Il dolore dei genitori per la morte del feto

Francesca Toppetti
21 Giugno 2022

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, la terza sezione della Corte di Cassazione ha delineato i contorni di una fattispecie di dolore genitoriale dotata di una sua autonoma specificità: il danno determinato dalla morte del feto.
Introduzione

Nel panorama dellaliquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, l'attività di profondo scandaglio portata avanti incessantemente dalla III sezione della Corte di Cassazione ha delineato i contorni di una fattispecie di dolore genitoriale dotata di una sua autonoma specificità: il danno determinato dalla morte del feto.

L'avvenimento della nascita - segnando il passaggio dalla condizione di feto a quella di figlio neonato - diviene il momento in funzione del quale modulare i parametri liquidativi della sofferenza patita dai genitori, cui non può essere legittimamente negato anche il diritto al ristoro dei riflessi dinamico-relazionali abbattutisi sulla loro quotidianità e non sussumibili semplicemente nella perdita della relazione.

La perdita del feto, morto alla 31^ settimana di gestazione, nel caso esaminato dalla S.C. (ordinanza 29 settembre 2021, n. 26301) fonda la legittimazione ad agire nei confronti della struttura sanitaria per il fatto omissivo della tempestiva esecuzione del taglio cesareo, idoneo ad evitare la sofferenza e la morte del feto, in base ad un giudizio prognostico di elevata probabilità, fondato - simmetricamente alle omissioni diagnostiche e terapeutiche - sulla CTU.

La tutela del concepito e la perdita del feto

Nell'attuale quadro normativo e giurisprudenziale - caratterizzato dal sempre più intenso ampliamento della tutela della persona - tanto l'embrione, quanto il concepito ed il feto nascituro rientrano all'interno della nozione di soggetto meritevole di tutela.

L'essere umano, che cresce e si sviluppa durante la gestazione, vive dapprima una fase embrionale, per assumere - a partire dall'ottava settimana decorrente dal momento del concepimento - l'aspetto del feto, che è contrassegnato da caratteristiche di sembianze umane, in quanto inizia la formazione degli arti e delle strutture facciali ed il sistema neurologico comincia a funzionare.

Il momento del primo respiro fuori dall'utero materno segna il passaggio dallo stato di feto a quello di neonato, con l'acquisto della capacità giuridica e la qualificazione in termini di persona.

La valorizzazione della situazione giuridica del concepito è solidamente ancorata al dettato costituzionale, che prevede la tutela della maternità (art. 31, comma 2, Cost.) e riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost.) ed il concepito è titolare di una serie di diritti specificamente individuati, quali la capacità successoria (art. 462, comma 1, c.c.) e quella di ricevere per donazione beni immobili, mobili e denaro (art. 784 c.c.).

Con riguardo al profilo del risarcimento del danno, appare di assoluto rilievo il fatto che gli ultimi arresti interpretativi della Suprema Corte prospettino come fuorviante una qualificazione del danno da perdita del feto che ne circoscriva la tutela entro i confini ristretti del “frutto del concepimento”, essendo innegabile che i genitori instaurano progressivamente un rapporto vero e proprio con il feto in via di sviluppo, sia nelle interazioni quotidiane con la pancia materna che cresce e reca in sé la vita che si prepara a fiorire, sia - anche - attraverso gli esami diagnostici che, oggi, consentono di visualizzare il feto, tridimensionalmente, muoversi ed osservare le espressioni del suo corpo, così da renderlo già quasi tangibile per i genitori in attesa.

Per questo, con attenzione alle sfumature dell'amore e del dolore, sempre più accuratamente poste in rilievo dagli studi della psichiatria internazionale, occorre che - laddove si verifichi la morte del feto - siano valorizzate in modo adeguato anche tutte le conseguenze emozionali ed interiori, che scaturiscono a causa e per effetto dello strappo improvviso, avendo riguardo all'investimento parentale di energie psichiche, emozionali e cinestetiche, che rientrano in quell'ampia categoria del sentire, che - psichicamente - è la vera fonte inesauribile del significato del vivere.

La morte del feto: il danno da perdita del rapporto parentale e la sofferenza soggettiva interiore

È riflettendo sull'indicata radicale differenza tra concepito e feto che si afferra con maggiore chiarezza la ratio su cui si fonda il recente orientamento interpretativo della Suprema Corte di Cassazione, delicatamente concentrata a valorizzare la risonanza interna e la significanza emotiva che il figlio atteso genera e crea nei genitori, i quali non perdono solo la relazione con il figlio che non potranno veder crescere, ma sono privati di un quid pluris, che attiene alla loro più intima sfera individuale e deve trovare il giusto ristoro.

La terza sezione della Corte di Cassazione afferma, infatti, che la c.d. “perdita del frutto del concepimento" non esaurisce il plafond risarcibile, cui hanno diritto la madre ed il padre privati del figlio atteso, poiché – nella valutazione del danno non patrimoniale che si determina al verificarsi di questo tragico evento della vita familiare – deve avere ingresso la piena considerazione anche “degli strascichi che quel lutto abbia lasciato nell'animo dei protagonisti” e, cioè, di ciò che accade nel vissuto successivo di chi sia stato privato della gioia di vedere, toccare, nutrire ed iniziare ad amare quella creatura che, dallo stato di embrione, si è lentamente sviluppata durante i mesi della gestazione.

Pertanto, il danno risarcibile ai genitori per la perdita della vita - che palpitava nel corso della gestazione, ma non giunse a vedere la luce del mondo - non può essere limitato alla perdita della relazione attesa, dovendo estendersi anche all'adeguata considerazione della sofferenza soggettiva interiore che si produce nella personalità, nello spirito, nelle abitudini e nel carattere dei genitori mutilati della nascita: per questo, la paura notturna, i sogni angosciosi, l'inquietudine ed il tormento che attraversano la nuova quotidianità familiare nella fase post evento traumatico “non costituiscono un danno assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti per la perdita del frutto del concepimento".

Per comprendere la ratio e la logica su cui si fonda la risarcibilità di tali pregiudizi - palpabili nello sconvolgimento delle abitudini di vita conseguenti alla morte del feto in utero - si pensi al rientro a casa dei genitori mancati, che si trovino a convivere con una culla che era stata preparata, con trepidazione, per accogliere un bambino che non ha visto la luce e del quale non potranno occuparsi. A questi genitori è precluso il conseguimento di quel risultato effettivo e reale dell'esperienza emotiva genitoriale che durante la gestazione ha nutrito la costruzione del desiderio di famiglia e che era destinato - con l'evento nascita - a concretizzarsi, ma al quale, invece, è imposto il naufragio nella sofferenza e nella disillusione, in quanto la mancata genitorialità in concreto segna il crollo ed il repentino blocco di tutta la processualità fisiologica della psiche che il processo gestazionale - infine traumaticamente interrotto - aveva innescato e contribuito a far sviluppare.

La delimitazione del fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio e la emendatio libelli

La sofferenza ingeneratasi nella vita quotidiana e nel vissuto esperienziale dei genitori costituisce un fatto secondario, qualificabile in termini di emendatio libelli - ammessa - e non censurabile quale mutatio libelli.

Indifferentemente dal fatto che si tratti di un figlio o del feto in utero, chi agisce in giudizio per ottenere il ristoro del danno non patrimoniale delimita il fatto costitutivo nel momento in cui indica la morte del congiunto quale scaturigine del pregiudizio lamentato.
Costituisce, quindi, una precisazione del petitum e non già una “domanda nuova” l'allegazione dei fatti materiali idonei a provare, in concreto, il dolore di chi abbia perso un bambino, dopo averlo sentito crescere nel suo grembo.

Privati della gioia di vedere il figlio emanciparsi dallo stato di feto, pernascere vivo alla luce del mondo, gli attori – nel caso deciso dalla Suprema Corte il 29 settembre 2021 - avevano allegato “i fatti materiali da cui ricavare la prova della sofferenza morale”, indicando anche la violazione degli articoli 1223 e 2059 c.c., ma era stata loro preclusa, nel corso del giudizio di merito, la possibilità di provare le specificità del caso concreto idonea a giustificare la personalizzazione del risarcimento.

La Corte di Cassazione evidenzia con forza e chiarezza che il vissuto esistenziale di sofferenza che si manifesta nei mesi successivi alla morte, in capo alla madre privata della gioia di dare alla luce vivoquel feto che era sul punto di nascere, può essere legittimamente allegato in corso di causa, sul presupposto che non vanno confusi la qualificazione della fattispecie e la quantificazione del danno, poiché la nozione di “fatto costitutivo” del diritto al risarcimento non coincide con quella di “danno risarcibile”.

L'allegazione della sofferenza morale e le presunzioni semplici

L'istruttoria del giudizio di merito deve consentire agli attori danneggiati di provare la natura e la consistenza dei danni patiti e posti a base della pretesa risarcitoria, in quanto le richieste istruttorie sono finalizzate a fornire la prova dell'atteggiarsi del pregiudizio non patrimoniale patito. Ma in relazione ad una fattispecie di danno quale quella della sofferenza soggettiva interiore da perdita del feto non è esigibile un'indicazione puntuale della somma risarcitoria richiesta e non può essere dichiarata generica una domanda che difetti della richiesta minuta e circostanziata dell'aestimatio, laddove siano stati indicati tempestivamente gli elementi fattuali dedotti per l'apprezzamento del danno di cui si chieda il ristoro.

Essenziale è l'attività di allegazione dei fatti nel processo, cioè la ricostruzione che dell'accaduto viene versata in atti dagli avvocati delle parti, con attenzione alla distinzione tra i fatti primari, posti a base della pretesa degli attori (o portati dal convenuto per contrastarne nel merito fondatezza) e quelli secondari che possono essere dal giudice presi in considerazione anche se non formalmente allegati dalle parti.

La perdita del feto innesca un processo di reazioni psicologiche che coinvolgono la sfera emotiva, quella cognitiva e comportamentale: si tratta di vissuti che scaturiscono dall'assenza del bimbo atteso e dal distacco con cui la morte impone ai genitori di confrontarsi.

Come osservano gli psichiatri chiamati a confrontarsi con persone vittime di questa dolorosa esperienza “l'utero è vuoto e le braccia sono vuote” e questo richiede l'innescarsi di un processo di gestione del lutto per lenire le ferite interiori, che possono manifestarsi in comportamenti di cronica apatia, disorientamento, pianto ricorrente, incubi e manifestazioni anche somatiche dell'angoscia della separazione.

A fondare la presunzione semplice è la connessione di ragionevole probabilità che lega il fatto base noto al fatto non noto, c.d. probandum, passando attraverso un ragionamento induttivo di tipo inferenziale.

Nella perdita del rapporto parentale, il vero danno è il dolore e non la relazione, in quanto “la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici costituisce assai frequentemente l'aspetto più significativo del danno de quo”.

Val la pena di rilevare che il rigetto della domanda di personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in caso di perdita del feto dalla madre della neonata, morta poche ore dopo il parto - laddove sia mancata l'ammissione dei capitoli di prova per testi volta a provare “le sofferenze patite in conseguenza del lutto” con riferimento ad elementi e circostanze relative alla rispettiva elaborazione della perdita e del distacco - può integrare la violazione del principio in base a cui “la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza se, come nella specie, il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell'onere sancito all'art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo” (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2021, n. 18285).

Il potere equitativo del giudice e la perdita di una speranza di vita

Al prudente apprezzamento del giudice di merito, anche in grado di appello, è rimessa la quantificazione del danno risarcibile ai genitori privati della nascita del figlio, mediante l'applicazione dei parametri estimatori applicati per la valutazione del danno parentale, ma con una riduzione, modulata in funzione della necessità di valorizzare il discrimen esistente tra la privazione di una speranza di vita e la perdita della vita di un figlio, con il quale sia stata instaurata una vera e propria relazione affettiva, nutrita da ricordi emozionali e corroborata da condivisioni ed esperienze vissute nei mesi e negli anni.

La determinazione dell'ammontare del danno secondo il criterio equitativo, ove ne sussistano i presupposti, anche senza domanda di parte, è rimessa d'ufficio al prudente apprezzamento del giudice di merito e può essere esercitata anche in grado di appello (Cass. sez. III, 5 febbraio 2021, n. 2831), in quanto la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. non richiede alcuna sollecitazione di parte, poiché la scelta - così come l'adozione di qualsiasi altri criterio liquidativo del danno aquiliano - è rimessa alla valutazione del giudice di merito, laddove la legge non disponga altrimenti.
L'equità è il presidio attraverso cui è possibile la modulazione dei valori tabellari che i genitori mancati possono attendere di conseguire all'esito dell'accertamento giudiziale, che - caso per caso, in concreto - può portare ad una decurtazione proporzionale della soglia minima riconoscibile in base alle tabelle.

Nelle ipotesi in cui l'oggetto della richiesta risarcitoria sia il pregiudizio generato dalla morte del feto, al rapporto parentale è mancato il tempo di manifestarsi pienamente - sul piano materiale e su quello immateriale - con la conseguenza che l'applicazione delle tabelle di valutazione del danno parentale potrà essere dal Giudice proporzionata, in applicazione della previsione di cui all'art. 2056 c.c.

Per quanto attiene, dunque, all'applicazione dei valori tabellari la strada indicata dalla Suprema Corte è quella della modulazione (anche con riduzione fino alla metà della soglia minima del danno da lesione parentale) del ristoro esigibile dai genitori e dai nonni del feto nato morto (Cass. sez. III, 20 ottobre 2020, n. 22859), sul presupposto che i parametri tabellari siano fissati tenendo conto di situazioni ordinariamente configurabili in relazione alla perdita di un figlio con il quale sia stato instaurato “un rapporto oggettivo, fisico e psichico”, come invece non può ritenersi essere avvenuto nel caso della lesione del rapporto parentale con il feto che sia nato morto.

In tali dolorose ipotesi di danno non vi è la perdita di una vita (che fino al momento della nascita non c'è ancora nel mondo tangibile), ma la perdita di una speranza di vita, per cui il ricorso alle tabelle può ben fungere da criterio orientativo“per la liquidazione equitativa del danno da perdita al frutto del concepimento subito tanto dalla madre quanto dal padre” (Cass. sez. II, 15 settembre 2020, n. 19190), ma considerando che per il figlio nato morto è prevedibile “il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all'interno della forbice di riferimento” (Cass., sez. III, 18 giugno 2015, n. 12717).

Certo è che, ai fini della corretta qualificazione degli elementi costitutivi del fatto illecito, la nozione di fatto costitutivo del diritto al risarcimento non va confusa con quella di danno risarcibile, specie nei casi in cui si verta in tema di danno non patrimoniale da perdita parentale in cui “l'incertezza determinativa del quantum non è superabile interamente neppure all'esito dell'istruttoria”.

Pertanto, piena operatività esplica la c.d. clausola di salvaguardia della liquidazione del danno (il noto sintagma “nella eventuale maggior misura”) presente negli atti introduttivi e conclusivi dell'attore: detta clausola legittima il giudice ad effettuare la quantificazione secondo criteri di discrezionalità equitativi puri, in vista della piena reintegrazione del pregiudizio, sempre con l'obbligo - stante l'esercizio di un potere discrezionale - di “dare in motivazione conto della operata valutazione di ciascuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento” (Cass., sez. III, 13 settembre 2018, n. 22272).

In conclusione

Il dolore interiore diventa il fulcro dell'entità risarcitoria, in quanto “il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza non la relazione. È il dolore, non la vita che cambia se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo”, così testualmente si legge nell'ordinanza 29 settembre 2021, n. 26301, in cui con profonda soavità è chiarito, sul punto, che “il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto”.

La negligente ed imperita mancata diagnosi di ipossia fetale e l'omissione del corretto e tempestivo trattamento chirurgico-terapeutico radicano il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali per la perdita del feto, patiti dai genitori in proprio e, ove sia presente un altro figlio, anche quali esercenti la potestà genitoriale sul minore.

Riferimenti
  • F. Toppetti (a cura di), Il danno psichico e la sofferenza soggettiva interiore, aprile 2022.
  • M. Rossetti, Il danno alla salute, giugno 2021.
  • G. Travaglino, Il danno alla persona tra essere ed essenza, Questione Giustizia, 1, 2018.
  • L. Berti, Il risarcimento del danno parentale, Giuffrè Editore, 2018.
  • M. Recalcati, Incontrare l'assenza. Il trauma della perdita e la sua soggettivazione, 2016.
  • Kersting, A. & Wagner, B., Complicated grief after perinatal loss, Dialogues Clin. Neurosc., 14(2): 187–194, 2012.

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