Covid-19 e polizza privata infortuni: una rondine non fa primavera

Enzo Ronchi
Pasquale Malandrino
22 Giugno 2022

L'infezione virale Covid-19, in ambito assicurativo privato, è da ritenere infortunio o malattia? Si tratta di problema attuale, alla cui soluzione vengono portate motivazioni sia giuridiche sia medico legali.
Premessa

L'infezione virale Covid-19, in ambito assicurativo privato, è da ritenere infortunio o malattia?

Si tratta di problema attuale, alla cui soluzione vengono portate motivazioni sia giuridiche sia medico legali.

In campo medico legale si vedono schierati, e contrapposti, Autori che ritengono indennizzabili, in ambito polizza infortuni, le eventuali conseguenze dell'infezione stessa (inabilità temporanea, invalidità permanente, morte); ed Altri (fra i quali gli scriventi) che negano tale l'indennizzabilità, da riconoscere solo in presenza di assicurazione contro le malattie.

Non è oziosa questione accademica ed anzi l'attualità del problema è rimarcata dalla giurisprudenza di merito nel quotidiano, con sentenze di segno opposto affacciatesi sulla scena.

In epoca anteriore al Covid-19, non era mai accaduto che si prospettasse come infortunio un'infezione, fatte salve specifiche e note previsioni contrattuali (e, ovviamente, qui si prescinde dall'assicurazione obbligatoria INAIL che nulla ha a che vedere con quella privata che è regolata da indicazioni contrattuali del tutto proprie, oltre che dal cod. civ.). In passato, nessuno avrebbe mai ritenuto che contrarre un'infezione (sia essa virale, batterica o parassitaria) potesse configurare infortunio indennizzabile; e, a memoria di chi scrive, non ricordiamo un solo caso (incontrato personalmente o narrato da altri) in cui uno specialista medico legale lo abbia sostenuto.

Infortunio o malattia nella comune prassi interpretativa

A sentenze di merito che negano l'uguaglianza Covid19=infortunio di cui si dirà appresso, si è contrapposta il 19 gennaio 2022 la decisione n. 184 del Tribunale di Torino sez. IV civ., accolta con favore e positivamente commentata (aprile 2022), su questa Rivista, da due giuristi (Dott. Alberto Polotti di Zumaglia e avv. Alessandro Lacchini) e da un medico legale (dott. Enrico Pedoja).

Alla sentenza sabauda gli scriventi vogliono qui dare il significato della singola rondine avvistata dopo l'inverno che ancora non è garanzia di primavera. Anzi!

Prima di affrontare le motivazioni addotte nelle decisioni “pro e contro” da quei Giudici, giova riprendere talune affermazioni degli Autori Lacchini/Pedoja (in “Il Tribunale di Torino riconosce l'indennizzabilità in ambito infortunistico privato del decesso da Covid, quale causa diretta ed esclusiva) a proposito del dibattito medico legale circa “la classificabilità del processo infettivo come infortunio o malattia”.
Essi scrivono: “Ebbene, a discapito di un supposto sentire comune che classifica il Covid quale malattia, che -a parere di chi scrive- nessun rilievo assume nella discussione, se non rappresentare una credenza popolare, la dottrina medico legale è sostanzialmente concorde nel ritenere che l'infezione virale debba essere classificata tra gli infortuni”; e così dicendo, richiamano “consolidati presupposti scientifici” identificati nel contributo -pure su questa Rivista- di altro noto Autore, Riccardo Zoja.

In seguito (17 maggio 2022 in RIDARE, “Decesso da Covid 19 e indennizzabilità in ambito di infortunistica privata: iudex peritus peritorum e peritus sine peritis?) Lacchini tornava sulla consolidata letteratura: “La dottrina medico legale, con orientamento che si perde nella notte dei tempi (1900), considera l'infezione un infortunio e, anche senza scomodare un CTU, sarebbe stato sufficiente riferirsi al parere della Società Italiana di Medicina Legale, espresso su questa rivista dal suo Presidente Prof. Zoja”.

Invero, appare necessario chiosare che la risalente dottrina medico legale equipara l'infezione ad infortunio “solo” nella gestione INAIL, materia ben diversa che qui non ci occupa; e che la rispettabile opinione dell'autorevole Collega Zoja, è stata espressa su questa Rivista a titolo personale, non costituendo affatto formale presa di posizione della Società Italiana.
Risultano, ad esempio, altri precedenti (2020) contributi medico legali in materia (RIDARE imperat) con motivazioni in senso contrario (separatamente, Luigi Mastroroberto, Enzo Ronchi), per cui la sostanziale concordia in argomento della Medicina Legale, va posta in un angolo: è peraltro risaputo che la diversità di opinioni è da considerare un valore aggiunto.

Ciò detto, sembra ora utile tornare al sentire comune che classifica il Covid quale malattia e che -a parere di Lacchini-Pedoja- nessun rilievo assume nella discussione, se non rappresentare una credenza popolare.

Nessun rilievo nella discussione? Riteniamo valga l'esatto contrario.

Non di volgo, di credenza popolare si tratta, ma di quanto prevede l'art. 1368 c.c. che, a chiarire il senso di un accordo, stabilisce doversi ricorrere alla generale pratica interpretativa.
E ci si deve domandare qual era la comune intenzione delle parti (art. 1362 c.c.) al momento della stipulazione del contratto assicurativo in discorso. Si intendeva che le infezioni virali siano da ritenere infortunio o malattia? In altre parole, il sentire del comune cittadino che si accosta come assicurando al contratto da sottoscrivere, lo porta a considerare le infezioni virali malattia o infortunio?

Ognuno può rispondere in assoluta onestà intellettuale…

Estensioni di garanzia nella polizza infortuni

La querelle medico legale gira attorno alla definizione di infortunio adottata da tutte le polizze, in cui esso è inteso come evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche oggettivamente constatabili le quali abbiano per conseguenza la morte, un'invalidità permanente oppure un'inabilità temporanea.

Tre dunque devono essere i requisiti della causa.

Nulla quaestio su fortuità ed esteriorità, pacifico essendo che l'agente infettante penetra dall'esterno e accidentalmente.

Ciò che divide gli Autori medico legali è piuttosto il terzo requisito, la violenza: che la risalente (quella sì) dottrina medico legale riconosce nella concentrazione cronologica.
Si intende cioè che l'agente lesivo abbia una modalità d'azione, non diluita ma concentrata nel tempo (meglio quindi nel “tempuscolo”). Non conta che l'energia meccanico-cinetica, termica, elettrica, chimica, ecc., abbia superato una certa “soglia di intensità”, posto che sarebbe impossibile stabilire un cut-off anche solo convenzionale (secondo le diverse unità di misura) al di sopra del quale si configura la violenza: ma solo che si sia estrinsecata in un tempo cronologicamente ristretto.

Ne deriva che la “lettura” data da alcuni Autori medico legali favorevoli all'uguaglianza infezione Covid=infortunio, ha una sua ragion d'essere: anche il virus penetra in tempo ristretto, ed è perciò causa violenta.

E a dispetto di quanto riescano ad argomentare giuristi anche insigni, dalla violenza=concentrazione cronologica voluta dalla trattatistica medico legale, “non se ne esce”. Si cadrebbe nell'insormontabile difficoltà dello stabilire la soglia di intensità, superata la quale sussiste violenza. Ne deriverebbe una sequela di contenziosi, con giudizi medico legali del tutto arbitrari: e la lesività, come accennato, non è solo meccanico-cinetica, traumatica, la più comune.

Ma alcuni giuristi protestano. Altra cosa è la malattia ed altra l'infortunio: come dar torto? Anche e soprattutto perché qualsiasi agente patogeno avrebbe a questo punto i tre requisiti che caratterizzano la causa dell'infortunio a termini di polizza privata, compresa la violenza nel senso anzidetto.

Possono penetrare nell'organismo dall'esterno, accidentalmente e in termini cronologicamente concentrati, svariati tipi di virus, batteri, funghi e parassiti.

Tra i virus: quelli influenzali epidemici a carico delle vie respiratorie e del tratto gastrointestinale; quelli esantematici ma con possibile coinvolgimento encefalo-mielitico come il paramyxovirus del morbillo; quelli delle epatiti A/B/C; quelli neurotropi causativi di forme di meningo-encefalite e quelli condizionanti emorragie (come l'ebola), spesso trasmessi per il tramite di zanzare, zecche, artropodi (ma per solito vi sono specifiche esclusioni/estensioni di garanzia); quelli determinanti pleuro-pericarditi e miocarditi; per non dire del virus HIV dell'AIDS e dei vari coronavirus; ecc.

Tra gli agenti batterici principali: gli pneumococchi (polmoniti e meningiti); i meningococchi (meningiti); i corinebatteri (difterite); i micobatteri (b. di Koch, tubercolosi); le legionelle; i coli; le salmonelle (tifo); le clamidie; i treponemi (sifilide); ecc.

Tra le micosi: candidiasi, aspergillosi, mucormicosi, fusariosi, atte a portare polmoniti con possibili localizzazioni extra-polmonari (anche se, invero, in genere colpiscono soggetti immuno-compromessi per altre patologie, tale per cui viene meno il diritto all'indennizzo per palese difetto di causalità diretta ed esclusiva: in questo aspetto della problematica volutamente qui non si vuole entrare).

Tra i parassiti: elminti (vermi); e varie specie di protozoi condizionanti malattie sistemiche quali malaria, leishmaniosi, tripanosomiasi, ecc.

E quanto sopra costituisce un elenco che non ha certamente pretese di esaustività.

Ma se le cose stessero come vorrebbero i sostenitori del Covid=infortunio, come si dovrebbero valutare le infezioni nel “ramo malattia” dell'assicurazione privata? A ragione, l'assicuratore qui si sentirebbe autorizzato a respingere le richieste di indennizzo per invalidità, motivando che si tratta non di malattia ma di infortunio: si finirebbe così nel paradosso, nell'assurdo!

Merita dunque essere rimarcato che per generale pratica interpretativa e per comune intenzione delle parti contraenti la polizza (artt. 1368 c.c., 1362 c.c.), le infezioni in genere sono da ritenere malattia, fatte salve estensioni di garanzia che riportano nell'ambito infortuni, e che non a caso sono espressamente precisate.

I contratti di polizza prevedono propriamente una sezione denominata “estensioni della garanzia” in cui sono riportate diverse situazioni che l'assicuratore vuole mettere in garanzia e che, non soddisfacendo la definizione di infortunio, sono specificatamente descritte. Tra le tante e varie fattispecie equiparate ad infortunio quelle che ricorrono nella quasi totalità dei casi e che sono di nostro specifico interesse sono:

1) l'asfissia di origine non morbosa;

2) l'assideramento e il congelamento;

3) i colpi di sole o di calore;

4) l'annegamento;

5) l'infezione e l'avvelenamento causati da morsi di animali, punture di insetti e di vegetali, con esclusione della malaria e delle malattie tropicali (queste ultime, ad avviso dell'assicuratore, comporterebbero una densità di rischio insostenibile a fronte del premio incassato).

Le conseguenze delle infezioni a loro volta dovute a infortunio ai sensi di polizza, sono palesemente indennizzabili.

Lette le estensioni, appare chiaro l'intento dell'assicuratore - recepito dall'assicurando - di indennizzare le conseguenze delle infezioni (batteriche, virali, parassitarie) soltanto se queste siano insorte in seguito ad un evento violento, esterno, chiaramente fortuito: per esemplificare, un'infezione da Clostridium tetani cagionato da morso di animale o da un chiodo arrugginito, la malattia di Lyme provocata da un morso di una zecca, e così via.

È evidente che nei casi citati il diritto all'indennizzo per inabilità temporanea, permanente o morte, deriva non tanto dal morso di animale/puntura di insetto in sé, quanto dalla infezione/malattia conseguitane; e che l'agente responsabile dell'infezione, a sua volta viene introdotto nell'organismo attraverso micro-trauma configurante infortunio.

Motivazioni “pro e contro” nelle sentenze di merito

Nella sentenza n. 184/2022 del Tribunale di Torino, il Giudice (a nostro avviso senza aver approfondito lo studio della problematica) ha interamente recepito le motivazioni portate dal CTU. La cosa “ci inorgoglisce”, dato che per un'altra volta viene affermata l'importanza della nostra Specializzazione medica.

Nel già menzionato contributo su Ridare.it 17 maggio 2022, l'avv. Lacchini giudica negativamente i Giudici (Roma, Pescara, Pesaro) che, decidendo in senso contrario, hanno ritenuto la valutazione “di natura eminentemente giuridica e, come tale, spettante al magistrato, senza alcun coinvolgimento da parte dello specialista in medicina legale e delle assicurazioni” (peritus sine peritis nel titolo dell'articolo). E nel commentare la decisione pesarese (Ordinanza n. 690/2012), che fa suo il pensiero di autorevole Magistrato di Cassazione (M. Rossetti, in Rivista Assicurazioni, L'assicurazione e l'emergenza Covid), afferma che il citato giurista ha espresso “un parere su una materia che è (e dovrebbe essere) ad esclusivo appannaggio della medicina legale e delle assicurazioni”; e che “descrivere come generale pratica interpretativa l'attribuzione dell'infezione virale al novero delle malattie, e non degli infortuni, è tanto apodittico, quanto errato” (sic!).

In realtà, come meglio si dirà appresso, l'esperienza Covid 19 ha rivelato essere in sofferenza il concetto di violenza=concentrazione cronologica, di cui alla Medicina Legale classica-tradizionale.

Quanto alla sentenza del Tribunale di Torino, osserviamo che il Giudice, come già accennato, vi ha accolto interamente i risultati della CTU spingendosi ad elogiarlo: “…questo Tribunale sposa, toto corde, le pertinentissime osservazioni autorevolmente svolte dal CTU nei confronti dei puntuti rilievi sollevati dal c.t. della parte convenuta in merito alla bizantina distinzione che si vorrebbe porre tra infortunio e malattia, quasi che il contrarre una malattia non costituisse un infortunio (la cui stessa etimologia latina – in-fortunium – squaderna il riferimento ad un evento sfortunato, malaugurato), ma semmai, allora … un colpo di buona sorte!”.

La distinzione infortunio vs malattia è peraltro esigenza definitoria contrattuale e non mero ed ozioso esercizio bizantino. E per operare lo stesso irrinunciabile distinguo, non soccorrono certamente i “giochi di parole”: se infortunio ai sensi di polizza è qualsiasi evento sfortunato, malaugurato, allora non si vedrebbe differenza con qualsiasi malattia, da considerare disgrazia, sventura, soprattutto se grave!

Né può valere, a favore dell'indennizzabilità dell'infezione quale infortunio, la seguente motivazione del CTU, recepita dal Giudice torinese: “…nel contratto di riferimento non sono peraltro escluse le infezioni virali – così come quelle batteriche, micotiche o prassitarie- … È quindi da concludere che, in assenza di specifica esclusione contrattuale, l'infezione da SARS-CoV-2 soddisfa la definizione di infortunio contemplata nell'art.12 delle prodotte Condizioni Generali”.

E qui risulta evidente: quanto l'interpretazione contrattuale non debba essere lasciata al solo CTU; quanto soprattutto il giurista debba fare la sua parte; e quanto il giudice torinese abbia abdicato.

In senso contrario, infatti, il medico legale potrebbe osservare: che numerosissime sono le fattispecie che non rientrano fra le “esclusioni” contrattuali di polizza; che ciò non significa tout court che le medesime siano automaticamente in garanzia; e che, al contrario, proprio per tutte le situazioni non riconducibili nell'alveo definitorio di infortunio e che tuttavia l'assicuratore vuole tutelare, i contraenti trovano la specifica sezione denominata “estensioni della garanzia” nella quale esse sono contemplate.

Proprio in questa sezione (anche nel contratto di cui alla CTU del caso torinese) si fa riferimento generico alle infezioni (senza specifiche quanto a virus, batterio, parassita), conseguenti a morsi di animali, punture di insetti o aracnidi, escludendo comunque alcuni tipi di malattie infettive come la malaria o quelle che rientrano nella categoria di “malattie tropicali”.
È chiara, dunque, la volontà dei contraenti di prevedere l'indennizzo in caso di malattia infettiva, ma solo relativamente ai casi in cui l'agente patogeno sia stato introdotto nell'organismo attraverso un vettore (animale, insetto, aracnide) che ha agito fortuitamente, dall'esterno e in modo violento, traumatico (morso, puntura).

Ne deriva che non coglie nel segno il richiamo del Giudice torinese all'art. 1370 c.c. secondo il quale nel dubbio le clausole vanno “intese in senso contrario all'assicuratore medesimo”: perché il dubbio qui non sussiste.

Resta da sciogliere il nodo violenza=concentrazione cronologica, su cui torneremo.

Diremo ora delle motivazioni contro l'indennizzabilità in discorso, portate nell'ordinanza n. 690 dell'11 giugno 2021 del Tribunale di Pesaro, nella sentenza del Tribunale di Roma (n. 1468 del 30 gennaio 2022) ed in quella 22 marzo 2022 del Tribunale di Pescara (in RG 3082/2021): le quali, del tutto comprensibilmente, non si spingono peraltro nel campo medico legale.

La pronuncia del Tribunale di Pescara, commentando la tesi attorea secondo cui nell'infezione Covid-19 si riscontrano i tre requisii della causa - fortuità, esteriorità e violenza (equiparata alla virulenza) - sottolinea come la maggiore criticità di questa interpretazione sta nell'estensibilità della nozione di infortunio a qualsiasi tipo di infezione, così vanificandosi la necessaria distinzione dalla malattia nella pratica assicurativa.
Ed è a noi chiara la giustezza di tale distinzione dal momento in cui è palese che con la stipula di un contratto di polizza l'assicuratore si assume un rischio che deve essere obbligatoriamente “calcolato” perché il sistema diventi sostenibile: in altre parole, se le regole vengono cambiate in corso d'opera tutta la solidità del sistema viene meno, per cui è rifiutata la “interpretazione ex post della nozione di malattia fondata sullo sconvolgimento globale verificatosi nel 2020” (cfr. Tribunale di Pescara 22 marzo 2022).

Il Giudice di Pescara, inoltre, non manca di sottolineare che nello specifico contratto esaminato le condizioni generali, in particolare le estensioni, risultavano sufficientemente chiare e univoche nell'escludere dalla copertura assicurativa ogni tipo di infezione, fatti salvi i casi in cui (in deroga) “il microorganismo penetri attraverso una lesione corporale constatabile; il penetrare di microorganismi attraverso la via respiratoria o digerente od il virulentarsi di quelli già presenti nell'organismo, invece, non determinano forme morbose indennizzabili” (in quest'ultima parte, ovviamente, la motivazione non è condivisibile per ragioni medico legali, come si dirà oltre).

Il Giudice abruzzese tiene pure a sottolineare come non siano mai esistite “pronunce giurisprudenziali che, in passato, nell'ambito delle polizze private contro gli infortuni, abbiano equiparato le malattie virali come l'influenza ad un infortunio” (perché scomodare un CTU a fronte di una tale granitica evidenza?).

È di singolare chiarezza, poi, la sentenza del 30 gennaio 2022 (RG 5947/2021) nella parte in cui torna a rimarcare che nel contratto in esame (come nella quasi totalità delle polizze del nostro mercato assicurativo), sono già annoverati i casi in cui una malattia rientri nella garanzia di polizza infortuni; e pone l'esempio pratico di un'infezione nosocomiale ad esito mortale (malattia) insorta in persona trattata con intervento chirurgico (mezzo attraverso il quale il patogeno entra nell'organismo) resosi necessario per lesioni subite in investimento d'auto (infortunio).

Ancora in sentenza: “la malattia non è considerata dalla polizza equiparata all'infortunio, ma è presa in considerazione dalla stessa solo nel caso che sia causalmente conseguente all'infortunio e determini la morte come conseguenza dello stesso”; e continua: “ciò che contraddistingue l'infortunio è la causa violenta che nel meccanismo operativo della infezione da virus non ricorre a meno che non sia provato che il contatto con il virus si sia verificato per effetto della causa violenta, circostanza che nel caso di specie non è stata neppure adombrata” (per un'altra volta è evidente che il giurista prefigurando la violenza, pensa solo al trauma e all'istante in cui un'energia meccanico-cinetica si riversa su di una vittima).

Le altre pronunce si esprimono similmente per cui si evitano qui tediose ripetizioni.

Il contributo medico legale alla soluzione del problema

Tuttavia risulta evidente che (comprensibilmente) le sentenze di cui sopra, mai si calano nella problematica medico legale, sul cui fondo sta l'interpretazione dei concetti di violenza e di evento ai sensi di polizza.

È necessario, a questo punto, tornare alla fonte, cioè alla definizione contrattuale di infortunio: “ogni evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche oggettivamente constatabili le quali abbiano per conseguenza la morte, un'invalidità permanente oppure un'inabilità temporanea”.

Le polizze in discorso prevedono, fra l'altro, “Norme che regolano la liquidazione dei sinistri”, secondo le quali l'assicurato, nella denuncia di infortunio, è onerato di indicare il luogo, il giorno e l'ora dell'evento, riportando brevemente una descrizione delle modalità di accadimento, ai sensi dell'art. 1915 c.c.

L'evento costituisce il primo anello della catena causale di cui l'assicurato deve dare prova. Superata la pregiudiziale sull'evento, la verifica deve poi cadere sulla causalità nei suoi tre requisiti.
Perché possa qualificarsi infortunio, l'evento non deve essere un atto comune della vita ed il preciso, concentrato momento in cui il virus entra nell'organismo lo si riconosce mentre la persona, appunto, è impegnata in un atto comune della vita: nulla di anomalo nella gestualità di stringere la mano a taluno, di “subirne” l'espirio, lo starnuto, il colpo di tosse. Esemplificando per altri agenti patogeni, nulla di anomalo nell'ingerire un alimento o praticare un atto sessuale, ecc.: atti comuni della vita e non eventi-infortunio. E non a caso, come ricordato qualche riga più sopra, il contratto stabilisce che la denuncia deve descrivere ora, giorno, mese, anno, modalità di accadimento dell'evento, circostanze che la Società di Assicurazioni ha diritto di verificare, credere, ritenere plausibili, contestabili o non rigettabili.

Per il caso di agenti infettanti come causa di infortunio, si rischierebbe di assistere alla produzione di denunce riconducibili a “letteratura fantastica”.

Dunque, in generale le infezioni non sono qualificabili come infortunio nell'interpretazione medico legale, in quanto si realizzano in occasione di eventi che costituiscono atti comuni della vita. E si deve qui puntualizzare che nei casi specifici in deroga alla regola generale, il contratto prevede comunque che vi sia un palese scostamento dal comune atto della vita, così nella puntura di insetto o morso di animale.

Detto dell'evento, si torna ora sulla violenza.

In epoca lontana, la concentrazione cronologica (da cui causa virulenta = causa violenta), consentiva l'ammissione al trattamento INAIL -sotto la specie infortunio- di infezioni non ricomprese nella tabella delle malattie professionali (iniquità poi sanata dalla sentenza n.179/1988 della Corte Costituzionale che dichiarò illegittimo il D.P.R. n.1124 del 30 giugno 1965 nella parte in cui non prevedeva la possibilità di dar prova del nesso causale anche per patologie “fuori-lista”).

In ambito INAIL ha dunque avuto, e tuttora ha, una precisa ragion d'essere la violenza intesa come concentrazione cronologica. Ma è ora di tutta evidenza quanto essa produca oggettive criticità per essere stata pedissequamente trasposta nell'assicurazione privata, in occasione della “questione Covid-19”.

E vi è ora da domandarsi se la risalente interpretazione del concetto di violenza non sia da rivedere sul piano tecnico, anche alla luce del contributo che proviene da esperti di diritto.

È auspicabile la figura del medico legale libero da presunzioni.

Secondo il giurista G. Miotto (su questa Rivista Assicurazione privata contro gli infortuni e COVID 19) la definizione dell'infortunio “costituisce un'attività interpretativa di natura squisitamente giuridica … Così come, all'atto pratico, decidere cosa sia infortunio e cosa non lo sia, trattandosi dell'interpretazione di un contratto, è un accertamento che compete al Giudice di merito (Cass. civ., n. 30686/2019), e non al suo ausiliario tecnico”.
Continua l'Autore sottolineando che l'equivalenza violenza=concentrazione cronologica rappresenta “un assunto erroneo proprio sotto il profilo linguistico escogitato in tempi ormai lontani dalla dottrina medico legale quale espediente dialettico per ampliare la nozione di infortunio del lavoro … Infatti, violento, nella lingua italiana, è un fenomeno o evento, atto o comportamento, stato d'animo o sentimento, che si manifesta e si attua con forza, intensità e impeto eccezionali, cui è impossibile o difficile resistere e contrastare (Istituto Treccani…). Ciò che qualifica l'evento o l'atto violento è, quindi, la forza intrinseca, l'intensità e l'impeto eccezionali con i quali esso si attua, e non la breve durata per la quale si manifesta, e cioè la sua repentinità”; e, ancora, gli eventi violenti, per essere tali “devono concretizzarsi nell'uso di una forza o di un'energia abnorme quanto ad intensità o impeto”: carattere che “le infezioni virali, come quella da COVID-19, proprio non possiedono”. E più avanti: “… per infortunio deve intendersi l'esplicazione di una forza o energia fisica soverchiante che, proprio per questa sua intrinseca natura, genera direttamente una lesione fisica, di natura essenzialmente traumatica…”.

Ma l'autorevole giurista non ci convince.

Non considera l'impossibilità tecnica di indicare una certa “soglia di intensità” al di sotto della quale verrebbe meno il valore causale (posto che, come già detto, sarebbe impossibile stabilire un cut-off anche solo convenzionale, secondo le diverse unità di misura). E la pregiudiziale dell'energia estrinsecatasi (non solo meccanico-cinetica, oltre la quale sembra non vadano mai i giuristi) resta necessaria, irrinunciabile e nel merito non può entrarvi il profano-giurista. Egli reclama la “forza intrinseca, l'intensità e l'impeto eccezionali” ma sarebbe fin troppo facile obiettargli che nessun impeto eccezionale si potrebbe vedere nella dolorosa distorsione che subisce la persona che passeggiando in giardino, trasforma il suo comune atto della vita in infortunio ai sensi di polizza per aver messo un piede in fallo. Meglio la energia fisica “soverchiante”, atteso che non è necessaria alta cinetica per soverchiare, nello stesso esempio, le strutture capsulo-legamentose della caviglia.Va da sé che il giurista sarebbe disposto a riconoscere i caratteri dell'infortunio anche per il caso in cui si sia estrinsecata energia diversa da quella “traumatica” (termica, elettrica, ecc.). Tuttavia egli dovrà “concedere” che il trapasso da atto comune ad infortunio, deve avvenire per causalità dotata di energia nel senso anzidetto, oltre che di concentrazione cronologica.

Un evento verificatosi per causa connotata da energia anche modesta e cronologicamente concentrata è infortunio; un evento, come l'infezione Covid 19, in cui manchi del tutto l'estrinsecazione di energia, non è infortunio ai sensi di polizza.

Conclusioni

Gli scriventi restano saldi nel convincimento che vada al di là di ogni ragionevolezza affermare, nell'assicurazione privata contro gli infortuni, l'indennizzabilità delle infezioni in generale, compreso il Covid-19.

A futura memoria, nel predisporre nuovi contratti in questo ramo, le Società di Assicurazioni potrebbero annoverare esplicitamente fra le esclusioni anche le infezioni virali, batteriche, micotiche e parassitarie: anche se, invero, ciò servirebbe unicamente a rafforzare un principio che, per tutti i motivi sopra esposti, risulta già implicito nelle attuali norme presenti nella maggior parte dei contratti oggi esistenti nel nostro Paese.

E proprio in tale ambito valutativo la Medicina Legale dovrebbe interpretare il richiesto “requisito violenza”, nella causa di infortunio, con aderenza sia alla concreta realtà quotidiana dei fatti, sia alla norma “secondo buona fede” ex art. 1366 c.c.

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