Richiesta di procedimento per decreto rigettata e restituzione degli atti al P.M. per archiviazione ex 131-bis

25 Maggio 2018

La questione che è stata rimessa alle Sezioni unite riguarda la possibilità di qualificare come abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e restituisca gli atti al P.M. Le Sezioni unite della Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa ...
1.

Se il giudice per le indagini preliminari, richiesto di emettere un decreto penale di condanna, possa rigettare la richiesta e restituire gli atti al pubblico ministero con l'invito a valutare la possibilità di richiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

La questione che è stata rimessa alle Sezioni unite riguarda la possibilità di qualificare come abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti se richiedere l'archiviazione per particolare tenuità del fatto.

Per capire la rilevanza pratica della questione occorre ricordare che la Suprema Corte ritiene pacificamente non impugnabile il provvedimento con il quale il giudice rigetta la richiesta di provvedimento monitorio, disponendo la restituzione degli atti al magistrato inquirente, in quanto per esso non è previsto dall'ordinamento alcun mezzo di impugnazione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 29 ottobre 1998, n. 2775; Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2003, n. 9061; Cass. pen., Sez. VI, 11 novembre 2008, n. 45290; Cass. pen., Sez. IV, 6 ottobre 2010, n. 40513).

Dunque, l'unico modo per dare al pubblico ministero accesso a un gravame atto a rimuovere la decisione reiettiva è quello di qualificarla come abnorme e dunque ricorribile per cassazione.

Sul piano generale, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna è un atto previsto dal codice di rito e, quindi, corretto sotto il profilo strutturale, trovando specifico riscontro normativo nell'art. 459, comma 3, c.p.p.; né esso crea alcuna situazione di stallo processuale, potendo l'organo inquirente rinnovare la richiesta, all'esito della verifica suggerita, o comunque promuovere l'azione penale attraverso l'emissione di un decreto di citazione.

Tuttavia, l'abnormità del rigetto della richiesta di decreto penale di condanna può configurarsi se la decisione si fonda non su profili di legittimità del rito o di idoneità e adeguatezza della pena con riferimento al caso concreto ma su generiche ragioni di opportunità concernenti la natura dell'istituto e la sua efficacia (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 27 giugno 2013, n. 36216; Cass. pen., Sez. VI, 12 giugno 2014, n. 38370; Cass. pen., Sez. VI, 12 maggio 2016, n. 23829).

Recentemente, la prima Sezione della Corte di cassazione ha ricondotto alle suddette ipotesi di abnormità anche il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, sulla base di una ipotetica valutazione circa l'applicabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 2016, n. 15272). A tale soluzione si è giunto valorizzando il fatto che la richiesta di emissione del decreto penale di condanna non instaura alcuna forma di contraddittorio, che è invece essenziale per l'applicazione dellart. 131-bis c.p. (come si desume dall'art. 411, comma 1-bis, c.p.p.) dati gli effetti non pienamente liberatori per l'imputato che derivano dall'applicazione della causa di non punibilità. Dunque, ad avviso della pronuncia in esame, nel caso in cui fosse ritenuta applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. non sarebbe consentito al giudice procedente di emettere sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.; mentre l'interessato avrebbe comunque la facoltà di far valere la non punibilità per particolare tenuità del fatto nel giudizio conseguente all'opposizione al decreto penale di condanna.

Ad avviso della quarta Sezione della Suprema Corte, invece, va escluso che possa qualificarsi come abnorme il decreto con il quale il giudice per le indagini preliminari, restituendo gli atti al pubblico ministero, lo inviti a valutare la sussistenza o meno della causa di non punibilità di cui allart. 131-bis c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2017, ord., n. 55020) Ciò in quanto il provvedimento reiettivo non sarebbe fondato esclusivamente su ragioni di opportunità (e dunque abnorme), contenendo soltanto una sollecitazione rivolta al magistrato inquirente a valutare la possibilità di chiedere l'inazione perché il fatto commesso dall'indagato si presente come particolarmente tenue in relazione a una fattispecie di reato per la quale detta causa di non punibilità è astrattamente ipotizzabile. Dunque, con tale decisione il Giudice non sostituisce arbitrariamente il proprio criterio di valutazione a quello istituzionalmente attribuito all'organo di accusa ma si limita solo a sollecitare a quest'ultimo l'esercizio di un potere ad esso spettante. La valutazione del giudice per le indagini preliminari si limita in sostanza ad un esame dell'astratta applicabilità alla fattispecie concreta dell'istituto della particolare tenuità del fatto, ferme restando le ulteriori valutazioni in concreto, tanto dell'organo requirente, quanto di quello giudicante, nello spazio di discrezionalità consentito dall'art. 131-bis c.p.

Secondo la Sezione rimettente, quindi, la sollecitazione indirizzata all'organo requirente a valutare la ricorrenza o meno della causa di non punibilità non risponde a una mera logica di opportunità o di inopportunità del rito monitorio, atteso che essa postula una disamina della fattispecie concreta alla luce di un ben preciso dettato legislativo e all'interno di un perimetro di discrezionalità rigorosamente delineato dal legislatore e dalla giurisprudenza di legittimità.

2.

All'udienza del 23 novembre 2017 la Quarta Sezione penale ha rimesso al Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione un ricorso che ha proposto la seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale: se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché questi valuti la possibilità di chiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

3.

Il primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'udienza pubblica del 18 gennaio 2018, un ricorso che propone la seguente questione di diritto, ritenuta dalla Quarta Sezione penale oggetto di contrasto giurisprudenziale: se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché questi valuti la possibilità di chiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

4.

Le Sezioni unite della Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa «se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al Pubblico Ministero affinché questi valuti la possibilità di chiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.», all'udienza del 18 gennaio 2018, hanno dato risposta negativa

5.

Con decisione n. 20569 depositata il 9 maggio 2018, le Sezioni unite della Suprema Corte, dopo aver preso le mosse dalla consolidata nozione di abnormità come anomalia strutturale o funzionale (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 26 marzo 2009-22 giugno 2009, n. 25957), hanno aderito all'interpretazione maggioritaria offerta dalla quarta Sezione sulla non riconducibilità della decisione in esame alla categoria innominata dell'abnormità in nessuna delle sue possibili manifestazioni.

Sulla accezione strutturale della patologia atipica, i giudici di legittimità hanno evidenziato che, in conformità con il ruolo funzionale del giudice del rito monitorio, al quale l'art. 459, comma 3, c.p.p. riconosce un significativo sindacato sul merito dell'istanza, rientra nel modello legale di attività del giudice per le indagini preliminari anche la valutazione dell'effettivo e concreto disvalore del fatto, in ordine al quale si chiede la condanna dell'imputato nella forma del decreto. In particolare, tale disposizione ammette plurimi esiti decisori tra loro alternativi, rimessi alla valutazione del giudicante, in termini di accoglimento dell'istanza con contestuale emissione del decreto monitorio, di rigetto per la contestuale pronuncia di sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e, al di fuori di questa unica ipotesi espressa, di rigetto con restituzione degli atti al magistrato requirente. Con puntuale riferimento all'ipotesi residuale, nel silenzio serbato dal Legislatore, l'interpretazione dominante (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 1 aprile 2016, n. 17702; Cass. pen., Sez. VI, 1 dicembre 2015, n. 6663; Cass. pen., Sez. VI, 17 giugno 2013, n. 36216; Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2011, n. 2982), sorretta anche da autorevole giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost., n. 470/1990), ritiene insuperabile limite immanente all'apprezzamento discrezionale del giudice nella interlocuzione con il pubblico ministero l'interferenza nelle facoltà, riservate dall'ordinamento all'organo dell'accusa, di esercizio dell'azione penale e di strutturazione dell'imputazione. Ciò considerato, le Sezioni unite hanno osservato che la valutazione sull'offensività dell'illecito contestato non comporta alcuna usurpazione delle attribuzioni del pubblico ministero, appartenendo, tale riflessione giuridica, all'attività di qualificazione giuridica del fatto reato, nel senso che, una volta condotta positivamente la ricognizione degli elementi costitutivi tipici della fattispecie, il giudice deve misurare anche l'incidenza lesiva del comportamento antigiuridico (giudizio concernente non già la dimensione storico-naturalistica del fatto, bensì la valutazione del grado di compressione del bene protetto dalla norma e della complessiva manifestazione dell'attività criminosa: cfr. Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 1368). Ne consegue, quale precipitato logico necessitato di tale riflessione giuridica, che la sollecitazione giudiziale in commento, attenendo alla qualificazione giuridica del fatto – potere connaturato all'esercizio della giurisdizione, in ogni fase e grado del procedimento, attinente anche agli elementi accidentali del fatto e alla concreta punibilità dell'imputato – costituisce esercizio di un potere adoperato entro i limiti fissati dal Legislatore e in armonia con i principi generali dell'ordinamento giuridico. Del resto, a suffragio della bontà di tale conclusione, le Sezioni unite hanno evidenziato come costituisca principio di diritto consolidato (cfr. Cass. pen., Sez. I, 9 maggio 2017, n. 27752; Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 13681) la rilevabilità anche in sede di legittimità e finanche ex officio della particolare tenuità del fatto, trattandosi di sindacato afferente la corrispondenza del fatto al modello legale di una fattispecie incriminatrice.

Peraltro, in coerenza sistematica con la previsione di cui all'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., la restituzione degli atti al pubblico ministero assicura la preventiva instaurazione del contraddittorio tra l'accusa, la difesa e la persona offesa, ove esistente.

Sotto il profilo dell'anomalia funzionale, la giurisprudenza delle Sezioni unite, dopo aver esaminato e condiviso le argomentazioni sostenute dalla giurisprudenza pressoché uniforme in tema di riespansione dei poteri del pubblico ministero a seguito di restituzione degli atti (cfr. Cass. pen., Sez. II, 20 marzo 2009, n. 13680; Cass. pen., Sez. V, 27 novembre 2002, n. 4883; Cass. pen., Sez. II, 6 novembre 1996, n. 4339), ha escluso che il provvedimento in esame possa determinare un insanabile stallo processuale o un indebito ritorno ad una fase già conclusa. Infatti, a norma dell'art. 459, comma 3, c.p.p. la regressione del procedimento è effetto legittimo delle determinazioni del giudice di non dar seguito al rito monitorio, con conseguente piena espansione dei poteri del pubblico ministero quanto all'azione penale e alle sue modalità di esercizio (del resto, in un'ottica sistematica, anche il rigetto della richiesta di rito immediato comporta una inoppugnabile regressione di fase senza alcun vincolo per la parte pubblica). In tal senso, il magistrato requirente, investito dalla sollecitazione giudiziale, è libero di autodeterminarsi nelle sue prerogative funzionali e ordinamentali, essendo nuovamente titolare degli originari poteri di iniziativa e di impulso processuale, che può esercitare, sia richiedendo l'emissione del decreto penale di condanna (eventualmente emendato dagli errori segnalati), sia procedendo con altro rito, finanche ordinario, e infine mediante richiesta di archiviazione del procedimento.