Utilizzabilità delle prove raccolte in un altro giudizio: quali limiti incontra il giudice?

Pasqualina Farina
14 Giugno 2022

Il giudice civile, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, deve utilizzare per la decisione solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, sicché il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa della sentenza adottata da altro giudice, presuppone che il mezzo istruttorio sia stato ritualmente allegato dalle parti processuali.
Massima

Il giudice civile, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, deve utilizzare per la decisione solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, sicché il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa della sentenza adottata da altro giudice, presuppone comunque che il mezzo istruttorio sia stato ritualmente allegato dalle parti processuali. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello, che aveva utilizzato per la decisione le risultanze di una decisione pronunciata in altro giudizio ed acquisita direttamente dal collegio in camera di consiglio).

Il caso

Il Tribunale di Napoli aveva rigettato l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal Comune della stessa città avverso il decreto ingiuntivo emesso, per il pagamento del saldo di una fattura, a favore di una società che aveva solto il servizio di manutenzione di estintori installati presso scuole ed uffici del medesimo comune.

Il Comune ha impugnato tale provvedimento davanti alla Corte d'appello di Napoli che ha, invece, ritenuto non adeguatamente assolto l'onere del creditore - quale attore in senso sostanziale - di dimostrare in maniera rigorosa l'esecuzione delle prestazioni contrattuali. Pertanto, la Corte - riformando la decisione impugnata - ha accolto l'opposizione proposta dal Comune di Napoli avverso il decreto ingiuntivo.

La società ha, quindi, proposto ricorso in cassazione avverso tale decisione, prospettando diversi motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Comune di Napoli.

La questione

Tra i vari motivi di ricorso, va segnalato che la società ha prospettato la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la Corte d'appello avrebbe officiosamente assunto risultanze probatorie emerse in altro giudizio intercorso tra le parti. Così, secondo la società ricorrente, la Corte avrebbe accolto l'appello sulla scorta di circostanze di fatto non sottoposte al suo vaglio dalle parti e, per di più, erroneamente valutate, posto che le prove assunte riguardavano, in realtà, prestazioni diverse, erogate in altri periodi, rispetto a quelle per le quali era stato chiesto il decreto ingiuntivo.

Con altro motivo la società ha lamentato la violazione dell'art. 27 Cost. e 115 c.p.c., in quanto la Corte d'appello avrebbe ritenuto non sufficientemente provate le prestazioni eseguite dalla società creditrice, basandosi su un mero provvedimento di rinvio a giudizio e non di una sentenza passata in giudicato.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi. Sicché ha cassato la decisione impugnata e rinviato la causa alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, cui è stato demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Le ragioni esplicitate dal Supremo Collegio a fondamento della decisione possono riassumersi nei seguenti termini.

In relazione alla violazione dell'art. 115 c.p.c. (ed alla circostanza che La Corte territoriale «ha acquisito nella camera di consiglio in sede di decisione, come elemento di valutazione», i «contenuti» di un'altra sentenza pronunciata pochi mesi prima), la Suprema Corte ha correttamente precisato che tale disposizione va intesa in maniera rigorosa. Tant'è che le prove non fornite dalle parti possono essere prese in considerazione dal giudice nei soli casi espressamente previsti dal codice di rito civile o da altre fonti normative (come, ad es., per i giudizi di impugnazione, dall'art. 437, comma 2, c.p.c. per l'appello nelle controversie in materia di lavoro o dall'art. 18, comma 10, l. fall. per il giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento).

Nel caso di specie risulta dunque del tutto destituito da qualsiasi fondamento normativo il potere del collegio di acquisire agli atti del giudizio la propria precedente decisione (peraltro in camera di consiglio, senza che il materiale istruttorio ed i relativi fatti fossero vagliati o controllati dalle parti). Ed infatti, il principio secondo cui la conoscenza dei propri precedenti costituisce un dovere istituzionale della Cassazione, nell'adempimento della funzione nomofilattica di cui all'art. 65 dell'ordinamento giudiziario (Cass. civ., sez. un., n. 26482/2007), non opera per il giudice di merito, nemmeno ove si tratti della Corte d'appello.

Non solo. La mancanza del suddetto fondamento normativo nemmeno potrebbe essere bypassata dal principio secondo cui il giudice civile, in mancanza di uno specifico divieto, può liberamente utilizzare le prove, anche atipiche, raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa la sentenza adottata da un diverso giudice, e trarre da esse, senza esserne vincolato, elementi di giudizio, fornendone però un'adeguata motivazione circa il loro utilizzo e procedendo a una diretta e autonoma valutazione delle stesse, dopo avere esaminato le censure proposte dalle parti (Cass. civ., n. 20719/2018, Cass. civ., n. 25067/2018).

Questo principio, infatti, attiene all'ammissibilità all'interno del processo civile di simili prove, ma non può mai costituire una deroga alla disponibilità delle stesse, che, «salvi i casi previsti dalla legge», vanno sempre introdotte nel giudizio ad iniziativa di parte e nel rispetto delle regole generali sull'acquisizione del materiale istruttorio.

Per queste ragioni l'acquisizione stabilita dalla Corte territoriale ha effettivamente violato la lettera dell'art. 115 c.p.c. avendo posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma assunte dal giudice officiosamente al di fuori dei poteri riconosciutigli. Viene così ribadito il principio consacrato nell'art. 115 c.p.c., secondo cui il giudice ha l'obbligo di decidere iuxta alligata et probata: la decisione va unicamente fondata sulle allegazioni delle parti, cioè sulle circostanze di fatto dedotte a fondamento della domanda o dell'eccezione, e sulle prove offerte dalle parti medesime. Detta norma assume un ruolo fondamentale perché tende ad assicurare il rispetto dei principi fondamentali della difesa e del contraddittorio, impedendo che una parte possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia potuta difendere. Si aggiunga che, per le medesime ragioni, l'art. 115, comma 1, c.p.c. e l'art. 97 disp. att. c.p.c. (che fa divieto al giudice di ricevere private informazioni, verbali o scritte, sui fatti di causa) pongono il divieto di utilizzazione della scienza privata del giudice elevandolo a garanzia per il contraddittorio, salva l'eccezione del fatto notorio.

Quanto all'altro correlato motivo, la Cassazione ha pure rilevato come gli esiti dell'indagine penale siano stati (erroneamente) valutati alla stregua di una prova diretta e non quali elementi indiziari idonei alla dimostrazione di un fatto determinato. Anche in questo caso, i Giudici napoletani hanno disatteso il principio (di matrice giurisprudenziale) per il quale il giudice di merito, in mancanza di esplicito divieto di legge, può avvalersi anche delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, alla stregua di semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio. Con la precisazione che la concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata – conformemente alla regola dettata in tema di prova per presunzioni - non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva.

Né assume rilievo la circostanza - riferita dal Comune - secondo cui i risultati dell'indagine amministrativa non erano stati contestati dalla società creditrice. Tale assunto risulta difatti smentito dal contenuto della comparsa di costituzione dell'opposta da dove emerge chiaramente che, al contrario la società aveva espressamente contestato la valenza probatoria di una simile attività e le conclusioni ivi raggiunte.

In pratica la Cassazione si allinea all'interpretazione giurisprudenziale (Cass. civ., 27 aprile 2010, n. 10055) volta sostanzialmente a riconoscere una libertà del giudicante nell'utilizzo delle prove raccolte in un altro giudizio, a condizione che sia rispettato il contraddittorio nella formazione della prova, nonché l'obbligo di motivazione.

Osservazioni

Per completezza va qui segnalato che la dottrina tradizionale è solita distinguere tra principio dispositivo in senso sostanziale in relazione al potere di allegazione dei fatti inderogabilmente attribuito alle parti e quello cd. processuale o di trattazione, che invece può in casi peculiari essere attribuito anche al giudice che acquisisce, a seconda del rito applicabile, più o meno ampi poteri istruttori officiosi in base alla peculiare posizione delle parti o agli interessi sostanziali sottesi, attenuando in parte la natura dispositiva pura consegnata dal legislatore all'art. 115 c.p.c.

Naturalmente, si tratta di scelte esclusive del legislatore ordinario che debbono comunque tenere conto dal necessario rispetto dei principi costituzionali relativi al contraddittorio ed alla terzietà ed imparzialità del giudice di cui all'art. 111 Cost. Ne consegue che i poteri officiosi - assegnati espressamente al giudice - in materia istruttoria, come quelli previsti dagli artt. 117, 118, 213, 257, 281-ter c.p.c., integrano sempre e comunque un'eccezione alla regola e vanno strettamente interpretati secondo il parametro della tipicità legale. In altre parole, il nostro ordinamento si ispira a un sistema definito come dispositivo attenuato: pur affermando genericamente il vincolo del giudice alle offerte di prova delle parti non mancano le eccezioni normativamente previste. Ed invero, nel processo del lavoro, ad es., il sistema è caratterizzato da notevoli elementi inquisitori. Si pensi all'obbligatorietà dell'interrogatorio libero delle parti (art. 420 c.p.c.) o all'art. 421 c.p.c. a norma del quale «il giudice può altresì disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile ...».

Nel senso poi che la violazione dell'art. 115 c.p.c. integra un vizio di legittimità solo lamentando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dovere osservare la regola contenuta nella norma ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutogli, v. Cass. civ., sez. un., 30 settembre 2020, n. 20867.

Riferimenti
  • Calamandrei, La sentenza civile come mezzo di prova, in Opere giuridiche, V, Napoli 1972, p. 559 ss.;
  • Calamandrei, Verità e verosimiglianza nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1955, I, p. 173 ss.;
  • Carratta, Prove e convincimento del giudice nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2003, p. 27 ss.;
  • Cavallone, Il divieto di utilizzazione della scienza privata del giudice, in Riv. dir. proc., 2009, p. 861 ss.;
  • Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991;
  • Chiarloni, Riflessioni sui limiti del giudizio di fatto nel processo civile in Formalismi e garanzie (Studi sul processo civile), Torino, 1995, p. 193 ss.;
  • Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980, p. 233 ss.;
  • Ruffini, “Argomenti di prova” e “fondamento della decisione” del giudice civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, p. 1329;
  • Taruffo, La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, Milano, 1992;
  • Tarzia, Problemi del contraddittorio nell'istruzione probatoria civile, in Riv. dir. proc., 1984, p. 639 ss.;
  • Vanz, La circolazione della prova nei processi civili, Milano, 2008;
  • Verde, La prova nel processo civile (profili di teoria generale), in Riv. dir. proc., 1998, p. 14 ss.

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