Decisione emessa in uno Stato UE: conseguenze della mancata dichiarazione di esecutività
13 Giugno 2022
Massima
L'esecuzione instaurata sulla base di decisione circolante ai sensi del Regolamento CE n. 44/2001 non preceduta dalla dichiarazione di esecutività disciplinata a partire dall'art. 38 del medesimo Regolamento è un'esecuzione radicata in assenza di titolo. La mancanza di tale dichiarazione può esser fatta valere ai sensi dell'art. 615 c.p.c. Il caso
Tizia, creditrice di Caio sulla base di una decisione inglese del 2014, ottiene dall'autorità britannica l'attestato di esecutività previsto dall'art. 54 del Regolamento CE n. 44/2001 e richiede alla Corte di Appello di Napoli la dichiarazione di esecutività della decisione ai sensi degli artt. 38 ss. del medesimo regolamento. A fronte del provvedimento di non luogo a provvedere (motivato dalla Corte partenopea sul superamento, per effetto del Regolamento UE n. 1215/2012, del procedimento disciplinato dal Regolamento CE 44/2001 a partire dall'art. 38) Tizia, nel 2021, instaura procedura di espropriazione presso terzi innanzi al Tribunale di Napoli. Caio propone ricorso ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c. lamentando, tra l'altro: i) la mancata esecutività della decisione inglese (priva sia del certificato di titolo esecutivo europeo previsto dal Regolamento CE n. 805/2004, sia del provvedimento di esecutività richiesto dal Regolamento CE n. 44/2001); ii) la mancata possibilità per la decisione, in conseguenza della c.d. “Brexit”, di circolare sulla base delle regole eurounitarie, dovendo invece applicarsi le norme di diritto privato internazionale dello Stato dell'esecuzione; iii) la mancanza, quanto alla decisione inglese, diadeguata motivazione e dell'indicazione del rapporto di credito sottostante, con conseguente lesione del diritto di difesa. Il giudice dell'esecuzione rigetta l'istanza di sospensione dell'esecuzione ritenendo, sulla base del decreto già pronunciato dalla Corte d'Appello di Napoli, applicabile il Regolamento UE n. 1215/2012 e valutando come non fondate le doglianze relative alla lesione del diritto di difesa. Avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecuzione Caio propone reclamo ai sensi degli artt. 624 e 669-terdecies c.p.c. deducendo (per quanto qui interessa) che, ratione temporis, non può trovare applicazione la disciplina del Regolamento UE n. 1215/2012, ma, solo, quella del Regolamento CE n. 44/2001 (con conseguente onere, per il creditore, di ottenere la dichiarazione di esecutività). La questione
Quando una decisione adottata in uno Stato membro dell'Unione circola in base al Regolamento CE n. 44/2001 e quando, invece, in base al Regolamento UE n. 1215/2012? Quali sono le conseguenze della instaurazione di un'espropriazione sulla base di una decisione circolante ai sensi del Regolamento CE n. 44/2001 per il caso in cui il creditore non abbia preventivamente ottenuto la dichiarazione di esecutività disciplinata a partire dall'art. 38 del medesimo Regolamento? Le soluzioni giuridiche
Avuto riguardo alle difese delle parti, il Collegio, in via preliminare, esclude tanto l'applicabilità del Regolamento CE n. 805/2004 (non essendo il provvedimento del quale si chiede l'esecuzione una decisione relativa ad un credito non contestato nell'accezione del regolamento da ultimo citato), quanto la rilevanza della c.d. “Brexit” (atteso che, ai sensi dell'art. 67, comma 2, lett. a) dell'Accordo di Recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica, nel Regno Unito e negli Stati membri dell'Unione europea in situazioni che coinvolgano il Regno Unito, il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze e delle decisioni giudiziarie continua ad essere soggetto al Regolamento UE n. 1215/2012 laddove quei provvedimenti siano pronunciati in azioni proposte prima della fine del periodo di transizione – «termine coincidente con il 31 dicembre 2020»). Sempre in via preliminare, il provvedimento che qui si annota delinea le differenze esistenti, quanto alla circolazione delle decisioni nello spazio giudiziario comune, tra il Regolamento CE n. 44/2001 ed il Regolamento UE n. 1215/2012 il quale ultimo, per quanto qui interessa, ha eliminato la necessità della preliminare procedura per la dichiarazione di esecutività della decisione straniera ed ha rimesso l'accertamento di cause ostative alla circolazione della decisione «ad una domanda (eventuale) da formularsi a cura della parte destinataria dell'esecuzione»; domanda che va proposta secondo le modalità previste dalla disciplina processuale dello Stato dell'esecuzione e che, quanto all'ordinamento italiano, «si traduce nell'utilizzo del modulo processuale dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. (attraverso il quale, quindi, l'esecutato può veicolare i motivi idonei a giustificare il diniego di esecuzione ai sensi dell'art. 45 del Regolamento) e dell'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (limitatamente, beninteso, ai profili concernenti la regolarità formale del procedimento da seguirsi, come, ad esempio, in relazione all'obbligo di notificazione preventiva dell'attestato di esecutività ai sensi dell'art. 43 del Regolamento)». Tanto premesso, il Collegio partenopeo, nell'accogliere il reclamo, osserva che la circolazione della decisione inglese pronunciata nel 2014 deve avvenire sulla base del Regolamento CE n. 44/2001 il quale, secondo quanto risulta dall'art. 66 del Regolamento UE n. 1215/2012, continua ad applicarsi alle decisioni emesse nei procedimenti promossi anteriormente al 10 gennaio 2015. Ne discende la necessità di conseguire, prima della instaurazione dell'esecuzione, la dichiarazione di esecutività prevista dall'art. 39 del Regolamento Bruxelles I; dichiarazione che, nel regime procedimentale delineato da tale regolamento è momento necessario per consentire l'(eventuale) emersione del conflitto tra le parti quanto alla esistenza di cause ostative alla circolazione della decisione. Proprio la rilevanza (in relazione alla sequenza procedimentale delineata dal regolamento) di tale dichiarazione induce il Collegio ad affermare che, in difetto di dichiarazione ex artt. 38 ss. del Regolamento CE n. 44/2001, l'espropriazione deve ritenersi instaurata in mancanza di titolo e che tale carenza può essere fatta valere mediante lo strumento dell'art. 615 c.p.c. Né, prosegue l'ordinanza qui in esame, a diversa conclusione può pervenirsi alla luce del provvedimento di non luogo a provvedere pronunciato dalla Corte di appello sulla domanda proposta da Tizia ai sensi degli artt. 38 ss. del regolamento. Tale provvedimento, infatti, non ha efficacia di giudicato atteso che, per un verso, esso si risolve, nella sostanza, in un provvedimento di rigetto dell'istanza e, per altro verso, la natura monitoria del procedimento delineato -a partire dall'art. 38- dal Regolamento CE n. 44/2001 «comporta che – al di là della questione circa un eventuale onere di impugnazione ai sensi dell'art. 43, primo comma, del medesimo Regolamento – il decreto di rigetto lascerebbe impregiudicata la possibilità di riproposizione della domanda (art. 640, terzo comma, c.p.c.)». Osservazioni
La decisione che si commenta offre una condivisibile ricostruzione dei diversi regimi di circolazione delle decisioni contemplati dai Regolamenti CE n. 44/2001 ed UE n. 1215/2012 e, prima ancora, una esatta individuazione dell'ambito temporale di applicazione di tali distinti regimi. A tale ultimo proposito è opportuno (attesa la confusione che, talvolta, si registra sul punto) precisare che, pur se adottata (o posta in esecuzione) successivamente al 2015, la decisione è destinata a circolare secondo il regime del Regolamento (CE) n. 44/2001 allorquando sia stata resa in un procedimento proposto prima del 10 gennaio 2015 (art. 66, Regolamento UE n. 1215/2012). Tanto premesso, il Regolamento Bruxelles I prevede un regime di circolazione delle decisioni meno semplificato rispetto a quello disciplinato dal Regolamento n. 1215 (il quale ultimo è espressione di una ancora più intensa reciproca fiducia quanto alle modalità di esercizio della giustizia nei diversi Stati membri) poiché richiede l'adozione, da parte della competente autorità dello Stato membro dell'esecuzione, di una dichiarazione di esecutività. Tale dichiarazione (che presuppone l'esistenza di una decisione munita di efficacia esecutiva nell'ordinamento d'origine - Corte di giustizia, 13 ottobre 2011, C-139/10, Prism Investments BV,p. 31; in dottrina, tra gli altri, Merlin, 450) costituisce l'esito di un controllo formale (Merlin, 443 ss. che osserva anche come il regolamento n. 44/01 abbia sensibilmente ridimensionato gli adempimenti formali posti, a carico del richiedente, dalla Convenzione di Bruxelles del 1968) esercitato in assenza di contraddittorio dall'autorità competente che viene individuata, sotto il profilo verticale (art. 39.1), in quella indicata all'allegato II del regolamento (per l'Italia, la Corte di appello) e, sotto il profilo orizzontale (art. 39.2), alla luce del domicilio della parte contro la quale è chiesta l'esecuzione o alla luce del luogo dell'esecuzione (la portata generale di tale ultimo criterio di competenza orizzontale - destinato, nella vigenza della Convenzione di Bruxelles del 1968, ad operare solo nel caso di debitore privo di domicilio nello Stato richiesto- è stata spiegata in considerazione dell'intento di favorire la possibilità, per il richiedente, di concentrare le proprie iniziative giudiziarie in un solo foro, avviando la procedura di exequatur nel luogo dove egli già sa che intraprenderà l'esecuzione - Merlin, 443-444). Pur consistendo in un controllo formale, va escluso che la decisione sulla istanza di esecutività possa esser negativa solo in conseguenza dell'incompletezza o della irregolarità della documentazione presentata, essendo in realtà l'autorità richiestane tenuta a verificare (oltre al segnalato requisito della esecutività della decisione nello Stato membro d'origine - esecutività risultante dall'attestazione apposta ai sensi dell'art. 54) che la decisione sia stata resa in materia civile e commerciale (cfr. art. 1 del Regolamento CE n. 44/2001) e che la stessa rientri nella nozione di decisione riconoscibile ai sensi dell'art. 32 del Regolamento (Merlin, 449-450, Ravidà, 268). Il procedimento disciplinato a partire dall'art. 38 del Regolamento CE n. 44/2001 è, secondo la Corte di cassazione italiana, procedimento strutturalmente caratterizzato dal «modulo istanza - decisione - opposizione, come procedura di tipo monitorio, con provvedimento su ricorso di una parte senza audizione dell'altra, salvo successiva pronuncia in contraddittorio a seguito di opposizione da proporsi nelle forme e nei termini ivi sanciti» (Cass. civ., sez. I, ord., 26 aprile 2021, n. 10987); procedimento che, secondo il provvedimento che si annota, costituisce presupposto per l'(eventuale) emersione (entro il termine di decadenza - Cass. civ., sez. I, sent., 25 gennaio 2016, n. 1260- previsto dall'art. 43 del Regolamento) del “conflitto” tra le parti in ordine ad uno dei motivi indicati agli artt. 34 e 35 del Regolamento. Così ricostruito il procedimento, non può che ritenersi che l'assenza di quella dichiarazione costituisca alterazione della complessiva struttura procedimentale delineata dal regolamento e precluda la possibilità di validamente instaurare un'espropriazione. Da ultimo, è opportuno rilevare che, pur non ritenendo in concreto applicabile il Regolamento UE n. 1215/2012, il Collegio afferma che, nel regime di tale ultimo regolamento (il quale ha eliminato il pur semplificato exequatur previsto dal regolamento Bruxelles I), l'accertamento delle cause ostative alla circolazione di tale decisione deve, in Italia, avvenire mediante l'opposizione all'esecuzione. Sia pure con obiter dictum, l'ordinanza aderisce quindi all'orientamento maggioritario in dottrina (D'Alessandro, 337 ss.; Malatesta, Nisi, 151 ss.; Salerno, 384) secondo il quale i motivi di diniego previsti all'art. 46 del Regolamento UE n. 1215/2012 possono farsi valere in sede di opposizione all'esecuzione. Tale soluzione risulta argomentata: a) sul considerando 30 del Regolamento che, senza in alcun modo richiamare il giudizio di accertamento della mera riconoscibilità della decisione straniera, prevede che la parte che si oppone all'esecuzione di una decisione emessa in altro Stato membro dovrebbe «nei limiti del possibile e, conformemente al sistema giuridico dello Stato membro richiesto», poter invocare nella stessa procedura sia i motivi di diniego contemplati dal regolamento, sia i motivi di opposizione contemplati dall'ordinamento nazionale; b) sull'art. 44 del Regolamento che (ove si ritenessero esistenti due distinti giudizi per i motivi di diniego dell'esecuzione e di opposizione all'esecuzione per motivi nazionali) finirebbe con il delineare un atipico potere di sospensione dell'esecuzione da parte di un giudice diverso da quello dell'esecuzione; c) sul rilievo per il quale la diversa soluzione potrebbe comportare una contemporanea pendenza di giudizio di diniego dell'esecuzione e di opposizione all'esecuzione foriera di inevitabili difficoltà nel coordinamento tra i due procedimenti. Di diverso avviso è, invece, quella dottrina (Carbone, Tuo, 347 ss.) secondo la quale il diniego dell'esecuzione (e/o del riconoscimento) dovrebbe essere accertato da un giudice diverso da quello dell'esecuzione (con conseguente, possibile coesistenza di un giudizio teso ad accertare cause ostative del riconoscimento o dell'esecuzione e di un'opposizione all'esecuzione per motivi interni) attesa: i) la natura funzionale ed esclusiva della competenza assegnata unitariamente ai sensi dell'art. 47.1 sia per la riconoscibilità (artt. 36.2 e 45.4), sia per l'eseguibilità della decisione (artt. 46 ss.); ii) la diversità dei procedimenti (e delle autorità giurisdizionali competenti a pronunciarsi) di opposizione all'esecuzione regolata dal diritto interno e di accertamento dei motivi di diniego quale confermata dall'art. 44 del Regolamento n. 1215; iii) il valore non cogente, ma, solo, esortativo del considerando 30; esortazione che non è stata accolta dall'Italia che, ai sensi dell'art. 75, ha comunicato alla Commissione la competenza a decidere sulle domande ex art. 46 del regolamento in capo al Tribunale (pur potendo esservi, per l'opposizione all'esecuzione, una competenza per valore del giudice di pace il quale - invece - risulta del tutto privato della conoscenza delle domande ex art. 46 giusta la comunicazione ex art. 75). Riferimenti
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