Il termine di deposito dell'ordinanza del tribunale del riesame che decide in sede di rinvio
13 Luglio 2017
1.
Qual è il termine entro il quale il giudice deve depositare l'ordinanza che decide sulla richiesta di riesame in sede rescissoria? Le Sezioni unite penali della Corte di cassazione sono chiamate a comporre il contrasto interpretativo sull'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., che disciplina il termine di deposito dell'ordinanza del tribunale del riesame chiamato a decidere, quale giudice del rinvio, dopo l'annullamento dell'ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell'art. 309, comma 9, c.p.p.
L'art. 311, c.p.p., disciplina il ricorso per cassazione avverso le ordinanze del tribunale emesse a norma degli artt. 309 e 310, c.p.p.. Nello specifico il comma 5-bis, aggiunto dall'art. 13, legge 16 aprile 2015, n. 47, così recita: «Se è stata annullata con rinvio, su ricorso dell'imputato, un'ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell'articolo 309, comma 9, il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l'ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. Se la decisione ovvero il deposito dell'ordinanza non intervengono entro i termini prescritti, l'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia, salvo che l'esecuzione sia sospesa ai sensi dell'articolo 310, comma 3, e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata». Gli artt. 309, comma 10, e 310, comma 2, c.p.p., oggetto anch'essi di interpolazione da parte della citata legge 47 del 2015, nel disciplinare in modo uniforme i tempi della decisione cautelare (riesame e appello), così dispongono: «L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione» . L'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., non prevede in modo espresso la possibilità, per il giudice del rinvio, di dilatare il termine per il deposito della motivazione dell'ordinanza fino al quarantacinquesimo giorno dalla decisione. La questione che si pone è perciò quella di stabilire se, in costanza dei medesimi presupposti previsti dagli artt. 309, comma 10, e 310, comma 2, c.p.p. il giudice del riesame o dell'appello cautelare che decidendo in sede rescissoria avverso l'ordinanza applicativa della misura coercitiva possa dilazionare il deposito della motivazione oltre il termine di trenta giorni ancorché non espressamente previsto dall'art. 311, c.p.p.
Secondo un primo orientamento (Cass. pen., Sez. V, 8 febbraio 2016, n. 18571; Cass. pen., Sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18572; Cass. pen. Sez. I, 5 ottobre 2016, n. 5502), il tribunale del riesame può disporre per il deposito del provvedimento, nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, un termine superiore ai trenta giorni indicati nell'art. 311, comma 5-bis, c.p.p. ma, comunque, non superiore a quello di quarantacinque giorni dalla decisione, secondo quanto previsto dall'art. 309, comma 10, c.p.p. A fondamento di tale indirizzo si è osservato che: a) il comma 5-bis dell'art. 311 c.p.p., introdotto dall'art. 13 della legge 47 del 2015, ha la limitata funzione di equiparare la disciplina del procedimento a seguito di rinvio a quella ordinaria, laddove sino alla riforma si riteneva, diversamente, che nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di un'ordinanza de libertate – pronunciata dal tribunale del riesame – non fosse applicabile la disciplina dei termini prevista dall'art. 309 c.p.p. per il giudizio di riesame, bensì quella dettata dall'art. 127, c.p.p.; b) nel mutato contesto normativo deve ritenersi che il Legislatore abbia inteso perseguire il fine della equiparazione della disciplina del procedimento di riesame, anche quando esso segue ad una sentenza di annullamento con rinvio e tale finalità rimarrebbe pregiudicata dalla mancata applicazione del comma 10 dell'art. 309 c.p.p.; c) il giudice del rinvio ex art. 627 c.p.p. è certo vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione ed è limitato, nell'indagine di merito devoluta, all'esame del "punto" della prima decisione attinto da annullamento, con divieto di estendere l'indagine a vizi di nullità o inammissibilità non riscontrati dalla Corte e tuttavia, resta salva, nella specifica materia, la sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti con la conseguenza che non si giustifica neppure astrattamente una presunzione di maggiore semplicità nella redazione del provvedimento. Emblematica, in questo ultimo senso, l'ipotesi (scrutinata da Cass. pen., Sez. V, n. 5502/2016) dell'annullamento dell'ordinanza che aveva erroneamente ritenuto valida la rinuncia alla richiesta di riesame formulata dal difensore dell'indagato, annullamento per effetto del quale il giudice di rinvio era stato investito (per la prima volta) del riesame dell'intero merito cautelare, richiedente un impegno motivazionale certamente più complesso e gravoso di quello del giudice che aveva emesso l'ordinanza annullata.
Un secondo orientamento(Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 2016, n. 20248; Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 2016, n. 23583) sostiene, al contrario, che in caso di ordinanza cautelare emessa a seguito di annullamento con rinvio, su istanza dell'imputato, di un provvedimento confermativo della misura coercitiva, il mancato rispetto del termine di trenta giorni per il deposito dell'ordinanza ne comporta la perdita di efficacia, non essendo prevista la possibilità di un termine più lungo, non eccedente i quarantacinque giorni, che il tribunale può disporre per la sola ordinanza emessa ai sensi dell'art. 309 c.p.p. A fondamento di tale indirizzo si è osservato che: a) a differenza di quanto previsto dai "novellati" artt. 309 e 310 c.p.p., il comma 5-bis del successivo art. 311 c.p.p. non contempla la possibilità per il giudice del rinvio di disporre la proroga del termine per il deposito dell'ordinanza (fissato dallo stesso comma in trenta giorni decorrenti da quello della decisione) in misura non superiore a quarantacinque giorni; b) l'introduzione, ad opera del citato comma 5-bis di termini perentori anche per la definizione del giudizio di rinvio risponde innegabilmente all'esigenza di definire con la massima celerità la posizione di chi, pur essendosi visto riconoscere la fondatezza delle proprie ragioni dinanzi alla Suprema Corte, si trovi tuttavia ancora soggetto alla misura cautelare; la diversa disciplina riflette altresì una valutazione di non particolare complessità di un nuovo giudizio scaturito dall'annullamento con rinvio; c) la perentorietà del termine è coerente con le esigenze di tutelare nella sua massima estensione la libertà personale, protetta come bene primario dall'art. 13 della Costituzione e dalle norme delle convenzioni internazionali che sanciscono il diritto di ogni persona sottoposta ad arresto o detenzione a ricorrere al giudice per ottenere “entro brevi termini" (art. 5 comma 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) o "senza indugio" (art. 9, comma 4, del Patto internazionale sui diritti civili e politici) una decisione sulla legalità della misura e sulla liberazione. 2.
Con ordinanza n. 27828 del 23 maggio 2017 la Prima Sezione penale della Suprema Corte ha rimesso la questione alle Sezioni Unite penali proponendo il seguente quesito di diritto: «Se nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza applicativa di misura cautelare personale coercitiva il tribunale del riesame possa disporre, nel caso di particolare complessità della motivazione, il deposito della ordinanza in un termine superiore ai giorni trenta di cui all'art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., comunque non eccedente il termine di quarantacinque giorni di cui all'art. 309, comma 10, cod. proc. pen.». 3.
Il Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali, fissando per la trattazione l'udienza del 20 luglio 2017. |