Se l'attività era chiusa a causa COVID-19 l'affitto deve essere ridotto della metà

Edoardo Valentino
06 Giugno 2022

Il Tribunale di Milano, Sezione XIII, con la sua decisione del 6 aprile 2022 sottolinea come se l'attività commerciale rientrava tra quelle chiuse e inattive a causa dell'emergenza pandemica COVID-19, per il periodo di chiusura imposto dalla legge il proprietario ha diritto a percepire un canone di locazione ridotto al 50%.

Il caso. Il proprietario di un locale commerciale agiva in giudizio avverso il conduttore, una società che gestiva, all'interno della predetta proprietà, una attività di ristorazione.

Con la domanda giudiziale depositata il proprietario chiedeva il pagamento dei canoni di locazione arretrati, oltre alle corrispondenti spese condominiali.

Resisteva in giudizio il conduttore lamentando come, nel periodo di addebito dei canoni, l'attività sarebbe stata chiusa a causa della nota emergenza pandemica globale denominata “COVID-19”.

Alla luce della chiusura, quindi, essa domandava la tutela conferita all'inadempiente dal Codice Civile.

L'articolo 1464 c.c., infatti, specifica che «Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale».

In buona sostanza, quindi, il conduttore non negava il pagamento dei canoni, ma invocava la protezione della citata norma che – alla luce di un avvenimento che rendeva oggettivamente parzialmente impossibile l'adempimento della prestazione – consente all'inadempiente di ridurre in maniera proporzionale il pagamento (ossia la sua controprestazione).

Il quadro normativo e la decisione del tribunale di Milano. Con la sentenza numero 3020 del 2022 la Tredicesima sezione del Tribunale di Milano risolveva in modo condivisibile la questione giuridica sopra riportata.

Analizzando la questione, infatti, il Giudice prendeva le mosse dal quadro normativo emergenziale relativo al periodo COVID-19 e riportava porzioni delle normative emesse per fare fronte all'emergenza e limitare il contagio.

Come noto, tali normative stabilivano da un lato il “lockdown” (confinamento) dei cittadini e, parimenti, la chiusura delle attività considerate non necessarie ed essenziali.

Al fine di completare il quadro, tuttavia, le normative citate si occupavano altresì di disciplinare casi come quello in questione.

Il riferimento va agli artt. 36-bis del d.l. n. 6/2020 e 91 del d.l. n. 18/2020 nei quali si afferma che «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 del Codice Civile, della responsabilità del debitore».

L'articolo 261 comma 3, della Legge 77 del 2020, poi, stabiliva la sospensione di svariate attività commerciali.

Nella relazione illustrativa della predetta norma, tuttavia, era specificato come «il contratto di locazione nel periodo di cui al conduttore è inibita per factum principis la utilizzabilità dell'immobile locato secondo l'uso pattuito, non realizza lo scopo oggettivo per il quale fu stipulato. Si verifica una alterazione concreta del sinallagma che, in un contratto commutativo, non può che determinare un intervento di riequilibrio da parte dell'Ordinamento».

Alla luce del quadro normativo sopra riportato il Tribunale di Milano compieva un salto logico – condivisibile – ricomprendendo anche l'attività di ristorazione all'interno di quelle bloccate per disposizione normativa.

Rilevava quindi il giudice come, per circostanze oggettive e non attribuibili alle parti contrattuali, il contratto di locazione era rimasto parzialmente inadempiuto dal proprietario, che non aveva potuto per diversi mesi (dall'1 aprile 2020 all'11 ottobre 2021) consentire al ristoratore l'uso pattuito.

A tale circostanza, una diminuita utilità del bene, doveva quindi corrispondere una corrispondente diminutio anche del canone corrisposto.

Decidendo la questione, quindi, il Tribunale condannava comunque il ristoratore a pagare gli affitti e spese condominiali arretrate, ma ne riduceva gli importi del 50%, proprio alla luce della diminuzione dell'utilità del locale commerciale nel periodo COVID.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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