Alla Corte di Giustizia la norma che impedisce la detrazione IVA alle società di comodo
15 Giugno 2022
Possibile violazione del diritto unionale rispetto all'indetraibilità dell'IVA prevista per le società di comodo: la norma nazionale, infatti, potrebbe violare il diritto di neutralità dell'imposta nel presupposto che l'ente rimarrebbe definitivamente inciso senza alcuna possibilità di rivalsa. Con ordinanza interlocutoria 16091 del 19 maggio la Cassazione ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia UE.
Diritto alla detrazione IVA. Il regime delle detrazioni è inteso a esonerare interamente il soggetto passivo dall'IVA dovuta o assolta nell'ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell'IVA garantisce, di conseguenza, la neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all'IVA. Per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l'interessato sia un «soggetto passivo», ai sensi della direttiva in parola, e, dall'altro, che i beni o i servizi invocati a fondamento di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, tali beni siano ceduti o che tali servizi siano forniti da un altro soggetto passivo. La qualità di soggetto passivo può essere disconosciuta dall'Amministrazione finanziaria qualora dimostri che la dichiarazione dell'intenzione di avviare l'attività economica programmata non sia stata effettuata in buona fede dall'interessato, il quale ha finto di voler avviare un'attività economica specifica, ma ha in realtà cercato di far entrare nel suo patrimonio privato beni che possono essere oggetto di detrazione. La Cassazione si interroga sul se la qualità di soggetto passivo e, conseguentemente, il diritto di detrazione dell'IVA di rivalsa assolta possono essere negati laddove il soggetto esegua operazioni attive rilevanti ai fini dell' IVA in misura ritenuta non coerente - in quanto eccessivamente bassa - rispetto a quanto può ragionevolmente attendersi dagli asset patrimoniali di cui dispone per tre anni consecutivi e senza dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l'esistenza di oggettive situazioni ostative. Secondo la Corte di Giustizia il principio fondamentale della neutralità dell'IVA esige che la detrazione dell'IVA pagata a monte venga riconosciuta se sono soddisfatti tali requisiti sostanziali, quand'anche taluni requisiti formali - quali gli obblighi di contabilità, fatturazione e dichiarazione - siano stati disattesi dai soggetti passivi. Pertanto, l'amministrazione tributaria, una volta che dispone delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l'imposta, condizioni supplementari che possano produrre l'effetto di vanificare l'esercizio del diritto medesimo. È di per sé irrilevante che il bene interessato non sia stato da subito utilizzato per operazioni imponibili, dovendosi riconoscere il diritto alla detrazione anche per le prime spese di investimento effettuate ai fini dell'esercizio di un'impresa, poiché sarebbe in contrasto con il principio della neutralità dell'IVA ritenere che queste attività inizino solo nel momento in cui comincia ad aversi un reddito imponibile (v. sentenze del 17 ottobre 2018, Ryanair, C-249/17, e del 22 ottobre 2015, Sveda, C-126/14). Il diritto a detrazione rimane, in linea di principio, acquisito anche se successivamente, a causa di circostanze estranee alla sua volontà, il soggetto passivo non utilizza detti beni e servizi che hanno dato luogo alla detrazione nell'ambito di operazioni soggette a imposta, essendo sufficiente che il soggetto passivo abbia effettivamente inteso utilizzare i beni e/o i servizi in questione per realizzare le attività economiche per le quali ha esercitato il suo diritto a detrazione (sentenze del 12 novembre 2020, ITH Comercial Timisoara SRL, C-734/19, ECLI:EU:C:2020:919, punto 37, e del 28 febbraio 2018, Imofloresmira - Investimentos Imobilikios, C-672/16, EU:C:2018:134, punto 40).
Caso concreto. L'Agenzia delle Entrate ha notificato ad una società un avviso di accertamento con cui, in relazione al periodo di imposta 2008, le contestava la qualità di società di comodo, in quanto la stessa aveva registrato nella sua contabilità operazioni attive per un importo complessivo inferiore rispetto alla soglia dei ricavi al di sotto della quale il legislatore nazionale presume la non operatività dell'ente. Contestualmente, ha recuperato le maggiori imposte dirette non versate e, per quanto rileva in questo giudizio, ha disconosciuto il credito IVA di euro 42.108,00, esposto in dichiarazione e utilizzato nell'esercizio successivo, in considerazione della mancata effettuazione, per tre periodi di imposta successivi, di operazioni rilevanti ai fini dell' IVA per un importo pari o superiore a quello risultante dall'applicazione dei criteri dettati per il test di operatività. Giunta in sede di legittimità, la Cassazione riassume la normativa nazionale.
L'art. 30, l. n. 724/ 1994 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), denominato in rubrica "Società di comodo. Valutazione dei titoli", nella formulazione vigente ratione temporis, prevede, al comma 1, che, ai fini ivi previsti, le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati all'ente. La disciplina generale stabilisce cause automatiche di esclusione dal regime delle società non operative individuate dalla legge o da provvedimenti amministrativi di carattere generale.
Il comma 4 del menzionato art. 30 stabilisce, poi, che «per le società e gli enti non operativi, l'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell'articolo 17 del d.l. n. 241/1997, o di cessione ai sensi dell'articolo 5, comma 4-ter, del d.l. n. 70/1988, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 154/ 1988. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l'ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non inferiore all'importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l'eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell'IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi».
Alla luce di tale normativa la Cassazione rinvia alla Corte di Giustizia la risoluzione di tre questioni pregiudiziali. La prima riguarda la possibilità di interpretare l'art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112, nel senso di negare la qualità di soggetto passivo e, conseguentemente, il diritto di detrazione dell'IVA di rivalsa assolta al soggetto che esegua operazioni attive rilevanti ai fini dell'IVA in misura ritenuta non coerente - in quanto eccessivamente bassa - rispetto a quanto può ragionevolmente attendersi dagli asset patrimoniali di cui dispone per tre anni consecutivi e non sia in grado di dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l'esistenza di oggettive situazioni ostative. In proposito, si osserva che una siffatta interpretazione della disposizione della direttiva determinerebbe l'effetto sul sistema di disciplina fiscale italiano per cui un ente, il quale non superi il test di operatività per tre anni consecutivi, verrebbe qualificato quale soggetto che non esercita attività economica ai fini dell'IVA - e, dunque, non ritenuto soggetto passivo dell'imposta - mentre, in difetto di norme di segno contrario, resterebbe assoggettato, secondo le regole generali, alla tassazione sui redditi secondo il regime proprio degli enti commerciali, in ragione della veste giuridica formale rivestita. La seconda questione, rilevante in caso di risposta negativa all'interrogativo suesposto, ha per oggetto la compatibilità con l'art. 167 della direttiva e con i principi generali della neutralità dell'IVA e di proporzionalità della limitazione del diritto alla detrazione dell'IVA dell'art. 30, comma 4, l. n. 724/1994, nella parte in cui nega il diritto di detrazione dell' IVA di rivalsa assolta sugli acquisti, di rimborso della stessa o di utilizzazione della stessa in un successivo 17 Corte di Cassazione - copia non ufficiale periodo di imposta al soggetto passivo di imposta che, per tre periodi di imposta consecutivi, non superi il test di operatività e non sia in grado di dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l'esistenza di oggettive situazioni ostative. La Cassazione dubita in ordine al fatto che il rischio di abuso dello strumento societario, in relazione al quale il legislatore nazionale ha introdotto la misura in esame, e la conseguente esigenza di evitare che indebite fruizioni di agevolazioni di natura fiscale connesse alla veste societaria adottata dall'ente giustifichi, sotto il profilo del pregiudizio - integrale - del diritto alla detrazione dell'IVA, tale misura. La terza questione, il cui interesse è attuale laddove si definisca la seconda questione in senso negativo, investe la coerenza con i principi dell'Unione europea della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento della disciplina nazionale dettata dal citato art. 30, comma 4, l .n. 724/1994, nella parte in cui nega il diritto di detrazione dell'IVA di rivalsa assolta sugli acquisti, di rimborso della stessa o di utilizzazione della stessa in un successivo periodo di imposta al soggetto passivo di imposta che, per tre periodi di imposta consecutivi, non superi il test di operatività e non sia in grado di dimostrare, a giustificazione di tale circostanza, l'esistenza di oggettive situazioni ostative. Anche sotto questo profilo la Cassazione esprime perplessità in ordine alla compatibilità della norma nazionale con il diritto dell'Unione europea, avuto riguardo alla situazione di incertezza in cui si viene a trovare il soggetto passivo al momento dell'effettuazione di un'operazione imponibile, in relazione alla idoneità della stessa a determinare l'insorgenza del diritto alla detrazione o al rimborso della relativa IVA, in quanto condizionato dal raggiungimento di predeterminati livelli di ricavi, da calcolarsi su un arco temporale triennale.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it |