La permanente impossibilità alla prestazione è incompatibile con l'istituto del preavviso

Maurizio Polato
01 Luglio 2022

La permanente impossibilità alla prestazione, con conseguente diritto pensionistico ai sensi della L. 335/1995, comporta una risoluzione automatica del rapporto di lavoro...
Massima

La permanente impossibilità alla prestazione, con conseguente diritto pensionistico ai sensi della L. 335/1995, comporta una risoluzione automatica del rapporto di lavoro ed è incompatibile con l'istituto del preavviso.

Il caso

Un dipendente dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (di seguito “Agenzia”), dopo aver sostenuto la necessaria visita presso la commissione medica di verifica, aveva ottenuto la pensione di inabilità.

Al lavoratore era stata riconosciuta la condizione di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa per infermità ai sensi dell'art. 2, co. 12, L. 335/1995 - norma che dispone il diritto a ottenere un trattamento pensionistico nei casi di cessazione del servizio dovuta a infermità non dipendente da causa di servizio, a condizione che l'interessato si trovi nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.

Sancita l'impossibilità a svolgere la prestazione, il direttore dell'Agenzia aveva quindi disposto la cessazione del rapporto per motivi di salute e non corrispondeva l'indennità sostitutiva di preavviso.

La Corte d'Appello, in riforma della decisione del Tribunale, riteneva legittimo il diniego. Secondo la corte territoriale, l'art. 49 del CCNL del comparto agenzie fiscali prevede l'indennità sostitutiva di preavviso in caso di assenza prolungata dal servizio di malattia, non già per cessazione per motivi di salute, ritenendo le due ipotesi chiaramente distinte.

Il CCNL di riferimento è quello del quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003. Rilevano in particolare i commi 2-4 dell'art. 49, si rimanda all'appendice del commento. Per il testo dell'art. 49 si rimanda all'appendice in calce all'articolo.

Gli eredi del lavoratore – frattanto deceduto – ricorrevano quindi in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Il ricorrente presentava tre motivi.

I primi due motivi hanno natura squisitamente processuale e sono trattati dalla Corte piuttosto sbrigativamente.

Sono inoltre strettamente legati alle specifiche vicende processuali e, in questo caso, si ritiene di minor interesse. Per tale ragione si propongono brevemente in nota i primi due motivi.

(1) Il primo motivo riguarda la violazione e falsa applicazione dell'art. 434 c.p.c.: a parere della Corte, i ricorrenti non avevano adempiuto agli oneri prescritti al fine della valida censura della decisione impugnata e dichiarava il motivo inammissibile. Infatti, i ricorrenti avevano semplicemente effettuato un rimando all'atto di appello, non avendo così assolto l'onere di specificare le ragioni per cui ritiene erronea la decisione d'appello.


(2) Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentavano la violazione dell'art. 345 c.p.c. per divieto di ius novorum in appello.

Anche questo motivo è stato valutato quale inammissibile dalla Corte, poiché non è stata trascritta in ricorso la comparsa di costituzione dell'Agenzia nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, primo atto processuale nella vertenza de quo.

Si ricorda che i CCNL non sono fonti di legge e a lungo è stato dibattuto la possibilità che la violazione delle loro norme potesse essere oggetto di sindacato della Cassazione.

L'attuale formulazione dell'art. 360 c.p.c., nondimeno, prevede il ricorso di legittimità anche per violazione delle norme dei CCNL.

Tuttavia, anche in tale grado di giudizio, sarà necessario depositare il CCNL (cfr. C. Cass., 19 gennaio 2018, n. 1374).

(3) Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciavano la violazione ed errata applicazione dell'art. 49 del CCNL applicato.

Come anticipato, la Corte d'Appello aveva negato che la norma contrattuale prevedesse l'indennità sostitutiva del preavviso in caso di cessazione del rapporto per motivi di salute. Naturalmente, i ricorrenti erano di avviso opposto.

Argomentavano richiamando anche l'art. 8 del d.P.R. n. 171/2011, la circolare INPS n. 33 dell'8 marzo 2012 e la nota del Tesoro prot n. 196872 del 18 febbraio 2000.

Effettivamente, il citato art. 8 ben apre alla possibilità interpretativa ventilata dai ricorrente: «Nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica assoluta al servizio del dipendente di cui all'articolo 1 comma 1, l'amministrazione previa comunicazione all'interessato entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro e corrisponde, se dovuta l'indennità sostitutiva del preavviso.»

Secondo l'INPS, d'altronde, «L'Istituto, previa comunicazione all'interessato, entro trenta giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico [di inidoneità permanente], risolve il rapporto di lavoro con provvedimento del Direttore generale e corrisponde all'interessato l'indennità di mancato preavviso.» (Cit. circolare INPS n. 33 dell'8 marzo 2012, punto 5. La circolare è dedicata proprio al d.P.R. n. 171/2011).

Al contesto normativo, ben si lega l'art. 49 del CCNL che prevede: «nel caso (…) il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'Agenzia può procedere, salvo particolari esigenze, a risolvere il rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso.»

La Corte di Cassazione rigetta fermamente tale impostazione e articola la propria interpretazione sul concetto di impossibilità assoluta allo svolgimento della prestazione: trattandosi di inidoneità totale del lavoratore, la prestazione è gravata, appunto, da impossibilità assoluta, tale da determinare la risoluzione del rapporto.

La Corte ritiene che il fatto in sé sia motivo di risoluzione del rapporto e non richieda alcuna manifestazione di volontà della parte interessata.

Per tale ragione l'impossibilità permanente non configura un giustificato motivo oggettivo, perché quest'ultimo ha comunque una natura “relativa”, non già “assoluta”.

Ovvia conseguenza, per la Corte, è che lo scioglimento del rapporto scaturisce dalla condizione di impossibilità permanente di effettuare la prestazione ipso facto e pertanto non esige il rispetto del periodo di preavviso (e dell'indennità sostitutiva).

Come si era già espressa la Corte in una più risalente sentenza, si tratta di una «causa di estinzione del rapporto indipendente dalla volontà di recesso del datore di lavoro».

Nella sentenza 29 marzo 2010, n. 7531, la Corte ha infatti interpretato l'istituto del preavviso, affermando che «corrisponde all'esigenza di preavvertire tempestivamente il lavoratore della data di cessazione del rapporto, al fine di consentirgli per tempo una nuova occupazione (…).

Il rapporto di lavoro prosegue a tutti gli effetti durante il relativo periodo, che perciò è caratterizzato dalla cosiddetta efficacia reale (…).

Peraltro, il preavviso è istituto che presuppone l'esercizio del potere di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato da parte del datore di lavoro, mediante negozio unilaterale recettizio».

Per tale ragione, secondo questo filone giurisprudenziale della Corte, il preavviso è istituto incompatibile con l'impossibilità definitiva a rendere la prestazione.

L'intera argomentazione della Cassazione si basa sull'individuazione della manifestazione di volontà quale elemento discriminante.

È tale elemento che permette alla Corte di non sussumere la fattispecie nell'art. 49 del CCNL applicato, altrimenti inequivocabile.

Infatti, «Nel caso della disposizione pattizia (…) l'accertata inidoneità è invece rapportata alle mansioni proprie della qualifica rivestita e cioè alla possibilità di svolgere, presso quel datore un proficuo lavoro tanto che è previsto che l'Amministrazione “può” procedere a risolvere il rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso.» (Cit sentenza in oggetto)

Per la stessa ragione, la Corte esclude l'applicabilità dell'art. 8 del D.P.R. 171/2011: «detta disposizione non può applicarsi all'ipotesi di automatica risoluzione del rapporto per effetto di sopravvenuta inidoneità accertata ai sensi della L. n. 335 del 1995, in relazione alla quale lo scioglimento del vincolo negoziale scaturisce dall'impossibilità definitiva di adempiere la prestazione lavorativa e dalla conseguente impossibilità totale di chiedere la controprestazione» (Ibid.).

Con la medesima argomentazione, la Corte liquida anche la citata circolare INPS e nota ministeriale, le quali riguardano, pertanto, fattispecie diverse da quelle esaminate.

Peraltro, a chiosa finale, la Corte di Cassazione ancora una volta ricorda come le note ministeriali «esprimono esclusivamente un parere, non vincolante per le parti, per gli uffici e per i giudici trattandosi di atti espressivi di un potere ministeriale di mero indirizzo interno» (Ibid.), come parimenti una circolare INPS «è diretta unicamente ai dipendenti dell'istituto previdenziale» (Ibid.).

In altre parole, qualora l'Agenzia avesse avuto anche un minimo spazio di scelta e avesse ugualmente preferito procedere alla cessazione del rapporto, la normativa richiamata dai ricorrenti avrebbe certamente dovuta essere applicata.

Tuttavia, nel caso in oggetto, non sussisteva alcuna discrezionalità nella scelta: la cessazione del rapporto non è quindi riconducibile al giustificato motivo oggettivo, ma è dovuta alla più assoluta impossibilità a rendere qualsiasi prestazione e, pertanto, si tratta di un caso di «automatica risoluzione del rapporto».

D'altronde il recesso è nel caso osservato pura conseguenza della richiesta di pensione di inabilità ai sensi della L. 335/1995, non applicandosi, quindi, la disciplina del D.P.R. 171/2011.

Riferimenti giurisprudenziali e di prassi

Cass., 20 novembre 2002, n. 16375;

Cass. 29 marzo 2010, n. 7531;

Circolare INPS dell'8 marzo 2012, n. 33.

Nota del Tesoro prot. n. 196872 del 18 febbraio 2000.

Appendice

Art. 49 - Assenze per malattia

1. Il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l'episodio morboso in corso.

2. Superato il periodo previsto dal comma 1, al lavoratore che ne faccia richiesta può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi.

3. Prima di concedere l'ulteriore periodo di assenza di cui al comma 2, su richiesta del dipendente l'Agenzia procede all'accertamento delle sue condizioni di salute per il tramite della unità sanitaria locale competente ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.

4. Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, oppure nel caso che, a seguito dell'accertamento disposto ai sensi del comma 3, il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'Agenzia può procedere, salvo particolari esigenze, a risolvere il rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso.

(… omissis …).

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