Giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c. e condotte extra lavorative che provocano una lesione del vincolo fiduciario

Francesca Giordano
09 Giugno 2022

La nozione di “giusta causa” ex art. 2119 c.c. ricomprende anche condotte extra lavorative che, seppure poste in essere dal lavoratore al di fuori dell'azienda...
Massime

La nozione di “giusta causa” ex art. 2119 c.c. ricomprende anche condotte extra lavorative che, seppure poste in essere dal lavoratore al di fuori dell'azienda, dell'orario di lavoro e non riguardanti l'esecuzione della prestazione lavorativa, risultino comunque tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, compromettendo le aspettative riposte dal datore di lavoro nel futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa da parte del dipendente, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività svolta.

Nell'ambito dell'autonomia del rapporto tra procedimento penale e disciplinare, il giudice del lavoro, ai fini del proprio convincimento, può valutare discrezionalmente le prove raccolte in un processo penale, senza dover attendere la sua definizione.

Il caso

Con ricorso ex art. 1 co. 47 e ss. L. 92/2012 un dipendente di una società a partecipazione pubblica agiva in giudizio affinché fosse accertata la illegittimità del licenziamento per giusta causa adottato nei suoi confronti ai sensi dell'art. 2119 c.c., invocando conseguentemente la reintegra nel posto di lavoro e, in via subordinata, la corresponsione dell'indennità risarcitoria ex art. 18 co. 5 L. 300/1970.

Nel caso di specie l'azienda datrice di lavoro ha fondato il recesso sulla mancata comunicazione da parte del ricorrente di informazioni relative al procedimento penale pendente nei suoi confronti ma anche, soprattutto, sulla gravità dei fatti emersi nel corso dello stesso (imputazione dei reati di divulgazione di materiale pedo pornografico), avendo ciò determinato una chiara violazione degli artt. 2104 e 2105 c.c., stante l'irrimediabile lesione del vincolo fiduciario anche in considerazione delle mansioni svolte dal ricorrente comportanti contatti con il pubblico.

Il ricorrente ha contestato che il licenziamento potesse avvenire sulla base di fatti riconducibili all'esclusivo ambito della sua vita privata e come tali, secondo tale ricostruzione, insuscettibili di essere valutati ai fini disciplinari dal datore di lavoro.

La società convenuta si costituiva in giudizio eccependo l'infondatezza della domanda del ricorrente e concludendo per il suo rigetto.

Il Tribunale decideva per il rigetto del ricorso, tenuto conto dei principi generali di ragionevolezza e proporzionalità.

Le questioni

Le questioni in esame (qui trattate in senso inverso rispetto a quello seguito dalla sentenza al fine di valorizzare il nesso di causalità logica tra le due) sono le seguenti:

a) la nozione di giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. può ricomprendere condotte extra lavorative?

b) ai fini del convincimento del giudice del lavoro possono avere rilevanza gli elementi istruttori raccolti nell'ambito di un procedimento penale? (ancorché non definito con sentenza di condanna?)

Le soluzioni giuridiche

Sul primo tema la decisione in commento espressamente richiama l'orientamento della Suprema Corte secondo cui “la nozione di giusta causa di recesso”, in chiave non ontologicamente disciplinare, ricomprende anche condotte extra lavorative che, seppure poste in essere dal lavoratore al di fuori dell'azienda e dell'orario di lavoro e non direttamente riguardanti l'esecuzione della prestazione, possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività (tra le più recenti richiamate Cass. 10 novembre 2017, n. 26679; Cass. 29 marzo 2017 n.8132).

Secondo tale orientamento sussiste un vero e proprio obbligo del lavoratore – definito accessorio- a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o di comprometterne il vincolo fiduciario.

Il Tribunale, a supporto della decisione in commento, richiama il principio giurisprudenziale (espresso in Cass. 18 agosto 2016, n. 17166) in base al quale la giusta causa di licenziamento è una nozione legale di carattere generale e pertanto il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo applicabili, ad eccezione delle ipotesi in cui il fatto contestato sia punito con una sanzione conservativa.

Conseguentemente il giudice può ritenere che la giusta causa di recesso sia configurabile, oltre che nelle ipotesi punite dalla contrattazione collettiva con la sanzione espulsiva, anche in presenza di un grave inadempimento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro.

In via generale è stato inoltre ribadito che la giusta causa deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, più in particolare, dell'elemento fiduciario, con conseguente necessità di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta.

Ciò al fine di stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale da giustificare il recesso quale evento che non consente “la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto”.

La gravità dei fatti deve essere valutata in concreto, con riferimento alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alle posizioni delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni svolte dal dipendente, nonché della portata oggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 26 luglio 2011, n.16823).

In particolare, la valutazione sulla gravità della condotta extra lavorativa può variare in relazione alle mansioni svolte dal dipendente e alla natura dell'attività condotta dall'azienda datrice di lavoro, assumendo un'intensità maggiore nel caso in cui la prestazione lavorativa venga svolta, come nella fattispecie in esame, per l'espletamento di un servizio pubblico (Cass. 19 gennaio 2015, n. 776).

Sulla base di tali considerazioni la decisione in commento, muovendo dall'orientamento giurisprudenziale sopra menzionato, ha altresì ritenuto che ai fini del proprio convincimento il giudice del lavoro possa autonomamente valutare ogni elemento dotato di efficacia probatoria e dunque, anche le prove raccolte in un processo penale (quali le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali: così Cass. 30 gennaio 2013, n. 2168 espressamente richiamata e Cass. 2 marzo 2017, n. 5317).

Ciò non soltanto nell'ipotesi in cui il procedimento penale risulti definito con sentenza di condanna ma anche in quella, rappresentata nella fattispecie in esame, in cui lo stesso risulti ancora pendente (il Tribunale ha fondato il proprio convincimento soprattutto sulla base delle risultanze del provvedimento di sequestro della magistratura penale emesso nel giudizio ancora pendente nei confronti del ricorrente).

Osservazioni

La decisione in commento è meritevole di segnalazione in primo luogo per avere ribadito i principi giurisprudenziali già espressi in sede di legittimità sulla nozione di giusta causa di recesso ai sensi dell'art. 2119 c.c., comprensiva delle condotte extra lavorative allorquando siano connotate da profili di particolare gravità tali da scuotere la fiducia riposta dal datore di lavoro nei confronti del prestatore di lavoro subordinato, anche in relazione al futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa.

A tale riguardo preme altresì rilevare che la S.C. ha recentemente ribadito la rilevanza disciplinare della condotta extra lavorativa illecita, realizzata, come nella fattispecie in esame, attraverso comportamenti a rilevanza penale di gravità tale da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro (in questo senso Cass. 15 ottobre 2021, n. 28368)

La decisione richiama altresì una serie di sentenze della Suprema Corte, pronunciate nel corso dell'ultimo decennio, volte ad affermare la natura di “clausola generale” della giusta causa di recesso, come tale interpretabile dal giudice anche attraverso la valorizzazione di fattori esterni relativi alla coscienza generale, anche se non tipizzati dalla contrattazione collettiva, riconducibili ai principi della comune etica o del vivere civile.

In caso di impugnativa del licenziamento la configurabilità di condotte extra lavorative ai fini della giusta causa di recesso è sottoposta alla valutazione del giudice con riferimento alla gravità dei fatti in cui le condotte stesse si traducono, e allo specifico contesto di riferimento.

In conclusione può allora affermarsi che l'elemento fiduciario non è solo quello riferibile agli inadempimenti connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro ma anche quello, valutabile sotto il profilo sociologico, alla stregua dei comuni principi del vivere civile.

Pertanto la violazione della “fiducia” da parte del lavoratore, così estensivamente considerata, comporta la legittimità del licenziamento disposto nei suoi confronti, nel caso in cui tale fondamentale elemento fiduciario risulti definitivamente lacerato sulla base delle risultanze istruttorie, ancorché non definitive, emerse dal parallelo, sebbene allo stesso tempo autonomo, procedimento penale a carico del dipendente.

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