Ammissibilità del controllo del g.e. sulla natura abusiva delle clausole nei contratti dei consumatori

Mattia Caputo
16 Giugno 2022

L'esigenza di garantire una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell'esecuzione debba poter valutare, anche per la prima volta in seno alla procedura esecutiva, la natura eventualmente abusiva delle clausole contenute nel contratto posto alla base di un decreto ingiuntivo non opposto.
Massima

L'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa – per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a riguardo.

Il caso

In due distinte procedure esecutive innanzi al Tribunale di Milano una società, munita di titoli esecutivi consistenti in decreti ingiuntivi non oggetto di opposizione, agiva per ottenere il pagamento di una somma di denaro derivante da contratti conclusi da consumatori.

Il G.E. ravvisava gli estremi dell'abusività di alcune clausole all'interno dei contratti su cui si basava il titolo monitorio ed invitava il debitore esecutato, “consumatore”, ad avvalersi oppure no del rimedio della c.d. “nullità di protezione”.

Il debitore-consumatore dichiarava di volersene avvalere, ma il creditore eccepiva l'intervenuto passaggio in giudicato del D.I. posto alla base della procedura esecutiva – non oggetto di opposizione – che impediva ogni esame delle clausole dei contratti posti alla base del monitorio. Il Tribunale constatava che nel caso di esecuzione forzata il G.E. è sì tenuto a verificare che vi sia un valido titolo esecutivo per tutta la durata della procedura esecutiva, ma che tale sindacato è limitato al solo controllo circa la sussistenza o meno del titolo, non potendo spingersi fino a verificare la sua validità.

Il G.E., evocando la giurisprudenza della CGUE sui doveri del giudice nazionale nell'ambito della tutela dei consumatori ed alla superabilità, in certe circostanze, del giudicato, ha sollevato il problema della possibilità per il giudice di verificare la natura vessatoria di una clausola contenuta in un contratto posto alla base del ricorso monitorio, il cui provvedimento – che costituisce la base dell'esecuzione forzata – sia passato in giudicato perché non oggetto di opposizione da parte del debitore; ciò anche alla luce del principio del giudicato implicito, secondo cui tutte le pattuizioni contenute in un contratto dovrebbero ritenersi già oggetto di controllo da parte del giudice, per il solo fatto della mancata proposizione dell'opposizione a D.I. entro i termini di legge.

Per il Tribunale milanese un tale quadro normativo implicherebbe infatti una tutela incompleta ed insufficiente per il consumatore: pertanto ha sospeso il giudizio di esecuzione, sollevando alla CGUE la questione pregiudiziale del se, ed eventualmente a quali condizioni, gli artt. 6 e 7 della Direttiva 93/13 e l'art. 47 della Carta di Nizza ostino ad un ordinamento nazionale, come quello italiano, che preclude al G.E. un sindacato “intrinseco” su un titolo esecutivo giudiziale passato in cosa giudicata, così impedendo a quest'ultimo, in caso di volontà manifestata dal consumatore di far valere l'abusività della clausola contenuta nel contratto in base al quale è stato chiesto ed ottenuto il titolo esecutivo, di superare gli effetti del giudicato implicito.

Nell'altra procedura esecutiva, pressoché identica, pure oggetto di rinvio pregiudiziale alla CGUE (causa “C-831/19”), il G.E. rilevava anche che all'epoca di emissione dei decreti ingiuntivi oggetto di esecuzione, la CGUE non aveva ancora individuato in base a quali parametri il fideiussore, garante di una persona giuridica, potesse essere qualificato come “consumatore”, in quanto da essa enucleati successivamente.

La questione

La sentenza in esame, resa nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19, ha ad oggetto una questione di grandissimo impatto pratico nell'ambito delle procedure esecutive e sulla tenuta del tradizionale principio del giudicato implicito: quella cioè del se gli artt. 6 e 7, par. 1, della Dir. 93/13, relativa alle clausole abusive nei contratti dei consumatori, debbano essere interpretati nel senso che si pongono in contrasto con una normativa nazionale, come quella italiana, che prevede che, nel caso di decreto ingiuntivo emesso da un giudice, e che non sia stato oggetto di opposizione, sia precluso al G.E., chiamato ad attuare il provvedimento monitorio, controllare successivamente l'eventuale carattere vessatorio delle pattuizioni, stante il formarsi del giudicato sul decreto ingiuntivo, ed implicitamente sulla non invalidità delle clausole del contratto posto alla base del titolo esecutivo.

Nella causa C-831/19 viene in gioco anche la questione dell'eventuale rilevanza o meno, rispetto al sindacato del G.E. sull'abusività delle pattuizioni, del fatto che alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come “consumatore” ai sensi della succitata Dir. 93/13.

Le soluzioni giuridiche

La CGUE ha risposto alle questioni ad essa sottoposte dal Tribunale di Milano facendo ricorso ad una ricostruzione sistematica della sua stessa giurisprudenza relativa al complesso rapporto tra poteri dei giudici nazionali e tutela del consumatore.

La Corte ha così evidenziato innanzitutto come, secondo la sua interpretazione consolidata, il sistema di tutele coniato con la Dir. 93/13 trova la sua “ratio” nel dato per cui il consumatore si trova, di fatto, in una posizione di inferiorità rispetto al professionista, sia sul piano della forza negoziale, sia su quello del livello di informazioni di cui è in possesso (cfr. sent. Banco Primus, C-421/14). Per ovviare a tale posizione di inferiorità, l'art. 6, par. 1, della Direttiva in esame, stabilisce che «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore…», così da sostituire ad un equilibrio apparente e formale tra i diritti ed obblighi delle parti contrattuali uno reale ed effettivo (“ex multis” sent. Gutiérrez Naranjo, C-154/15, C-307/15 e C-308/15).

Partendo dalle finalità di protezione del consumatore sottese alla disciplina consumeristica sovranazionale, la CGUE ha stabilito, con orientamento costante, che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricada nel raggio di operatività della Dir. 93/13, così da eliminare lo squilibrio tra consumatore e professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (così, tra le altre, sent. Banco Primus, C-421/14); la Dir. 93/13, sottolinea la CGUE, mediante il combinato disposto dell'art. 7, par. 1, e del suo 24° considerando impone altresì agli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista ed i consumatori (così sent. Addiko Bank, C-407/18).

Resta però rimessa ai singoli ordinamenti giuridici statuali l'individuazione delle modalità procedurali per far valere tali diritti, purché queste non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile, o eccessivamente difficile, l'esercizio dei diritti riconosciuti dal diritto unionale (principio di effettività).

La CGUE ha poi rammentato l'importanza del principio del giudicato non solo nell'ordinamento unionale, ma anche in quelli degli Stati membri, in quanto funzionale alla stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché alla buona amministrazione della giustizia: ragion per cui la tutela del consumatore non è assoluta, cioè esente da limiti. Essa ha infatti ritenuto che il diritto UE non impone in alcun modo al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali che attribuiscono autorità di giudicato ad una decisione, anche nel caso in cui questo sarebbe l'unico strumento per porre rimedio ad una violazione di una disposizione contenuta nella Dir. 93/13, fatta salva, in ogni caso, la necessità di assicurare il rispetto dei principi di effettività ed equivalenza (sentt. Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08; Banco Primus, C-421/14).

Nella ricerca del difficile equilibrio tra il principio del giudicato e l'esigenza di garantire la tutela dei consumatori, per la CGUE è dirimente valutare se il legislatore nazionale, nella specie italiano, rispetti i principi di equivalenza e di effettività.

Per i la CGUE non vi è alcun profilo di incompatibilità tra il principio di equivalenza e la normativa italiana, poiché la preclusione per il G.E. a riesaminare un D.I. passato in giudicato a causa della mancata proposizione dell'opposizione opera sia laddove riguardi la violazione di norme di origine sovranazionale, sia qualora concerna disposizioni nazionali di ordine pubblico.

Invece, con riguardo al rispetto del principio di effettività, la CGUE ha chiarito che l'obbligo per gli Stati membri di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in base al diritto UE non riguarda solo il piano sostanziale, ma si estende anche alla definizione, ad opera dei legislatori nazionali, delle modalità procedurali relative alle azioni giudiziarie fondate su tali diritti (cfr. sent. BNP Paribas Personal Finance SA, da C-776/19 a C-782/19). In tal senso la Corte ha sancito che, in assenza di un controllo efficace sul carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto, il rispetto dei diritti conferiti dalla Dir. 93/13 non può ritenersi garantito (sent. Kancelaria Medius, C-495/19).

Da ciò deriva che le condizioni procedurali stabilite dalle singole legislazioni nazionali, cui si riferisce l'articolo 6, par. 1, della Dir. n. 93/13, non possono pregiudicare in alcun modo la sostanza del diritto riconosciuto ai consumatori da tale norma di non essere vincolati da una clausola ritenuta abusiva.

Orbene, la CGUE ritiene che la normativa italiana, in base alla quale un controllo “ex officio” circa la natura vessatoria delle clausole negoziali deve considerarsi avvenuto e coperto dall'autorità del giudicato anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta nel D.I., può, tenuto conto della natura e dell'importanza dell'interesse pubblico sotteso alla tutela che la Dir. 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l'obbligo incombente sul giudice nazionale di procedere ad un controllo d'ufficio dell'eventuale carattere abusivo delle pattuizioni negoziali.

Pertanto, per la CGUE, l'esigenza di garantire una tutela giurisdizionale effettiva impone che il G.E. debba poter valutare, anche per la prima volta in seno alla procedura esecutiva, la natura eventualmente abusiva delle clausole contenute nel contratto posto alla base di un decreto ingiuntivo rispetto al quale il debitore non abbia proposto opposizione e su cui si sia, dunque, formato il giudicato, anche implicito, sulla validità del titolo posto a fondamento della pretesa monitoria e delle sue singole pattuizioni.

Di conseguenza la CGUE ha ritenuto che la normativa contenuta nella Dir. 93/13 impone di interpretare le disposizioni di cui agli articoli 6 e 7, par. 1, nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella italiana, che prevede che, in caso di decreto ingiuntivo non opposto dal debitore, il G.E. non possa, in considerazione del formarsi del giudicato implicito anche in ordine alla validità del contratto su cui tale pretesa si basa, sindacare il carattere abusivo delle clausole in esso contenute.

La CGUE ha invece ritenuto irrilevante la circostanza che il debitore ignorava di poter essere qualificato come “consumatore” ai sensi della Direttiva 93/13 alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo.

Osservazioni

La sentenza in commento si segnala per avere una portata assolutamente innovativa, sull'ordinamento giuridico italiano, peraltro nel campo delle esecuzioni forzate, dove la stabilità delle decisioni giudiziarie e le esigenze di celerità nella realizzazione delle ragioni dei creditori appare assolutamente fondamentale.

Grazie alla decisione della CGUE è infatti ora consentito al g.e. d'ufficio (se del caso anche sollecitato dai debitori esecutati attraverso l'opposizione all'esecuzione), sindacare la validità delle clausole dei contratti dei consumatori posti alla base di procedimenti monitori esitati in decreti ingiuntivi passati in giudicato e di cui si chiede l'esecuzione forzata. Una siffatta soluzione, peraltro, incide sensibilmente anche sul principio processualcivilistico del giudicato e, segnatamente di quello “implicito”, superando le esigenze di certezza e stabilità ad esso sottese.

Tuttavia, a parere di chi scrive, la soluzione accolta dalla CGUE si giustifica in nome del principio, di elaborazione sovranazionale del c.d. “ordine pubblico processuale comunitario”, che presidia il diritto di difesa spettante al consumatore. Secondo la Corte di Giustizia, infatti, alla posizione di assoluta debolezza, anche processuale, del consumatore, corrisponde un generale obbligo dei giudici degli Stati membri di intervenire con funzione riequilibratrice del naturale squilibrio che governa i rapporti tra diritti ed obblighi dei professionisti e consumatori. In questo senso, dunque, si impone un controllo d'ufficio anche “in executivis” da parte del g.e. ed anche a scapito del giudicato “implicito”, con un superamento di quest'ultimo che si spiega con il fatto che, in realtà, nella vicenda al vaglio della Corte di Lussemburgo, in realtà, un sindacato sulla abusività delle clausole contenute nei contratti dei consumatori dapprima posti alla base del ricorso monitorio e poi dell'esecuzione forzata, non vi è mai stato. Ragion per cui non consentire nella fase esecutiva un (ri)esame circa la vessatorietà delle pattuizioni si risolverebbe nell'obliterare totalmente le esigenze di una tutela effettiva dei consumatori.

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