I poteri del CTU medico-legale: osservazioni sulle sentenze delle Sezioni Unite
13 Giugno 2022
Premesse
La sentenza più recente riprende largamente altra di poco precedente (SS.UU. n. 3086/2022) ampiamente commentata su questo sito nei profili giuridici (Gentile I., I poteri del CTU e le conseguenze in ipotesi di CTU che abbia esorbitato il mandato peritale e/o abbia acquisito documenti non versati dalle parti) ed a quella sintesi si rinvia per le questioni strettamente giuridiche.
Vi è da osservare che la seconda sentenza (6550/2022) è incardinata su un'indagine contabile che ha specificità operative disciplinate dal c.p.c. e per questi motivi non si presta integralmente a estrapolazioni su altri tipi di accertamenti, tra i quali ricadono le CTU a contenuto medico-legale sulle quali si intende qui proporre qualche considerazione. La prima sentenza, al contrario, riguarda una CTU non contabile. Peraltro, le due decisioni riguardano questioni che rientrano nell'esperienza corrente di chi svolge attività come CTU in ambito bio-medico. Ruolo e poteri del CTU
Un primo aspetto che le due sentenze puntualizzano è il ruolo del consulente nel processo, inteso come soggetto il cui intervento è reso necessario per il giudice al fine di superare inevitabili sue lacune conoscitive in ambiti specialistici. Il ruolo del CTU si colloca nella sfera di azione del giudice divenendo soggetto a lui complementare; in altri termini, “poiché il giudice procede alla nomina del consulente quando reputi necessario disporre di particolari competenze tecniche, le indagini che il consulente è incaricato di svolgere sono quelle stesse indagini che il giudice non avrebbe bisogno di compiere se disponesse delle particolari competenze tecniche richieste nel caso specifico”.
La conseguenza di questa premessa è che la sfera di azione del CTU rispecchia (anche se non integralmente) quella del giudice nell'ambito istruttorio e, specificamente, nell'area della prova. E questo vale per le due possibili articolazioni della CTU che (da tempo, ormai) vede la distinzione tra CTU deducente e percipiente (Cass. civ. sez. un., 4 novembre 1996, n. 9522). Incidentalmente, vale la pena osservare che una CTU di area medica difficilmente ha un contenuto puramente deducente, poiché anche nel caso della valutazione di sequele di un illecito compiutamente provato (tipicamente, l'incidente stradale) sono da risolvere questioni di causalità rispetto al danno alla persona in cui l'apporto interpretativo tecnico è centrale e non sostituibile. Non si tratta, quindi, di una lettura in chiave “scientifica” di elementi già acquisiti ma dell'introduzione di elementi di giudizio non altrimenti acquisibili. Pacificamente, tali aspetti trovano la massima espansione in campi in cui l'analisi tecnica è funzionale alla definizione dell'illecito oltre che delle sue conseguenze (in primo luogo, tutto l'ambito della responsabilità professionale medica).
Le due sentenze, sempre nella prospettiva di un confronto con l'operatività del CTU, definiscono un altro aspetto essenziale, vale a dire l'area entro cui il CTU può muovere la sua analisi, individuando tre limiti invalicabili. Il primo è, essenzialmente, il divieto di estendere le indagini oltre ai “fatti principali” che le parti hanno posto a fondamento della loro azione; il secondo è costituito dal vincolo alle indagini disposte dal giudice che sono il confine del suo intervento; il terzo è il rispetto del contraddittorio.
In questa cornice, il CTU è autorizzato a “accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli”, come anche acquisire documenti necessari per la risposta ai quesiti.
Il primo ed essenziale tema è la chiara definizione del consulente come ausiliario del giudice che, di conseguenza, diventa il suo interlocutore primario. Le parti sono soggetti principali del processo ma il CTU è inserito nella sfera di intervento del giudicante proprio per il fatto che è il soggetto esterno che deve risolvere questioni che esorbitano dalla possibilità di valutazione autonoma del giudice e, più in generale, dei soggetti giuridici coinvolti.
In questo contesto si inserisce il vincolo di agire al “solo scopo di far conoscere ai giudici la verità” (art. 193 c.p.c.). Si tratta di un impegno personale (giuramento) che focalizza il fine dell'indagine (conoscere la verità) e il destinatario dell'indagine (i giudici); da ciò consegue, operativamente, che l'indagine vede nelle posizioni delle parti un confine invalicabile (connesso ai fatti principali addotti da queste ultime) ma non altre limitazioni, sempre che sia rispettato il contraddittorio e che le indagini si inscrivano nel perimetro del quesito posto. Il nucleo centrale della questione sta nella posizione del CTU che, assimilato nella sostanza al giudice, a questi solo risponde e non può avere condizionamenti se non quelli (generali) richiamati prima (si legge nella s. 6550/2022, § 13: ”…l'attività del consulente ha sempre e solo un destinatario, perché egli compie le indagini che gli sono commesse al solo scopo di far conoscere al giudice la verità. L'opzione consulenziale si mostra così svincolata dalla volontà delle parti risultando affidata al solo apprezzamento del giudice che vi ricorre quando la definizione della contesa al suo esame postuli l'acquisizione di conoscenze specialistiche estranee alla sua scienza ufficiale …”. grassetto mio, n. di R.). Non vi è dubbio, in ogni caso, che la questione dell'integrazione documentale continua ad essere un problema nello svolgimento operativo della CTU, per vari ordini di questioni.
Una prima fonte di problemi deriva da una carenza, per così dire, originaria nella produzione documentale. Frequentemente, il CTU deve confrontarsi con lacune consistenti dell'apparato documentale della parte attrice (o ricorrente, in caso di ATP ex art. 696-bis c.p.c.) che emerge dal primo esame della documentazione come anche nel corso della discussione con i consulenti delle parti. Questa situazione può essere dovuta a scelte nella costruzione del fascicolo che, in prima ipotesi, sono da attribuire al legale che autonomamente opera una selezione di documenti che egli ritiene rilevanti. Tipicamente, si osserva l'inserimento della sola lettera di dimissione da un ricovero priva della cartella clinica integrale (sul presupposto che la prima sia “sufficiente”), oppure l'inserimento di stralci della cartella, ragionevolmente quelli che il legale ritiene rilevanti, come anche di una selezione di certificazioni o referti di esami che non sono il repertorio completo dei dati realmente disponibili.
D'altro canto, queste scelte non infrequentemente sono il riflesso delle argomentazioni svolte dai consulenti della parte medesima, trasfuse nella produzione di documenti in accordo con le indicazioni che il legale trae dalla consulenza a sua disposizione. In sostanza, questo secondo punto critico può derivare dall'impostazione iniziale dei profili tecnici in proiezione giudiziaria. Nel commento di I. Gentile sulla sentenza 3086/2022, si legge: “Ancora, si rileva come la ratio posta dalla Corte a giustificazione della deroga ai principi generali in materia di CTU contabile, nell'epoca attuale della diffusione di sofisticate tecnologie in qualsiasi attività (produttiva e non) potrebbe far sorgere più di un dubbio circa la legittimità costituzionale della diversa disciplina di poteri dell'ausiliare in caso di CTU contabile e di CTU, ad es. informatica o in materia di colpa medica, ambiti in cui la complessità della materia pure renderebbe ragionevole attenuare gli oneri assertivi e probatori delle parti stante la difficoltà per le stesse di focalizzare i termini della questione”.
Personalmente non credo che nell'impostare una vertenza di colpa medica la parte sia così disarmata rispetto a questa potenziale difficoltà di “focalizzare i termini della questione” che può (deve) essere superata mediante una valutazione tecnica preliminare adeguata. Nell'area della responsabilità sanitaria, una consulenza tecnica svolta per la parte (e ciò vale in particolare per il versante “danneggiato”) ha la funzione di definire in una fase preliminare i presupposti tecnici della possibile vertenza e, se del caso, inquadrare i profili degli standard operativi biomedici, la deviazione da questi e le conseguenze da ciò derivate e tutto sulla base di riferimenti controllabili e affidabili per scelta delle fonti e logica di analisi; una consulenza efficace è quella che evidenzia tutti gli argomenti (quelli solidi e quelli meno stringenti), così da prospettare al committente un quadro realistico dei profili tecnici e evidenziare anche i punti deboli dell'ipotesi prospettata (e gli eventuali rimedi). Difficilmente una valutazione effettuata secondo questi criteri (che sono in larga misura gli stessi della CTU) manca di evidenziare i termini (tecnici) della questione; certamente, rimane compito dell'interlocutore legale trasfondere la valutazione tecnica in temi giuridicamente rilevanti, operazione non delegabile al consulente ma attuabile in un rapporto dialettico di complementarità di azione analoga a quella tra giudice e consulente dell'ufficio. Il nucleo fondante della valutazione tecnica, in altri termini, sta (sempre) nell'introduzione all'interno del discorso giuridico di valutazioni estranee alla sfera di controllo diretto del giurista. Passaggio intrinsecamente delicato per la radicale differenza di statuti conoscitivi e che apre a complessità profonde la cui analisi si colloca oltre i confini di queste note. Così come per il giudice, anche per la parte la scelta del consulente e la strategia di analisi sono passaggi critici.
Tornando alle osservazioni più direttamente connesse a queste note, altre volte si tratta restrizioni imposte dai sistemi informatici del PCT: si pensi alle indagini radiologiche (radiografie, TAC e RMN) ormai tutte informatizzate sotto forma di files estremamente pesanti così da superare i limiti del sistema, risultando di fatto non producibili se non con il supporto materiale. Se è stato incluso nelle produzioni il relativo referto, non dovrebbe essere un problema l'acquisizione dell'immagine in particolare per quegli esami che si prestano a una rivalutazione. Di fatto, però, non è inusuale che la richiesta del CTU di acquisire il supporto informatico veda opposizioni connesse a un'asserita produzione tardiva. In ultimo, ma senza pretese di completezza, la lacuna può derivare da una mancanza del danneggiato (o chi per esso) che non mette a disposizione sin dall'inizio la documentazione integrale per dimenticanza, scarsa consapevolezza o timore di indebolire la propria posizione.
Quale che sia l'origine della lacuna, una volta che si manifesta sorge la contestuale necessità di colmarla e questo comporta facilmente obiezioni di produzione tardiva dei documenti ingenerando il conflitto tra aderenza formale stretta e tendenziale finalità del processo di cui ampiamente discutono le due sentenze. Ciò si acuisce in relazione alle indagini sui cosiddetti fatti secondari richiamati dalle sentenze. Tralasciando di soffermarsi sulle difficoltà di definizione di questi (sul punto si rimanda al commento di I. Gentile), si consideri, ad esempio, un riferimento ad altro ricovero inserito nell'anamnesi della cartella clinica direttamente correlata all'elemento fondante la richiesta risarcitoria (e regolarmente prodotta). Può trattarsi di un fenomeno satellite, per così dire, ma che potrebbe contenere elementi utili per corroborare (o smentire) la ricostruzione patogenetica degli eventi oggetto del quesito. Alla luce di queste sentenze, non dovrebbero sorgere problemi rispetto all'esame di questa documentazione clinica autonomamente introdotto dal CTU, trattandosi di elementi funzionali alla riposta del quesito principale e non inclusi nella produzione originaria, sempre che sia garantito il contraddittorio. Quest'ultimo, a mio modo di vedere, richiede una discussione collegiale preliminare che evidenzi i presupposti dell'indagine collaterale e la sua connessione al tema principale di indagine; la messa a disposizione del materiale una volta disponibile per il CTU; la rivalutazione dello stesso nella prospettiva delle parti così da rendere partecipe il CTU stesso delle singole posizioni in merito alla pertinenza e al ruolo esplicativo del materiale rispetto al tema principale di indagine. In conclusione
Ad avviso di chi scrive, le due sentenze non possono essere considerate di per sé una guida per il professionista nella conduzione corretta di una CTU, poiché rivolte essenzialmente al giudice nei casi in cui emergano attività ritenute, a torto o a ragione, devianti rispetto alla procedura stabilita dal codice, così da definirne i profili di nullità (relativa o assoluta).
Per questi motivi, non ritengo prudente per il CTU (o il collegio) procedere in autonomia nella acquisizione di documenti, nonostante i principi di diritto che sono stati enunciati dalle due sentenze, per la consapevolezza delle difficoltà di interpretazione giuridica negli snodi essenziali, ben definite nel commento di I. Gentile.
Proprio perché queste sentenze delineano in modo netto le specificità conoscitive dei due interlocutori (area giuridica per il giudice e tecnica per il consulente) e, inoltre, insistono sulla loro complementarità di azione, il principio di collaborazione deve essere valorizzato appieno così da integrare efficacemente le due distinte competenze ed evitare fraintendimenti da parte del consulente sulla praticabilità dell'acquisizione dei documenti e sulla utilizzabilità delle considerazioni basate sui nuovi documenti.
Il tecnico che interviene nel processo deve avere consapevolezza della cornice procedurale entro cui si inserisce il suo intervento e tale consapevolezza deve includere i temi richiamati in sintesi nei paragrafi precedenti. Ma non include valutazioni (e conseguenti decisioni) su temi di stretta pertinenza giuridica che richiedono competenze dedicate, tanto quanto il giudice non è autorizzato a fare valutazioni autonome su temi tecnici (come si deduce dalle ripetute affermazioni delle due sentenze relative alla necessità di integrare l'inevitabile carenza conoscitiva su argomenti tecnici del giudice). In queste situazioni, sarà compito del consulente indirizzare al giudice una richiesta di integrazione documentale specificando con chiarezza la lacuna dei documenti allegati e la finalità dell'integrazione, così come i presupposti tecnici che rendono l'eventuale estensione delle valutazioni necessaria in relazione all'originario tema di indagine sulla base delle connessioni logico-conoscitive tra fatto principale e secondario. Parimenti sarà necessario dare conto della discussione collegiale della questione e, ovviamente, delle posizioni assunte dai consulenti delle parti.
Queste ultime osservazioni conducono inevitabilmente alla competenza del CTU che investe non solo la sua specifica area di attività (che è il requisito basico) ma anche (e sullo stesso piano) la conoscenza dei principi essenziali delle regole processuali (civili e penali). È ben vero che il consulente ha il controllo della sua sfera di azione ma esiste un confine che non può essere superato a prezzo di rendere nulla l'azione interpretativa necessaria per arrivare a una decisione rispettosa delle basi biomediche e delle regole processuali. Riferimenti
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