Il valore probatorio delle dichiarazioni sfavorevoli sui diritti indisponibili

30 Giugno 2022

Le ammissioni delle parti in ordine a diritti indisponibili ed in cause aventi ad oggetto diritti familiari possono assurgere a presunzioni ed indizi liberamente valutabili in unione con altri elementi probatori.
Massima

Le ammissioni delle parti in ordine a diritti indisponibili ed in cause aventi ad oggetto diritti familiari possono assurgere a presunzioni ed indizi liberamente valutabili in unione con altri elementi probatori.

Le ammissioni delle parti in ordine alla propria condizione patrimoniale, vertendo su diritti indisponibili, devono essere considerate meri indizi e presunzioni.

Il caso

Il Tribunale Ordinario dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio da cui non nascevano figli ed assegnava all'ex-moglie un assegno divorzile.

Il marito proponeva appello avverso la predetta sentenza con riferimento alle modalità con cui il Giudice di prime cure aveva valutato la condizione patrimoniale della moglie e, conseguentemente, aveva quantificato l'assegno divorzile di cui all'art. 5 l. 898/1970.

La Corte d'Appello respingeva il gravame ed il marito proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 l. 898/1970 nella misura in cui non erano state correttamente valutare le risultanze istruttorie inerenti alla consistenza patrimoniale delle parti, anche con riferimento alla valorizzazione dell'immobile posseduto dalla moglie.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso in relazione alla mancata compiuta valutazione da parte del Giudice di seconde cure della documentazione reddituale prodotta dal ricorrente e, pertanto, cassava la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione.

La questione

L'ordinanza in commento, pur concentrandosi sugli elementi che devono essere considerati nella valutazione della consistenza patrimoniale delle parti coinvolte in un giudizio volto ad ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio, si sofferma, seppur incidentalmente e senza un particolare approfondimento, sulla valenza probatoria delle dichiarazioni rese da una parte in ordine ai diritti indisponibili.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, nell'esaminare le modalità con cui la condizione patrimoniale delle parti è stata presa in considerazione ai fini della valutazione e della quantificazione dell'assegno di divorzio, giunge ad affermare che le ammissioni delle parti relative ai diritti indisponibili possono assurgere a presunzioni ed indizi liberamente valutabili dal Giudice in unione con altri elementi probatori.

Decodificando il pensiero della Suprema Corte, si nota come viene ribadito l'insegnamento secondo il quale le dichiarazione confessorie della parte hanno valore di prova legale – vincolando il Giudice a considerare provati i fatti che ne formano oggetto – solo se riguardano diritti disponibili (cfr. art. 2733, comma 2, c.c.), con la conseguenza che, laddove la parte renda dichiarazioni sfavorevoli in materia di diritti indisponibili, tali dichiarazioni non potranno essere considerate prove, ma meri indizi o presunzioni semplici che dovranno essere valutate dall'Autorità Giudiziaria procedente unitamente al materiale probatorio raccolto nel corso dell'istruttoria (cfr., in riferimento ai diritti indisponibili in tema di giudizi familiari, Cass. civ., sez. I, n. 3637/1977; Cass. civ., sez. I, n. 176/1982; Cass. civ., sez. I, n. 1170/1997 e Cass. civ., sez. I, n. 7998/2014).

La Suprema Corte, allineandosi a tale consolidato principio, ritiene di poterlo applicare anche alle dichiarazioni vertenti sulle condizioni patrimoniali del coniuge. Infatti, le dichiarazioni confessorie sulla propria condizione patrimoniale potranno essere valorizzate unicamente come indizi e presunzioni semplici. Tale conclusione può essere raggiunta poiché i Giudici di legittimità qualificano come indisponibile il diritto all'assegno di mantenimento di cui all'art. 5 l. 898/1970.

In altri termini, la Suprema Corte applica il seguente sillogismo:

- le dichiarazioni confessorie in ordine alla propria condizione patrimoniale attengono a diritti indisponibili;

- le dichiarazioni confessorie sui diritti indisponibili devono essere considerate meri indizi e presunzioni;

- le dichiarazioni confessorie in ordine alla propria condizione patrimoniale devono essere considerate meri indizi e presunzioni.

Osservazioni

Se analizzata esclusivamente sotto un profilo processuale, la decisione in commento appare pienamente condivisibile nella misura in cui risulta assolutamente pacifico che la confessione e l'interrogatorio formale che dovrebbe stimolarla non sono ritenuti ammissibili in riferimento ai diritti di cui la parte non può liberamente disporre.

Pertanto, non potrà essere attribuito il valore di confessione in senso stretto alle dichiarazioni rilasciate dalle parti nel corso del giudizio aventi ad oggetto diritti indisponibili. Tuttavia, tali ammissioni potranno assumere la valenza di meri indizi e presunzioni semplici che potranno essere liberamente valutate dal Giudice, ma che necessitano di un ulteriore supporto probatorio non potendo fondare ex se il provvedimento conclusivo del giudizio.

Applicando tale consolidato orientamento, la Corte di Cassazione ne fa applicazione anche in merito alla determinazione delle condizioni economiche delle parti del giudizio di divorzio, affermando che le ammissioni inerenti alle proprie condizioni patrimoniali devono essere considerate dei meri indizi nella misura in cui, sottintende la Suprema Corte, il diritto all'assegno divorzile di cui all'art. 5 l. 898/1970 deve essere considerato come un diritto indisponibile.

Tuttavia, il ragionamento della Corte di Cassazione pone qualche perplessità proprio laddove coniuga il profilo processuale a quello sostanziale. Infatti, pone qualche dubbio interpretativo proprio il passaggio in cui i Giudici di legittimità ritengono che l'assegno divorzile rientri nel genus dei diritti indisponibili.

Tale tematica appare caratterizzata dalla presenza di una varietà di posizioni interpretative che giungono a soluzioni tra loro diametralmente opposte.

Innanzitutto, occorre prendere in esame l'assegno di mantenimento – che riguarda la fase della separazione personale dei coniugi e non il procedimento di divorzio, ma, ciononostante, appare utile considerare anche tale aspetto pur nella consapevolezza della diversità ontologica tra l'assegno di mantenimento e l'assegno divorzile – che può essere definito come la proiezione degli obblighi di mantenimento reciproco derivanti dal matrimonio ex art. 143 c.c. e che appare finalizzato a conservare, nella fase patologica del rapporto coniugale, gli effetti propri del vincolo coniugale. Partendo da tale definizione, una parte della dottrina ha ritenuto l'assegno di mantenimento espressione di un diritto indisponibile, trattandosi di un istituto regolato da norme inderogabili poste a tutela della parte più debole del rapporto matrimoniale; una diversa posizione interpretativa, invece, ha ritenuto qualificabile l'assegno di mantenimento in termini di disponibilità, evidenziando che ciò non contrasta con l'esigenza di tutela del coniuge debole nella misura in cui si tratta di statuizioni assunte rebus sic stantibus e, dunque, passibili di essere modificate al variare delle condizioni di fatto e di diritto. Infine, si è registrata anche una soluzione esegetica – che potremmo definire intermedia – secondo cui il diritto al mantenimento rimane indisponibile, ma la parte ha la facoltà di rinunciare, non già al diritto al mantenimento, ma alle somministrazioni da esso derivanti: tale rinuncia determinerebbe una mera quiescenza del diritto che diverrebbe disponibile solo processualmente.

L'assegno divorzile è stato considerato dall'orientamento interpretativo tradizionale come espressione in un diritto indisponibile del coniuge: tale conclusione era giustificata alla luce della natura assistenziale e di tutela del coniuge debole che si rinveniva nell'art. 5 l. 898/1970. Tale assunto esegetico si è incrinato a partire dal momento in cui la giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 18287/2018) ha iniziato a considerare l'assegno divorziale come un'obbligazione pecuniaria di natura mista, avente non più solo natura assistenziale, ma anche – e soprattutto – un carattere risarcitorio e compensativo. Alla luce di ciò, si è iniziato a dubitare dell'indisponibilità del diritto al trattamento economico di divorzio, pur rimanendo viva la corrente interpretativa che ne sostiene la natura indisponibile posto che la funzione perequativa dell'assegno di divorzio rimane collegata ai principi costituzionali espressi dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.

Chiarite le posizioni in punto di disponibilità, occorre precisare che l'orientamento più recente – riconoscendo una maggiore autonomia privata alle parti rispetto ai diritti patrimoniali nascenti dai rapporti familiari in cui non siano coinvolti figli minorenni o economicamente non autosufficienti – afferma che sia il diritto all'assegno di mantenimento sia il diritto all'assegno di divorzio – pur rimanendo ontologicamente differenti e preordinati a finalità diverse – devono essere considerati diritti disponibili.

In particolare, a sostegno di tale conclusione interpretativa si porrebbe: a) la necessità di una domanda di parte in punto di assegno di mantenimento e di divorzio ed il conseguente potere di intervento del Giudice solo su richiesta delle parti; b) l'inapplicabilità alla fase patologica del rapporto dell'art. 160 c.c.; c) l'assenza di interessi pubblici coinvolti nella regolamentazione dell'assetto economico successivo alla crisi matrimoniale in assenza di figli minori; d) la considerazione che la determinazione delle conseguenze economiche della separazione o del divorzio non rappresentano più profili di necessario appannaggio della giurisdizione in quanto possono essere oggetto di negoziazione assistita o di accordo avanti al Sindaco (artt. 6 e 12 l. 162/2014); e) la mancata valorizzazione per via legislativa dell'indisponibilità dell'assegno di mantenimento e di divorzio che contrasta con l'obbligo alimentare che, invece, è espressamente qualificato dal Legislatore come un diritto indisponibile (cfr. art. 447 c.c.).

A siffatta soluzione interpretativa sembra allinearsi anche la più recente giurisprudenza secondo la quale risulta più corretto parlare di una disponibilità attenuata nella misura in cui l'assegno di mantenimento e l'assegno divorzile possono essere qualificati come diritti indisponibili sono con riferimento alla porzione di contributo economico che assuma una finalità assistenziale in favore dell'ex coniuge (cfr. Cass. civ., I, n. 11795/2021 e Cass. civ., I, n. 788/2017). L'insegnamento giurisprudenziale correttamente precisa che la presenza di figli minori (o maggiorenni non economicamente autosufficienti) rende il diritto al mantenimento indisponibile nella misura in cui le conseguenze economiche della fase patologica del matrimonio devono essere regolamentate in modo da tutelare e garantire l'attuazione del best interest dei minori coinvolti.

Alla luce di tali considerazioni, l'approdo esegetico raggiunto dalla Corte di Cassazione andrebbe rimeditato in quanto, dovendosi considerare l'assegno di divorzio (ed anche l'assegno di mantenimento) un diritto disponibile, le dichiarazioni confessorie sfavorevoli rese dalla parte dovranno essere considerate non più come meri indizi o semplici presunzioni, ma come piena prova – inibendo, peraltro, al Giudice di svolgere ulteriore attività istruttoria relativa ai fatti oggetto delle dichiarazioni –, salvo il caso in cui la parte rilasci dichiarazione a se favorevoli che dovranno essere valutate unitamente ad altri elementi probatori avendo unicamente valore indiziario e presuntivo.

Riferimenti

Per l'approfondimento dei temi trattati si suggeriscono i seguenti testi:

  • G. Oberto, Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento giudiziale, in Fam. e dir., 2003, 389 ss. (prima parte) e 495 ss. (seconda parte);
  • F. Danovi, Inammissibilità del giuramento decisorio per la determinazione dell'assegno di mantenimento (o di divorzio), in Fam. e dir., 2017, 454 ss.;
  • M. N. Bugetti, Nuovi modelli di composizione della crisi coniugale tra collaborative law e tutela della libertà negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 269 ss.;
  • L. M. Cosmai, voce Assegno divorziale e una tantum, in Ilfamiliarista.it;
  • A. Simeone, Assegno di mantenimento per il coniuge, in Ilfamiliarista.it.

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