I centri di detenzione amministrativa del sistema tedesco al vaglio della Corte di Giustizia
14 Giugno 2022
Massima
Il caso
K., cittadino pakistano, entra nel territorio della Repubblica federale di Germania il 9 ottobre 2015. La sua domanda di asilo viene respinta in quanto manifestamente infondata. Di qui, viene emesso un avviso di allontanamento, reso esecutivo dal 7 giugno 2017. In data 11 agosto 2020, l'interessato viene fermato a bordo di un autobus. Lo stesso giorno, l'Amtsgericht Meppen (Tribunale circoscrizionale di Meppen, Germania) dispone nei suoi confronti il provvedimento di trattenimento ai fini dell'allontanamento e, per l'effetto, viene ristretto nella sezione di Langenhagen dell'istituto penitenziario di Hannover, posto sotto la sorveglianza del Ministro della Giustizia.
A tal riguardo, risulta che il carcere di Hannover, al quale la sezione speciale è collegata amministrativamente, può accogliere, nel suo insieme, circa seicento detenuti ed è guidato da un Direttore, che è anche responsabile della sezione di Langenhagen. Il complesso è racchiuso da una recinzione metallica estremamente alta e comprende tre edifici a due piani, le cui finestre sono dotate di sbarre, nonché un altro piccolo edificio e un portale per automobili, utilizzati come entrata per i visitatori e il personale dello stabilimento, nonché per l'ingresso e l'uscita di veicoli. Nel primo di questi tre edifici sono alloggiati cittadini di paesi terzi di sesso maschile trattenuti ai fini dell'allontanamento. Il secondo edificio accoglie donne e, in base alla percentuale di occupazione, uomini, cittadini di paesi terzi trattenuti a fini di allontanamento. Le persone in tal modo trattenute possono ricevere una visita ogni giorno, trascorrere diverse ore all'aria aperta, avere accesso a Internet e possedere un telefono cellulare. Le stanze non sono chiuse e sono utilizzate solo da una persona. Tuttavia, su loro richiesta, più persone possono essere ospitate insieme in una stessa stanza. Nel corridoio si trovano docce comuni e bagni, liberamente accessibili durante l'intera giornata. Il terzo edificio, invece, risulta esser stato utilizzato fino all'ottobre 2020 per detenuti di diritto comune che scontano pene detentive alternative o pene privative della libertà di breve durata, che possono arrivare fino a tre mesi. L'istituto penitenziario provvedeva a separare da tali detenuti i cittadini di paesi terzi, trattenuti a fini di allontanamento. Non sussisteva un accesso diretto tra gli edifici occupati dai cittadini di paesi terzi in attesa di allontanamento e gli edifici che ospitavano detti detenuti.
A seguito del decreto di proroga della permanenza nel predetto istituto, il K. decide di proporre ricorso. In questa sede, il Giudice del rinvio dubita del fatto che la sezione di Langenhagen costituisca un «apposito centro di permanenza temporanea», ai sensi dell'articolo 16, § 1, Direttiva 2008/115/CE, dal momento che tale sezione accoglieva, oltre alle persone trattenute a fini di allontanamento, anche detenuti ordinari e non era garantita una separazione geografica e organizzativa.
Tanto premesso, la V Sezione della Corte di Giustizia interviene con sentenza pubblicata il 10 marzo 2022, chiarendo quanto di seguito si vedrà. La questione
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 16, paragrafo 1, e dell'articolo 18 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).
Ai sensi della predetta Direttiva, l'uso di misure coercitive ed il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. In questo senso, il Considerando n. 16 chiarisce che «il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente».
Come anticipato, la domanda pregiudiziale è stata presentata, nell'ambito di un procedimento di allontanamento avviato nei confronti di un cittadino pakistano, ed è volta a chiarire (l'eventuale) legittimità del trattenimento dell'interessato nella sezione di Langenhagen (Germania) dell'istituto penitenziario di Hannover (Germania).
L'articolo 1, punto 22, dello Zweites Gesetz zur besseren Durchsetzung der Ausreisepflicht (seconda legge recante miglioramento dell'attuazione dell'obbligo di lasciare il territorio), del 15 agosto 2019 (BGBl. 2019 I, pag. 1294; in prosieguo: la «legge del 15 agosto 2019»), ha previsto che «I detenuti a fini di allontanamento sono tenuti separati dai detenuti ordinari. Qualora siano trattenuti più membri di una famiglia, essi sono alloggiati separatamente dagli altri detenuti a fini di allontanamento. Occorre assicurare loro un adeguato rispetto della vita privata».
Alla luce dell'affrescato quadro normativo, l'Amtsgericht Hannover (Tribunale circoscrizionale di Hannover) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
Le soluzioni giuridiche
Il primo passaggio argomentativo risolto dalla CGUE dipana dalla specificazione della nozione di «apposito centro di permanenza temporanea», cui fa riferimento l'articolo 16 della Direttiva 2008/115 ma che non viene in alcun modo definita dal legislatore unionale. A tal fine, i Giudici di Lussemburgo ricorrono al criterio dell'interpretazione conforme al senso abituale delle parole, anche alla luce del contesto in cui tali termini sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa in cui gli stessi sono inseriti (cfr. Corte di Giustizia, 1 ottobre 2020, Staatssecretaris van Financiën, C-331/19, EU:C:2020:786, punto 24). All'esito di tale opera esegetica, la Corte sottolinea che le condizioni di trattenimento applicabili in un centro siffatto devono essere tali da evitare, per quanto possibile, che il trattenimento di tale cittadino sia simile ad un confinamento in ambiente carcerario, proprio di una detenzione a fini punitivi.
In questo senso rileva che:
Tanto esposto la Corte di Giustizia sostiene che, in astratto, il mero collegamento amministrativo (di direzione) fra lo stabilimento in cui viene eseguito il “trattenimento” e un istituto penitenziario non esclude a priori la possibilità di qualificare il primo locale come «apposito centro di permanenza temporanea», ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/115. Ciò che rileva, infatti, è che le condizioni di trattenimento applicabili ai soggetti sottoposti alla procedura di rimpatrio coattivo evitino quanto più possibile che tale situazione sia simile a un confinamento in ambiente carcerario e siano concepite in modo da rispettare i diritti fondamentali garantiti dalla Carta nonché i diritti sanciti dall'articolo 16, paragrafi da 2 a 5, e dall'articolo 17 di detta direttiva.
Ciò posto, la CGUE ritiene che l'articolo 18 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l'articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale chiamato, nell'ambito della sua competenza, a disporre il trattenimento o la proroga del trattenimento, in un istituto penitenziario, di un cittadino di un paese terzo ai fini dell'allontanamento deve poter verificare il rispetto delle condizioni alle quali tale articolo 18 subordina la possibilità, per uno Stato membro, di prevedere che detto cittadino sia sottoposto a trattenimento in un istituto penitenziario (v., per identità di ratio, sentenza del 28 gennaio 2021, Spetsializirana prokuratura, C-649/19, EU:C:2021:75, punto 74 e giurisprudenza ivi citata). Si tratta di una considerazione, questa, coerente con il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva richiamata dall'art. 47 CDFUE. Per l'effetto, il Giudice nazionale deve poter statuire su qualsiasi elemento di fatto e di diritto pertinente per determinare se, al di là del principio stesso del trattenimento del cittadino di un paese terzo interessato, le modalità derogatorie in cui il trattenimento sarà eseguito, ai sensi dell'articolo 18 della direttiva 2008/115, siano giustificate. Con l'ulteriore precisazione per cui i poteri dell'autorità giudiziaria non possono in alcun caso essere circoscritti ai soli elementi presentati dall'autorità amministrativa interessata, bensì devono estendersi a quanto risulta necessario alla ricostruzione della specifica vicenda (sul punto viene richiamato il precedente della CGUE del 5 giugno 2014, Mahdi, C-146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 62).
In ordine alla seconda questione oggetto di rinvio pregiudiziale, la Corte chiarisce che l'art. 18 Dir. 2008/115– che consente agli Stati membri di derogare a taluni principi stabiliti dalla stessa direttiva qualora la presenza sul loro territorio di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di Paesi terzi soggetti ad un obbligo di rimpatrio faccia gravare un notevole onere imprevisto sulle capacità dei loro appositi centri di permanenza temporanea – deve essere oggetto di interpretazione restrittiva. Più precisamente, si giunge a sostenere che «uno Stato membro non può avvalersi, in particolare, dell'articolo 18 della direttiva 2008/115 qualora l'onere notevole che grava sulle capacità dei suoi appositi centri di permanenza temporanea non sia la conseguenza di un aumento inatteso del numero di cittadini di Paesi terzi oggetto di una misura di trattenimento, ma sia causato soltanto dalla riduzione del numero di posti disponibili in tali appositi centri di permanenza temporanea o da una mancanza di anticipazione delle autorità nazionali». Detto altrimenti, il rispetto delle condizioni che legittimano la deroga di cui all'art. 18 Dir. 2008/115 richiede che alle Autorità competenti dello Stato membro interessato sia imposto ex lege di riesaminare periodicamente la persistenza di una siffatta situazione di emergenza, almeno quando la normativa adottata da tale Stato membro non sia destinata a produrre effetti soltanto su un breve periodo (eventualmente rinnovabile, secondo i Giudici di Lussemburgo).
Tanto premesso, il trattenimento in un istituto penitenziario, in una situazione come quella del caso che qui ci occupa, può essere disposto solo per una «breve durata, che non può superare alcuni giorni, e soltanto al fine di consentire allo Stato membro interessato di adottare d'urgenza le misure necessarie per garantire all'interessato che il suo trattenimento prosegua, entro termini brevissimi, in un apposito centro di permanenza temporanea». Inoltre, un siffatto trattenimento cessa di essere giustificato, ai sensi dell'art. 16, § 1, seconda frase, qualora la saturazione degli appositi centri di permanenza temporanea dello Stato membro interessato persista al di là di alcuni giorni o si ripeta sistematicamente e ad intervalli brevi.
A conclusione di quanto esposto, la Corte di Giustizia ricorda che il disposto trattenimento in un istituto di pena deve rispettare sia i diritti fondamentali garantiti dalla Carta di Nizza sia i diritti sanciti dall'art. 16, § 2-5, e dall'art. 17 Dir. 2008/115.
In definitiva, una normativa di uno Stato membro che consente di disporre il trattenimento di un cittadino di un Paese terzo ai fini dell'allontanamento in un carcere «allorché non sono soddisfatte le condizioni alle quali l'articolo 16, paragrafo 1, seconda frase, e l'articolo 18, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 assoggettano una siffatta possibilità, viola il diritto conferito ai cittadini di paesi terzi che sono sottoposti a una misura di trattenimento ai fini dell'allontanamento in forza dell'articolo 16, paragrafo 1, prima frase, di tale direttiva, di essere trattenuti solo in appositi centri di permanenza temporanea». Osservazioni
Il caso portato all'attenzione della Corte di Giustizia interroga l'interprete in ordine alle tipologie di sanzioni coercitive amministrative irrogabili in caso di mancata ottemperanza ad un provvedimento irrevocabile dell'Autorità competente a decidere sull'espatrio dello straniero presente illegittimamente nel territorio di uno Stato.
I paragrafi precedenti sollecitano un approfondimento comparativo rispetto alla disciplina cristallizzata nel nostro ordinamento. Emilio Dolcini, al proposito, scriveva: «sinistre affinità con la pena detentiva presentano alcune forme di ‘detenzione amministrativa' previste nell'ordinamento italiano per gli stranieri irregolari: in un contesto nel quale l'ingresso o il soggiorno illegali nel territorio dello Stato, così come la violazione dell'ordine di espulsione da parte del questore, integra un reato punito con la sola pena pecuniaria» (G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, VI ed., Giuffrè, 2017, 643).
Di seguito, quindi, si farà un accenno ai sistemi interni di trattenimento degli stranieri, rinviando per uno studio dettagliato a quanto si indicherà in sede di “Guida all'approfondimento”.
Con l'art. 12 della legge 40/1998 (cd. Turco-Napolitano) i centri di permanenza degli stranieri privi di adeguato titolo per rimanere nel territorio dello Stato italiano furono denominati Centri di Permanenza Temporanea. Successivamente, con legge n. 189/2002 (cd. Bossi-Fini), tali istituti vennero modificati in Centri di identificazione ed espulsione. In particolare, nei CIE, ai sensi dell'allora art. 14 d.lgs. n. 286/1998 (T.U. in materia di immigrazione), venivano trattenuti i cittadini extracomunitari sottoposti a provvedimento di espulsione, quando non risultava possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento.
L'attuale denominazione richiama, invece, le novità introdotte dalla legge n. 46/2017 (cd. Minniti-Orlando), che ha inaugurato i Centri di Permanenza per i Rimpatri. Ad ogni modo, le operazioni di soccorso e di prima assistenza, nonché di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico — anche ai fini di cui agli artt. 9 e 14 del Regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 — successivamente al Decreto Minniti vengono presidiate da una esplicita previsione sugli obblighi informativi volti a rendere edotto lo straniero irregolare della possibilità di accedere, tra l'altro, al ricorso al rimpatrio volontario assistito.
Riguardo ai C.P.R., la giurisprudenza di merito – anticipando quanto sostenuto dalla pronuncia in commento – è stata sin da subito attenta nel diversificare la posizione coercitiva del migrante trattenuto rispetto a quella del detenuto in un istituto penitenziario. Difatti, si è statuito che «le persone migranti in detenzione amministrativa nei centri di permanenza per i rimpatri hanno il diritto di comunicare con il mondo esterno attraverso l'uso del telefono cellulare e, in generale, con modalità tali da consentire non solo la telefonata, ma anche la video chiamata. Da ciò discende che la limitazione dell'uso e della detenzione di telefoni cellulari deve avvenire solo per motivi di ordine pubblico, sicurezza ed incolumità delle persone» (Tribunale Milano, 15/03/2021).
La questione è di particolare rilevanza in quanto, come correttamente osservato in dottrina, in Italia la fenomenologia dei luoghi di permanenza obbligata o di trattenimento coatto degli stranieri irregolari — nonostante la diversa funzione che detti luoghi sono chiamati a svolgere nella veste di Centri di primo soccorso ed accoglienza (CPSA), Centri di accoglienza (CDA), Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), Centri di identificazione ed espulsione (CIE) ; — ne spiega, in qualche misura, l'assimilazione al confinamento, formale o informale, in un « ;campo ;», stabile o provvisorio, con tutte le assonanze, che pure il concetto di « ;campo ;» porta con sé, quale sede tipica di sospensione dei diritti fondamentali in nome dei cd., presunti, «stati di eccezione» (A. Di Martino, V. Berlingò).
Rispetto ai C.P.R., l'evidenziato mutamento di denominazione corrisponde all'intento di rivisitare lo stesso istituto della detenzione amministrativa allo scopo di predisporre una tutela fondamentale della dignità tipica di ogni umana persona, non esclusa la persona dello straniero privo (o privato) di qualsiasi prospettiva di integrazione nel territorio dello Stato.
In questo contesto, la legge di conversione del Decreto Minniti individua alcuni parametri programmatici per l'esercizio della discrezionalità del Ministero circa l'allocazione dei Centri già esistenti esclusivamente in strutture immobiliari. Inoltre, la «dislocazione dei centri di nuova istituzione avviene, sentito il Presidente della Regione o della Provincia autonoma interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione, rese idonee allo scopo, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona» ;.
Al medesimo si prevede che «Nei centri [...] si applicano le disposizioni di cui all'art. 67 legge 26 luglio 1975, n. 354, e il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale esercita tutti i poteri di verifica e di accesso di cui all'articolo 7, comma 5, lett. e), d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10».
Si segnala, infine, che il d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, recante Misure urgenti in materia di immigrazione e di protezione internazionale ha introdotto diverse disposizioni sul trattenimento del cittadino straniero nei centri di permanenza per i rimpatri (articolo 3), tra queste si ricordano:
Infine, merita di essere segnalata la previsione dell'applicazione dell'arresto in flagranza differita ai reati commessi in occasione o a causa del trattenimento in uno dei centri di permanenza per il rimpatrio o delle strutture di primo soccorso e accoglienza (articolo 6). Riferimenti
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