L'affezione morbosa da Covid-19 contratta in occasione del lavoro costituisce infortunio coperto dall'assicurazione INAIL
24 Giugno 2022
Massime
La Circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020 precisa che le affezioni morbose da Coronavirus avvenute “in occasione di lavoro” sono riconducibili, come accade per le malattie infettive e parassitarie, all'infortunio sul lavoro e non alla malattia professionale.
Con particolare riferimento alle strutture sanitarie, l'Istituto chiarisce che per gli operatori sanitari ed anche per il personale non sanitario operante negli ospedali ed a contatto con il pubblico o con l'utenza, il rischio di contagio, genericamente riguardante tutti i cittadini, è “aggravato fino a diventare specifico”, con la conseguenza che per tali operatori vige una presunzione semplice di origine professionale. Il caso
Una lavoratrice, dipendente di una struttura ospedaliera con mansioni di assistente amministrativo, impiegata dal marzo 2020 presso la neocostituita “centrale cartelle Covid” e presso la “direzione medica di presidio”, agiva in giudizio affinché il Tribunale accertasse e dichiarasse la natura di infortunio dell'infezione da Covid-19 contratta sul posto di lavoro e, conseguentemente, condannasse INAIL al riconoscimento dell'inabilità temporanea per tutto il periodo di assenza dal lavoro.
La dipendente deduceva che:
(i) sia nella “centrale cartelle Covid” sia nella “direzione medica di presidio” non erano state adottate misure organizzative idonee a ridurre il rischio di contagio sia sotto il profilo degli accessi e dell'organizzazione degli spazi sia con riguardo alla pulizia e sanificazione dell'ambiente;
(ii) era risultata positiva al Covid-19 in data 1° maggio 2020 ed era stata assente dal lavoro sino al 29 giugno 2020;
(iii) a fronte delle richieste di chiarimenti dell'INAIL, il datore di lavoro aveva riferito che quello della dipendente in questione era il primo caso di positività nel suo gruppo di lavoro, che la signora era in contatto solo con utenti interni e che, comunque, erano stati prescritti i dispositivi di protezione individuale;
(iv) a fronte di tale riscontro, l'INAIL aveva definito negativamente il caso per mancanza di nesso causale tra l'evento denunciato e la lesione accertata;
(v) contrariamente a quanto riferito dall'azienda ospedaliera, la lavoratrice aveva avuto rapporti quotidiani con il personale sanitario a contatto con pazienti positivi;
(vi) i suoi familiari erano risultati negativi ai test sierologici nello stesso periodo in cui la ricorrente era risultata positiva al virus. La questione
La questione considerata riguarda la declinazione dei requisiti per la qualificazione di un evento come infortunio sul lavoro nel caso di infezione da Covid-19 del personale amministrativo operante in strutture sanitarie e i relativi profili probatori. La soluzione giuridica
L'ordinanza in analisi muove dal principio contenuto nell'art. 2 d.P.R. 1124/1965 (TU Infortuni) per cui l'infortunio sul lavoro ricorre tutte le volte in cui sono integrate due condizioni: l'esistenza di una causa violenta, da intendersi quale fattore esterno che agisce con rapidità e intensità, idonea a causare un'alterazione dell'equilibrio anatomo-fisiologico dell'organismo umano, e l'occasione di lavoro, tali da ritenersi tutte le condizioni, incluse quelle ambientali e socio-economiche, in cui l'attività si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall'apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore (con il limite, in quest'ultimo caso, del c.d. rischio elettivo).
In particolare, quanto al primo requisito, il Tribunale ha ribadito, aderendo al conforme orientamento di legittimità sul punto, come esso possa essere integrato anche dall'azione di fattori microbici o virali, quale è appunto il Covid-19, e ha richiamato sia l'art. 42, comma 2, D.L. 14/2020, che dispone che nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione del lavoro il medico certificatore debba redigere il certificato di infortunio da inviare telematicamente all'INAIL che assicura la relativa tutela all'infortunato, sia la circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020, che chiarisce come le affezioni morbose da Coronavirus avvenute in occasione di lavoro siano riconducibili all'infortunio sul lavoro alla stessa stregua delle malattie infettive e parassitarie.
Detta circolare precisa, inoltre, che anche per il personale non sanitario amministrativo operante negli ospedali e a contatto con il pubblico o con l'utenza il rischio di contagio è aggravato fino a diventare specifico, con la conseguenza che per tali soggetti vige una presunzione semplice di origine professionale.
Ciò premesso in diritto, il Tribunale ha osservato che dall'istruttoria svolta erano emersi i seguenti fatti rilevanti:
(i) nei primi mesi di sviluppo della pandemia il carico di lavoro era notevolmente aumentato con riguardo sia all'attività di assistenza sanitaria sia sotto il profilo delle incombenze amministrative;
(ii) in conseguenza di tale aumento, la ricorrente aveva prestato la propria attività, svolgendo anche lavoro straordinario, presso le direzioni indicate in ricorso sino al momento in cui aveva contratto la malattia;
(iii) a tali uffici avevano accesso anche personale sanitario a stretto contatto con pazienti Covid e personale esterno dipendente di altra ditta;
(iv) presso una di queste direzioni, dove le misure di protezione erano più blande, la ricorrente aveva avuto contatti con due soggetti risultati positivi al Covid nello stesso periodo con infezione accertata prima della manifestazione sintomatica della ricorrente;
(v) nello stesso periodo vi erano state diverse positività tra alcuni addetti che condividevano con la ricorrente il medesimo ambiente di lavoro.
La prova testimoniale aveva, quindi, sostanzialmente sconfessato le dichiarazioni rese dal datore di lavoro in sede di interlocuzione con l'INAIL.
Ai fini della decisione il Tribunale ha valorizzato anche ulteriori elementi offerti dalla ricorrente che, letti in maniera unitaria, hanno consentito di escludere ragionevolmente che il contagio fosse avvenuto fuori dalla sede di lavoro.
In primo luogo, è emersa la breve distanza tra l'abitazione della lavoratrice e il luogo di lavoro, indicativa del ragionevole utilizzo da parte della ricorrente di mezzi propri, e non pubblici, per recarsi presso la struttura ospedaliera.
È stato dato, inoltre, rilievo al fatto che ci fossero elementi credibili tali da escludere che la lavoratrice provvedesse direttamente alla spesa.
È stata, infine, data la prova che i familiari della ricorrente non avessero contratto il Covid nello stesso periodo di questa ed è stato osservato come le prescrizioni amministrative all'epoca dei fatti vigenti avessero ridotto drasticamente le occasioni di contatto con altre persone al di fuori del contesto lavorativo e familiare.
Tali indizi gravi, precisi e concordanti hanno determinato il Tribunale a ritenere più che probabile che il contagio della ricorrente avesse origine professionale, essendo applicabile al caso di specie la presunzione semplice richiamata dalla circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020.
In conclusione, il giudice ha accolto il ricorso e, previo accertamento della natura di infortunio sul lavoro del contagio da Covid-19 in occasione dell'attività lavorativa, ha condannato l'INAIL al riconoscimento dell'inabilità temporanea assoluta per tutta la durata dell'assenza della lavoratrice. Osservazioni
La decisione in analisi dà concreta attuazione a quanto espressamente disposto dal D.L. 14/2020 all'art. 42, la cui portata è stata ulteriormente precisata dalla circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020.
È, dunque, data la regola secondo cui l'infezione da Covid-19 contratta in occasione del lavoro costituisce infortunio coperto dall'assicurazione prestata da INAIL.
Muovendo da tale assunto, la sentenza del Tribunale di Milano, richiamando quell'orientamento di legittimità secondo cui costituiscono causa violenta, rilevante ex art. 2 TU Infortuni, anche le affezioni virali e morbose (quale è certamente anche quella da Covid-19) contratte in occasione del lavoro, ha dato applicazione alla norma sopra richiamata a fronte della prova raggiunta circa il contagio della ricorrente durante l'attività lavorativa.
L'onere della prova sul nesso tra contagio e occasione di lavoro è stato ritenuto assolto sulla base di presunzioni semplici, in linea sia con parte della giurisprudenza richiamata sia con quanto previsto dalla circolare INAIL sopra citata, che chiarisce come anche per il personale non sanitario operante negli ospedali e a contatto con il pubblico o con l'utenza il rischio di contagio da Covid 19 sia aggravato sino a diventare specifico con la conseguenza che per tali operatori vige una presunzione semplice di origine professionale.
Interessante, poi, l'analisi condotta in concreto dal giudice meneghino sugli indizi gravi, precisi e concordanti che, a seguito dell'istruttoria svolta, hanno condotto a ritenere “più che probabile” il contagio della lavoratrice sul luogo di lavoro.
Volendo, infine, conferire maggiore respiro alla presente riflessione, si osserva che le misure e i dispositivi di sicurezza sono strumenti idonei ad indebolire il nesso di causalità tra infezione da Covid-19 e occasione di lavoro.
I protocolli di sicurezza, che contengono tali misure, sono del resto ancora attuali, nonostante la fine dell'emergenza sanitaria, e l'importanza della loro adozione non solo è confermata dal Ministero del Lavoro, dal Ministero della Salute e dal Ministero dello Sviluppo Economico, ma anche raccomandata dalle associazioni datoriali, tenuto altresì conto dell'obbligo di tutela della salute dei dipendenti posto dalla legge a carico del datore di lavoro. |