Nessun indennizzo per il paziente contagiato se il vaccino è inefficace
01 Luglio 2022
La vicenda da cui origina la questione sottoposta all'esame della Suprema Corte riguarda la richiesta prima da parte della madre e poi, una volta maggiorenne, direttamente dal figlio, degli indennizzi previsti dalla l. n. 210/1992 per la malattia contratta nonostante la somministrazione del vaccino cd. trivalente (morbillo, parotite e rosolia). Il Ministero della Salute proponeva però ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello che accoglieva la domanda dei ricorrenti, sostenendo che il giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere «esistente il nesso causale tra i danni lamentati ed il vaccino quando, invece, la vaccinazione si era rivelata inefficace». La doglianza coglie nel segno. In primis, la Corte di Cassazione ricorda la previsione di cui alla l. n. 210/1992, che prevede un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie ed anche semplicemente raccomandate. Tuttavia, il Collegio evidenzia che il diritto all'indennizzo per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria è riconosciuto «solo nei casi in cui sussista un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio». Pertanto, «non può essere accolta la domanda del ricorrente che deduca l'inefficacia del vaccino somministrato, e non il nesso causale diretto tra quest'ultimo e la malattia successivamente contratta», in quanto il fatto generatore del diritto all'indennizzo è l'inoculamento del vaccino che si sia, poi, rivelato dannoso per il soggetto: ciò porta ad escludere che il diritto all'indennizzo «spetti a coloro che contraggano la malattia dopo essersi sottoposti a vaccinazione in conseguenza dell'inefficacia della stessa sul loro organismo». Difatti, l'art. 1, comma 4, l. n. 210/1992, richiamato dalla Corte territoriale a sostegno dei controricorrenti, è applicabile esclusivamente qualora il non vaccinato sia stato contagiato da persona vaccinata, evidentemente ancora contagiosa nonostante il trattamento sanitario ricevuto. Nel caso di specie, tuttavia, anche volendo equiparare la posizione del controricorrente a quella di un non vaccinato, mancherebbe la prova della provenienza del contagio da altra persona sottoposta alla vaccinazione c.d. trivalente. Ne consegue, pertanto, l'accoglimento del ricorso.
(Fonte: Diritto e Giustizia) |