Calcolo del valore di avviamento e avviamento negativo

Domenico Chindemi
17 Giugno 2022

La mancanza di una definizione normativa di avviamento suscita dubbi interpretativi sui relativi criteri di determinazione e sulla possibilità, peraltro ormai riconosciuta, di determinare un avviamento negativo nel caso di cessione di azienda. Sono evidenziate le soluzioni possibili alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione e i limiti del ricorso per cassazione avverso la valutazione dell'avviamento da parte del giudice di merito.
Premessa

La mancanza di una definizione normativa di avviamento suscita dubbi interpretativi sui relativi criteri di determinazione e sulla possibilità, peraltro ormai riconosciuta, di determinare un avviamento negativo nel caso di cessione di azienda. Sono evidenziate le soluzioni possibili alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione e i limiti del ricorso per cassazione avverso la valutazione dell'avviamento da parte del giudice di merito.

Nozione di avviamento

Nell'assenza di una definizione legislativa - non potendo quest'ultima evincersi dalla disposizione di cui all'articolo 2426, comma 1, n. 6) del cod. civ., che si limita a stabilire che l'avviamento possa essere iscritto in bilancio nei limiti del costo sostenuto per il suo acquisto, disciplinandone poi i limiti di ammortamento - la giurisprudenza di legittimità recepisce la nozione di avviamento elaborata dalle scienze economiche ed aziendalistiche.

L'avviamento viene definito come la capacità dell'azienda di conseguire redditi nel tempo, rappresentando la sua attitudine ad ottenere utili. Esso è costituito da un insieme tipicamente indistinto di condizioni immateriali (l'immagine e il prestigio aziendale, la clientela, l'organizzazione, il management, la qualità dei prodotti, la rete commerciale ecc…) che esprimono, qualificandola, la capacità competitiva dell'impresa sul mercato. L'avviamento deriva o da fattori specifici che, pur concorrendo positivamente alla produzione del reddito ed essendosi formati nel tempo in modo oneroso, non hanno un valore autonomo, ovvero da sinergici incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni, in virtù dell'organizzazione degli stessi in un sistema efficiente ed idoneo a produrre utili.

La dottrina ha anche definito l'avviamento come un elemento complementare del complesso economico aziendale, ossia la condizione o l'insieme delle condizioni che consentono di ritenere un'azienda idonea a fruttare nel futuro un sopraprofitto.

La nozione giuridica dell'avviamento è strettamente legata a quella di azienda ex art. 2555 ss. c.c., anche se nelle norme che definiscono l'azienda non si trova alcun espresso riferimento all'avviamento.

Il coordinamento funzionale dei beni aziendali (mobili, immobili, fungibili e infungibili, materiali e immateriali), definibile ai sensi dell'art. 2555 c.c. come complesso di beni organizzati, auspicabilmente determina un aumento di valore degli stessi beni considerati unitariamente rispetto all'utilità che tali beni avrebbero se fossero considerati singolarmente.

In sostanza, l'impiego organizzato dei beni determina che il valore di utilizzo degli stessi superi il valore di scambio, espresso dal prezzo di compravendita.

Viene così definito in termini di qualità intrinseca ed immateriale dell'azienda; qualità che si concreta nel maggior valore che il complesso aziendale, unitariamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono (Cass. nn. 25324/14; Cass. n. 9115/12; Cass. n.8642/11), a sua volta correlato alla “capacità di profitto di un'attività produttiva”, ossia a quella “attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono” (Cass. 10586/11, con richiamo di Cass. 9470/95).

Avviamento in caso di cessione di azienda

In quanto caratteristica intrinseca dell'azienda di rilevanza patrimoniale, l'avviamento viene preso in considerazione anche dall'ordinamento tributario, sia per affermarne il concorso alla formazione del reddito imponibile, sia per computarne l'incidenza nella determinazione del valore venale dell'azienda trasferita, ai fini dell'imposta di registro, ex articolo 51, quarto comma, d.P.R. 131/1986.

Ai fini del calcolo del valore dell'avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione d'azienda, per la determinazione della base imponibile dell'imposta di registro secondo il disposto degli artt. 51 del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, e 2, comma 4, del d.p.r. 31 luglio 1996, n.460, quest'ultima avente la funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo, la Suprema Corte afferma doversi applicare la percentuale di redditività, nella misura ritenuta congrua dal giudice del merito, parametrata alla media dei ricavi (e non degli utili operativi) accertati, o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d'imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dall'art. 2, comma 4, citato.” (Cass. n. 7324/2014; n. 9115/2012), che peraltro si riduce in presenza di determinate situazioni.

I criteri di cui all'art. 2, d.p.r. 460 del 1996, determinano, dunque, valori minimali d'avviamento, in funzione dell'accertamento con adesione (cfr. d.lgs. n. 218 del 1997), ma anche degli accertamenti ordinari, sicché la loro applicazione integra un indizio a favore dell'Amministrazione (Cass. n. 9089/2017, 27 luglio 2007, che richiama Cass. n. 16705/2007), tanto che questa può impiegare un criterio diverso solo dando conto della maggiore affidabilità specifica (Cass. n. 4931/2012), mentre l'art. 51, comma 4, d.p.r. n. 131 del 1986, secondo il quale il valore dichiarato "è controllato dall'ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda", "al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie", non pone deroghe al criterio, dettato in generale al secondo comma dello stesso articolo, dell'accertamento del valore secondo il parametro del "valore venale in comune commercio", nel senso che non sussiste al riguardo il vincolo delle scritture contabili, se non con riferimento alle eventuali passività di cui l'Ufficio deve tenere conto (Cass. n. 10341/2007).

In altri termini l'applicazione dei parametri di natura regolamentari di cui all'art. 2, d.p.r. 460 del 1996 (disposizione non più vigente, a decorrere dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 218 del 1997, nel quale tale meccanismo di calcolo non è stato riprodotto, ma che ciò non di meno continua ad essere utilizzato nella prassi dell'Amministrazione finanziaria), “trova obiettivo limite ogniqualvolta essi si rivelino inadeguati a soddisfare quello che è il principio-cardine della definizione della base imponibile ai fini dell'imposta di registro; vale a dire, il valore attribuibile all'azienda, al momento del trasferimento, in regione di libero mercato” (Cass. n. 979/2018).

Non ha, pertanto, fondamento l'affermazione concernente la irrilevanza dei dati extracontabili, quelli cioè, avulsi e disancorati dalla realtà dell'azienda ceduta, soprattutto ove il giudice indichi partitamente i fatti concreti, aventi valenza indiziaria, utilizzati dall'Ufficio, comparativamente, in quanto idonei ad individuare “il prezzo che il bene ha in comune commercio, vale a dire quello che il venditore ha le maggiori possibilità di realizzare e l'acquirente di pagare in condizioni normali di mercato”.

Quindi, in caso di cessione di azienda occorre valutare con riguardo al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, la "capacità di profitto di un'attività produttiva", ossia l'attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono" (Cass. n. 10586/2011, con richiamo a Cass. n. 9470/1995).

Si è affermato che “I criteri per la determinazione del valore di avviamento di un'azienda fissati dall'art. 2 del regolamento reso col d.P.R. n. 460 del 1996, per l'attuazione dell'accertamento con adesione di cui al d.l. n. 564 del 1994, conv. in l. n. 656 del 1994 hanno la funzione di fornire indicazioni minime cui l'Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione: se, infatti, è possibile che tale accertamento si realizzi per valori superiori a quelli indicati dall'art. 2 cit., è comunque ovvio che il contribuente vi aderisca quando esso si attesti su un importo inferiore a quello che potrebbe legittimamente emergere con autonomo accertamento ordinario e nel successivo contenzioso; pertanto, se ai detti criteri può attribuirsi un qualche rilievo indiziario, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione, con la conseguenza che l'Amministrazione non è tenuta a spiegare i motivi per cui ritiene incongrui nella specie i criteri in questione, ma deve solo fornire gli elementi indiziari sufficienti a giustificare il proprio assunto “ (Cass. n. 12305 del 2020; Cass. n. 16705 del 2017).

Nel caso di cessione d'azienda, ai fini della valutazione dell'avviamento, non può prescindersi dal valore corrente attribuito agli elementi patrimoniali attivi e passivi dell'azienda medesima e il valore di avviamento deve essere, quindi, determinato in base alla realtà oggettiva dell'azienda al momento dell'accertamento, atteso che tale valore deve tecnicamente basarsi su una stima prospettica della realtà di cessione, pur tenendo conto della eventuale situazione di crisi dell'azienda oggetto di accertamento.

Avviamento negativo

L'esistenza di un avviamento incrementativo del valore dell'azienda trasferita ben può coesistere con la presenza di perdite di esercizio negli anni immediatamente precedenti o successivi al trasferimento stesso (Cass. 22506/15; Cass. 2702/02).

La base imponibile può essere determinata non solo - in assenza di avviamento - in forza del “metodo patrimoniale semplice”, dato dalla somma di attività e passività patrimoniali, ma anche - in presenza di avviamento - in forza del “metodo patrimoniale complesso” che, integrando il primo, valorizza tutti i fattori che comportano plusvalenza da beni immateriali costituenti, nel loro complesso, l'avviamento stesso (Cass. 9075/15 cit.).

Per quanto concerne il corretto accertamento del valore venale del ramo aziendale trasferito - non può non considerarsi come dall'articolo 51 cit. non possa trarsi alcun elemento volto a ritenere che in tanto l'avviamento incida sul valore venale dell'azienda, in quanto di segno positivo; al contrario, essendo la norma finalizzata a garantire che l'imposta di registro venga applicata su una base imponibile il più possibile conforme al valore venale dell'azienda in condizioni di libero mercato, si deve ritenere che in essa debba trovare rilevanza anche quell'avviamento che, avendo segno negativo, sia dalle parti computato non ad incremento, ma a riduzione del prezzo di trasferimento, in maniera tale che questo risulti inferiore - senza con ciò necessariamente rappresentare un valore venale non rispondente alla realtà ma, anzi, proprio per accostarsi alla più corretta valorizzazione di mercato - alla mera sommatoria algebrica di valore dei cespiti patrimoniali attivi e passivi.

Non pare dirimente, in particolare, la circostanza che l'articolo 51, quarto comma, contempli, ai fini del valore dell'azienda, la decurtazione delle sole passività già formatesi, e come tali risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (salvo impegno di estinzione dell'alienante), dal momento che la rilevanza delle perdite future opera appunto sul diverso piano, tipicamente proiettivo, dell'avviamento. Vale a dire, sul piano di quella “qualità intrinseca” dell'azienda trasferita la cui assunzione in senso tanto positivo, quanto negativo, non può dirsi di per sé preclusa dalla lettera nè dalla ratio della disposizione in esame.

Ad una differente interpretazione del parametro del valore venale di cui all'articolo 51 cit. (nel senso, cioè, della configurabilità di una autonoma nozione “fiscale” di avviamento, votata in via esclusiva al segno positivo) non potrebbe nemmeno giungersi in ragione dei soli criteri di determinazione dell'avviamento di cui all'art. 2 dpr 31 luglio 1996, n.460 (regolamento per l'attuazione delle disposizioni previste in materia di accertamento con adesione, con riferimento alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale ed Invim; emanato ai sensi del d.l. 564/94 conv.in l. 656/94).

Criteri, questi ultimi, che sottendono la necessaria positività di quest'ultimo (studi di settore, ovvero moltiplicatore della percentuale di redditività, non inferiore al rapporto tra reddito d'impresa e ricavi, applicata ai ricavi accertati o dichiarati negli ultimi tre periodi di imposta anteriori al trasferimento) e che considerano in termini non di decurtazione né di azzeramento, ma solo di ridotta moltiplicazione, taluni eventi documentati pure suscettibili di potenzialmente integrare, nella concretezza dei casi, anche un avviamento di segno negativo (es: mancato esercizio dell'attività dell'ultimo periodo precedente il trasferimento; limitata durata residua del contratto di locazione dei locali aziendali).

Ancorchè tali criteri – di natura regolamentare - vengano utilizzati non solo nelle procedure di adesione (successivamente riviste dal d.lgs.218/97) ma anche negli accertamenti ordinari, la loro applicabilità ai fini dell'articolo 51 d.P.R. 131/86 trova obiettivo limite ogniqualvolta essi si rivelino inadeguati a soddisfare quello che è il principio-cardine della determinazione della base imponibile ai fini dell'imposta di registro, vale a dire, il valore venale attribuibile all'azienda, al momento del trasferimento, in regime di libero mercato.

Valore venale che può risultare in effetti condizionato dall'aspettativa di determinati risultati negativi negli esercizi immediatamente successivi al trasferimento (prima che la nuova gestione sia in grado di riportare in utile l'attività economica); tale aspettativa assume manifestazione economica nella negoziazione tra le parti di uno “sconto-prezzo” di misura tale da far apparire comunque conveniente l'acquisizione dell'azienda (transitoriamente) produttiva di perdite stimate. Sicchè la considerazione dell'avviamento negativo nella determinazione del prezzo di cessione può rendere appetibili sul mercato anche complessi aziendali prospettivamente improduttivi, nel breve periodo, di profitti, così da consentirne la sopravvivenza ed il recupero.

La rilevanza delle perdite future - purché fondate, in quanto attese sulla base di fattori obiettivi, ragionevoli e dimostrabili - deve trovare riscontro anche nel bilancio del cessionario, mediante la predisposizione di un accantonamento in ‘fondo rischi ed oneri futuri' volto a far fronte a tali perdite, man mano che si concretizzeranno, ma destinato ad essere azzerato una volta che l'aspettativa che l'ha generato sia venuta meno.

La rilevanza fiscale dell'avviamento negativo è stata riconosciuta dalla stessa amministrazione finanziaria che, nella Risoluzione su interpello 25 luglio 2007 n. 184/E, ha posto in luce i seguenti essenziali passaggi:

  • l' avviamento negativo (‘badwill') “è dato dalla differenza tra il patrimonio netto del ramo d'azienda oggetto della compravendita ed il valore economico, che si sostanzia nel prezzo d'acquisto, attribuito al medesimo complesso aziendale”, e , “quando il prezzo di acquisto di un compendio aziendale è inferiore al valore netto contabile del patrimonio ad esso riferito, la differenza tra questi due valori (prezzo e patrimonio) genera un cd. “avviamento negativo”, che deve essere correttamente contabilizzato ed esposto nel bilancio dell'acquirente”;
  • la “motivazione più razionale” che può indurre all'acquisizione di un'azienda con avviamento negativo, o ‘disavviamento', è correlata alla previsione di perdite future delle quali l'acquirente dovrà farsi carico subito dopo l'acquisizione stessa, ma nel concorso di fondate prospettive di inversione della tendenza negativa;
  • le perdite attese ridurranno “il valore del patrimonio aziendale successivamente all'operazione, riducendo pertanto il prezzo che l'acquirente è disposto a pagare per ottenere la proprietà del bene-azienda”, in modo tale che la quantificazione preventiva delle perdite “rileva come uno ‘sconto' sul prezzo pagato per il ramo d'azienda”;
  • deve ritenersi civilisticamente corretto che l'avviamento negativo emergente in sede di acquisizione del ramo aziendale sia allocato in un ‘fondo rischi ed oneri futuri' del passivo dello stato patrimoniale del bilancio dell'acquirente;
  • fiscalmente, il regime di tassazione dei fondi rischi ed oneri è però disciplinato dall'art. 107 del T.U.I.R., ai sensi del quale “sono deducibili, nell'esercizio in cui vengono accantonati, esclusivamente gli accantonamenti sui fondi espressamente considerati dalle disposizioni dello stesso T.U.I.R.”, non rientrando tra questi ultimi quello in oggetto;
  • posto dunque che il trattamento fiscale del fondo non è inquadrabile nella disciplina di cui all'articolo 107 cit., deve ritenersi che esso “segua – per il ‘principio di derivazione' di cui all'art. 83 del TUIR – l'utilizzo contabile del fondo stesso. La società acquirente, quindi, negli esercizi immediatamente successivi all'acquisizione, utilizzerà il fondo per fronteggiare le perdite che si sosterranno, ovvero provvederà ad estinguerlo qualora le originarie previsioni di perdita (…) non siano più fondate; in entrambi i casi attraverso la rilevazione di un provento straordinario fiscalmente rilevante, imputato a conto economico”;
  • in definitiva, “il fondo rischi generici dovrà concorrere sistematicamente, fino al suo esaurimento, alla formazione del reddito a compensazione dei componenti negativi di qualsiasi natura (nella misura in cui eccedano i componenti positivi), conseguiti nell'arco temporale delineato dal piano e dovrà rimanere effettivamente correlato alle perdite previste senza poter divenire strumento di pianificazione fiscale o, comunque, di utilizzo arbitrario”.

Anche se tale risoluzione non si riferisce specificamente all'imposta di registro, ma all'imposta sul reddito, la nozione di avviamento negativo così individuata ha valenza generale, ed è idonea ad interferire con la determinazione del valore di mercato del bene anche ai fini dell'articolo 51 d.P.R. 131/86. Tanto più considerato che si ammette, in linea di principio, che il valore di mercato del bene determinato in via definitiva in sede di applicazione dell'imposta di registro possa rilevare, anche se soltanto come dato induttivo e presuntivo, anche ai fini dell'accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di un ramo d'azienda (Cass.5070/11; Cass. 5078/11; Cass.4057/07).

Quindi - riconosciuto che l'avviamento negativo non sia fittizio, ed ha realmente influenzato il prezzo fissato dalle parti – non si può divaricato il “prezzo” dal “valore” del ramo aziendale, assumendo che ai fini dell'imposta di registro solo quest'ultimo abbia rilevanza, una volta chiarito che nel valore “insiste” l'avviamento dando la prova che la somma dei valori dei cespiti aziendali unitariamente considerati in contratto (ad esempio fabbricati, terreni, arredi ed impianti,) ha trovato riduzione a titolo di avviamento negativo, stante la previsione di perdite negli esercizi immediatamente successivi a causa del fatto che, ad esempio, il ramo d'azienda acquistato è inoperativo da tempo, tanto che il suo valore venale trova corrispondenza proprio nel prezzo, per tale ragione ‘scontato'.

Censurabilità in Cassazione della valutazione dell'avviamento

In presenza di metodi tecnici diversi, per determinare il valore di un'azienda, ivi compreso il valore di avviamento, il detto valore costituisce oggetto di giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito e immune da sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. n. 9075 del 2015; Cass. n. 2204 del 2006; Cass. n. 2702 del 2002).

Per le aziende, se il valore di avviamento è determinato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori al trasferimento moltiplicata per tre (Cass. n. 9583 del 2016), nessuna censura può essere espressa nei confronti di una sentenza che ha considerato congrua la determinazione del valore di avviamento con riferimento alla percentuale di redditività delle imprese del settore, con un giudizio di fatto, immune al sindacato di legittimità in quanto adeguatamente motivato, laddove è onere del contribuente, che contesti l'accertamento, in base ad allegazioni specifiche, dimostrare le ragioni della divergenza dei propri dati da quelli medi indicati dall'Amministrazione finanziaria.

Il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione e valutazione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, per il suo tramite non è possibile dedurre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.

La valutazione dell'entità dell'avviamento di un'azienda oggetto di cessione, “in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la c.d. equità sostitutiva, che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. In relazione ad essa non è, pertanto, utilizzabile la violazione dell'art. 113 2° comma c.p.c. e, rientra il suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c. la relativa pronuncia è rimessa alla sua prudente discrezionalità, (Cass. civ. sez. V 21 novembre 2005, n. 24520; Cass. civ. sez. V 24 febbraio 2010, n. 4442)

Tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attenendo al libero convincimento del giudice e non agli eventuali vizi dell' iter formativo di esso, non sono rilevanti ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiché diversamente opinando, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

I risultati dell'accertamento dell'Ufficio possono, tuttavia, essere adeguatamente contraddetti dalle avverse deduzioni della società contribuente, documentando e adducendo elementi da cui possa dedursi come è stato diversamente calcolato l'avviamento, fornendo elementi contrari rispetto ad una formula – algebrica - di valutazione dell'avviamento, costituente bene aziendale, la quale trova la sua legittimazione nelle disposizioni in precedenza richiamate ancorché si reggano su una pluralità di elementi presuntivi, complessivamente considerati, senza violazione dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, profilo senz'altro esaminabile, sia dal giudice di merito che in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5., sia pure con le limitazioni delle censure conseguenti a tale mezzo di impugnazione.

Così, ad esempio, sussiste vizio motivazionale della sentenza qualora il giudice del merito abbia censurato la determinazione del valore di avviamento effettuata dall'Ufficio senza illustrare le ragioni dell'illegittimità del calcolo

In ordine al valore da attribuire all'avviamento, l'accertamento compiuto dalla CTR non è sempre di mero fatto, e perciò non si sottrae al sindacato di legittimità, in quanto presuppone la corretta interpretazione della norma di cui all'art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede che il valore delle aziende va controllato dall'Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni, compreso l'avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile.

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