L'estinzione della società non comporta la rinuncia ai crediti
17 Giugno 2022
Massima
L'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare. Il caso
Il caso in commento riguardava due soci si una s.r.l. cessata, i quali, con atto affidato a un unico motivo, proponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna. In una causa di opposizione all'esecuzione, il Giudice bolognese aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva dei due ex soci all'impugnazione della sentenza di primo grado e, quindi, anche, implicitamente, ciò riverberava effetti sulla loro originaria opposizione all'esecuzione, nel cui ambito essi avevano ottenuto ordinanza ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c., nei confronti di una Banca s.p.a., gravandoli del pagamento delle spese di lite, oltre accessori di legge. Ad avviso della Corte di Appello, infatti, a seguito della cancellazione della società poteva presumersi che la pretesa al rimborso delle spese di lite fosse stata rinunciata. La Banca resisteva con controricorso. Tale impugnazione era condivisa dalla Suprema Corte la quale, in accoglimento del ricorso, cassava con rinvio la sentenza impugnata. Ad avviso della Corte di Cassazione, l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore, e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (v. Cass. 9464/2020). Non possono ritenersi rinunciati, nemmeno tacitamente, i crediti relativi alle spese di giudizi pendenti della società cancellata dal Registro delle imprese e non iscritti nel bilancio di liquidazione, non potendosi ritenere integrato, sulla base della sola circostanza della cancellazione dal Registro delle imprese, un negozio di remissione di debito (v. Cass. 3136/2021). Stante tutto quanto sopra precisato, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso dei due soci, ritenendoli legittimati a chiedere il rimborso delle spese di lite. La questione
La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, determini o meno, anche l'estinzione della pretesa azionata. Le soluzioni giuridiche
L'art. 2495 comma 1, c.c. stabilisce che i liquidatori, una volta depositato il bilancio finale di liquidazione della società, devono chiederne la cancellazione dal Registro delle Imprese. A seguito della nuova formulazione dell'art. 2495 comma 2 c.c., introdotta dalla riforma delle società del 2003, la cancellazione delle società (sia di capitali che di persone) ha efficacia costitutiva (v. Cass. 4060/2010), idonea a determinare la totale estinzione della stessa. Pertanto, anche qualora vi siano creditori sociali insoddisfatti e rapporti giuridici non ancora definiti, la società viene comunque meno e gli eventuali rapporti residui dovranno essere regolati direttamente fra i creditori sociali e i soci. Con la cancellazione, l'ente diviene totalmente inesistente ed è, pertanto, privo di legittimazione sostanziale e processuale. Sono tuttavia previste due eccezioni al principio per cui la cancellazione della iscrizione della società nel Registro delle Imprese ne determina l'estinzione. Si tratta di due ipotesi nelle quali il legislatore, operando una fictio iuris, considera la società come ancora esistente, al solo scopo di evitare la disgregazione del patrimonio a garanzia dei creditori concorsuali e del fisco. Esse sono: 1) la possibilità che la società venga fallita entro un anno dalla cancellazione (art. 10 comma 1 l.fall.); 2) la possibilità di contestare alla società debiti di natura tributaria entro 5 anni dalla cancellazione, ai sensi dell'art. 28, comma 4, D.lgs. n. 175/2014.
L'art. 2495, comma 2, c.c. regolamenta la sorte dei c.d. “residui” passivi, vale a dire dei debiti della società che residuino dopo la cancellazione di quest'ultima. La norma esprime il seguente un principio: l'estinzione della società conseguente alla cancellazione non determina l'automatica estinzione delle obbligazioni che ad essa facevano capo non ancora soddisfatte, poiché ai creditori sociali è consentito far valere le proprie pretese nei confronti di altri soggetti (soci e/o liquidatori) a determinate condizioni. Se da una parte viene quindi salvaguardata l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche attraverso una chiara individuazione del momento terminativo dell'ente, dall'altra viene comunque assicurata la tutela dei creditori sociali, per evitare che la cancellazione della società dal Registro delle Imprese diventi uno strumento per eludere il pagamento dei debiti che la società ha nei confronti dei terzi. Il legislatore della riforma del diritto societario (D.Lgs. 6/2003) ha inteso risolvere le questioni connesse all'individuazione del momento di estinzione della società, con particolare riferimento alla efficacia costitutiva della cancellazione della società dal Registro delle imprese. Così come la società nasce a seguito della iscrizione, così cessa di esistere a seguito della cancellazione iscritta. Una volta cancellata la società, quindi, i creditori sociali possono far valere le proprie ragioni nei confronti dei soci, solo limitatamente a quanto essi abbiano percepito in sede di ripartizione dell'attivo o nei confronti dei liquidatori, nella misura in cui essi possano considerarsi responsabili del mancato soddisfacimento dei creditori pretermessi. È possibile che, dopo la cancellazione della società, sorgano crediti della stessa verso terzi o emergano beni residui, non risultanti dal bilancio finale di liquidazione (c.d. sopravvenienze attive). Tale eventualità non è espressamente regolamentata dal codice civile. Essendo escluso che la cancellazione della società dal registro delle imprese faccia venire meno tali sopravvenienze, la giurisprudenza ritiene che tali crediti o beni si traferiscono, con la cancellazione ed estinzione della società, in capo agli ex soci, tra i quali si istaura un regime di contitolarità o di comunione indivisa sugli stessi. Gli ex soci divengono quindi titolari di tali attività in proporzione alle rispettive quote/partecipazioni detenute nella società prima dell'estinzione e, quindi, alla quota di liquidazione ricevuta. Di conseguenza, si trasferisce agli ex soci anche la legittimazione processuale a far valere tali diritti, mentre i creditori sociali insoddisfatti potranno agire contro questi ultimi, pro quota, ai sensi dell'art. 2495 comma 2 c.c. Può verificarsi altresì il caso di crediti che non vengano iscritti nel bilancio finale di liquidazione; come nell'ipotesi in cui il liquidatore conosca la sussistenza di tale posta attiva, ma cosciente del fatto che non sia facilmente liquidabile (perché consistente in una mera pretesa o in un credito per cui deve essere richiesto il riconoscimento mediante azione giudiziaria) non si adopera per inserirla in bilancio. Secondo la giurisprudenza prevalente, la richiesta anticipata, da parte del liquidatore, di cancellazione della società, senza aver proceduto alla liquidazione integrale dell'attivo preesistente oppure senza aver atteso (in base a elementi noti al liquidatore) i tempi necessari alla maturazione/sopravvenienza di tale attivo in capo alla società, non equivale ad un comportamento di rinuncia al credito/all'attivo, ma integra viceversa un'omissione colposa del liquidatore, che comporta la sua personale responsabilità verso i creditori sociali insoddisfatti. Può invece essere interpretato come un comportamento concludente di rinuncia al potenziale credito/attivo soltanto quello della società che venga cancellata dal Registro delle Imprese in pendenza di un giudizio avente ad oggetto l'accertamento di pretese o crediti incerti e illiquidi. In altri termini, i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione; ciò a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze- che devono essere verificate in concreto - tali da non consentire dubbi sul fatto che l'ommessa apposizione in bilancio non possa avere altra causa se non la volontà di rinunciare a quel credito. Questo potrà verificarsi nel momento in cui il liquidatore, che non abbia agito per il recupero del credito, abbia operato una valutazione di convenienza in termini di realizzo, rinunziando ad intraprendere azioni di dubbio esito e tenendo più conveniente procedere alla cancellazione. Qualora emergano, dopo la cancellazione della società, debiti sociali non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione (sopravvenienze o sopravvivenze passive), i creditori sociali rimasti insoddisfatti potranno agire nei confronti degli ex soci, nei limiti della quota di liquidazione da essi ricevuta (oppure illimitatamente a seconda della forma giuridica della società e del ruolo ricoperto nella società), oppure nei confronti dei liquidatori in colpa, ai sensi dell'art. 2495 comma 2 c.c.. Anche per quanto riguarda gli elementi patrimoniali passivi della società estinta, preesistenti e/o sopravvenuti alla sua cancellazione, si applica infatti il principio della successione dei soci nei debiti sociali, pur con la limitazione della loro responsabilità patrimoniale alla quota eventualmente liquidata. Trattandosi di successione nel debito della società, non vengono meno le eventuali garanzie accessorie ad essa e il titolo esecutivo in possesso del creditore sociale, ottenuto contro la società poi estinta, che potrà essere fatto valere anche contro gli ex soci, nei limiti della loro responsabilità. I debiti sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione - siano essi noti od ignoti - non pregiudicano quindi l'effettiva estinzione della società a seguito della cancellazione dal Registro delle Imprese, ma si trasferiscono in capo agli ex soci, in virtù di un meccanismo successorio, nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto. Conclusioni
La Corte di Cassazione, investita della questione, affermava che l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina l'estinzione della pretesa azionata (v. Cass. 12064/2022), salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore, e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (v. Cass. 9464/2020). Non possono ritenersi rinunciati, nemmeno tacitamente, i crediti relativi alle spese di giudizi pendenti della società cancellata dal Registro delle imprese e non iscritti nel bilancio di liquidazione, non potendosi ritenere integrato, sulla base della sola circostanza della cancellazione dal Registro delle imprese, un negozio di remissione di debito (v. Cass. 3136/2021). |