Significato della mancata comparizione del querelante nel procedimento davanti al giudice di pace

Chiara Fiandanese
26 Agosto 2016

Le Sezione unite, con sentenza con n. 31668/2016 hanno dichiarato che configura remissione tacita di querela la mancata comparizione all'udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvisato dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.
1.

Nonostante una pronunzia delle Sezioni Unite (sentenza n. 46088/2008), permane in giurisprudenza il contrasto in merito alla questione se nel procedimento dinanzi al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, configura remissione tacita di querela la mancata comparizione del querelante previamente ed espressamente avvisato che l'eventuale sua assenza sarebbe stata interpretata come volontà di non insistere nell'istanza di punizione.

La Corte di cassazione, a Sezioni unite, con sentenza n. 46088/2008, aveva espresso il seguente principio di diritto: nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta dal PM, ex art. 20 D.Lgs. n. 274 del 2000, la mancata comparizione del querelante pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella stessa, sì da integrare la remissione tacita, ai sensi dell'art. 152, comma secondo, cod. pen.

Le Sezioni unite avevano premesso che la giurisprudenza della suprema Corte ha costantemente (e senza rinvenibile contrasto alcuno) ritenuto che la remissione tacita di querela deve consistere in una inequivoca manifestazione di volontà, che si concreti in un comportamento del querelante, incompatibile con la volontà di persistere nella querela e che non può ritenersi concretizzata siffatta inequivoca volontà con la mera omessa comparizione dello stesso all'udienza dibattimentale relativa al processo pendente a carico del querelato (così Cass. pen., n. 5191/1999), chiarendosi che, per aversi remissione tacita della querela, la manifestazione di volontà non deve essere equivoca e cioè il querelante deve compiere fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela; deve, perciò, porre in essere fatti commissivi, mentre la mera omessa comparizione all'udienza dibattimentale della persona offesa dal reato è un fatto chiaramente equivoco che non rivela la volontà di rinunciare alla punizione del querelato; la mancata presentazione anche reiterata, al dibattimento è comportamento non necessariamente incompatibile con la volontà di persistere nella querela, potendo essere ricondotto ad altre ragioni ed essendo, comunque, privo del carattere della univocità, non sorretta la circostanza da alcun altro elemento idoneo all'interpretazione della reale volontà maturata dall'interessato (Cass. pen., Sez. V. n. 9688/1997; Cass. pen., Sez. II, n. 45632/2003; Cass. pen., Sez. V, n. 1452/1997; Cass. pen., Sez. V, n. 46808/2005; Cass. pen. Sez. V, n. 34089/2005, Coccia; Cass. Pen. Sez. IV, n. 5815/2004; Cass. pen., Sez. VI, n. 13620/2003; Cass. pen., Sez. VI, n. 7759/2003; Cass. pen. Sez. V, n. 8372/2002).

Può soggiungersi che tale principio è stato costantemente espresso dalla suprema Corte anche per quanto riguarda il processo attribuito alla competenza del giudice di pace (Cass. Pen., Sez. V, n. 2667/2003; Cass. pen., Sez. V, n. 15093/2004).

Le Sezioni unite avevano, dunque, ribadito che sul punto concernente la inidoneità della semplice omessa presentazione del querelante nel processo a concretizzare la remissione tacita della querela non sussiste alcun contrasto giurisprudenziale e tale affermazione rimane ancora valida allo stato attuale della giurisprudenza.

Il contrasto era, invece, insorto in riferimento alla specifica ipotesi in cui la mancata comparizione del querelante consegua ad un espresso invito in tal senso rivoltogli dal giudice, il cui mancato accoglimento possa essere configurato, come nell'invito stesso preannunciato, come remissione tacita della querela.

L'indirizzo dominante riteneva che la mancata presentazione del querelante anche a seguito di avviso in tal senso del giudice non può concretizzare una remissione tacita di querela di cui all'art. 152 c.p., poiché essa è prevista solo con riguardo alla remissione extraprocessuale, con la conseguenza che un comportamento processuale non può costituire espressione dell'intento di remissione dell'istanza punitiva.

Il diverso minoritario orientamento affermava, invece, che il comportamento del querelante che, sebbene esplicitamente preavvertita delle conseguenze che si sarebbero tratte da un perdurante atteggiamento di massima inerzia e quindi ben posta in grado di valutarle appieno, ha ciò nonostante preferito di non assicurare la propria reclamata presenza in giudizio, abbia sicuro carattere di contraddizione logica alla volontà di ottenere la punizione dell'imputato manifestata con la querela.

Le Sezioni unite avevano ritenuto di seguire l'orientamento maggioritario sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • la mancata comparizione del querelante nel processo comporta la sopravvenuta improcedibilità solo nella ipotesi disciplinata dall'art. 21 (ricorso immediato della persona offesa), non anche in quella prevista dall'art. 20 del d.lgs. 274/2000 (citazione a giudizio da parte del P.M.); e ciò logicamente si spiega con la considerazione che nel caso di ricorso immediato al giudice da parte della persona offesa-querelante, questa assume iniziative di impulso non solo genericamente procedimentali ma anche specificamente processuali, ed il venir meno dell'impulso processuale da parte di chi, per sua diretta iniziativa, geneticamente lo ha posto in essere e non intenda più coltivarlo, giustifica appieno la conseguente improcedibilità dell'azione penale, non sussistendo più alcun interesse, né da parte dello Stato né da parte della persona offesa-querelante, all'ulteriore proseguimento del processo;
  • al di fuori di quella specifica ipotesi positivamente disciplinata, e quindi sotto il generale profilo delineato dall'art. 152 c.p., non è affatto previsto dalla legge che la mancata presentazione nel processo del querelante, pur in presenza di espresso avviso del giudice in tal senso, possa comportare l'improcedibilità dell'azione penale; si tratterebbe di una conseguenza sanzionatoria non prevista dalle legge all'inottemperanza di un onere anch'esso non previsto dalla legge, tenuto conto che è principio generale dell'ordinamento processuale che gli oneri processuali a carico delle parti devono avere una fonte legale, anche quando derivano da un provvedimento del giudice;
  • non viene in discussione il disposto dell'art. 2, comma 2, d.lgs. 274/2000, a termini del quale, nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti; né il disposto dell'art. 555, comma 3, c.p.p., a termini del quale, nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela ed il querelato ad accettare la remissione; infatti, il tentativo di conciliazione da tali norme evocato, costituisce sicuramente prerogativa del giudice di pace o del tribunale in composizione monocratica; ma non è dato al giudice, in mancanza di espressa previsione normativa, di fissare e predeterminare egli stesso una specifica condotta che debba poi essere ineluttabilmente (univocamente ed oggettivamente, di per sé) interpretata come sicura accettazione di quel tentativo, né le conseguenze sanzionatorie che scaturirebbero dall'inottemperanza all'invito conciliativo: questo egli propone ma la sua accettazione non può esser desunta dal silenzio nel quale si concretizza la mancata comparizione del querelante;
  • quel comportamento omissivo del querelante, realizzerebbe pur sempre una remissione tacita processuale, che è inammissibile, potendo questa essere solo espressa e ricevuta dal giudice che procede: la mancata comparizione in udienza è uno specifico accadimento che si situa tutto nel processo e solo nel processo: prima di esso non v'è alcun altro fatto che sia stato allegato, assodato, comprovato, del quale poi la mancata comparizione possa essere considerata un portato inevitabilmente consequenziale e logico;
  • il contrario orientamento, pur essendo ispirato a commendevoli esigenze di snellezza del processo, è privo di agganci nel diritto vigente.

Per lungo tempo, dopo la pronuncia delle Sezioni unite, la giurisprudenza si è adeguata al principio di diritto in esso espresso (Cass. pen. Sez. II, n. 44709/2009; Cass. pen. Sez. VI, n. 11142/2010 Cass. pen. Sez. IV, n. 18187/2013); fino a quando, all'interno della Sezione V della suprema Corte, si è sviluppato un contrastante indirizzo giurisprudenziale, espresso per la prima volta dalla sentenza n. 8638/2016, che ha affermato il seguente principio: nel procedimento dinanzi al giudice di pace, la mancata comparizione della persona offesa – previamente e chiaramente avvisata del fatto che l'eventuale successiva assenza possa essere interpretata come volontà di non insistere nell'istanza di punizione – integra gli estremi della remissione tacita della querela, a condizione che la persona offesa sia stata avvisata del fatto che l'eventuale sua successiva assenza poteva essere interpretata come volontà di non insistere nell'istanza punitiva e che non sussistano manifestazioni di segno opposto e nulla induca a dubitare che si tratti di perdurante assenza dovuta a libera e consapevole scelta. La Corte in motivazione ha precisato che il principio affermato è coerente al favor conciliationis, cui è improntato il sistema normativo che regola il procedimento penale dinanzi al giudice di pace. Principio ripreso e ribadito da Cass. pen., Sez. V, n. 12186/2016 e da Cass. pen. Sez. V, n. 12417/2016.

Le argomentazioni sulle quali si basano tali sentenze sono le seguenti:

  • preso atto della importante presenza di istituti deflattivi nel processo avanti al giudice di pace, si ritiene legittimo accordargli la possibilità di verificare la sussistenza di una volontà conciliativa anche derivante dall'inattività della persona offesa nel coltivare l'intento di persistere nell'istanza punitiva, che può trovare conferma nella mancata comparizione proprio nell'udienza fissata per esperire il tentativo di conciliazione;
  • alla condotta della parte offesa, ove non ricorrente ai sensi dell'art. 21 né costituita parte civile, deve essere riconosciuto un carattere extraprocessuale, non potendo esserle attribuita la veste di parte processuale in senso tecnico quanto piuttosto di soggetto;
  • in replica all'argomentazione adottata dalle Sezioni unite, secondo cui la remissione di querela come conseguenza della mancata comparizione del querelante è disciplinata da norme specifiche – artt. 28 e 30 – non evocabili in situazioni diverse, si sostiene che anche al di fuori dello schema dell'art. 28, la mancata comparizione del querelante, che non abbia giustificato il proprio impedimento, deve essere considerata remissione tacita di querela, non potendosi ritenere che ciò non sarebbe possibile in quanto solo laddove il legislatore ne ha predeterminato gli effetti possa parlarsi di equivalenza alla remissione, mentre laddove non lo abbia fatto, detto effetto debba escludersi; ciò per l'insuperabile considerazione che si tratta, ontologicamente, del medesimo comportamento, con la conseguenza che una lettura costituzionalmente orientata delle norme impone l'equivalenza degli effetti. L'unica differenza sarebbe costituita dal fatto che, nell'ipotesi dell'art. 28, non è ammessa alcuna prova contraria, se non quella dell'impedimento, mentre negli altri casi la persona offesa può dimostrare positivamente di voler persistere nella volontà manifestata con la querela nonostante non sia comparsa ad un'udienza;
  • vengono richiamate, infine, ragioni di economia processuale, a cui sicuramente non appare estraneo il legislatore che, nel tempo, ha ricercato diversificate soluzioni che evitino dibattimenti sostanzialmente superflui, e si evidenziano a titolo esemplificativo gli artt. 34 e 35 d.lgs. 274/2000 e l'art. 131-bis, c.p.; nonché, sotto l'aspetto che specificamente interessa, l'art. 531, comma 2, c.p.p, a norma del quale il giudice dichiara l'estinzione del reato anche quando vi sia un dubbio sull'esistenza di una causa di estinzione dello stesso.

Peraltro, all'interno della stessa sezione, ancora di recente, è stata espressa conformità ai principi elaborati dalla citata sentenza delle Sezioni unite da Sez. V, n. 12187/2016, che ha ribadito il seguente principio di diritto: nel procedimento dinanzi al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal P.M., la mancata comparizione al processo del querelante, pur se previamente e chiaramente avvisato del fatto che l'eventuale successiva assenza possa essere interpretata come volontà di non insistere nell'istanza di punizione, non può integrare gli estremi della remissione tacita della querela, per assenza di una manifestazione inequivoca di volontà in tal senso, desumibile da tale comportamento. La suprema Corte, in motivazione, ha precisato che solo la remissione extraprocessuale può essere, oltre che espressa, anche tacita, mentre la mancata comparizione nel processo può essere valorizzata in chiave di remissione solo come conferma di condotte extraprocessuali assolutamente incompatibili con la volontà di persistere nell'istanza punitiva.

In ultimo, ha rilevato che non va trascurato il fatto che l'orientamento contrario alle Sezioni unite Viele avrebbe effetto anche sui reati, di maggior gravità, non di competenza del giudice di pace, perseguibili a querela, giacché l'attribuzione del significato di remissione tacita alla mancata comparizione in udienza della persona offesa non potrebbe non essere estesa anche ad essi essendo l'art. 152 c.p.p. norma generale. Ha evidenziato, inoltre, una certa distonia di tale orientamento rispetto al rafforzamento della tutela riconosciuta alla persona offesa dal reato nell'ordinamento interno anche in esecuzione di direttive comunitarie, quali, da ultimo, il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 di Attuazione della direttiva 2012/29/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato attraverso modifiche al codice di procedura penale.

2.

All'udienza 21 marzo 2016, la quinta Sezione penale della Corte di cassazione (ord. n. 18988/2016) ha rimesso alle Sezioni unite la decisione delle seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se nel procedimento dinanzi al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, configura remissione tacita di querela la mancata comparizione del querelante previamente ed espressamente avvisato che l'eventuale sua assenza sarebbe stata interpretata come volontà di non insistere nell'istanza di punizione.

3.

Il Primo Presidente ha fissato l'udienza del 23 giugno 2016 per la decisione della suddetta questione.

4.

All'udienza 23 giugno 2016, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno preso la seguente decisione:

configura remissione tacita di querela la mancata comparizione all'udienza dibattimentale (sia davanti al Giudice di pace che davanti al Tribunale ordinario) del querelante previamente ed espressamente avvisato dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.

5.

Le Sezioni unite con la sent. n. 31668/2016 si distaccano espressamente dai principi formulati dalle precedenti Sez. unite, n. 46088/2008, Viele; in primo luogo, discostandosi dal principio secondo il quale la mancata comparizione in udienza del querelante, previamente avvisato che tale condotta sarebbe stata interpretata come volontà di rimettere la querela, configurerebbe una sorta di remissione tacita processuale, non contemplata dalla legge, posto che l'art. 152, comma 2, c.p. prevede la forma tacita soltanto per la remissione extraprocessuale.

Sul punto, invece, le Sezioni unite in commento hanno sottolineato che la remissione processuale si identifica soltanto in una formale espressione della volontà della parte querelante che interviene nel processo, direttamente o a mezzo di procuratore speciale, ricevuta dall'autorità giudiziaria che procede, mentre, in ogni altro caso la condotta significativa di una volontà di rimettere la querela va valutata come extraprocessuale, dovendosi distinguere il luogo della manifestazione della volontà-comportamento dal luogo di apprezzamento della efficacia dello stesso, essendo quest'ultimo invariabilmente "processuale". Deve dunque ritenersi che la condotta costituita dal non essere il querelante comparso in udienza a seguito dell'avvertimento che ciò sarebbe stato considerato volontà implicita di rimessione della querela, può bene essere inquadrata nel concetto di fatto di natura extraprocessuale incompatibile con la volontà di persistere nella querela, a norma dell'art. 152, secondo comma, terzo periodo, c.p.

La sentenza delle Sezioni unite in commento, inoltre, supera anche il principio enunciato dalla sentenza Viele, secondo il quale la mancata comparizione del querelante potrebbe rilevare esclusivamente nel caso di ricorso immediato al giudice, ex art. 21 d.lgs. 274 del 2000, perché solo ad esso si riferisce la disposizione dell'art. 30, comma 1, d. lgs. 274 del 2000 che ricollega alla mancata comparizione della persona offesa un effetto di improcedibilità del ricorso; in quanto non sarebbe dato al giudice, in mancanza di espressa previsione normativa, di fissare e predeterminare egli stesso una specifica condotta che debba poi essere ineluttabilmente [...] interpretata come sicura accettazione di quel tentativo, né le conseguenze sanzionatorie che scaturirebbero dall'inottemperanza all'invito conciliativo. Anche tale aspetto non è stato condiviso dalle Sezioni unite. Sul punto il nuovo orientamento delle Sezioni unite afferma che, a norma dell'art. 29, comma 4, del d.lgs. 274/2000, il giudice di pace, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti ed è proprio per questo motivo che può essere riconosciuta al giudice stesso la scelta delle modalità più opportune per perseguire tale obiettivo, anche avvertendo le parti che la loro condotta passiva potrebbe essere valutata dallo stesso come volontà tacita del querelante di rimessione e mancanza di volontà di ricusa del querelato. In proposito, viene citato il principio espresso dalle Sezioni unite n. 27610/2011, Marano, secondo il quale l'omessa comparizione in udienza del querelato, posto a conoscenza della remissione della querela o posto in grado di conoscerla, integra, ex art. 155,comma 1, c.p., la mancanza di ricusa idonea a legittimare la pronuncia di estinzione del reato; sembra, pertanto, possibile estendere tale conclusione anche alla posizione del querelante.

Appare, pertanto, logica la conclusione secondo cui nell'ambito del procedimento davanti al giudice di pace per reati perseguibili a querela, anche nel caso di procedimento instaurato su citazione del P.M., stante il dovere del giudice di promuovere la conciliazione tra le parti, dalla mancata comparizione della persona offesa che sia stata previamente e specificamente avvertita delle relative conseguenze deriva l'effetto di una tacita volontà di remissione di querela.

Tale conclusione, inoltre, rispetta pienamente il principio della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, comma 2, Cost., in quanto, così facendo, si ha la possibilità di definire processi che sarebbero passati attraverso la perdurante assenza delle parti, dimostrazione del fatto che l'interesse della persona offesa all'accertamento delle responsabilità penali non sussiste, evitando così lo svolgimento di sterili attività processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilità dell'azione penale o di estinzione del reato.

È importante sottolineare, inoltre, che le Sezioni unite estendano espressamente i principi sopra formulati a tutti i procedimenti e non solo a quelli celebrati davanti al giudice di pace, osservando che, con l'introduzione dell'art. 90-bis c.p.p. ad opera del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (attuativo della direttiva 2012/29/Ue in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), il legislatore, nel quadro della valorizzazione delle esigenze informative della persona offesa, ha previsto al comma 1, lett. n), che ad essa, sin dal primo contatto con l'autorità procedente, sia data informazione in merito alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'art. 152 c.p., ove possibile, o attraverso la mediazione. In tale contesto normativo, teso a rafforzare le esigenze informative delle vittime dei reati, alle quali vanno peraltro specularmente assegnati altrettanti oneri di partecipazione al processo, le Sezioni unite ritengono legittima ed anzi auspicabile una prassi alla stregua della quale il giudice, nel disporre la citazione delle parti, abbia cura di inserire un avvertimento alla persona offesa e al querelato circa la valutazione in termini di remissione della querela della mancata comparizione del querelante e di mancanza di ricusa della remissione della mancata comparizione del querelato.