Unità o pluralità di reati in tema di resistenza a pubblico ufficiale
23 Febbraio 2018
1.
In tema di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), vi è contrasto in giurisprudenza in ordine alla configurabilità di uno o più reati nel caso in cui un soggetto, con una sola azione, usi violenza o minaccia per opporsi a più PP.UU. od a più incaricati di pubblico servizio (ovvero a coloro che, richiesti dai predetti soggetti “qualificati”, prestino loro assistenza) intenti a compiere un atto del loro ufficio o servizio.
Il primo orientamento. Un orientamento ritiene che la violenza (o la minaccia) posta in essere, nel medesimo contesto fattuale, per opporsi al compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio, integra un unico reato di resistenza a pubblico ufficiale e non una pluralità dei predetti reati (unificati, in ipotesi, dal vincolo della continuazione), anche nel caso in cui la condotta sia posta in essere in danno di più pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio (così Cass. pen., Sez. VI, n. 37727/2014; Cass. pen., Sez. VI, n. 4123/2017; Cass. pen., Sez. VI, n. 39341/2017) A fondamento di tale assunto si valorizza essenzialmente l'oggettività giuridica della disposizione violata, «in quanto il bene espressamente tutelato dall'art. 337 c.p. è rappresentato dalla regolare attività della Amministrazione laddove l'offesa al pubblico ufficiale rappresenta un "danno collaterale"», nonché l'atteggiamento doloso dell'agente (perlopiù mirante ad opporsi al compimento dell'atto d'ufficio, prescindendo dal numero dei soggetti qualificati intenti al suo compimento) (così Cass. pen., Sez. VI, n. 37727/2014).
L'orientamento dominante. L'orientamento dominante ritiene, al contrario, che la violenza (o minaccia) adoperata nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali ecc. non configura un unico reato di resistenza a P.U. ma tanti distinti reati (eventualmente in concorso formale od unificati dal vincolo della continuazione) quanti sono i pubblici ufficiali operanti coinvolti (così Cass. pen., Sez. VI, n. 35376/2006; Cass. pen., Sez. VI, n. 38182/11; Cass. pen., Sez. VI, n. 26173/2012; Cass. pen., Sez. VI, n. 35227/2017). A fondamento di tale assunto, si valorizza il fatto che la condotta delittuosa tipica, pur ledendo unitariamente il pubblico interesse alla tutela del normale funzionamento della pubblica funzione, produce altrettante e distinte offese al libero espletamento dell'attività da parte di ogni pubblico ufficiale coinvolto, ed osserva che l'opposto orientamento svaluta «la tutela della libertà di azione del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio», e trascura «che la pubblica amministrazione è un'entità astratta, che agisce per mezzo di persone fisiche, ciascuna delle quali, pur operando come organo della stessa, conserva una distinta identità, suscettibile di offesa»; quanto all'atteggiamento psicologico del soggetto che oppone resistenza, si osserva che, «qualora l'opposizione violenta sia diretta contestualmente nei confronti di più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio sarà ravvisabile il concorso formale omogeneo di reati se l'agente, con un'unica azione, ha deliberatamente commesso più violazioni della medesima disposizione di legge nella consapevolezza di contrastare l'azione di ciascun pubblico ufficiale» (così Cass. pen., Sez. VI, n. 35227/2014).
Osservazioni. Ove si ritenga, con la dottrina dominante, che il bene-interesse tutelato dalla norma vada individuato essenzialmente nell'esigenza di tutelare la libertà d'azione della P.A. nella fase di esecuzione delle decisioni liberamente adottate (così G. FIANDACA ed E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, 2012, 285, nonché A. PAGLIARO e M. PARODI GIUSINO, Principi di diritto penale, parte speciale, 2008, 345), sembrerebbe poter meritare condivisione il primo orientamento. La giurisprudenza è, peraltro, tradizionalmente ferma nel ritenere che l'art. 337 c.p. tutela anche la sicurezza e la libertà d'azione del soggetto qualificato nei cui confronti viene esercitata la violenza o minaccia, costituente elemento costitutivo del reato (Cass. pen., Sez. I, n. 10133/1983), o comunque la libertà morale di colui che riveste la richiesta qualità pubblicistica (Cass. pen., Sez. III, n. 21267/03): invero, il reato di resistenza a pubblico ufficiale, pur rientrando tra i delitti contro la pubblica amministrazione, è caratterizzato, quanto al profilo della tipicità, dall'esplicazione di violenza o minaccia in danno della persona del soggetto qualificato intento al compimento dell'atto d'ufficio (così letteralmente l'art. 337 c.p.), il che sembrerebbe inequivocabilmente legittimare l'orientamento in atto dominante (così S. BELTRANI, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2017, 678). 2.
La VI Sezione penale (ord. n. 57249 del 21 dicembre 2017) ha rimesso al Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione un ricorso avente ad oggetto la seguente questione ritenuta oggetto di contrasto giurisprudenziale: «se, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, la condotta di chi, con una sola azione, usi violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio, configuri un unico reato ovvero un concorso formale di reati o un reato continuato». 3.
Il Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'udienza del 22 febbraio 2018, un ricorso avente ad oggetto la seguente questione, ritenuta oggetto di potenziale contrasto giurisprudenziale, e comunque di speciale importanza: «se, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, la condotta di chi, con una sola azione, usi violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio, configuri un unico reato ovvero un concorso formale di reati o un reato continuato». 4.
All'udienza del 22 febbraio 2018, le Sezioni unite della Cassazione penale, chiamate a pronunciarsi sulle questione controversa «se, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, la condotta di chi, con una sola azione, usi violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio, configuri un unico reato ovvero un concorso formale di reati o un reato continuato», hanno affermato che è integrato il concorso di reati. |