Note sull'impugnazione di un credito ammesso tempestivamente da parte del creditore tardivo

21 Giugno 2022

Il creditore “tardivo” può impugnare l'ammissione al passivo di un creditore insinuatosi tempestivamente? Tale potere può essere riconosciuto già dal momento della proposizione della domanda o solo in seguito all'ammissione tardiva? La Cassazione risponde agli interrogativi.
Il caso esaminato e le questioni controverse

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si pronuncia sulla legittimazione del creditore tardivo ad impugnare ex art. 98, comma 3, l.fall. il decreto che rende esecutivo lo stato passivo formato sulle domande tempestive, per contestare l'accoglimento di una di esse.

L'argomento, in realtà, non è del tutto nuovo alla giurisprudenza di legittimità, essendo già stato affrontato in una precedente occasione (Cass., sez. I, ord. 5 aprile 2017, n. 8869). Tale pronuncia, richiamata nella stessa sentenza qui in commento, aveva tuttavia ad oggetto una fattispecie concreta assai peculiare, caratterizzata dall'affermazione di due pretese creditorie tra loro in conflitto, delle quali una avanzata in via tempestiva e l'altra tardivamente. Il caso esaminato da ultimo è invece più lineare e ciò ha consentito alla Corte di esprimere principi di più ampia portata applicativa; anche per questo motivo, la pronuncia merita attenzione.

I fatti di causa sottoposti all'attenzione della Suprema Corte possono essere sintetizzati nei termini che seguono.

Il Tribunale di Cosenza dichiarava inammissibile l'impugnazione avverso crediti insinuati tempestivamente al passivo di un fallimento proposta da una società che aveva avanzato tardivamente la domanda di ammissione di un proprio credito al passivo del medesimo fallimento. Alla base della pronuncia di inammissibilità, per quanto è dato ricavare dalla sentenza in commento, vi erano due ordini di motivazioni: in primo luogo, secondo il Tribunale, i creditori ammessi tardivamente potrebbero impugnare ex art. 98, comma 3, l.fall. soltanto lo stato passivo formato sulle altre domande tardive, ma non quello relativo alle domande avanzate tempestivamente, posto che in caso contrario risulterebbero neutralizzati gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla tardività della domanda di ammissione; inoltre, sempre secondo il Tribunale, l'interesse all'impugnazione sorgerebbe soltanto con l'ammissione al passivo, mentre nel caso di specie l'impugnazione del credito tempestivo era stata proposta quando la domanda di insinuazione tardiva del creditore impugnante era ancora sub judice (ancorché fosse poi stata accolta al momento della pronuncia di inammissibilità dell'impugnazione).

Le questioni sulle quali la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sono quindi due, come dimostra anche l'enunciazione finale di due distinti principi di diritto. La prima concerne l'astratta titolarità in capo al creditore tardivo del potere di impugnare l'ammissione al passivo di un creditore insinuatosi tempestivamente; la seconda, chiaramente connessa e consequenziale alla prima, riguarda il momento a partire dal quale al creditore tardivo può essere riconosciuto tale potere, ovvero se già dal momento della proposizione della domanda di ammissione tardiva oppure soltanto dopo il suo accoglimento.

La legittimazione del creditore tardivo ad impugnare l'ammissione di un credito tempestivo

Per comprendere i termini delle questioni esaminate nella sentenza in commento è opportuno inquadrare sinteticamente l'istituto dell'impugnazione dei crediti ammessi, precisando che la relativa disciplina è stata riprodotta sostanzialmente immutata, per quanto qui interessa, negli artt. 206 e 207 CCI di cui al d.lgs. 14/2019.

L'art. 98, comma 1, l.fall., stabilisce che “Contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo può essere proposta opposizione, impugnazione dei crediti ammessi o revocazione” ed il successivo terzo comma precisa: “Con l'impugnazione il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contestano che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta; l'impugnazione è rivolta nei confronti del creditore concorrente, la cui domanda è stata accolta”.

L'impugnazione ex art. 98 l.fall., dunque, è funzionale a contestare l'ammissione totale o parziale di un credito o di un titolo di prelazione nello stato passivo del fallimento, come formato e reso esecutivo dal giudice delegato; si tratta, peraltro, dell'unico rimedio ammesso a tale scopo, non essendo consentito proporre avverso il decreto di esecutività dello stato passivo il reclamo ex art. 26 l.fall.

Il successivo art. 99 l.fall. disciplina gli aspetti procedurali delle impugnazioni avverso lo stato passivo ed al primo comma sancisce che “Le impugnazioni di cui all'articolo precedente si propongono con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla comunicazione di cui all'art. 97 ovvero in caso di revocazione dalla scoperta del fatto o del documento”.

Proprio nella disposizione appena richiamata potrebbe individuarsi un primo ostacolo alla concreta praticabilità da parte di un creditore tardivo del rimedio impugnatorio avverso un credito ammesso in via tempestiva; il creditore che abbia proposto una domanda tardiva, infatti, normalmente non riceve la comunicazione di esecutività dello stato passivo formato sulle domande tempestive, sicché per esso potrebbe essere impossibile rispettare il termine dettato dall'art. 99 l.fall.

Tale considerazione non è però decisiva nell'escludere la legittimazione del creditore tardivo ad impugnare lo stato passivo formato sulle domande tempestive, per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, una domanda considerata tardiva può essere presentata anche prima che sia reso esecutivo lo stato passivo sulle domande tempestive; in questi casi, dunque, il problema del rispetto del termine ex art. 99, comma 1, l.fall. potrebbe non porsi. Ciò è dimostrato proprio dal caso esaminato dalla Cassazione: forse per un eccesso di zelo da parte del curatore, infatti, la comunicazione ex art. 97 l.fall. avente ad oggetto l'esecutività dello stato passivo formato sulle domande tempestive era stata inviata anche alla società che aveva proposto la domanda tardiva (che dunque non era interessata dal decreto comunicato) e che avrebbe poi proposto l'impugnazione.

Occorre inoltre considerare che, secondo un orientamento giurisprudenziale e dottrinale ormai consolidato, il termine breve ex art. 99, comma 1, l.fall. può applicarsi soltanto nei confronti dei creditori che abbiano ricevuto la comunicazione di cui all'art. 97 l.fall. mentre, per coloro che non l'abbiano ricevuta, deve trovare applicazione in via analogica il termine di decadenza sancito dall'art. 327 c.p.c. In mancanza del ricevimento della comunicazione di esecutività dello stato passivo tempestivo, quindi, il termine di impugnazione dello stato passivo formato sulle domande tempestive da parte del creditore tardivo non sarebbe quello breve di cui all'art. 99, comma 1, l.fall., ma quello lungo di 6 mesi decorrente dal deposito del decreto ex art. 96, comma 4, l.fall.

In sostanza, ciò vuol dire che il creditore che abbia proposto la domanda di ammissione tardivamente, ma comunque entro il termine di sei mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo tempestivo, potrebbe essere ancora in termini per impugnare un credito ammesso tempestivamente (tralasciando, per il momento, la distinta questione dell'ammissibilità dell'impugnazione da parte del creditore tardivo la cui domanda non sia ancora stata accolta).

Atteso che la riconosciuta applicabilità analogica dell'art. 327 c.p.c. attenua (anche se non elimina del tutto) gli ostacoli pratici alla proponibilità dell'impugnazione di un credito tempestivo da parte di un creditore tardivo, resta da esaminare l'argomento di carattere sostanziale addotto dal Giudice di merito per motivare la pronuncia di inammissibilità dell'impugnazione, ovvero la presunta “neutralizzazione” degli effetti pregiudizievoli derivanti dal ritardo nella presentazione della domanda di ammissione che scaturirebbe dal riconoscimento della legittimazione all'impugnazione di un credito tempestivo da parte di un creditore tardivo.

Per quanto suggestiva, tale argomentazione appare di scarsa consistenza. L'argomento presuppone che tra gli effetti negativi correlati alla tardività della domanda di ammissione vi sia anche la preclusione ad impugnare un credito ammesso tempestivamente; quello appena riportato è però un postulato rimasto privo di qualsiasi dimostrazione e che, anzi, viene confutato dalla stessa Cassazione.

Nella pronuncia in oggetto, infatti, la Corte si incarica di individuare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla tardività della domanda di ammissione e giunge alla conclusione che l'unico contemplato dall'ordinamento è quello previsto dall'art. 112 l.fall. (a norma del quale i creditori tardivi concorrono solo alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione), cui si ricollega la preclusione prevista dall'art. 110, comma 3, l.fall. (che legittima alla proposizione del reclamo contro il progetto di ripartizione dello stato passivo i soli creditori ammessi o quelli che abbiano proposto opposizione contro il provvedimento di esclusione, equiparando a tal fine la posizione del creditore definitivamente escluso a quella del creditore tardivo la cui domanda non sia stata ancora esaminata).

Al di fuori di quelle appena indicate, non vi è alcun'altra conseguenza pregiudizievole derivante dalla tardività della domanda di ammissione; pertanto, non si può escludere a priori che un creditore tardivo sia legittimato ad impugnare un creditore tempestivo. Semmai, precisa sempre la Suprema Corte, sulla base di quanto previsto dagli artt. 110, comma 3, e 112 l.fall., l'impugnazione dovrebbe ritenersi inammissibile soltanto se proposta da un creditore tardivo non ancora ammesso avverso un credito di cui un piano di riparto parziale o il progetto di ripartizione finale preveda il soddisfacimento integrale; soltanto in questa ipotesi (che la stessa Suprema Corte definisce di scuola), l'impugnazione avrebbe l'effetto di “neutralizzare” la preclusione sancita dalle norme sopra indicate.

L'interesse ad agire del creditore tardivo sub judice

Accertato che anche il creditore tardivo è astrattamente legittimato ad impugnare un credito ammesso in via tempestiva, occorre ora affrontare la seconda questione posta all'attenzione della Suprema Corte, cioè se tale potere vada riconosciuto al solo creditore tardivo già ammesso o anche a colui che abbia presentato la domanda (tardiva) di ammissione che sia in attesa di essere esaminata dal giudice delegato.

La questione assume una notevole rilevanza atteso che, sul piano pratico, è assai improbabile che il creditore veda accolta la propria domanda tardiva nel termine di sei mesi dal deposito dello stato passivo formato sulle tempestive (ed ancor meno entro 30 giorni dall'occasionale ricevimento della comunicazione di avvenuta approvazione dello stato passivo tempestivo).

In termini non molto dissimili, il problema si pone anche con riguardo all'impugnazione proposta da un creditore che abbia chiesto l'ammissione tempestivamente, che abbia visto rigettata la propria domanda e che abbia poi proposto opposizione avverso la propria esclusione. Anche in questo caso, infatti, si tratta di un soggetto la cui domanda di ammissione al passivo è ancora sub judice.

Ancorché sia generalmente affrontata trattando della legittimazione all'impugnazione, sembra invero che la questione non attenga all'astratta titolarità del potere d'impugnativa (cioè alla legittimazione propriamente intesa), bensì alla sussistenza dell'interesse all'impugnazione.

A tal proposito occorre avere presente che l'interesse tutelato dall'impugnazione consiste “nella possibilità per l'impugnante di ottenere l'esclusione dallo stato passivo, in tutto o in parte, di uno o più crediti concorrenti e, dunque, la riduzione dell'ammontare complessivo dei crediti ammessi, con corrispondente aumento delle proprie possibilità di soddisfarsi sul ricavato della liquidazione dell'attivo” (così la Cassazione nella sentenza in commento); inoltre, l'art. 96, ultimo comma, l.fall., stabilisce oggi espressamente che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte all'esito delle diverse possibili impugnazioni del decreto medesimo producono effetti soltanto ai fini del concorso.

Alla luce di tali considerazioni, è chiaro che l'impugnazione proposta da un creditore definitivamente escluso dallo stato passivo o che non abbia mai nemmeno proposto la domanda di ammissione dovrebbe ritenersi inammissibile; ciò, però, non per carenza di legittimazione strettamente intesa (atteso che, come nota la stessa Cassazione nella sentenza in commento, l'art. 98 l.fall. riconosce tale legittimazione al “creditore”, senza alcuna ulteriore specificazione), ma perché l'esclusione di un creditore ammesso non arrecherebbe all'impugnante alcun beneficio. In sostanza, nelle ipotesi accennate l'impugnazione non sarebbe fondata su alcun interesse meritevole di tutela giuridica.

Ed in effetti, pur riferendosi alla legittimazione in senso ampio, nella sentenza commentata la Cassazione afferma l'inammissibilità dell'impugnazione proposta dal creditore “che non abbia presentato la domanda di insinuazione o al creditore (tempestivo o tardivo che sia) che, pur avendola presentata, l'abbia vista respingere e non abbia proposto opposizione”.

Per il caso in cui la cui domanda di ammissione sia ancora sub judice nella fase di opposizione allo stato passivo o di esame delle domande tardive, la soluzione potrebbe essere diversa. Per queste ipotesi, occorre accertare se un interesse meritevole di tutela processuale ad escludere un creditore concorrente sorga soltanto con la propria ammissione al passivo o se sussista fin dalla proposizione della domanda (e se perduri anche in caso di rigetto della domanda, in pendenza dell'opposizione).

Nel caso esaminato dalla Cassazione il Tribunale si era orientato nel primo senso, ritenendo che l'impugnazione proposta dal creditore sub judice dovesse ritenersi inammissibile per carenza di interesse.

La Cassazione ha ritenuto che tale impostazione non sia corretta, affermando che “l'interesse del creditore tardivo all'impugnazione (così come quello del tempestivo) sorge per il fatto stesso di aver proposto la domanda di insinuazione, e non solo dal momento in cui questa viene accolta, e permane (al pari di quello del creditore tempestivo escluso che abbia proposto opposizione) sino a quando il medesimo non veda accertata in via definitiva l'insussistenza del suo diritto a partecipare al concorso”.

La medesima conclusione, peraltro, era stata proposta in dottrina anche con riguardo all'impugnazione proposta dal creditore escluso che avesse proposto opposizione allo stato passivo e che intendesse contestare l'ammissione di un altro (potenziale) concorrente.

Tale conclusione appare condivisibile. Come detto, l'impugnazione dei crediti ammessi è funzionale a tutelare pienamente le aspettative di maggior soddisfacimento del creditore impugnante, anche mediante l'esclusione di un altro concorrente. L'interesse all'impugnazione, dunque, sembra poter trovare fondamento sulla stessa proposizione della domanda di ammissione al passivo. Detto in altri termini, dal momento in cui il creditore chiede di partecipare al concorso egli ha anche interesse meritevole a che la sua partecipazione al concorso sia la più vantaggiosa possibile; l'impugnazione di crediti potenzialmente concorrenti è dunque fondata su un interesse che già in quel momento risulta meritevole di protezione processuale.

È vero, d'altro canto, che l'effettiva partecipazione al concorso è condizionata non già alla mera presentazione della domanda di ammissione, bensì al suo accoglimento definitivo. Per questa ragione, l'eventuale rigetto della domanda presentata tardivamente incide sull'interesse all'impugnazione eventualmente proposta nelle more, facendolo venir meno.

Si può dunque ritenere, come affermato dalla Cassazione nella pronuncia in commento, che l'interesse all'impugnazione di un credito concorrente sorga con la proposizione della domanda di ammissione e venga meno soltanto in conseguenza del definitivo rigetto di detta domanda.

Alla luce di tale conclusione risulta ulteriormente ridimensionato l'ostacolo di ordine pratico all'impugnazione di un credito ammesso in via tempestiva da parte di un creditore tardivo, poiché il rimedio in parola sarà consentito a chiunque abbia proposto la domanda di ammissione nel termine di sei mesi dal deposito dello stato passivo formato sulle domande tempestive.

In ordine all'interesse ad impugnare da parte del creditore tardivo sono opportune due precisazioni conclusive.

In primo luogo, come rilevato in precedenza, l'interesse all'impugnazione da parte di un creditore tardivo la cui domanda non sia ancora stata accolta avverso un credito insinuato tempestivamente viene meno nel momento in cui un piano di riparto parziale o finale preveda l'integrale soddisfazione del credito che si intenda contestare. Stante il regime previsto per i crediti ammessi tardivamente, infatti, anche in questo caso (sostanzialmente di scuola) la proposizione del gravame non potrebbe portare alcun beneficio all'impugnante. Ritenendo diversamente, si consentirebbe al creditore tardivo non ancora ammesso di incidere sul riparto disposto in favore di un creditore tempestivo (in violazione di quanto previsto dall'art. 110, comma 3, l.fall.), portando ad una effettiva “neutralizzazione” delle conseguenze pregiudizievoli correlate dalla legge alla tardività della domanda di ammissione.

Una breve notazione merita infine l'ipotesi in cui ad essere sub judice sia il credito oggetto della domanda tempestiva che si intenda contestare. L'eventualità potrebbe verificarsi nel caso di un creditore tardivo (già ammesso o la cui domanda debba ancora essere esaminata) che intendesse contestare un credito di cui sia stata chiesta l'ammissione tempestiva, che sia stato escluso dallo stato passivo tempestivo e per il quale sia stata proposta opposizione.

In tale fattispecie è chiaro che l'impugnazione non può ritenersi ammissibile, non solo per l'assenza di interesse in capo al creditore tardivo a contestare un credito che non è ancora stato ammesso, ma anche (e soprattutto) perché mancherebbe il provvedimento di accoglimento della domanda del creditore concorrente che, ai sensi dell'art. 98, comma 3, l.fall., costituisce l'oggetto stesso dell'impugnazione. Prima dell'ammissione del credito che si intenda contestare, in sostanza, non è nemmeno configurabile l'impugnazione ex art. 98, comma 3, l.fall.

Nell'ipotesi in esame potrebbe forse ipotizzarsi la possibilità per il creditore tardivo di intervenire nel giudizio di opposizione, al fine di contrastare in quella sede la domanda di ammissione al passivo avanzata in via tempestiva. Laddove l'opposizione fosse accolta, inoltre, potrebbe essere riconosciuta al creditore tardivo la legittimazione (e l'interesse) ad impugnare lo stato passivo formato sulle domande tempestive, come modificato proprio per effetto dell'accoglimento dell'opposizione.

Le interferenze tra il procedimento di impugnazione ed il procedimento di verifica della domanda tardiva

Come detto, la Cassazione ha affermato che l'interesse all'impugnazione di un credito ammesso in via tempestiva sorge in capo al creditore tardivo già dal momento della presentazione della propria domanda di ammissione.

Posto tale principio, si pone l'ulteriore problema di coordinare le interferenze processuali derivanti dalla possibile contestuale pendenza del giudizio di impugnazione del credito ammesso in via tempestiva proposto dal creditore tardivo e del procedimento di verifica della domanda tardiva dallo stesso avanzata.

Non rientrando nella materia del contendere nella causa portata alla sua attenzione, nella sentenza commentata la Suprema Corte affronta tale questione assai rapidamente, limitandosi ad affermare che tali interferenze “potranno trovare soluzione, ove non sia possibile la riunione dei giudizi, attraverso il ricorso all'istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.”.

Anche tale assunto trova riscontro in alcune precedenti opinioni dottrinali e merita di essere meglio illustrato.

Si è detto in precedenza che l'interesse all'impugnazione da parte di un creditore tardivo sub judice trova fondamento sulla sua aspettativa di essere ammesso al passivo e che, laddove tale aspettativa venga definitivamente meno (per il rigetto della domanda), viene meno anche l'interesse all'impugnazione, che non potrà essere esaminata nel merito.

Ciò vuol dire che la decisione sulla domanda tardiva è pregiudiziale rispetto alla decisione dell'impugnazione eventualmente proposta dal medesimo soggetto. Secondo quanto chiarisce la stessa Cassazione, quindi, il giudizio di impugnazione dovrà essere sospeso in attesa della definitiva decisione sulla domanda di ammissione.

L'eventuale riunione dei giudizi invece, cui pure fanno un veloce riferimento i Giudici di legittimità, dovrebbe trovare uno spazio applicativo assai limitato.

Sulla domanda di ammissione al passivo è infatti chiamato a pronunciarsi il giudice delegato mentre, ai sensi dell'art. 99 l.fall., l'impugnazione si propone dinanzi al collegio, del quale non può far parte il giudice delegato che ha formato e reso esecutivo lo stato passivo. L'astratta possibilità di disporre la riunione dinanzi ad un unico collegio, quindi, sussisterebbe soltanto nel caso della contestuale pendenza dell'impugnazione avverso lo stato passivo tempestivo e dell'opposizione avverso lo stato passivo tardivo dal quale l'impugnante fosse stato escluso.

Tale eventualità è però assai improbabile. Considerato che l'impugnazione deve essere proposta al più tardi entro sei mesi dal deposito dello stato passivo formato sulle domande tempestive, infatti, è assai difficile ipotizzare che in questo lasso temporale la domanda tardiva sia già stata esaminata e respinta dal giudice delegato, sicché possa verificarsi la situazione processuale sopra descritta.

Il coordinamento tra il procedimento di verifica della domanda tardiva ed il giudizio di impugnazione dovrà pertanto essere ordinariamente assicurato mediante la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di impugnazione medesimo.

Guida all'approfondimento

Le conclusioni accolte dalla Cassazione sono state prospettate in dottrina da, M. MONTANARI, Le impugnazioni dello stato passivo, in AA.VV., Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore, A. Bassi, vol. III, Padova, 2011, 115 ss., nonché da, S. MENCHINI, A. MOTTO, L'accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in AA.VV., Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, vol. II, Torino, 2014, 579 ss. Sull'impugnazione dei crediti ammessi, si veda anche, S. CONFORTI, Le impugnazioni dello stato passivo, Torino, 2021, passim, ed in particolare, 65 ss.

Per un commento a Cass., sez. I, ord. 5 aprile 2017, n. 8869, cfr., V. ZANICHELLI, Qualcosa di nuovo sul fronte delle domande tardive, Il fallimento, 2017, 941.

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