La crescita dell'inflazione quando conduce a riconsiderare l'aggiornamento del canone?

27 Giugno 2022

Il rapidissimo aumento del costo della vita che si sta verificando in questi ultimi mesi è destinato a produrre effetti sui contratti di locazione di natura sia abitativa sia non abitativa. Gli effetti dell'inflazione crescente sono diversi quanto alle due specie di locazione in conseguenza della differenza della disciplina normativa nelle due ipotesi. Concentreremo l'attenzione in questa sede sugli effetti dell'aumento dell'inflazione nei confronti delle locazioni non abitative considerando in particolare le clausole contrattuali in tema di aggiornamento del canone.
Il quadro normativo

Stiamo assistendo in questi ultimi tempi ad una crescita rapida e rilevante dell'inflazione, crescita che nel futuro - quantomeno prossimo - non sembra destinata a venire meno.

L'aumento dell'inflazione comporta profonde conseguenze anche nel campo delle locazioni: essa, infatti, modifica l'equilibrio tra le posizioni delle parti relativamente ai contratti in corso e provoca conseguenze anche sul piano delle valutazioni e delle decisioni circa la stipulazione dei nuovi contratti di locazione.

Esamineremo qui di seguito gli aspetti dei contratti di locazione non abitativa che possono essere interessati dalla situazione ora descritta e cercheremo di ricavare dalle osservazioni che formuleremo suggerimenti circa le più opportune modalità di impostazione dei contratti e di conduzione dei rapporti locatizi.

Gli spunti che qui di seguito indicheremo sono tratti soprattutto dall'esperienza che si è fatta nel passato allorché, all'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 392/1978, si erano avute - quanto al fenomeno dell'aumento del costo della vita - condizioni non dissimili dalle odierne: si tratta di spunti che possono presentare utilità non solo nel caso di stipulazione di un nuovo contratto di locazione ma anche nel caso in cui il contratto di locazione sia già stato stipulato dal momento che le parti, pur mentre è in corso un contratto di locazione, possono determinarsi a stipulare un nuovo contratto che sostituisca il primo o comunque possono introdurre - pur mantenendo in vita il vecchio contratto - modifiche o integrazioni rispetto ad un contratto che sia già esistente.

Fondamentale in questa prospettiva appare la presenza nel contratto di locazione di un meccanismo che consenta di adeguare il canone (ed eventualmente anche gli altri aspetti del contratto) al mutare delle condizioni esterne in conseguenza dell'aumento del costo della vita.

Il punto dal quale l'esame deve prendere le mosse è fornito - quanto alle locazioni non abitative - dall'art. 32 l. n. 392/1978, norma che prevede la possibilità che il canone della locazione sia soggetto ad aggiornamento nel caso in cui si verifichino variazioni del potere di acquisto della moneta (la norma dispone infatti che “le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira”).

Quello ora indicato è certamente il mezzo più idoneo a dare soluzione al problema derivante dall'aumento del costo della vita.

Ripercorreremo brevemente qui di seguito la strada volta all'analisi dello strumento anzidetto, strada che nel passato era stata ampiamente esplorata dalla giurisprudenza ma sulla quale oramai da tempo - in assenza di significative variazioni degli indici Istat - non si era più avuta l'occasione di concentrare l'attenzione.

L'aggiornamento secondo il criterio della variazione assoluta degli indici Istat

Innanzitutto, va considerato che - come si è detto - l'art. 32 l. n. 392/1978 dispone che le parti possano inserire nel contratto la clausola di aggiornamento del canone: ciò significa che l'aggiornamento non è destinato ad operare sempre ed automaticamente ma che condizione per la sua operatività è che nel contratto le parti abbiano inserito la relativa clausola.

Da aggiungere che le parti, nel formulare la clausola che preveda l'aggiornamento del canone, dovranno avere cura di indicare con chiarezza quale sia il criterio da seguirsi per l'aggiornamento.

Al proposito, si nota che in linea astratta l'operazione di aggiornamento del canone potrebbe essere compiuta seguendo due criteri distinti: può considerarsi in via alternativa la variazione assoluta degli indici Istat oppure la variazione relativa (calcolata cioè di anno in anno) di tali indici.

La strada che secondo la giurisprudenza corrisponde a quanto prevede la norma è quella che considera la variazione assoluta degli indici (v., in questo senso, Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2004, n. 15034: “con riguardo alla locazione di immobili destinati ad uso non abitativo per l'aggiornamento del canone di locazione, … l'art. 32 l. n. 392/1978, come modificato dall'art. 1 l. n. 118/1985, pone come dato sul quale operare annualmente l'aggiornamento il canone iniziale, con le conseguenze che a tale canone di partenza occorre fare riferimento in occasione degli aggiornamenti annuali, considerando unitariamente la variazione verificatasi per tutto il periodo considerato e che, ai soli fini di questo calcolo, è ininfluente che per qualche annualità intermedia non sia stato richiesto in precedenza l'aggiornamento, in quanto detta mancata richiesta impedisce solo l'accoglimento della domanda degli aggiornamenti pregressi (c.d. arretrati)”; nello stesso senso, v. Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2006, n. 23836).

Da sottolineare che, sulla base del criterio della variazione assoluta - che è il criterio che ha l'effetto di mantenere il canone al livello più vicino a quello proprio dell'inizio del rapporto locatizio - l'aggiornamento annuale dovrà essere operato sempre sul canone iniziale e la variazione degli indici Istat che dovrà essere considerata sarà quella che si sarà verificata tra il momento di inizio del contratto ed il singolo e specifico momento che verrà via via - anno dopo anno - preso in considerazione.

Di contro, con il criterio della variazione relativa si considererà ogni anno solo la variazione degli indici verificatasi nell'ultimo anno e l'aggiornamento verrà operato sull'ultimo canone dovuto.

Le due strade conducono sul piano concreto a risultati diversi in conseguenza del fatto che l'art. 32 l. n. 392/1978 limita la possibilità dell'aggiornamento al solo 75% della variazione degli indici Istat: la divergenza dei risultati deriverà dal fatto che nel caso di utilizzo del criterio della variazione parziale il calcolo sarà operato ogni anno su un importo che sarà già - per una parte (parte che peraltro sarà sempre crescente di anno in anno) - il risultato di un'operazione di riduzione. Appunto per questa ragione nel corso degli anni nei due casi i risultati diversi diventeranno inevitabilmente sempre più distanti l'uno dall'altro.

È, dunque, assai importante che la clausola del contratto di locazione relativa all'aggiornamento sia formulata in modo chiaro e che da essa emerga che il criterio di aggiornamento del canone che le parti convengono di adottare sia il criterio della variazione assoluta. Un elemento che in questo caso potrà essere assai utile sarà la precisazione, nella clausola del contratto, che la “base 100” per l'operazione di aggiornamento sarà costituita sempre, nel corso di tutto il contratto, dall'indice Istat del mese antecedente quello di inizio della locazione.

La richiesta di applicazione dell'aggiornamento

Va, poi, notato che l'aggiornamento del canone opera solo se e da quando viene formulata dal locatore una specifica richiesta: ciò emerge con chiarezza dallo stesso testo dell'art. 32 l. n. 392/1978 che dispone che possa prevedersi nel contratto che “il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore”.

La giurisprudenza ha, al proposito, precisato che deve ritenersi necessario che venga formulata ogni anno da parte del locatore la richiesta dell'aggiornamento del canone (così Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24753) ed ha aggiunto che poiché la richiesta di aggiornamento del canone, da effettuarsi anno per anno, si configura come un onere del locatore al cui adempimento è legato il suo diritto a ottenere tale adeguamento con riferimento al solo anno cui essa è riferibile in base alla legge e cioè quello precedente, la clausola che lo esoneri da tale onere facendogli conseguire con un'unica richiesta il diritto a ottenere tutti gli aggiornamenti Istat maturati nel corso del rapporto si configura quale clausola nulla ex art. 79 della l. n. 392/1978 in quanto diretta ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le previsioni di tale legge (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 3014). Si è ritenuto infatti che sia “contraria al disposto dell'art. 32” - e pertanto nulla ex art. 79 della l. n. 392/1978 - “una clausola che preveda una richiesta preventiva dell'aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni Istat che interverranno nel corso del rapporto (Cass. n. 15799/2003) ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e ciò perché la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore può pretendere il canone aggiornato solo dal momento della stessa, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati”. Pertanto, una clausola - inserita in contratto di locazione non abitativa - che miri ad esonerare il locatore dall'onere di richiedere annualmente l'aggiornamento del canone, “facendogli conseguire con un'unica richiesta il diritto a conseguire tutti gli aggiornamenti Istat maturati nel corso del rapporto” è nulla ai sensi dell'art. 79, l. n. 392/1978 (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2005, n. 2417; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2006 n. 2527).

Alla luce di tutto ciò, dovrà evitarsi di prevedere nel contratto non solo la automaticità dell'aggiornamento ma anche la retroattività della richiesta dell'aggiornamento: tali clausole, infatti, sarebbero in ogni caso invalide.

Pare però - ed è aspetto che presenta interesse proprio alla luce di quanto si è detto ora - che possa ritenersi che nella clausola del contratto che riguardi l'aggiornamento del canone possa essere precisato quale sia l'indice Istat da considerare quale dato di partenza.

Si tratta di aspetto che può presentare interesse sul piano concreto ed applicativo: è chiaro infatti che la previsione del riferimento ad un indice riferito per esempio al mese antecedente quello di inizio del contratto potrebbe essere assai utile perché consentirebbe al locatore di formulare prima dell'inizio del periodo di applicazione la richiesta di aggiornamento con indicazione del dato preciso da applicarsi (si ricordi che i dati Istat sono resi noti solo in ritardo rispetto al momento finale del periodo considerato).

Diversamente la richiesta di aggiornamento - alla luce dei principi che sopra si sono ricordati enunciati dalla giurisprudenza - dovrebbe essere formulata in due tempi e con due comunicazioni diverse: con una prima comunicazione si dovrebbe richiedere l'applicazione dell'aggiornamento, ma con riserva di indicare successivamente la misura precisa di questo; con una seconda comunicazione, si tratterebbe di indicare la misura precisa dell'aggiornamento che dovrebbe trovare applicazione peraltro fin dal momento della prima richiesta (con pagamento dunque del conguaglio anche per il periodo antecedente). L'operazione - come si vede - presenterebbe una certa complessità.

L'inserimento della clausola di aggiornamento in un contratto già in corso

Da ricordare, poi, che la clausola di aggiornamento Istat del canone - come già si è detto - può essere inserita anche nel contratto di locazione che sia già in corso.

Al proposito, è stato affermato in giurisprudenza che “la clausola di aggiornamento annuale della misura del canone di locazione, su richiesta del locatore, per le eventuali variazioni del potere di acquisto della lira ... quale consentita dall'art. 32 l. n. 392/1978, non deve necessariamente assumere forma coeva alla stipulazione dell'originario contratto di locazione, ma può consistere anche in un patto posteriore alla formazione del contratto medesimo” (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2000, n. 15958).

È chiaro poi che - così come è consentito l'inserimento della clausola in un contratto in corso - è certamente consentita anche la modifica o comunque la diversa formulazione della clausola di aggiornamento che già fosse presente in un contratto in corso.

Aspetti - quelli ora segnalati - che possono presentare interesse proprio in relazione alla situazione attuale: la crescita dell'inflazione può infatti condurre a riconsiderare il contenuto dei contratti di locazione in corso ed a valutare l'opportunità che - sulla scorta di eventuali trattative ed accordi tra le parti - sia inserita la clausola di aggiornamento del canone ove questa non fosse presente o fosse modificata la clausola di aggiornamento nel caso in cui questa fosse presente nel contratto ma apparisse bisognosa di correzione alla luce delle considerazioni che si sono qui svolte.

La limitazione dell'aggiornamento alla percentuale del 75%

L'art. 32 l. n. 392/1978 prevede la possibilità dell'applicazione dell'aggiornamento solo nella misura del 75% della variazione degli indici Istat (“Le variazioni in aumento del canone - recita la norma - per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'articolo 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati”).

Si tratta di una limitazione che - disposta in un'epoca oramai remota - obiettivamente appare oggi irragionevole e diretta a penalizzare ingiustamente la parte locatrice. Vi è da dire comunque che la disposizione esiste - essa appunto continua ad esistere - e non può essere ignorata. Da sottolineare che proprio perché questa disposizione esiste è assai importante che si faccia utilizzo del metodo di aggiornamento che segue la variazione assoluta e non quella relativa degli indici Istat (si rinvia al proposito a quanto si è detto sopra).

Vi è da dire però che lo stesso art. 32 esclude la necessità del rispetto della limitazione dell'aggiornamento al solo 75% della variazione degli indici Istat nel caso in cui la durata del contratto venga fissata in misura eccedente la durata minima (sei anni o nove) fissata per le locazioni non abitative.

Dal momento che la norma non indica in modo preciso quale sia la misura del superamento della durata minima che sia richiesto perché possa derogarsi al limite anzidetto pare debba ritenersi che qualsiasi maggiorazione (purché non solamente apparente o comunque priva di significato effettivo) della durata minima possa essere utile ai fini che qui si considerano.

Da notare, poi, che la maggiore durata richiesta riguarderà solo il primo periodo di durata del contratto: per il periodo di rinnovo del contratto alla prima scadenza è la legge stessa che indica - con una previsione fissa - la durata del rinnovo in sei anni.

Può, dunque, concludersi che ove le parti del contratto di locazione lo desiderino esse potranno fare utilizzo della possibilità ora segnalata: ed il canone che sarà fissato contrattualmente potrà essere aggiornato in misura piena.

L'ipotesi dei canoni differenziati o scalettati

Va ricordato poi che la giurisprudenza da tempo riconosce la validità delle previsioni contenute nei contratti di locazione non abitativi che stabiliscano canoni differenziati o scalettati.

Al proposito, è stato affermato che “alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto” (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909; nello stesso senso, v. Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22908). È stato precisato, al riguardo, che il meccanismo che determini il canone della locazione in misura differenziata può operare con modalità differenti: “sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull'equilibrio economico del sinallagma”.

Ed è stato sottolineato che “la legittimità di tale clausola deve essere esclusa” solamente “là dove risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola - che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 l. n. 392/1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall'art. 1, comma 9-sexies, l. n. 118/1985)”, ipotesi questa che dà luogo alla “sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge”. Deve dunque ritenersi che in via generale le parti siano libere di inserire nel contratto di locazione la previsione di canoni che siano dovuti in misura differenziata nel corso degli anni.

Da segnalare però che è importante che la clausola che preveda canoni differenziati sia formulata nel modo più corretto. Ciò che va sottolineato è soprattutto che - sulla scorta delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza - la previsione contrattuale della quale si tratta non dovrà risultare diretta a compensare o correggere gli effetti dell'aumento del costo della vita in misura superiore al limite del 75% della percentuale di variazione degli indici Istat fissato dall'art. 32 l. n. 392/1978.

Un suggerimento pratico che può essere dato in questo senso è che venga sempre indicato quale canone pattuito il canone pieno e che il meccanismo diretto a fissare canoni diversi venga sempre impostato in termini di riduzione. Ciò è opportuno anche perché nel caso di riduzione in misura prefissata del canone può comunque operare senza difficoltà ed incertezze la clausola di aggiornamento del canone (infatti in questo caso dapprima si applicherà sul canone fissato l'aggiornamento e successivamente, sul canone aggiornato, si applicheranno le riduzioni che siano previste dal contratto). Di contro, nel caso in cui l'operazione non venga impostata in chiave di riduzione del canone convenuto dalle parti, non è chiaro come la clausola di aggiornamento possa operare.

Per rendere più chiaro quanto stiamo dicendo può essere opportuno un esempio.

Si pensi all'ipotesi in cui venisse previsto dal contratto che il canone della locazione sia fissato per il primo anno in 1.000 euro al mese, per il secondo anno in 1.200 euro al mese e per il terzo anno in 1.400 euro al mese.

A prima vista potrebbe sembrare che una previsione quale quella ora indicata sia del tutto coincidente con la previsione del contratto che prevedesse che il canone fosse fissato in 1.400 euro al mese e che prevedesse che per il primo anno venisse accordato al conduttore uno sconto di 400 euro al mese e per il secondo anno uno sconto di 200 euro al mese.

In realtà, le due previsioni sono profondamente differenti.

La seconda previsione (quella incentrata sull'indicazione del canone pieno e sull'indicazione degli sconti) condurrebbe - ove nel contratto di locazione fosse presente la clausola di aggiornamento del canone - a che per il primo anno il canone sarebbe (come nel primo caso) di 1.000 euro al mese, ma invece nel secondo anno il canone dovuto dovrebbe determinarsi applicando l'aggiornamento Istat sul canone di 1.400 euro al mese e detraendo poi dalla somma così ottenuta l'importo di 200 euro, e nel terzo anno il canone dovuto dovrebbe determinarsi applicando sul canone di 1.400 euro al mese l'aggiornamento Istat (in base al criterio della variazione assoluta).

La prima previsione, invece, darebbe luogo a problemi evidenti con riguardo alla operatività della clausola di aggiornamento: anche se si ritenesse che nei primi due anni di durata del contratto il canone dovesse restare quello di 1.000 euro e di 1.200 euro al mese indicato dalla previsione pattizia (ciò sulla base dell'opinione che in tali due anni - per i quali sono previsti gli aumenti concordati dalle parti - la previsione dell'aggiornamento non opererebbe: ma già la correttezza di questa opinione dovrebbe essere verificata caso per caso in relazione al tenore delle specifiche pattuizioni contrattuali), sarebbe comunque incerto quale dovrebbe essere il canone dovuto nel terzo anno (euro 1.400 al mese o euro 1.400 più l'aggiornamento? e - se mai - aggiornamento in quale misura: quella relativa al solo ultimo anno - con applicazione pertanto del criterio della variazione relativa - o quella relativa al periodo di durata del contratto già trascorso dal suo inizio?). Come si vede, in questo caso le incertezze ed i dubbi sono molti.

Da sottolineare, poi, che con un'inflazione dalla misura importante - e cioè con variazioni degli indici Istat di entità considerevole - i problemi che in questo caso si porrebbero sarebbero davvero importanti anche sul piano concreto.

Le pattuizioni in tema di oneri accessori

Gli effetti della crescita in misura considerevole dell'inflazione non sono limitati - quanto alle locazioni non abitative - al canone della locazione: essi possono riguardare anche i profili del contratto relativi al pagamento degli oneri accessori.

Al proposito si ricorda che in materia valgono anche per le locazioni non abitative le regole fissate dall'art. 9 l. n. 392/1978: il locatore potrà pretendere dal conduttore il rimborso solamente degli oneri accessori indicati nello stesso art. 9.

Un aspetto delicato della materia è quello relativo alle modalità del rimborso. Per evitare che il locatore debba anticipare per un intero anno ed integralmente le spese condominiali (le quali di norma nell'ambito del condominio devono essere pagate dai condòmini in via anticipata sulla base del preventivo delle spese approvato dall'assemblea del condominio) può prevedersi che il conduttore versi in via anticipata una somma mensile a titolo di acconto e che al termine della gestione condominiale sia effettuata l'operazione finale del saldo in base a quelle che saranno le risultanze del consuntivo delle spese che sarà approvato dall'assemblea del condominio.

Orbene: proprio con riguardo agli acconti da versarsi da parte del conduttore potrebbero insorgere problemi ove la relativa pattuizione fosse formulata con indicazione di un importo mensile fisso non suscettibile di revisione o di aggiornamento. È importante pertanto che la somma mensile da pagarsi da parte del conduttore in via anticipata (e salvo conguaglio) venga fissata con previsione elastica tale da consentire che con l'aumentare delle spese che sia la conseguenza dell'inflazione anche l'importo degli acconti anzidetti venga via via adeguato e maggiorato.

Le pattuizioni in tema di garanzie

La crescita dell'inflazione può avere effetti di rilievo anche con riguardo al deposito cauzionale.

Si consideri che di norma il deposito cauzionale viene fissato in una somma fissa che viene versata dal conduttore al momento dell'inizio del contratto. Tale somma non può essere eccedente quella di tre mensilità del canone (così dispone l'art. 11 l. n. 392/1978).

Ciò che deve notarsi è che con la progressiva perdita di valore del danaro conseguente all'inflazione la somma inizialmente fissata per la cauzione viene a perdere la sua idoneità a garantire il locatore. Ciò sia con riguardo all'eventualità della morosità del conduttore (anche perché l'entità nominale del canone - nel caso di presenza nel contratto della clausola di aggiornamento - viene ad essere aumentata mentre l'entità della cauzione non muta) sia soprattutto con riguardo agli altri aspetti di eventuale inadempimento del conduttore (si pensi che la cauzione è strumento di garanzia anche per i danni all'immobile: danni che, con il variare del valore della moneta, saranno sempre meno coperti dalla garanzia fornita da una somma che è fissata all'inizio del contratto e non varia).

Se proviamo a pensare a possibili strumenti atti ad evitare l'inconveniente ora indicato, possiamo segnalare - riservato ogni ulteriore approfondimento del tema - da un lato l'ipotesi dell'inserimento nel contratto di locazione della previsione dell'aggiornamento anche dell'importo della cauzione (importo che potesse essere in questo modo ragguagliato al canone aggiornato), e dall'altro lato l'ipotesi della adozione di strumenti di garanzia diversi dalla cauzione tradizionale, strumenti che eventualmente si aggiungessero alla cauzione (può pensarsi per esempio all'ipotesi della fideiussione personale prestata da soggetti indicati dal conduttore che concerna tutte le obbligazioni contrattuali).

In conclusione

Alla luce di quanto detto, possiamo dire dunque che l'aumento assai rapido e di entità rilevante del costo della vita intervenuto negli ultimi tempi porta alla modifica dell'equilibrio nel rapporto tra le prestazioni del locatore e del conduttore relativamente al contratto di locazione.

Quanto alle locazioni non abitative, per cercare di ristabilire - almeno parzialmente - tale equilibrio:

  • fondamentale in materia è la presenza nel contratto della clausola di aggiornamento del canone che - se il contratto avesse una durata superiore a quella minima di legge - potrebbe prevedere l'aggiornamento pieno e non limitato alla sola percentuale del 75% della variazione dei dati Istat;
  • la clausola anzidetta dovrebbe essere formulata in modo corretto ed attento, con indicazione del criterio della variazione assoluta degli indici Istat e con l'opportuna indicazione del momento iniziale del computo da operarsi per l'aggiornamento;
  • potrebbe pensarsi anche alla fissazione dei canoni in misura differenziata nel corso del rapporto;
  • anche le previsioni contrattuali in tema di pagamento degli oneri accessori ed in tema di garanzie per l'adempimento delle obbligazioni del conduttore dovrebbero essere riconsiderate e dotate di elasticità.
Riferimenti

Cuffaro, Le clausole di determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Corr. giur., 2017, 310;

Izzo, L'aggiornamento del canone delle locazioni non abitative, in Giust. civ., 2007, I, 1501;

Scalettaris, Cedolare secca ed aggiornamento, aumento e “scalettatura” del canone nelle locazioni commerciali: prime riflessioni, in Arch. loc. e cond., 2019, 472.

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