza sanante». La questione è ampiamente nota, e non meno dibattuta: atteso il richiamo soltanto incidentale, ci si può tuttavia limitare a brevissime considerazioni.

Il passaggio del provvedimento sopra citato riflette il costante orientamento della Cassazione che, come noto, muovendo dal dato letterale della norma, sostiene l'automatismo «frode-revoca» e nega che l'approvazione della proposta da parte dei creditori, ancorché pienamente consapevoli della frode, possa sanare la prima, escludendo la seconda. Ritiene la Suprema Corte che, «se così non fosse, se cioè l'accertamento degli atti fraudolenti ad opera del commissario potesse essere superato dal voto dei creditori, preventivamente resi edotti della frode e disposti ugualmente ad approvare la proposta concordataria, non si capirebbe perché il legislatore ricollega invece immediatamente alla scoperta degli atti in frode il potere-dovere del giudice di revocare l'ammissione al concordato» (Cass., sez. I, 26 giugno 2014, n. 14552).

Il testo dell'art. 173 l.fall., ad una prima lettura, potrebbe effettivamente suggerire un'interpretazione in tal senso, ma – si ritiene qui – ciò finirebbe per porsi in contrasto con lo spirito che ha informato tutti i recenti interventi del legislatore volti alla maggior «privatizzazione» della materia concorsuale: significherebbe infatti ammettere che un interesse assoluto ed astratto, alla «verità per la verità» (Nisivoccia), debba prevalere sulla libera determinazione delle parti pienamente informate, ed in particolare dei creditori, che tuttavia dovrebbero essere coloro nell'interesse – e a tutela – dei quali è prevista la norma in questione.

E non solo: significherebbe anche reintrodurre la prospettiva sanzionatoria ed il requisito di meritevolezza che si era inteso espressamente eliminare già con le riforme del 2005/2006 (Censoni; Griffini; Schiano di Pepe), quando si era deciso di privare il giudice dei suoi poteri di intervento come decisore dei destini dell'impresa insolvente, ridimensionandone la funzione al solo controllo della formazione della volontà degli interessati e alla soluzione degli eventuali conflitti tra gli stessi (Ambrosini; Catallozzi).

Qualora i creditori, dunque, consapevoli della frode, approvino ciò nonostante la proposta di concordato, ad avviso di chi scrive l'ammissione alla procedura non dovrebbe essere revocata.

Segue: Dalla frode all'abuso del diritto

Quest'ultima affermazione, tuttavia, può dirsi senz'altro vera solo qualora l'approvazione della proposta sia unanime, perché nel diverso caso in cui consti il voto contrario di una minoranza occorrerà necessariamente valutare se le operazioni di voto si siano svolte in maniera «trasparente», vale a dire: se la maggioranza abbia esercitato il proprio diritto di voto in modo legittimo, oppure se ne abbia fatto un utilizzo improprio, magari per effetto di una collusione con il debitore, ai danni dei creditori dissenzienti.

Queste considerazioni introducono l'annosa questione della tutela per i creditori di minoranza nel concordato, a sua volta strettamente collegata con quella, più generale (e, come in parte già visto, richiamata anche nel caso di specie), dell'abuso del diritto.

Il tema è oggi particolarmente rilevante, perché è evidente che, nel sistema concorsuale riformato, che marginalizza l'intervento ufficioso, e dunque anche i presidi giudiziali, i soggetti coinvolti debbano trovare altrove forme di tutela e soluzioni rimediali efficienti affinché gli interessi in gioco non vengano ingiustificatamente compromessi.

Non si tratta tuttavia di una novità delle recenti riforme, ma di una questione da sempre oggetto di grande interesse e di trattazioni autorevoli, sin dalla introduzione dell'istituto del concordato. Emilio Betti, nella sua Teoria generale del negozio giuridico del 1950, sosteneva che nel concordato preventivo i creditori partecipanti alla massa sono avvinti da una comunione di interessi, che opera come limite funzionale alla – e come fondamento della – applicazione del principio maggioritario, nel senso che la ragione del vincolo che la deliberazione della maggioranza spiega anche nei confronti della minoranza dissenziente «va desunta dalla funzione, cui il voto è destinato [...]: quella di enunciare l'apprezzamento, che ciascun membro partecipante [...] fa, non già del proprio interesse particolare, ma dell'interesse sociale a tutti comune» (Betti).

La tesi, secondo cui la collettività dei creditori esprime una forma di imputazione di interessi non riducibili alla sommatoria di quelli individuali, è tutt'oggi condivisa da una parte della dottrina (Fabiani; Gentili; Lo Cascio. Cfr. D'Attorre e Azzaro) che appunto riconosce alla massa un'autonomia soggettiva in quanto tale. Diversamente, altra opinione, costante in giurisprudenza di legittimità, ritiene di non poter ravvisare nella massa un autonomo centro di imputazione di interessi distinto dall'insieme dei singoli creditori, sul presupposto che nel concordato preventivo gli interessi perseguiti da ciascuno di essi sono fisiologicamente egoistici e confliggenti, se è vero che ognuno può (legittimamente) valutare la convenienza della proposta concordataria dal proprio personale punto di vista; bellum omnium erga omnes, homo homini lupus, come direbbe Hobbes (cfr. Cass., sez. I, 10 febbraio 2011, n. 3274).

Sia come sia, che i singoli creditori siano portatori di interessi disomogenei per natura, e che quindi la conflittualità sia endemica al concordato, è considerazione condivisa da entrambi gli orientamenti (v. Sacchi). Ad esser divergenti sono le soluzioni elaborate per conferire un perimetro di «correttezza» alle modalità in cui tali interessi vengono enunciati e fatti valere, nonché per delineare forme che ne presidino e assicurino l'effettività; il che ci riporta a quanto detto sopra.

Così, mentre una dottrina ritiene che tali rimedi vadano mutuati dal diritto dei contratti, individuandoli in particolare nel principio di buona fede, nei meccanismi di tutela dell'effettività del consenso e nella possibilità di reazione ai conflitti di interesse (Fabiani; Lo Cascio; cfr. Sacchi; D'Attorre), la giurisprudenza, negando di poter applicare i rimedi pensati per i conflitti di interesse all'interno della massa, perché considerata priva di una soggettività autonoma, ha spesso rinvenuto la fonte della tutela della minoranza, ingiustamente pregiudicata, nel concetto dell'abuso del diritto da parte (dell'imprenditore e) degli altri votanti (questo, almeno, sino al recente revirement di Cass., sez. un., 28 giugno 2018, n. 17186).

L'ampio impiego che quest'ultimo concetto ha avuto in tale materia si può facilmente comprendere se si considerano le note difficoltà di giungere ad un inquadramento giuridico condiviso dell'istituto del concordato preventivo, alla luce dei numerosi profili che ne intrecciano la disciplina e che possono facilmente disorientare l'interprete. In una materia che è al tempo stesso contratto e processo; in cui occorre comporre gli interessi privatistici, da un lato, con quelli generali, alla conservazione dell'impresa, dall'altro; in cui interagiscono autonomia privata ed intervento giudiziale, componente negoziale e componente pubblicistica, non sorprende insomma che, quando si tratti di regolare i rapporti tra i creditori, tra minoranza e maggioranza, un concetto tanto generale, qual è l'abuso del diritto, sia diventato il leitmotiv delle pronunce giurisprudenziali in tutte quelle ipotesi concordatarie caratterizzate da condotte che, pur non contrastando espressamente con una norma, appaiano non di meno «improprie» o «scorrette» (Santagata). L'abuso del diritto è stato così invocato tanto per reprimere indebite collusioni della maggioranza ai danni della minoranza, come detto sinora, quanto per censurare forme di impiego strumentale dello strumento concordatario da parte del debitore contro l'intera massa, come sostiene esser avvenuto nel caso in esame il Tribunale di Arezzo (v. supra par. 3).

Secondo ordine di critiche: l'abuso (dell'abuso) del diritto

Occorre tuttavia notare che in varie occasioni la giurisprudenza invoca l'abuso del diritto, se non del tutto a sproposito, in maniera quanto meno superflua (D'Attorre e Zanichelli). La ragione sta nell'evidente duttilità del concetto, che gli permette di adattarsi a mo' di grimaldello ad una vasta gamma di ipotesi, e nella comodità descrittiva/riassuntiva che offre la relativa formula: non a caso se n'è parlato come «una maniera superficiale e sbrigativa per liberarsi del problema» (Rescigno), ovvero una «fuga nel facile argomento [che] sostituisce la fatica di una impostazione più tecnica» (Gentili).

Non fa eccezione la materia del concordato, laddove l'abuso ad oggi costituisce un motivo piuttosto inflazionato nel bagaglio argomentativo dei giudicanti, spesso esaurendosi, come ha rilevato autorevole dottrina, in «una mera superfetazione retorica, giacché l'esigenza di evitare indebite strumentalizzazioni di norme che apparentemente consentirebbero comportamenti maliziosi in danno della controparte è già adeguatamente assicurata dall'applicazione delle […] disposizioni del codice e dai precetti di correttezza e buona fede» (Rordorf; cfr. Santagata e Perrino; Fornaciari parla di vera e propria «moda»).

Ecco, venendo al secondo ordine di critiche, si ritiene che queste considerazioni possano rivolgersi al provvedimento in esame.

A parere di chi scrive, infatti, il Tribunale si sarebbe dovuto limitare all'accertamento (seppur incidentale) della posta risarcitoria, del suo occultamento nella proposta di concordato e, infine, dell'idoneità decettiva dello stesso per i creditori: e tanto sarebbe bastato a determinare la revoca ai sensi dell'art. 173 l.fall., come peraltro chiedeva la stessa opponente (Rordorf). I giudici hanno invece introdotto l'ulteriore tema di analisi delle finalità soggettivamente perseguite dagli amministratori nel domandare l'ammissione al concordato per conto della amministrata, finendo tuttavia con il sovrapporre (secondo chi scrive) erroneamente i due concetti, distinti, dell'atto in frode ai creditori e dell'abuso dello strumento concordatario. Significativo, in tal senso, il passaggio in cui la Corte si propone di «valutare se l'aver omesso la valorizzazione di un potenziale credito risarcitorio nell'attivo concordatario possa aver avuto potenzialità decettiva, e se quindi in ultima analisi l'opzione concordataria costituisca una modalità per evitare l'esercizio di azioni di responsabilità nell'infausta prospettiva fallimentare». Quanto segue nel provvedimento è una indagine esplicitamente volta a vagliare il comportamento degli amministratori, rei «poco prima della presentazione della domanda di concordato o immediatamente dopo, [d'essersi] spogliati in modo sospetto degli altri immobili di loro proprietà»: circostanza dalla quale la Corte trae il proprio convincimento sulla «reale natura dell'iniziativa concordataria, che è quella di raffigurare ai creditori un quadro apparentemente idilliaco della prospettiva concordataria [...] al solo scopo di celare la conclamata responsabilità degli amministratori nell'aggravamento del dissesto societario».

Se, da un lato, tali richiami confermano la qui sostenuta erroneità della sovrapposizione della frode ex art. 173 l.fall. al ricorso abusivo al concordato (tant'è che, immediatamente dopo averne evidenziato la finalità abusiva, si afferma che la condotta degli amministratori «è sicuramente inquadrabile alla stregua di un atto in frode»), dall'altro lato rivelano anche un approccio da parte dei giudici che pare non conforme al diritto positivo, in quanto, enfatizzando il profilo soggettivo degli amministratori, e addirittura passandone al vaglio i comportamenti, sembrano implicare logiche di valutazione sanzionatorie non estranee all'oggi abrogato giudizio di meritevolezza (cfr. Pacchi e Santagata).

Ma non è tutto: a tali due motivi di critica se ne può infatti aggiungere uno ulteriore.

Come in parte visto, il Tribunale di Arezzo sembra rinvenire il carattere abusivo della domanda concordataria nella sua strumentalità «a scongiurare il rischio dell'apertura di una procedura fallimentare» e «a celare la conclamata responsabilità degli amministratori». Se, tuttavia, consideriamo la definizione, pressoché istituzionale, di abuso del diritto, per cui tale deve intendersi l'esercizio di un diritto per un fine divergente da quelli per cui l'ordinamento lo ha accordato, che non apporta alcun vantaggio apprezzabile (o comunque ulteriore rispetto alla tutela del medesimo diritto) a favore di chi lo esercita, con viceversa pregiudizio a carico di chi lo subisce (Patti), risulta evidente che né l'uno né l'altro aspetto indicato dal provvedimento in esame assumono rilevanza in questo senso. Non il primo, perché la mancata apertura del fallimento, lungi dal rappresentarne un fine divergente del concordato, ne costituisce semmai il risvolto naturale – e anzi, di più: il suo obiettivo pacifico – per cui parlare in tal caso di un suo impiego strumentale, pretestuoso o, appunto, abusivo, può lasciare qualche dubbio. E nemmeno il secondo, perché i creditori non ne conseguono qui necessariamente alcun danno. Seppure sia vero, infatti, che «è quasi implicito che uno dei vantaggi cui i gestori della società insolvente soprattutto mirano, allorchè chiedono l'ammissione della società alla procedura concordataria, è proprio quello di sottrarsi ai rischi di eventuali future azioni di responsabilità» (Rordorf), ciò è dovuto ai motivi contingenti, alla dimensione fattuale: alle logiche negoziali che governano la ristrutturazione (e quindi al consenso dei creditori, che al tavolo delle trattative, per favorire la continuità dell'impresa potrebbero sorvolare sui profili di mala gestio); e non certamente al puro diritto.

Sul piano giuridico il concordato non determina alcuna preclusione rispetto alle azioni di responsabilità esperibili dai creditori nei confronti degli amministratori, atteso che «la disciplina del concordato si misura sul differente piano dell'obbligazione del debitore, non già dei responsabili per la lesione del credito» (Galletti; cfr. Fabiani). La definizione dell'esposizione debitoria della concordataria rispetto ai creditori nulla ha a che vedere con i profili di responsabilità per mala gestio rilevanti ai sensi dell'art. 2394 c.c., né potrebbe: perché «il vincolo di obbligatorietà che l'omologazione imprime sui creditori per effetto dell'art. 184 l.fall. non si estende a soggetti diversi dalla società» (Fabiani). Stando rigorosamente al diritto, insomma, il concordato non porta ad alcun esonero di responsabilità per gli amministratori, motivo per cui parlare di un'iniziativa concordataria funzionalmente volta a tale risultato, e quindi viziata per abuso del diritto, non sembra del tutto convincente.

Quanto accaduto nel caso concreto è peraltro ben diverso, avendo gli amministratori più semplicemente occultato nella proposta di concordato la posta attiva corrispondente al credito risarcitorio della società nei propri confronti: il che, come detto, va sanzionato ai sensi dell'art. 173 l.fall., e non marchiando come abusiva la domanda di ammissione alla procedura.

Conclusioni

È dunque possibile tirare le somme per qualche considerazione conclusiva.

La decisione del Tribunale di Arezzo è sicuramente condivisibile nel risultato: la mancata esposizione nella proposta di concordato dei profili di mala gestio degli amministratori, infatti, integra a tutti gli effetti l'occultamento di un credito risarcitorio che, benché soltanto potenziale, equivale ad una posta attiva nel patrimonio della società. Nel concreto ciò si può evidentemente ripercuotere in termini decettivi in danno ai creditori, con l'inesorabile conseguenza della revoca dell'ammissione al concordato, senza che nulla possano né malriposte giustificazioni ispirate al principio nemo tenetur se detegere (cfr. Rordorf), né le pur sussistenti residue possibilità dei creditori di agire per responsabilità ai sensi dell'art. 2394 c.c..

Come detto, tuttavia, la trama motivazionale del provvedimento non è esente da critiche.

A cominciare dal rifiuto, che si reputa più che altro tralatizio, della possibilità di sanatoria degli atti in frode ex art. 173 l. fall., qualora vi sia il voto favorevole della proposta da parte dei creditori pienamente informati. Ancorché, come visto supra al par. 4, il Tribunale di Arezzo tocchi la relativa questione in via soltanto incidentale, in due obiter dicta, vale comunque la pena di ribadire che l'impostazione assunta non appare qui condivisibile se considerata nel quadro complessivo della materia. Del resto, ammettere che in tali ipotesi i creditori possano decidere del destino della procedura concordataria e, dunque, anche dell'impresa stessa, risponde alla teoria per cui, emersa l'insolvenza, il controllo dell'impresa verrebbe trasferito ai creditori in quanto soggetti che, loro malgrado, diventano di fatto investitori di capitale di rischio, con ciò ricomponendo la necessaria (o almeno tendenziale) corrispondenza tra rischio d'impresa e potere di gestione (Stanghellini). Teoria ora ufficialmente riconosciuta ed adottata dal legislatore concorsuale, che in questo senso ha sancito a chiare lettere, tra i principi generali del Codice della crisi, il dovere del debitore, durante la procedura di regolazione della crisi, di gestire l'impresa «nell'interesse prioritario dei creditori» (art. 4, comma 2 lett. c) (Rordorf).

Venendo al secondo profilo di critica, quanto esposto nel precedente paragrafo potrebbe forse spingere a dubitare non solo della necessità dell'invocazione della figura dell'abuso del diritto, ma anche della sua fondatezza. Con una battuta in dottrina si è detto che «l'abuso [...] quando va bene non serve a nulla e quando va male fa dei danni» (Fornaciari). Una battuta sì, ma nel nostro caso forse neanche tanto, perché qui di rischi (o danni) ce ne sono eccome, trovandoci «in un campo, quello concordatario, percorso da un latente conflitto tra istanze di autonomia negoziale, perduranti profili pubblicistici e invasiva presenza giudiziaria [...] talvolta protesa anche a rivendicare per sé compiti di cui è stata oramai esentata» (D'Attorre). Venuto meno il presidio dell'eterotutela giudiziale, l'abuso del diritto può offrire uno strumento utile per contrastare le deviazioni funzionali nell'esercizio dell'autonomia privata, ma va adoperato con i dovuti modi: «se brandito per giustificare revival dirigisti o ripristinare controlli di moralità sulla condotta del debitore» (ibidem), l'invocazione dell'abuso finisce per diventare essa stessa un abuso (cfr. Rescigno).

Un'ultimissima considerazione può rivolgersi alle prospettive future.

Come detto il cci assume che la crisi d'impresa imponga un radicale sovvertimento della gerarchia degli interessi in gioco, sul presupposto che in questa fase siano di fatto i creditori a sobbarcarsi il rischio di perdite. Ma non è l'unica novità di rilievo, perché a tale riconoscimento corrisponde in capo agli stessi creditori anche l'espressa previsione di doveri, declinati in termini di leale collaborazione verso il debitore, i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione della crisi e gli organi nominati dall'autorità giudiziaria (art. 4, comma 3 CCI). L'impostazione del legislatore rivela così l'intenzione di un bilanciamento di diritti e doveri che si spiega nell'ottica di una visione cooperativa o collaborativa delle procedure di regolazione della crisi tra tutti i soggetti coinvolti, in modo da agevolarne l'esito positivo (Rordorf). Per quanto si tratti di enunciazioni di carattere generale, di cui occorrerà valutare la messa in pratica, non è azzardato credere (o almeno auspicare) che tali premesse possano favorire finalmente la presa d'atto di tutti quegli aspetti che le precedenti riforme evidentemente non avevano chiarito in modo sufficiente persuasivo: compresi quelli inerenti alle questioni trattate in questo contributo, che come visto non sono del tutto affrancate da equivoci, più o meno «gravi» (così anche Santagata e Rordorf).

Guida all'approfondimento

LENDVAI, Mancata disclosure degli atti di mala gestio e revoca del concordato, 28 aprile 2017, in questo portale; NISIVOCCIA, Sulla revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Fall., 2018; CENSONI, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo dopo le riforme, in ilcaso.it, 2013; GRIFFINI, Atti di frode e parziale reintroduzione, in via pretoria, del giudizio di meritevolezza, in Giur. it., 2015; SCHIANO DI PEPE, è possibile «rifondare» l'art. 173 legge fallimentare?, in Dir. fall., 2008; AMBROSINI, Il concordato preventivo, in VASSALLI-LUISO-GABRIELLI, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, vol. IV, Torino, 2014; CATALLOZZI, La formazione delle classi tra autonomia del proponente e tutela dei creditori, in Fall., 2009; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato Vassalli, XV, Roma, 1950; FABIANI, La ricerca di una tutela per i creditori in minoranza nel concordato fallimentare, in Giur. comm., 2012; GENTILI, Autonomia assistita ed effetti ultra vires nell'accettazione del concordato, in Giur. comm., 2007; LO CASCIO, Concordato preventivo: incerti profili interpretativi, in Fall., 2012; D'ATTORRE, Il conflitto di interessi fra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010; AZZARO, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fall., 2007; SACCHI, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Fall., 2009; LO CASCIO, Percorsi virtuosi ed abusi nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 900; D'ATTORRE, Le sezioni unite riconoscono (finalmente) il conflitto d'interessi nei concordati, in Fall., 2018; SANTAGATA, Concordato preventivo “meramente dilatorio” e nuovo “codice della crisi e dell'insolvenza”: verso il tramonto dell'abuso di diritto (o del processo)? , in Dir. fall., 2019; D'ATTORRE, L'abuso del concordato preventivo, in Giur. comm., 2013; ZANICHELLI, Abuso del concordato per richiesta abusiva di autorizzazione ex art. 169 bis e ammissibilità dello scrutinio della Cassazione, in Fall., 2021; RESCIGNO, L'abuso del diritto, in Riv. Dir. civ., 1965; GENTILI, L'abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. Civ., 2012; RORDORF, Il diritto esorbitante: abuso del diritto, abuso del processo, abuso del concordato, in Fall., 2020; A. PERRINO, Abuso del diritto e concordato fallimentare: un tentativo di affermare il principio della giustizia contrattuale?, in Foro it., 2011; FORNACIARI, L'abuso dell'abuso del processo , in Riv. dir. proc., 2017; PACCHI, L'abuso del diritto nel concordato preventivo, in Giust. civ., 2015; PATTI, voce Abuso del diritto, in Digesto disc. priv., Torino, 1987; RORDORF, Azioni di responsabilità, concordato preventivo e amministrazione controllata, in Società, 2005; GALLETTI, Le azioni di responsabilità esercitate nel corso di procedure di concordato preventivo, in questo portale, 31 marzo 2015; FABIANI, Ammissibilità e legittimazione del creditore alla proposizione dell'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. nei confronti degli organi di una società in concordato preventivo, in Banca borsa, 2015; RORDORF, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fall., 2021; STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007.

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