Disposizioni contro le immigrazioni clandestine. La natura delle fattispecie disciplinate dall'art. 12, comma 3, d.lgs. 286/1998
18 Ottobre 2018
1.
Il comma 1 dell'art. 12 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – da ora Tuimm) prevede, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 26, lett. a) della legge 15 luglio 2009, n. 94, che «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona». Il comma 3 del predetto articolo 12, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 26, lett. b) della menzionata l. 94/2009 stabilisce che le stesse condotte previste dal comma 1 sono punite, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti. I commi 3-bis e 3-ter della norma, così come risultanti a seguito della più volte ricordata novella legislativa, contemplano circostanze aggravanti speciali rispettivamente a effetto comune e ad effetto speciale. Il comma 3-bis stabilisce, appunto, che se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata. Il comma 3-ter prevede, invece, che la pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3 sono commessi al fine di: a) reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) trarne profitto, anche indiretto. Il comma 3-quater prevede il regime di operatività delle circostanze stabilendo, sempre nel testo novellato, che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 (minore età) e 114 (minima partecipazione) c.p., concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena devono essere operate sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti. Da ultimo deve essere evidenziato che il comma 3-quinquies, introdotto dall'art. 11, comma 1, lett. c) della legge legge 2002, n. 189, prevede una circostanza attenuante speciale ad effetto speciale stabilendo che per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti. Tanto premesso, deve essere evidenziato che la questione controversa attiene alla qualificazione giuridica delle fattispecie disciplinate dal comma terzo del menzionato art. 12 Tuimm posto che ad un'interpretazione a tenore della quale dette fattispecie costituiscono circostanze aggravanti del delitto di cui al comma primo dello stesso art. 12 si contrappone altro indirizzo interpretativo giusto il quale esse costituiscono figure autonome di reato. All'interno del secondo indirizzo si contrappongono, poi, due opzioni interpretative. In proposito deve, infatti, essere evidenziato come talune pronunce della Corte di cassazione abbiano affermato che il reato p. e p. dall'art. 12, comma 3, Tuimm implichi, diversamente da quello di cui al primo comma della stessa norma, l'effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato mentre altre decisioni della S.C. hanno, pur condividendo la natura di titolo autonomo di reato delle fattispecie contemplate dal comma terzo, ritenuto che le stesse integrino gli estremi di un reato di pericolo o “a consumazione anticipata” che si perfeziona per il solo fatto di porre in essere atti diretti a procurare l'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato senza che sia necessario l'effettivo ingresso illegale. Per completezza, deve essere evidenziato che, come ricordato anche dall'ordinanza di remissione alle Sezioni unite della questione controversa, detta questione si era posta anche in relazione al testo previgente dell'art. 12 Tuimm nelle formulazioni succedutesi nel tempo. La Corte di legittimità ha, infatti, sostenuto la natura di circostanza aggravante delle fattispecie in esame con riferimento alla disciplina precedente alle modifiche apportate dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (cfr., in termini, Cass. pen., Sez. I, 21 ottobre 2004, n. 44644 e Cass. pen., Sez. I, 4 dicembre 2000, n. 5360, Vishe) e, di contro, trattarsi di titolo autonomo di reato in ordine alla disciplina risultante dalle modifiche introdotte da tale legge (così Cass. pen., Sez. I, 22 gennaio 2008, n. 7157, Karpeta e Cass. pen., Sez. I, 25 gennaio 2006, n. 11578, Rufai Kuku).
Orientamento favorevole alla natura di circostanze aggravanti. Come già accennato, secondo un primo orientamento le fattispecie di cui al terzo comma dell'art. 13 Tuimm costituiscono circostanze aggravanti del delitto di favoreggiamento dell'ingresso illegale di stranieri di cui al primo comma dello stesso articolo. È stato, infatti, affermato che dette fattispecie costituiscono circostanze aggravanti in quanto si pongono, rispetto all'ipotesi delittuosa “base”, in rapporto di specialità “per aggiunta” contemplando, di conseguenza ed in relazione a fatti che accentuano la lesività della condotta, un trattamento sanzionatorio più severo (così Cass. pen., Sez. I, 29 novembre 2016, n. 14654, Y ed altro). Osserva la ricordata pronuncia della Corte di legittimità che, in assenza di espresse indicazioni legislative, il principale canone interpretativo da utilizzare per individuare se una figura criminis abbia natura circostanziale o costituisca fattispecie autonoma di reato è costituito dal criterio di specialità di cui all'art. 15 c.p. La figura criminis ha natura circostanziale quando si pone in rapporto di species a genus rispetto all'ipotesi base di cui costituisce, appunto, una specificazione. Per distinguere tra elementi essenziali e circostanziali occorre, pertanto e come più volte affermato dalle pronunce delle Sezioni unite richiamate nella sentenza in questione, valorizzare il criterio strutturale. Con riferimento alle ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 12 Tuimm il criterio strutturale consente, invero, di affermare la natura di circostanza aggravanti delle stesse posto che «Il profilo descrittivo della condotta … replica esattamente l'ipotesi base, con una tecnica di redazione normativa abbastanza insolita e che si sarebbe potuta sostituire anche attraverso un semplice rinvio per relationem alla parte descrittiva di cui al comma 1. Non muta, invero, alcuno degli elementi strutturali essenziali della condotta ivi enucleata ed il fatto-base risulta integrato “per aggiunta” esclusivamente attraverso l'inserimento di dati specializzanti, elencati avvalendosi della tecnica d'enumerazione letterale progressiva» cioè aggiungendo i fatti di cui alle lettere da a) a e) sopra meglio descritte. Ancora, osserva la Corte come nella struttura della norma seguano i commi 3-bis e 3-ter che contemplano ipotesi espressamente qualificate come aggravanti dal successivo comma 3-quater. Ciò evidenziato, aggiunge il Giudice di legittimità che anche i modelli interpretativi c.d. ausiliari della collocazione sistematica della norma (e cioè l'incorporazione dei fatti nella medesima disposizione incriminatrice) e del significato teleologico della stessa (e cioè che le fattispecie del terzo comma siano posta a presidio del medesimo bene giuridico tutelato dalle ipotesi di cui al primo comma) rafforzano la conclusione della natura circostanziale delle ipotesi in esame. Né, poi, la ricordata ed insolita tecnica di reazione della norma incriminatrice consente di escludere che le ipotesi di cui al terzo comma costituiscano aggravanti dell'ipotesi base di cui al primo comma, soluzione che appare, peraltro, preferibile perché «non frammenta il nucleo di offensività identico in più ipotesi di reato, attraverso aspetti accessori di sola specificazione». La Corte esclude, inoltre, che il lessico utilizzato possa consentire di pervenire ad una diversa soluzione interpretativa. In particolare, a parere della Corte il riferimento, contenuto in più parti della norma incriminatrice, ai fatti di cui ai commi 1 e 3 (si vedano, al riguardo, i commi 3-bis e 3-ter nonché il comma 4-bis –peraltro attinto da declaratoria di illegittimità costituzionale parziale pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza 16 dicembre 2011, n. 331 – ove, addirittura, i fatti di cui al terzo comma sono espressamente qualificati come reati), assume una valenza puramente formale. Sul punto deve, in aggiunta a quanto osservato dalla Corte di cassazione, essere evidenziato che il comma 3-quinquies qualifica espressamente i fatti di cui ai commi precedenti e, dunque, anche quelli previsti dal comma 3, come delitti. Analoga valenza puramente formale assume, poi, la clausola di riserva salvo che il fatto costituisca più grave reato contenuta sia nel comma 1 sia nel comma 3 dell'art. 12 Tuimm. Da ultimo, ritiene la Corte che neanche il regime di operatività delle circostanze attenuanti, previsto dal comma 3 quater, possa assumere rilievo decisivo al fine di qualificare le ipotesi in esame come titoli autonomi di reato conformandosi ad una logica precisa. La predetta disposizione deroga, infatti e nell'ottica della necessità di un trattamento di maggiore rigore, alla regola generale di bilanciamento delle circostanze attenuanti ed aggravanti prevista dall'art. 69 c.p. (con le due ricordate eccezione di cui agli artt. 98 e 114 c.p.) soltanto ove concorrano congiuntamente più circostanze di cui al comma 3 o le ipotesi di cui alle lettere a) e b) del comma 3-bis. Nel caso in cui, invece, concorra soltanto una delle circostanze indicate nelle lettere da a) a e) del comma 3 deve reputarsi inidonea ed ingiustificata la deroga al principio di bilanciamento e trova, pertanto, integrale applicazione il disposto dell'art. 69 c.p.
Orientamento favorevole alla natura di titolo autonomo di reato. Secondo quanto già anticipato altro orientamento afferma che le ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 12 Tuimm costituiscono autonome figure di reato e non circostanze aggravanti con la conseguenza che la relativa fattispecie delittuosa potrà ritenersi aggravata, per espressa previsione del legislatore, soltanto qualora sussistono le specifiche condizioni previste dal comma 3-ter della norma (così Cass. pen., Sez. I, 25 marzo 2014, n. 40624, Scarano). Secondo il menzionato indirizzo giurisprudenziale le condotte descritte ai commi 3 e 3-bis Tuimm richiedono, per la loro consumazione, l'effettivo ingresso dello straniero, in violazione della disciplina vigente in materia, nel territorio dello Stato, presupposto non richiesto, di contro, perché possa ritenersi integrata la fattispecie di reato di cui al primo comma della disposizione incriminatrice che si configura come delitto a consumazione anticipata. Da quanto esposto consegue che al fine di considerare integrato il delitto previsto dal primo comma dell'art. 12 Tuimm sono, diversamente dalle ipotesi di cui al terzo comma, sufficienti atti diretti a procurare l'ingresso illegale dello straniero in Italia e, quindi, anche quelle attività che, finalisticamente ed univocamente orientate a conseguire tale scopo, non siano riuscite a realizzarlo (così espressamente Cass. pen., Sez. I, 25 marzo 2014, n. 40624, Scarano, cit.). La descritta conclusione trova, ad avviso della S.C. di cassazione, sostegno nelle seguenti argomentazioni:
All'interno dell'orientamento ora descritto si distingue, però e come già ricordato, un'opzione interpretativa che, pur condividendo la natura di titolo autonomo di reato della fattispecie delineata dal comma 3 dell'art. 12 Tuimm, sostiene che la stessa integri, al pari dell'ipotesi di cui al comma 1 della stessa norma, gli estremi di un reato di pericolo od a consumazione anticipata per la cui consumazione non è, pertanto, richiesto l'effettivo ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato perfezionandosi il delitto per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l'ingresso in detto territorio dello Stato in violazione della disciplina di settore (così Cass. pen., Sez. I, 31 marzo 2017, n. 45734, Bouslim ed altri, citata nell'ordinanza di remissione della questione controversa alle Sezioni unite nonché Cass. pen., Sez. I, 10 gennaio 2018, n. 11290, Buongiovanni, inedita). La citata pronuncia della prima Sezione della Corte di cassazione n. 45734/2017, ricordate le modifiche legislative apportate all'art. 12 Tuimm dapprima dalla legge 189/2002 e successivamente dalla legge 94/2009, evidenzia come i commi 1 e 3 inizialmente descrivessero fattispecie a condotta libera corrispondenti al compimento di atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio dello Stato o in altro Stato e si differenziassero soltanto per la presenza, nel solo comma 3, del dolo specifico della finalità di trarre profitto, anche indiretto, dall'agevolazione mentre attualmente divergono soltanto per la previsione di specifiche condotte. La struttura del reato di cui al comma tre dell'art. 12 Tuimm – che presenta evidenti analogie con il tentativo – non è mutata e continua a corrispondere, sottolinea ancora la Corte, ad un reato di pericolo od a consumazione anticipata che si perfeziona, appunto, per il solo fatto di compiere atti a procurare l'ingresso dello straniero in Italia. Né, aggiunge il giudice di legittimità, può argomentarsi in senso diverso in forza delle previsioni di cui alle lettere da b) ad e) del terzo comma della disposizione, previsioni descrittive di condotte compatibili anche con attività alle quali non è conseguito un effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato. Analoga osservazione vale, inoltre, per la previsione della lettera a) di detto comma che, se apparentemente appare richiedere l'effettivo ingresso, in realtà non riveste un rilievo autonomo potendosi il caso della permanenza (alternativo a quello dell'ingresso) ricollegarsi sia ad un ingresso illecito sin dall'origine che rimane tale sia ad un ingresso lecito perché sorretto da valido titolo di ingresso che diviene poi illecito per scadenza del predetto titolo o per altra ragione. La maggiore gravità del trattamento sanzionatorio si giustifica, infine, con la maggiore gravità delle condotte descritte dal terzo comma dell'art. 12 Tuimm. Per completezza ed in aggiunta alle argomentazioni della ricordata giurisprudenza della S.C. di cassazione, può essere osservato come anche le previsioni dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), concernenti il divieto di concessione dei benefici penitenziari indicati nella norma stessa in favore dei condannati per taluni delitti, appaiono confermare la natura di autonome figure di reato delle ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 12 Tuimm. In proposito occorre, infatti, evidenziare come mentre tra i delitti, elencati nel primo comma dell'art. 4-bis ord. pen., assolutamente ostativi alla concessione dei predetti benefici penitenziari (e cioè i delitti per i quali tali benefici non possono essere concessi salvo che il condannato abbia ottenuto il riconoscimento della collaborazione con la giustizia nei termini di cui all'art. 58-ter dello stesso ordinamento penitenziario oppure la collaborazione sia impossibile e/o inesegibile) sono stati appunto inseriti (dall'art. 3-bis, comma 1, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito con motivazioni nella legge 17 aprile 2015, n. 43) quelli contemplati dall'art. 12, commi 1 e 3, Tuimm, il comma 1-ter ord. pen. dell'art. 4-bis cit. contempla tra i delitti per i quali i benefici possono invece essere concessi purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva anche quello di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) realizzato allo scopo di commettere il delitto di cui all'art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, Tuimm. Da ultimo, occorre ricordare come anche la Corte costituzionale appaia propendere per la tesi della natura autonoma delle fattispecie previste dal comma terzo dell'art. 12 Tuimm in quanto con sentenza 5 aprile 2017, n. 142 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 Costituzione, nella parte in cui prevede sanzioni pecuniarie fisse per il delitto di procurato ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato tanto nella ipotesi base (comma 3) quanto nelle ipotesi aggravate (comma 3-ter) osservando come dette sanzioni non siano fisse ma, ex art. 27 c.p., proporzionali. 2.
Con ordinanza emessa in data 10 gennaio 2018 e depositata il 15 marzo 2018, la Prima Sezione della Corte di cassazione ha osservato come l'adesione all'una od all'altra delle descritte opzioni interpretative determini importanti conseguenze sia sul piano della qualificazione giuridica sia (ovviamente) su quello del trattamento sanzionatorio fortemente inasprito dal legislatore nelle ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 12 Tuimm e come la soluzione del caso controverso sia rilevante nello scrutinio della vicenda processuale sottoposta al proprio giudizio [il giudice di primo grado aveva, infatti, condannato l'imputato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 12, comma 3, lett. d) Tuimm, escluse la continuazione nonché le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3 lett. a) della stessa norma e concesse le attenuanti generiche, mentre la Corte di appello aveva rideterminato la pena riducendola e concedendo il beneficio della sospensione condizionale della stessa previa derubricazione della fattispecie contestata in quella di cui al comma 1 della citata noma in considerazione del fatto che nessuno degli stranieri nei cui confronti erano state poste in essere condotte finalizzate a consentire il loro ingresso in Italia vi aveva fatto effettivo accesso]. Tanto premesso, la prima Sezione ha rimesso la questione alle Sezioni unite sul seguente quesito: «Se in tema di disciplina dell'immigrazione, le fattispecie disciplinate dall'art. 12, comma terzo, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti del delitto di cui all'art. 12, comma primo, del medesimo d.lgs. ovvero figure autonome di reato. In eventualità siffatta se il delitto di cui all'art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 integri un reato di pericolo o “a consumazione anticipata”, che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l'ingresso sello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l'effettivo ingresso illegale dell'emigrato in detto territorio».
3.
In data 10 aprile 2018 il Presidente Aggiunto della Corte di cassazione ha conseguentemente assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali disponendo la trasmissione degli atti all'Ufficio del Massimario penale per la redazione della relazione illustrativa e fissando l'udienza del 21 giugno 2018 per la trattazione del ricorso in pubblica udienza. Per completezza deve essere rilevato che, come osservato dalla Prima Sezione nell'ordinanza di remissione della questione alle Sezioni Unite panali, l'ufficio del Massimario aveva già dato atto del contrasto di giurisprudenza esistente sul punto nella propria relazione 45/2017 del 24 maggio 2017 redatta, però, antecedentemente al deposito, avvenuto appunto il 5 ottobre 2017, della citata pronuncia Cass. pen., Sez. I, 31 marzo 2017, n. 45734, Bouslim ed altri. 4.
Le Sezioni unite della Cassazione penale, all'udienza del 21 giugno 2018, chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa «se in tema di disciplina dell'immigrazione, le fattispecie disciplinate dall'art. 12, comma terzo, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti del delitto di cui all'art. 12, comma primo, del medesimo d.lgs. ovvero figure autonome di reato. In eventualità siffatta se il delitto di cui all'art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 integri un reato di pericolo o “a consumazione anticipata”, che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l'ingresso sello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l'effettivo ingresso illegale dell'emigrato in detto territorio dello Stato», hanno affermato che: «le fattispecie previste nell'art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo». 5.
Le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, sentenza 21 giugno 2018 n. 40982 (depositata il 24 settembre 2018), hanno deciso le questioni controverse sopra descritte enunciando il seguente principio di diritto: «Le fattispecie previste nell'art. 12, comma 3, d.lgs. 286/1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo». La decisione in esame premette come nel caso di specie, da un lato, i giudici di merito abbiano presupposto nelle relative decisioni la natura autonoma delle fattispecie di cui al comma 3 dell'art. 12 T.U. immigrazione, dall'altro, il ricorso del procuratore generale pur facendo implicito riferimento alla natura di circostanza aggravante di dette fattispecie si sia concentrato sulla ulteriore questione se sia necessario, per poter ritenere consumato il delitto, l'effettivo ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato. Tanto premesso, la Corte osserva che la questione della natura giuridica delle fattispecie in questione «non può essere elusa […] nella presente decisione, sia perché si verte in punto di qualificazione giuridica della condotta, che il giudice di legittimità deve sempre affrontare ex officio, sia perché le sentenze di legittimità che hanno dato luogo al contrasto risolvono – più o meno esplicitamente – anche tale tematica che, inevitabilmente, concorre ad individuare la soluzione adottata». Ciò chiarito, la decisione ripercorre i contrastanti orientamenti giurisprudenziali descritti nei paragrafi che precedono e formatisi, come già sottolineato, anche in relazione al testo previgente dell'art. 12 T.U. immigrazione nelle formulazioni succedutesi nel tempo osservando, inoltre, che le ipotesi (fatto commesso a fine di lucro ovvero da tre o più persone in concorso tra di loro) citate nella seconda parte dell'art. 3, comma 8, d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 39, costituente l'antecedente storico dell'art. 12 T.U. immigrazione e costruito in maniera analoga, erano state invece qualificate come circostanze aggravanti ad effetto speciale e non titoli autonomi di reato. Passando, poi, a esaminare la questione, la Corte ricorda che, come evidenziato dal disposto degli artt. 61 (circostanze aggravanti comuni), 62 (circostanze attenuanti comuni) e 84 (reato complesso) c.p., non sussiste alcuna differenza ontologica tra gli elementi costitutivi (o essenziali) e quelli circostanziali del reato potendo il Legislatore rendere elementi costitutivi del reato ipotesi che sarebbero altrimenti state considerate circostanze comuni o, al contrario, considerare circostanze aggravanti di un solo reato fatti che costituirebbero, per se stessi, reato. Da quanto esposto consegue che la questione interpretativa relativa alla natura di una fattispecie deve essere risolta ricostruendo la volontà del Legislatore. Nel caso di specie, difettando una manifestazione espressa della volontà del Legislatore è necessario dedurre detta volontà utilizzando, in mancanza di indicazioni normative sui criteri di distinzione, gli indici significativi elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina. In proposito e come ribadito negli anni dalle Sezioni unite il criterio principale (anche se non unico) è quello strutturale «[…] attenendo alla struttura del precetto o della sanzione: il modo in cui la norma descrive gli elementi costitutivi della fattispecie o determina la pena è indicativo della volontà di qualificare gli elementi come circostanza o come reato autonomo; ciò, del resto, è coerente con la discrezionalità del Legislatore oggetto della premessa». Ciò evidenziato, la decisione ricorda come le Sezioni unite abbiano, appunto, utilizzato il criterio strutturale per:
Il criterio strutturale consente di affermare, a giudizio delle Sezioni unite, che la fattispecie di cui al terzo comma dell'art. 12 T.U. immigrazione ha natura di circostanza aggravante e non di reato autonomo. Osserva, innanzitutto, la Corte che la ripetizione della descrizione della condotta presente nel primo comma evidenzia come gli elementi essenziali della condotta non mutino mentre le ipotesi descritte dalle lettere da a) a e) attengono a elementi ulteriori, non necessari per la sussistenza del reato, che secondo la valutazione del Legislatore rendono più grave la condotta posta in essere.
Ciò evidenziato, aggiunge la Corte che le considerazioni favorevoli a una considerazione delle ipotesi di cui al terzo comma come fattispecie autonoma di reato non appaiono decisive. E in particolare:
Da ultimo osservano le Sezioni unite che il richiamo operato da Cass. pen., Sez. I, 25 marzo 2014, n. 40624, Scarano, cit., alla giurisprudenza di legittimità che aveva ritenuto la natura di fattispecie autonoma di reato dell'art. 12, comma 3, T.U. immigrazione nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dalla legge 94/2009 non appare “calzante”. Il testo dell'art. 12, comma 3, T.U. immigrazione così come riformato dalla legge 189/2002 prima e dal d.l. 241/2004 poi aveva, infatti, un contenuto nettamente differente da quello attuale posto che una sola ipotesi era stata ivi enucleata e si differenziava da quella del primo comma in base all'elemento del dolo specifico riferito al profitto. In altri termini, sebbene fossero stati adottati a sostegno della natura di fattispecie autonoma della previsione del terzo comma argomenti ancora utilizzabili rispetto alla norma attualmente vigente (e cioè, come già ricordato, l'insolita tecnica legislativa di riformulare completamente la disposizione del primo comma, i riferimenti distinti ai due commi presenti in quelli successivi ed il divieto di bilanciamento delle circostanze previsto solo per le aggravanti di cui ai commi successivi al terzo), tuttavia l'interpretazione adottata all'epoca si era principalmente basata sulla evidente volontà del Legislatore di sanzionare in modo più severo le condotte connotate dal fine di profitto in conseguenza di un “salto di qualità” rispetto alle ipotesi di favoreggiamento c.d. disinteressato dell'immigrazione clandestina. In proposito ricordano, inoltre, le Sezioni unite che nel testo originario introdotto dalla legge 189/2002, le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter erano applicabili esclusivamente alle pene e ai fatti di cui al terzo comma (scelta, poi, abbandonata dal Legislatore nel 2004) con la conseguenza che venivano ad essere distinte due ipotesi di reato e cioè, da un lato, quella del primo comma punita meno severamente (non era, infatti, previsto un minimo edittale né per la pena detentiva né per quella pecuniaria) e per la quale non erano previste circostanze aggravanti, dall'altro, quella del terzo comma, punita molto più severamente e per la quale erano previste ulteriori circostanze con divieto di bilanciamento tra circostanze. Ancora, non casualmente dopo il primo comma era stato introdotto il disposto del secondo comma, tuttora vigente, a tenore del quale «Fermo restando quanto previsto dall'art. 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato», norma che, osservano le Sezioni Unite, non coinvolge in alcun modo le condotte di favoreggiamento professionale o comunque per profitto dell'immigrazione clandestina.
Per completezza, deve essere evidenziato come le Sezioni Unite non facciano alcun riferimento alle previsioni dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) che, come già ricordato, sembrerebbero, di contro, confermare la natura di autonome figure di reato delle ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 12 T.U. immigrazione ed alla ricordata sentenza della Corte costituzionale 5 aprile 2017, n. 142 che, secondo quanto precedentemente osservato, apparirebbe parimenti propendere per la tesi della natura autonoma di dette ipotesi.
Affermato la natura di circostanze aggravanti delle ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 12 T.U. immigrazione, le Sezioni unite affrontano anche la questione se per la consumazione di dette ipotesi occorra l'effettivo ingresso clandestino nel territorio dello Stato ancorché il contrasto sul punto sia sorto nell'ambito dell'interpretazione, sconfessata con la decisione in esame, che qualifica le stesse come fattispecie autonome di reato. La Corte, dopo avere premesso che l'interpretazione del delitto di cui al primo comma dell'art. 12 T.U. immigrazione come reato di pericolo a condotta libera e a consumazione anticipata sia pacifica e sia stata affermata costantemente dalla giurisprudenza di legittimità tanto prima quanto successivamente alla riforma operata dalla l. 94/2009, afferma che le argomentazioni adottate a sostegno della diversa natura di reato di evento della previsione del terzo comma della stessa norma (cfr. Cass. pen., Sez. I, 25 marzo 2014, n. 40624, Scarano, cit.) appaiono fragili in quanto:
A quest'ultimo riguardo le Sezioni unite condividono, invece, quanto affermato da Cass. pen., Sez. I,31 marzo 2017, n. 45734, Bouslim ed altri, cit.. Non può, infatti, affermarsi che la descrizione delle ipotesi specializzanti previste dal comma 3 sia basata su una effettiva violazione della disciplina di controllo dell'immigrazione in quanto le previsioni di cui alle lettere da b) a e) del terzo comma della disposizione descrivono, in realtà, condotte compatibili anche con attività alle quali non è conseguito un effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato mentre la diversa previsione della lett. a) deve essere rapportata alla descrizione generale della condotta contenuta nella prima parte del comma con la conseguenza che vengono puniti più gravemente anche gli atti diretti a procurare illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato di cinque o più soggetti stranieri anche se il risultato perseguito non viene raggiunto. Le Sezioni unite disattendono, infine, l'ulteriore argomento utilizzato dalla sentenza Scarano a tenore del quale le previsioni delle lett. b) e c) riproducono due aggravanti precedentemente contenute nel comma 3-bis con l'aggiunta dell'aggettivo “trasportata”, aggiunta che evidenzierebbe come il Legislatore abbia oggettivizzato la condotta in questione e l'abbia ancorata all'avvenuto trasporto. Osservano sul punto le Sezioni unite come detta aggiunta abbia la ben più limitata portata di descrivere la relativa ipotesi in modo più corretto posto che anche nella formulazione precedente della norma la persona esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità personale oppure sottoposta a trattamento inumano e degradante era necessariamente una persona trasportata «[…] non comprendendosi in quale altro modo tali trattamenti le sarebbero stati inferti per procurarne l'ingresso nel territorio nello Stato». Le Sezioni unite ultimano il proprio percorso argomentativo:
Quanto, infine, alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 comma 3 T.U. immigrazione, sollevata dalla difesa dell'imputato in via subordinata e con riferimento agli artt. 2, 3, 25, comma 2, e 27, comma 1 e 3, della Costituzione nonché agli artt. 11 e 117 della Costituzione con riferimento all'art. 49 ultimo comma della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea, la stessa è stata ritenuta dalle Sezioni unite generica e comunque infondata. Detta questione rilevano, in primo luogo, le Sezioni Unite è riferibile a tutti i reati di pericolo od a consumazione anticipata della cui legittimità costituzionale non si dubita. Il giudizio di irragionevole eccessività della pena appare, poi, del tutto arbitrario e soggettivo posto che il Legislatore ha, in modo in realtà non irragionevole, individuato ipotesi più gravi della condotta base ed ha, inoltre, lasciato al giudice del merito un ampio spazio valutativo sia prevedendo una forbice sanzionatoria assai ampia da cinque a quindici anni di reclusione sia consentendo il giudizio di bilanciamento impedito solo per le ipotesi più gravi.
Da ultimo le Sezioni unite analizzano gli effetti della soluzione adottata con specifico riferimento all'applicabilità del bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69 c.p. alle aggravanti previste dal terzo comma dell'art. 12 T.U. immigrazione offrendo all'interprete un vero e proprio “catalogo” operativo per i casi in cui concorrano plurime aggravanti ed analizzando anche le ipotesi in cui il predetto giudizio di bilanciamento è impedito, come da tabella che segue.
Per concludere sul punto occorre evidenziare come le Sezioni unite rilevino che dalla configurazione delle ipotesi in esame come circostanze aggravanti derivino ulteriori effetti sostanziali e processuali tra i quali, a titolo esemplificativo, la disciplina dell'art. 59 c.p. (norma che consente, appunto, l'addebito delle circostanze anche a titolo di colpa) e l'ambito di applicazione delle misure cautelari. La soluzione adottata dalle Sezioni unite ha comportato, infine, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata avendo la Corte di Appello applicato all'imputato la pena prevista dal primo comma dell'art. 12 T.U. immigrazione sul duplice erroneo presupposto che il terzo comma di tale articolo abbia natura di reato autonomo richiedente, per la sua applicazione, l'effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato. |