Fallimento della “supersocietà di fatto”: va provato il comune interesse sociale perseguito

30 Giugno 2022

La sussistenza del fenomeno della cosiddetta supersocietà di fatto postula la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all'interesse dei soci.

Il decisum in rassegna è intervenuto sul tradizionale fronte della supersocietà di fatto, riaperto ormai da oltre un decennio a seguito delle novelle al codice civile ed alla legge fallimentare.

Si tratta di stabilire la fallibilità, o meno, di una società di capitali che, in ragione della direzione e controllo esercitati nei confronti di un'altra o anche più società, ovvero anche solo della compartecipazione in fatto all'attività e ai risultati di questa, possa ritenersi socia, assieme alla seconda, di una più ampia e sovrastante società di fatto, dunque da reputarsi costituita e intercorrente fra di esse in quanto soggetti coinvolti in un'iniziativa economica condivisa, cosiddetta supersocietà.

I giudici della Prima sezione civile, con la Cass. n. 20552/22, ribadiscono che la sussistenza del fenomeno della cosiddetta supersocietà di fatto postula la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all'interesse dei soci, dovendosi ritenere che la circostanza che le singole società perseguano, invece, l'interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche solo di fatto, costituisca, piuttosto, una prova contraria all'esistenza della supersocietà di fatto. Simile circostanza - si dice - può semmai costituire indice di esistenza di una holding di fatto nei cui confronti il curatore può agire in responsabilità, ex art. 2497, c.c., e che può essere dichiarata autonomamente fallita, ove ne sia accertata l'insolvenza a richiesta di uno dei soggetti legittimati.

Il fatto. La Corte d'Appello di Firenze ha accolto il reclamo proposto da Mevio avverso la sentenza del Tribunale fiorentino che, decidendo sulle istanze, ex artt. 6 e 7, l. fall., rispettivamente avanzate dal curatore del Fallimento della Beta s.r.l. e dall'ufficio della Procura, aveva dichiarato, ai sensi dell'art. 147, comma 5, l. fall., il fallimento della società di fatto costituita fra lo stesso Mevio, Alfa s.r.l., Omega s.r.l. e la già fallita Ypsilon s.r.l., nonché il fallimento delle due prime società e di Mevio quali soci illimitatamente responsabili della società di fatto.

La corte del merito ha revocato la dichiarazione di fallimento della società di fatto e dei soci dichiarati falliti per ripercussione, escludendo che potessero ravvisarsi gli elementi indicativi dell'esistenza fra gli stessi e Beta di una cosiddetta supersocietà di fatto.

La sentenza è stata impugnata dal Curatore del Fallimento revocato con ricorso per Cassazione affidato a due gravami, cui ha replicato Mevio con controricorso.

Entrambi i motivi, tuttavia, vengono respinti ed il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte.

Quest'ultima, in particolare, osserva come non sia esatto dire che la corte di merito abbia qualificato l'attività di Mevio come di direzione e coordinamento di un gruppo di società organizzate verticalmente: il giudice a quo ha, piuttosto, preso in esame le difese prospettate sul punto dal reclamante, per poi pervenire ad una statuizione la cui ratio non si fonda sull'applicazione dell'art. 2479, c.c., ma sull'accertamento della mancanza dei presupposti/requisiti per ravvisare la sussistenza di una supersocietà di fatto tra la già fallita Beta, lo stesso Mevio e le altre società da lui amministrate.

Infine, va osservato che lo stesso Fallimento evidenzia circostanze (il fatto che Mevio considerasse il pacchetto clienti come un bene personale e che operasse in modo confuso, in proprio o per conto delle società, attingendo in maniera casuale ai fondi dell'una o dell'altra o ai propri), che non appaiono indicative né di un patrimonio comune, né di comuni attività.

La figura della società di fatto può delinearsi quando più persone si comportano in fatto come soci, ossia, in ossequio all'art. 2247 c.c., svolgono in comune un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili, conferendo a tal fine beni o servizi: senza che fra di esse sia intervenuto alcun esplicito contratto di società, sia esso scritto o anche orale; senza che tale esercizio in comune dell'attività economica sia stato in alcun modo pubblicizzato nei modi di legge, ossia mediante iscrizione nel registro delle imprese.

Il contratto di società è un contratto a forma libera, di conseguenza, il consenso delle parti può essere manifestato con qualsiasi mezzo idoneo e, quindi, anche per facta concludentia. Sicché, l'esistenza della società di fatto si ricava, da un comportamento concludente tenuto dai soci, i quali mostrano di volere il rapporto sociale e non intendono occultarlo di fronte ai terzi.

La norma di cui all'art. 147, comma 5, l. fall. trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l'impresa è, in realtà, riferibile ad una società di fatto tra il fallito ed uno o più soci occulti, ma, in virtù di sua interpretazione estensiva, anche laddove il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, ad una società di persone, cosiddetta supersocietà di fatto, non assoggettata ad altrui direzione e coordinamento - la cui sussistenza, però, postula la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all'interesse dei soci, dovendosi ritenere che la circostanza che le singole società perseguano, invece, l'interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche solo di fatto, costituisca, piuttosto, una prova contraria all'esistenza della supersocietà di fatto.

In definitiva, se manca un comune intento sociale perseguito dai singoli pretesi associati non può poi verificarsi il fallimento della supersocietà di fatto creatasi fra di essi. Nel caso de quo, difatti, il potere di disposizione finiva ad ogni occasione per ricadere nell'orbita esclusiva di Mevio e nell'esclusivo e mai superato suo potere di direzione e di coordinamento.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it


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