Il compenso del curatore fallimentare in presenza di revoca del fallimento

Daniele Fico
04 Luglio 2022

La sentenza della Corte d'appello di Bologna in esame affronta l'interessante questione inerente alla liquidazione del compenso al curatore di una procedura fallimentare successivamente revocata e all' individuazione del soggetto cui compete la corresponsione del medesimo.
Massima

Il giudizio sulla individuazione del soggetto tenuto al pagamento del compenso spettante al curatore nel caso di fallimento revocato deve essere effettuato nell'ambito dell'impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Al riguardo, nel caso in cui non siano ravvisati specifici profili di responsabilità a carico del creditore istante o del fallito, l'obbligo giuridico alla corresponsione del compenso al curatore grava a carico dell'amministrazione della Stato.

Il caso

Con ricorso presentato al Tribunale di Bologna un professionista che aveva ricoperto l'incarico di curatore fallimentare ha chiesto - a seguito del provvedimento di liquidazione del compenso finale per l'attività prestata quale curatore di una procedura fallimentare poi revocata, senza tuttavia disposizioni in ordine all'individuazione del soggetto tenuto al pagamento – la condanna del Ministero della Giustizia, della ex società fallita e del creditore istante, in solido tra loro alla corresponsione di quanto sopra.

In particolare, il ricorrente lamentava che il tribunale fallimentare, in sede di liquidazione del predetto compenso, essendo stato il fallimento revocato senza responsabilità del creditore istante o del fallito, non ha ritenuto applicabile l'art. 147 d.P.R. n. 115/2002; ritenendo, altresì, in virtù della sentenza della Corte Costituzionale 174/2006 e dell'opinione dei giudici di legittimità, che la competenza dei giudici fallimentari doveva considerarsi circoscritta alla determinazione del compenso, mentre per l'individuazione del soggetto obbligato al pagamento doveva essere proposto apposito giudizio contenzioso nel rispetto del principio del contradditorio, trattandosi di procedura concorsuale non più in corso.

I giudici di primo grado emiliani, con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. depositata in data 11 ottobre 2018, hanno rigettato tutte le domande osservando, in primo luogo, che il compenso del curatore non potesse essere posto a carico del fallito in assenza di una previa verifica del suo contributo causale nell'avere indotto il giudice alla errata dichiarazione di fallimento e che, comunque, la relativa istanza doveva essere proposta dinanzi al giudice fallimentare, motivo per cui il giudizio instaurato doveva considerarsi inammissibile. In secondo luogo, che la chiusura della procedura fallimentare senza alcuna decisione in ordine al pagamento del compenso stesso e la mancata impugnazione di tale provvedimento rendeva, di fatto, la pretesa del curatore definitivamente inesigibile; né quest'ultimo poteva considerarsi legittimato ad agire in via ordinaria a causa della incapienza attuale del patrimonio dell'imprenditore il cui fallimento è stato revocato. Pertanto, essendo la chiusura del fallimento intervenuta successivamente all'ordinanza di liquidazione, la curatela era definitivamente decaduta dal proprio diritto a ricevere quanto liquidato.

Avverso tale decisione, il sopra citato professionista ha proposto ricorso dinanzi alla Corte d'Appello di Bologna la quale, ritenendo che l'obbligo giuridico della corresponsione del compenso al curatore, ritualmente determinato dagli organi competenti, non può che gravare, in assenza di una responsabilità di una parte privata, a carico dell'amministrazione dello Stato in conformità alla sopra citata sentenza della Corte Costituzionale 28 aprile 2006, n. 174 in tema di fallimento privo di fondi, ha accolto (parzialmente) la domanda condannando il Ministero della Giustizia al pagamento a favore di parte appellante del compenso nella misura liquidata al netto degli acconti ricevuti.

La questione giuridica e la soluzione

La sentenza in esame affronta l'interessante questione inerente alla liquidazione del compenso al curatore di una procedura fallimentare successivamente revocata e alla individuazione del soggetto cui compete la corresponsione del medesimo.

Ai sensi dell'art. 147 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), rubricato Recupero delle spese in caso di revoca del fallimento- nel testo vigente all'epoca dei fatti contestati - nell'ipotesi di revoca del fallimento, le spese riguardanti la procedura ed il compenso spettante al curatore sono a carico del creditore istante, ove condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa; a carico del fallito persona fisica, al contrario, qualora con il suo comportamento ha causato la dichiarazione di fallimento.

Sul tema la Corte di Appello di Bologna, in via preliminare, si è soffermata sulla ricostruzione da parte dei giudici di legittimità del quadro normativo e giurisprudenziale nel quale la suddetta disposizione si inserisce; fondata, in primis, sul principio secondo cui è onere del curatore, il quale agisca per il pagamento del compenso, individuare, sin dall'atto introduttivo, il soggetto che reputi gravato del pagamento, mentre è compito del tribunale verificare, illustrandolo, quale sia stato il contributo causale di quel soggetto sull'apertura della procedura. In mancanza, secondo la S.C., non risulta possibile porre tale compenso a carico del patrimonio del fallito, dovendo esso essere sopportato, stante il carattere di officiosità della procedura fallimentare dall'amministrazione dello Stato (Cass. 26 ottobre 2012, n. 18541).

A parere della Corte di Cassazione, inoltre, per la individuazione del soggetto tenuto al pagamento è necessario l'introduzione di un giudizio contenzioso nel rispetto del principio del contraddittorio, dal momento che la procedura fallimentare non è più in corso (Cass. 28 aprile 2006, n. 12411).

Per i giudici di legittimità, infine, la responsabilità per i danni derivanti dalla dichiarazione di fallimento configura una particolare applicazione, nell'ambito del processo fallimentare, dell'istituto della responsabilità aggravata previsto dall'art. 96 c.p.c. e il provvedimento di condanna del creditore istante alla corresponsione delle spese della procedura e del compenso al curatore ex art. 147 d.P.R. 115/2002 non presuppone l'effettiva condanna del creditore al risarcimento dei danni, ma esclusivamente l'accertamento del titolo della responsabilità, cioè che il medesimo abbia chiesto il fallimento con colpa (Cass. 21 febbraio 2007, n. 4096)

Alla luce dei principi di cui sopra, i giudici di secondo grado hanno ritenuto non corretta la decisione del Tribunale di Bologna laddove ha considerato inammissibile la domanda della curatela proposta in sede contenziosa ordinaria, in luogo dei giudici fallimentari e comunque inammissibile, in considerazione della intervenuta chiusura del fallimento.

Sul punto, la Corte d'Appello osserva che il giudizio in ordine alla individuazione del soggetto tenuto al pagamento del compenso al curatore deve essere effettuato nell'ambito dell'impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento poiché inscindibilmente legato, quale responsabilità aggravata, all'accertamento della responsabilità processuale. Tanto detto e considerando che nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento i giudici di secondo grado, nel revocare la procedura fallimentare, non hanno ravvisato specifici profili di responsabilità a carico del creditore istante o del fallito, a parere della Corte di Appello di Bologna l'obbligo giuridico alla corresponsione del compenso al curatore grava a carico dell'amministrazione della Stato e, per tale motivo, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento a favore dell'appellante del compenso per l'attività di curatore liquidato dai giudici fallimentari, al netto degli acconti ricevuti.

Osservazioni

L'aspetto di maggiore rilevanza inerente alla liquidazione del compenso al curatore della procedura fallimentare revocata è senza dubbio rappresentato dalla individuazione del soggetto sul quale grava l'onere del pagamento.

Al riguardo, si ritiene utile osservare, in via preliminare, che per i giudici di legittimità la diversità temporale e funzionale esistente tra il procedimento di approvazione del rendiconto, che ha per oggetto specifico il controllo della gestione del patrimonio effettuata dal curatore, e quello di liquidazione del compenso a quest'ultimo (che, giova precisare, ai sensi dell'art. 18, comma 16, l. fall., è liquidato dal tribunale fallimentare, su relazione del giudice delegato, con decreto avverso il quale è possibile proporre reclamo ai sensi dell'art. 26 l. fall.) che segue al primo e presuppone che l'operato dello stesso sia stato esaminato ed approvato, esclude che nel procedimento di rendiconto possa introdursi la questione relativa all'individuazione del soggetto sul quale devono gravare le spese ed il compenso spettante al curatore, e ciò anche nel caso di revoca del fallimento, laddove tali oneri gravano su chi abbia colpevolmente dato causa alla sua apertura (Cass. 20 marzo 2014, n. 6553, ilcaso.it).

Tanto detto, il già citato art. 147 d.P.R. 115/2002 - nel testo previgente - si limita a stabilire che in presenza di fallimento revocato il compenso al curatore risulta a carico del creditore istante, ove condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa o del fallito persona fisica, qualora con il suo comportamento ha di fatto causato il fallimento; nulla disponendo, invece, in ordine al soggetto cui compete il pagamento qualora il fallimento sia dichiarato senza responsabilità del creditore istante o del fallito persona fisica, oppure nel caso in cui il fallito eserciti attività d'impresa sotto forma societaria, ovvero se la dichiarazione di fallimento sia stata richiesta dal Pubblico Ministero.

In questi ultimi casi, infatti, non vi sarebbe alcun soggetto responsabile ai sensi dell'art. 147 Testo Unico Spese di Giustizia per il pagamento del compenso del curatore.

Sull'argomento, è opportuno ricordare che l'art. 146, comma 3, lett. c), d.P.R. 115/2002, relativamente alle procedure fallimentari prive di attivo, prevede che siano anticipate dall'Erario le spese ed onorari ad ausiliari del magistrato”, tra le quali è da ricomprendersi anche il compenso del curatore a seguito della già menzionata sentenza della Corte Costituzionale 174/2006, che ha dichiarato incostituzionale tale disposizione normativa nella parte in cui non prevede che siano anticipate dall'Erario le spese e gli onorari del curatore medesimo. La Corte Costituzionale, infatti, ha identificato il curatore non soltanto come ausiliario del giudice ma addirittura come organo "ausiliare della giustizia", mancando al suo incarico quella temporaneità ed occasionalità che sono proprie dell'incarico conferito all'ausiliare del giudice ed ha espressamente disposto che la volontarietà (e, quindi, non obbligatorietà) dell'incarico "non escludono il diritto del curatore al compenso, né giustificano la non ricomprensione delle spese e degli onorari al curatore fra quelle che, come le spese e gli onorari agli ausiliari del giudice, sono anticipate dallo Stato".

La Corte di Appello di Bologna, alla luce dell'anzidetta sentenza della Corte Costituzionale ed in conformità all'orientamento dei giudici di legittimità sopra richiamato, ha affermato il principio per cui il compenso nella misura determinata dagli organi competenti deve essere posto a carico dell'amministrazione dello Stato (nello stesso senso, Trib. Milano 19 luglio 2012, n. 8835, secondo cui dovendosi considerare il curatore non un ausiliario del giudice, ma ausiliario “della giustizia”, l'amministrazione responsabile tenuta al pagamento non può essere che il Ministero della Giustizia); precisando, altresì, che la individuazione del soggetto cui spetta il pagamento è di competenza del giudice dell'opposizione al fallimento (per Cass. 15 aprile 2016, n. 7592, l'opposizione alla dichiarazione di fallimento e l'azione di responsabilità aggravata, introdotta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., con riguardo all'iniziativa assunta con l'istanza di fallimento, sono legate da un nesso d'interdipendenza da cui consegue la competenza funzionale, esclusiva ed inderogabile del giudice della predetta opposizione su entrambe e l'improponibilità in separato giudizio dell'azione risarcitoria).

Sull'argomento, giova puntualizzare che il predetto art. 147 d.P.R. 115/2002 è stato modificato dall'art. 366 D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), disposizione entrata in vigore il 16 marzo 2019 e che, ai sensi del secondo comma, è applicabile anche in caso di revoca dei fallimenti adottati con provvedimento emesso a norma dell'art. 18 l. fall.

L'art. 147, comma 1, d.P.R. 115/2002, come novellato, stabilisce che nel caso di revoca della dichiarazione di fallimento, rectius di revoca della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, le spese della procedura e il compenso spettante al curatore sono a carico del creditore istante, qualora abbia chiesto con colpa la dichiarazione di apertura di tale procedura; a carico del debitore persona fisica, ove con il suo comportamento abbia dato causa alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale; precisando, altresì, che la corte di appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, ha il compito di accertare se l'apertura di tale procedura sia imputabile al creditore ricorrente o al debitore.

L'obiettivo della nuova disposizione, come chiarito dalla relazione illustrativa all'art. 366 codice della crisi, è quello di stabilire un criterio chiaro di individuazione del soggetto tenuto a farsi carico delle spese di procedura e del compenso al curatore e ad agevolare il curatore medesimo, che non ha titolo per partecipare personalmente al giudizio di reclamo, nel recupero del compenso nella misura liquidata dal tribunale fallimentare.

Il primo comma dell'art. 147, nel testo riformato, al pari della versione previgente, circoscrive la responsabilità ex latere debitoris all'imprenditore persona fisica, non ricomprendendo in tal modo nella previsione l'ipotesi in cui il fallimento (liquidazione giudiziale per il codice della crisi) riguardi il debitore costituito in forma societaria. Al riguardo, è stato ritenuto che la lacuna sia colmabile ricorrendo ad interpretazione analogica, non essendo ravvisabili elementi tali da giustificare l'assoggettamento del debitore ad un diverso regime di responsabilità, a seconda della sua natura giuridica, che costituisce elemento meramente accidentale rispetto alla condotta presupposta ed alle conseguenze da essa scaturenti (in questo senso App. Venezia 31 gennaio 2020).

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