Aumento di capitale e abuso della maggioranza

30 Giugno 2022

L'abuso del diritto di voto da parte del socio di maggioranza che determina l'annullabilità della deliberazione assembleare si configura allorché il socio eserciti consapevolmente il proprio diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell'esecuzione del contratto sociale.
Massima

L'abuso del diritto di voto da parte del socio di maggioranza che determina l'annullabilità della deliberazione assembleare si configura allorché il socio eserciti consapevolmente il proprio diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell'esecuzione del contratto sociale.

La previsione dell'aumento di capitale "alla pari" - cioè senza la previsione del sovrapprezzo corrispondente al maggior valore del patrimonio sociale rispetto al capitale nominale - non può costituire sintomo di abuso della maggioranza, in presenza della previsione del diritto di opzione a favore di tutti i soci.

Il caso

Il Tribunale di Milano, con la sentenza in commento, si è pronunciato in merito all'impugnazione - inter alia - di una delibera assembleare di aumento di capitale di una società a responsabilità limitata, in quanto asseritamente connotata da una condotta abusiva da parte della maggioranza.

Di seguito una breve ricostruzione fattuale della fattispecie in esame:

(a) con delibera assembleare del 20 luglio 2018, la società Espansione S.r.l. (la "Società") aumentava - "a pagamento e alla pari, nel pieno rispetto del diritto di opzione spettante ai Soci"- il proprio capitale sociale da Euro 400.000,00 ad Euro 800.000,00 (l'"Aumento di Capitale").

L'Aumento di Capitale avrebbe dovuto consentire alla Società di sottoscrivere e liberare azioni ordinarie ed uno strumento finanziario partecipativo della Cooperativa Editoriale Lariana (la "Cooperativa") per consentire alla Cooperativa di sottoscrivere a sua volta l'aumento di capitale della società - partecipata dalla Cooperativa (quale socio di maggioranza) e dalla Società (quale socio di minoranza) - Editoriale S.r.l. (la "Partecipata"), con conseguente revoca dello stato di liquidazione e ripresa dell'attività della Partecipata e acquisizione da parte della Cooperativa dell'intero capitale sociale della Partecipata;

(b) con atto di citazione del 18 ottobre 2019, alcuni soci di minoranza della Società (i "Soci di Minoranza") chiedevano la declaratoria di invalidità della suddetta delibera, dal momento che l'Aumento di Capitale avrebbe: (i) perseguito un interesse extrasociale dei soci di maggioranza (i.e. il finanziamento della Cooperativa); (ii) dato attuazione ad un'operazione gravemente dannosa per la Società (in quanto implicante la perdita della partecipazione nella Partecipata); (iii) diluito abusivamente le partecipazioni dei Soci di Minoranza; e (iv) ridotto sensibilmente il valore patrimoniale delle partecipazioni dei Soci di Minoranza;

(c) costituitasi in giudizio, la Società eccepiva la rispondenza dell'Aumento di Capitale all'interesse sociale, dal momento che l'Aumento di Capitale era finalizzato - inter alia - a dotare la Partecipata di un assetto proprietario idoneo a garantirle l'accesso ai contributi ministeriali riservati alle imprese editrici a capitale interamente posseduto da cooperative. Nella ricostruzione di parte convenuta, inoltre, la diluizione dei Soci di Minoranza sarebbe stata un mero effetto della libera scelta degli stessi di non esercitare il diritto di opzione.

Le questioni giuridiche

Chiamato a pronunciarsi sulla fattispecie sopra descritta, il Tribunale di Milano ha preso posizione in merito al tema dell'abuso della maggioranza nel contesto di un aumento di capitale, offrendo lo spunto per ripercorrere (anche più ad ampio spettro) le relative elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, che - senza pretesa di esaustività - cercheremo di passare organicamente in rassegna.

Osservazioni

Considerazioni generali in tema di abuso della maggioranza.

Il c.d. (divieto di) abuso della maggioranza costituisce, nell'àmbito del diritto societario, la declinazione del c.d. (divieto di) abuso del diritto e risponde alla finalità di sindacare la legittimità di deliberazioni assembleari che, pur non configurando una violazione espressa di norme di legge o statutarie, determinano conseguenze pregiudizievoli per i soci di minoranza.

L'orientamento attualmente maggioritario in dottrina e giurisprudenza - superando la teorica dell'eccesso di potere (sul tema, cfr. V. Salafia, Le deliberazioni assembleari viziate da eccesso di potere, in Soc., 1994, 1470; R. Rordorf, Eccesso di potere nelle deliberazioni sociali, in Soc., 1986, 1091) e quella del conflitto di interessi (sul tema, cfr. H. Simonetti, Abuso del diritto di voto e regola di buona fede nelle società di capitali, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 4, II, 484; M. Cassottana, L'abuso di potere a danno della minoranza assembleare, Milano, 1991, 55) - individua quale fondamento normativo del divieto di abuso della maggioranza il rispetto dei canoni generali di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c. (sul tema: (i) nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., 12 dicembre 2017, n. 29792, in Foro It., 2018, I, 1308; Cass., 20 gennaio 2011, n. 1361, in Soc., 2011, 345; Cass., 16 novembre 2007, n. 23823, in Soc., 2008, 700; Cass., 17 luglio 2007, n. 15950, in Soc., 2007, 1459; Cass., 17 luglio 2007, n. 15942, in Not., 2008, 128; Cass., 15 febbraio 2007, n. 3462, in Mass. Giust. Civ., 2007, 6; Cass., 12 dicembre 2005, n. 27387, in Giur. Comm., 2007, II, 85; Cass., 11 giugno 2003, n. 9353, in Soc., 2003, 1351; (ii) nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Napoli, 2 aprile 2019, in Soc., 2019, 1129; Trib. Palermo, 27 febbraio 2019, in Soc., 2019, 675; Trib. Milano, 7 giugno 2018, in Soc., 2019, 341; Trib. Milano, 13 maggio 2001, in Soc., 2001, 856; Trib. Milano, 2 giugno 2000, in Foro It., 2000, I, 3638; (iii) in dottrina, cfr. E. La Marca, Abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, interesse sociale legittimante e finalità fraudolenta: un tentativo di alleggerire la fattispecie, in Riv. dir. comm., 2018, 497; C. Angelici, Le basi contrattuali della società per azioni, in G.E. Colombo - G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, Torino, 2004, 101; F. Ferrara jr. - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1994, 420; S. Galli, Invalidità di delibere assembleari: note in tema di eccesso di potere, annullabilità, inesistenza e verbale di diserzione, in Giur. Comm., 1994, II, 748; D. Preite, L'abuso della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, Milano, 1992, 150; P.G. Jaeger, L'interesse sociale, Milano, 1972, 178).

Tale orientamento ha trovato la propria consacrazione in una miliare pronuncia della Suprema Corte (segnatamente, Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. Comm., 1996, II, 329) che ha qualificato le decisioni dei soci quali atti esecutivi del contratto di società ("[…] le determinazioni prese dai soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, perché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale") e, come tali, sottoposti all'obbligo di agire in buona fede, espressione di un più generale principio di solidarietà (secondo la Corte di Cassazione, l'art. 1375 c.c. "costituisce specificazione di un più generale principio di solidarietà che abbraccia tutti i rapporti giuridici obbligatori, […] vincolando le parti al dovere di lealtà e rispetto della sfera altrui")che, in àmbito societario, si estrinseca nei doveri di lealtà e correttezza a carico dei soci, i quali devono esercitare il proprio diritto di voto per il perseguimento delle finalità alle quali è preordinato il contratto di società (secondo la Corte di Cassazione, "con il contratto di società viene costituita una comunione di interessi la cui esistenza […] esclude […] che il voto stesso possa essere legittimamente esercitato per realizzare finalità particolari, estranee alla causa del contratto di società").

Muovendo da tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto non revocabile in dubbio l'invalidità (nella specifica accezione dell'annullabilità per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. (sul tema, cfr. F. Guerrera, I rimedi tra effettività della tutela e stabilità del deliberato assembleare, in Giur. Comm., 2018, I, 362; P. Montalenti, L'abuso del diritto nel diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 2018, 873)) di una delibera assembleare che risulti approvata col voto determinante del socio di maggioranza in assenza di un interesse sociale e al solo fine di ottenere arbitrariamente e fraudolentemente un vantaggio per i soci di maggioranza e un simmetrico pregiudizio per i soci di minoranza (fermo restando che l'accertamento di tale vizio non può risolversi in un sindacato di merito sulla convenienza e sull'opportunità delle decisioni della maggioranza).

Ciò posto a livello di inquadramento concettuale, occorre evidenziare come, nel formante giurisprudenziale, ipotesi di abuso della maggioranza siano state riscontrate:

(a) sia rispetto alle competenze dell'assemblea ordinaria (ad esempio, in tema di: (i) revoca degli amministratori (sul tema, cfr. Trib. Milano, 6 luglio 2013, in Giur. It., 2014, 123; Trib. Milano, 7 novembre 2012, in Soc., 2013, 797; Trib. Roma, 10 ottobre 2008, in Riv. dir. comm., 2009, 321); (ii) determinazione dei relativi compensi (sul tema, cfr. Cass., 17 luglio 2007, n. 15942, cit.); e (iii) sistematica mancata distribuzione degli utili (sul tema, cfr. Trib. Milano, 28 maggio 2007, in Giur. It., 2008, I, 130; Trib. Milano, 29 giugno 2005, in Banca borsa tit. cred., 2006, II, 627));

(b) sia rispetto alle competenze dell'assemblea straordinaria (ad esempio, in tema di: (i) raggruppamento di azioni (sul tema, cfr. Trib. Milano, 8 novembre 2012, in Not., 2014, 422; Trib. Milano, 24 aprile 2011, in Giur. It., 2011, 2582); (ii) riduzione del capitale sociale (sul tema, cfr. App. Milano, 18 aprile 2000, in Soc., 2000, 958); (iii) scioglimento anticipato della società (sul tema, cfr. Trib. Napoli, 24 maggio 2006, in Soc., 2007, 1261; Trib. Roma, 22 ottobre 2002, in Giur. It., 2003, 1888); (iv) modifica dei quorum assembleari (sul tema, cfr. Trib. Reggio Emilia, 2 dicembre 2005, in Soc., 2006, 1257); e (v) introduzione o soppressione di una clausola di voto scalare (sul tema, cfr. Trib. Perugia, 25 giugno 2008, in Soc., 2010, 221)).

In particolare, rispetto alle competenze dell'assemblea straordinaria, una fattispecie "elettiva" in tema di abuso della maggioranza è quella dell'aumento del capitale sociale a pagamento, che passiamo ad esaminare più nel dettaglio.

Considerazioni particolari in tema di abuso della maggioranza nel contesto di un aumento di capitale.

L'aumento del capitale sociale a pagamento costituisce un'operazione nel contesto della quale i soci di maggioranza potrebbero profittare delle (asserite) esigenze di capitalizzazione da parte della società e della contestuale (eventuale) illiquidità dei soci di minoranza (ricordando, comunque, che la società non ha "l'obbligo di tenere conto della situazione patrimoniale del singolo socio, in modo da deliberare aumenti di capitale nei soli casi in cui i vecchi azionisti possano disporre in concreto dei mezzi finanziari occorrenti per sottoscrivere le nuove azioni nella misura proporzionale spettante" (Trib. Milano, 6 dicembre 1990, in Foro It., 1992, I, 2258)) per diluire fraudolentemente questi ultimi e accrescere - più che proporzionalmente - la propria partecipazione, sia in termini di valore patrimoniale sia in termini di correlati diritti sociali esercitabili.

In tale àmbito, la giurisprudenza ha affermato che:

(a) laddove l'aumento di capitale risulti "opportuno" (per tale intendendosi quello rispondente ad una "effettiva esigenza della società" (così Trib. Genova, 19 gennaio 1988, in Soc., 1988, 275)), allora l'interesse del socio di maggioranza a dotare la società di nuove risorse prevale rispetto all'interesse del socio di minoranza a conservare integra la propria partecipazione al capitale sociale (al socio di minoranza rimane la tutela offerta dal diritto di opzione) (sul tema, in giurisprudenza, cfr. Trib. Napoli, 25 febbraio 1998, in Foro It., 1999, I, 1055, secondo cui "l'interesse dei soci di minoranza contrari alla deliberazione di aumento di capitale, […] e cioè l'interesse alla conservazione della proporzione in cui partecipano alla società e del valore patrimoniale assoluto di tale partecipazione, si presenta come interesse di carattere individuale"; in dottrina, cfr. L. Mula, I soci nelle operazioni straordinarie, Milano, 2014, 392, secondo cui "gli aumenti di capitale a pagamento, se non escludono il diritto di opzione o sottoscrizione, non sono lesivi di interessi dei soci quali quello alla conservazione del valore proporzionale della propria partecipazione o degli assetti partecipativi preesistenti. […] Pertanto non richiedono una informativa o una giustificazione nei confronti dei soci");

mentre

(b) laddove l'aumento di capitale risulti: (i) "inutile" (per tale intendendosi quello "deciso in un momento in cui la società non abbia manifestamente bisogno di nuovi mezzi" (così Trib. Napoli, 25 febbraio 1998, cit.) oppure quello che non determina alcun incremento della redditività della partecipazione sociale (sul tema, cfr. D. Preite, cit., 157, secondo cui "il socio […] non può avere alcun interesse all'accrescimento del patrimonio sociale se a ciò non corrisponde un accrescimento della redditività del suo conferimento")); oppure (ii) impossibile da sottoscrivere per il socio di minoranza (tale circostanza deve emergere sia da un punto di vista soggettivo (i.e. "consapevolezza del socio di maggioranza di poter sfruttare una situazione di illiquidità del socio di minoranza") sia da un punto di vista oggettivo (i.e. "reale sussistenza di un'illiquidità del socio di minoranza", come affermato da Trib. Monza, 20 febbraio 1998, in Soc., 1998, 1316; in senso conforme, cfr. Cass., 4 maggio 1994, n. 4323, in Nuova giur. civ. comm., 1995, 636; Trib. Milano, 15 maggio 2008, in Soc., 2009, 215; App. Milano, 10 febbraio 2004, in Soc., 2006, 324; Trib. Milano, 8 febbraio 1996, inedita; Trib. Napoli, 24 gennaio 1989, in Giur. Comm., 1989, II, 603). Sul tema, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito di Impresa n. 400-2014/I (Condizioni richieste dalla legge per iscrizione delibera di s.r.l. di riduzione del capitale per perdite e successiva delibera di aumento del capitale sociale), in CNN Notizie, 20 giugno 2014, secondo cui l'annullabilità della delibera di aumento di capitale si avrebbe "ove essa non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società e sia il risultato di un'azione fraudolenta dei soci di maggioranza, volta a ledere i diritti dei soci di minoranza. […] Quanto all'elemento soggettivo, l'impugnante dovrebbe dimostrare che la maggioranza abbia approvato l'aumento di capitale con la specifica finalità di diluire la partecipazione del socio di minoranza, approfittando consapevolmente di una sua situazione di illiquidità tale da rendere impossibile la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione"); oppure (iii) privo del sovrapprezzo (in caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione) (sul tema, cfr. Trib. Reggio Emilia, 27 aprile 1994, in Giur. Comm., 1995, II, 747, secondo cui "l'obbligo di gravare le azioni di nuova emissione del sovrapprezzo ricorre solo in caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione"), allora la fattispecie dovrà configurarsi come abusiva, con conseguente annullamento della delibera assembleare di aumento di capitale (l'abuso è stato ritenuto esistente, ad esempio, da Trib. Como, 1° giugno 2000, in Soc., 2001, 76, che ha censurato la volontà del socio di maggioranza di "approfittare della mancanza di liquidità" del socio di minoranza per "diluirne la partecipazione sociale").

Con particolare riguardo alla mancata previsione del sovrapprezzo, la giurisprudenza non considera tale circostanza come necessario indice sintomatico di una condotta abusiva da parte della maggioranza, dal momento che la legge impone il sovrapprezzo solo in caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione, mentre - laddove tale diritto venga accordato - non ricorre alcun diritto del socio a che le azioni siano emesse con un sovrapprezzo (Trib. Milano, 14 luglio 2003, in Foro Pad., 2003, I, 365).

In applicazione di tali principi, il Tribunale di Milano - con la sentenza n. 9296 del 6 agosto 2015 (pubblicata in www.giurisprudenzadelleimprese.it) - ha rigettato l'impugnazione di una delibera assembleare di aumento di capitale, ritenendo che l'operazione in questione fosse necessaria per fornire alla società risorse utili al miglioramento degli indici patrimoniali e, soprattutto, ribadendo che la mancata previsione del sovrapprezzo, unita al riconoscimento del diritto di opzione a favore di tutti i soci, non può integrare in alcun modo la fattispecie abusiva ("Il carattere "alla pari" (id est senza il cosiddetto sovrapprezzo) dell'aumento neppure presenta di per sé alcun carattere abusivo laddove il relativo diritto d'opzione sia riservato […] a tutti i soci, in particolare la disciplina ex art. 2441 c.c. prevedendo un prezzo di emissione delle azioni calcolato non in riferimento al valore nominale ma al patrimonio netto […] solo per il caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione dei soci").

Conclusioni

Sulla scorta dell'elaborazione giurisprudenziale da ultimo menzionata, il Tribunale di Milano ha rigettato l'impugnazione avverso la delibera assembleare in esame, affermando come l'aumento di capitale rispondesse all'interesse sociale ("La complessa operazione di finanziamento sottesa alla deliberazione di aumento di capitale era, quindi, chiaramente concepita in funzione dell'evidente interesse della società alla ripresa dell'attività della partecipata Editoriale S.r.l. e la circostanza è sufficiente ad escludere la stessa configurabilità dell'abuso della maggioranza") e fosse stato attuato secondo modalità tali da escludere la condotta abusiva da parte del socio di maggioranza ("Né, contrariamente a quanto sostenuto dagli attori, la previsione dell'aumento di capitale "alla pari", cioè senza la previsione del sovrapprezzo corrispondente al maggior valore del patrimonio sociale rispetto al capitale nominale, può costituire sintomo di abuso della maggioranza, in presenza della previsione del diritto di opzione a favore di tutti i soci").

Ciò è in linea con la prevalenza che gli operatori giuridici sembrano accordare all'interesse sociale al reperimento di nuove risorse rispetto a quello particolare del socio di minoranza a mantenere intatta la propria partecipazione al capitale di rischio. Laddove - in presenza del diritto di opzione riconosciuto a favore di tutti i soci - il socio di minoranza non si avvalga di tale diritto, la diluizione non potrà che essere la naturale conseguenza del legittimo esercizio da parte della maggioranza del potere discrezionale di deliberare l'aumento di capitale, che - peraltro - rimane svincolato da qualsiasi sindacato di merito da parte del giudice.

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