Estinzione del reato per prescrizione e confisca di cose costituenti prezzo del reato
22 Luglio 2015
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La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 38834/2008, aveva ritenuto che “L'estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240, comma 2, n. 1, c.p. (fattispecie relativa a dissequestro, disposto in sede esecutiva, in favore di imputato di corruzione commessa prima dell'entrata in vigore della l. 29 settembre 2000, n. 300 e dichiarata prescritta)”. Il principio era stato successivamente ribadito da Sez. VI, n. 8382/2011. Le Sezioni unite avevano osservato che la formula normativa “è sempre ordinata” – che compare nell'art. 240, comma 2, c.p. – si contrappone a quella "può ordinare" che compare nel primo comma, fermo rimanendo il presupposto "nel caso di condanna", sancito dallo stesso comma 1, espressamente derogato soltanto con riferimento alle cose di cui al n. 2) del comma 2: l'avverbio sempre sarebbe, dunque, finalizzato a contrapporre la confisca obbligatoria a quella facoltativa ma non ad escludere la necessità della condanna. Non avevano, invece, condiviso la tesi secondo la quale l'inciso "anche se non è stata pronunciata condanna", presente nell'art. 240, comma 2, n. 2), c.p. andava riferito anche alla previsione di cui al numero 1), posto che la topografia della norma e la netta scansione tra numeri ben distinti impediscono una lettura siffatta, per legittimare la quale il legislatore avrebbe dovuto far precedere alle descrizioni dei numeri, quale esordio del capoverso, l'inciso "anche se non è stata pronunciata condanna" dopo quello "è sempre ordinata la confisca". A sua volta, la disposizione dell'art. 236 c.p. – evocata a sostegno della tesi non accolta dalle Sezioni unite – che rende inapplicabili alla confisca le disposizioni di cui all'art. 210 c.p., secondo il quale "l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione", si limiterebbe ad enunciare un principio di carattere generale che lascia il legislatore libero di stabilire in quali casi tale effetto preclusivo si realizzi anche con riferimento alla confisca: tant'è che è lo stesso art. 240 c.p. – oltre a varie leggi speciali – a determinare, appunto, in quali casi è necessaria una condanna per applicare la confisca. Le Sezioni unite avevano concluso affermando che “l'obiettivo perseguito dal legislatore con la confisca è sempre più quello di privare l'autore del reato dai vantaggi economici che da esso derivano. Pertanto, considerando l'evoluzione della legislazione in materia e la sempre più ampia utilizzazione dell'istituto della confisca al fine di contrastare i più diffusi fenomeni di criminalità, si può dire che in caso di estinzione del reato, il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell'applicazione della confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell'accertamento medesimo e che, quindi, tale accertamento possa riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240, comma 2, n. 2),c.p), ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato. Queste considerazioni non consentono di modificare l'interpretazione che ha portato alla formulazione dell'indicato principio di diritto, ma si pongono quale motivo di riflessione per il legislatore, rimanendo ancora valido il monito di una autorevole dottrina, lontana nel tempo, ma presente nell'insegnamento, secondo la quale è antigiuridico e immorale che il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro ch'egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso“. Successivamente, la I Sezione (n. 2453/2009) aveva ritenuto che, nel caso di estinzione del reato dichiarata con provvedimento di archiviazione, il giudice dell'esecuzione dispone di poteri di accertamento finalizzati all'applicazione della confisca non solo sulle cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240, comma 2, n. 2), c.p.), ma anche su quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato (fattispecie in materia di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e corruzione in atti giudiziari). Si era, in particolare, affermato che, “rispetto all'obbligo dell'immediata declaratoria di estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non può affatto considerarsi in linea di principio anomala”, e che “la categoria delle sentenze di proscioglimento, comprende non solo le pronunce ampiamente liberatorie ma anche le sentenze che, pur non applicando una pena, comportano – in diverse forme e gradazioni – un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell'imputato o, comunque, l'attribuzione del fatto all'imputato stesso (cfr. Corte Cost., n. 85/2008); ciò vale, in particolare, per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione. Pertanto, considerata l'evoluzione della legislazione in materia e la sempre più ampia utilizzazione dell'istituto della confisca al fine di contrastare i più diffusi fenomeni di criminalità, si può affermare che, in caso di estinzione del reato, il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell'applicazione della confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell'accertamento medesimo e, quindi, tale accertamento può riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240 c.p., comma 2, n. 2), ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto reato”. In tema di confiscabilità di res ai sensi dell'art. 12-sexies,d.l. 306/1992, convertito in l. 356/1992, la II Sezione (n. 12325/2010) aveva affermato che, nell'ipotesi in cui il giudice dichiari estinto il reato per intervenuta prescrizione, la confisca può essere ordinata solo quando la sua applicazione non presupponga la condanna e possa avere luogo anche in seguito ad una declaratoria di proscioglimento (fattispecie relativa al reato di usura: la S.C. ha escluso l'applicabilità della confisca ex art. 12-sexies,d.l. 306/1992, ostandovi il tenore letterale della disposizione, che postula una sentenza di condanna o di patteggiamento e non il mero proscioglimento per estinzione del reato) La sentenza richiamava, in motivazione, la più risalente decisione delle Sezioni Unite n. 5/1993, a parere della quale, anche nel caso di estinzione del reato, astrattamente non incompatibile con la confisca in forza del combinato disposto degli artt. 210 e 236, comma 2, c.p., per stabilire se debba farsi luogo a confisca deve aversi riguardo alle previsioni di cui all'art. 240 c.p. ed alle varie disposizioni speciali che prevedono i casi di confisca, potendo conseguentemente questa esser ordinata solo quando alla stregua di tali disposizioni la sua applicazione non presupponga la condanna e possa aver luogo anche in seguito al proscioglimento. (Nella specie, in cui veniva in rilievo il reato di partecipazione a giuoco d'azzardo, la Cassazione aveva ritenuto che, essendo detto reato estinto per amnistia, non potesse esser disposta la confisca ex art. 722 c.p. del denaro esposto nel giuoco, presupponendo tale norma la condanna dell'imputato). Ponendosi consapevolmente in contrasto con la sentenza n. 38834/2008 delle Sezioni unite, la II Sezione, con sentenza n. 39756/2011, ha ritenuto che l'estinzione del reato non preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240, comma 2, n. 1), c.p. in conseguenza della condanna, poiché il riferimento a quest'ultima non evoca la categoria del giudicato formale ma implica unicamente la necessità di un accertamento incidentale equivalente rispetto all'accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito (fattispecie nella quale la S.C., ritenuta l'ammissibilità dei ricorsi, ha dichiarato l'estinzione dei reati contestati agli imputati per intervenuta prescrizione, confermando l'impugnata sentenza di condanna quanto alle disposte confische di beni costituenti il prezzo dei predetti reati). Nel caso di specie, gli imputati, facendo leva sulla intervenuta prescrizione dei reati loro rispettivamente contestati ai capi A), E) ed F), lamentavano l'illegittimità della confisca di beni, difettando il requisito della pronuncia della sentenza di condanna, al lume dei più recenti approdi cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite. A parere della Seconda sezione, la citata pronuncia delle Sezioni unite era focalizzata “oltre che sulla analisi testuale e sistematica della normativa di riferimento, anche sulla ritenuta compatibilità teorica tra estinzione del reato e accertamento dei presupposti per la applicazione della misura della confisca, a prescindere dalle difficoltà che tale accertamento possa presentare”. Il punto è considerato di centrale rilievo, “giacché è proprio il tema dell'accertamento quello che costituisce l'indiscutibile punto di collegamento – e di frizione – tra gli enunciati normativi contenuti nel codice di diritto sostanziale ed i riflessi che se ne devono trarre sul piano squisitamente processuale”. Il collegio ha, peraltro, valorizzato la ragione di fondo che animava una decisione successiva a quella delle Sezioni unite, al cui dictum aveva motivatamente ritenuto di non aderire; la stessa Seconda sezione, infatti, con sentenza n. 32273/2010, aveva ritenuto che, in caso di estinzione del reato, il giudice dispone di poteri di accertamento sul fatto-reato onde ordinare la confisca non solo delle cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240, comma 2, n. 2), c.p.) ma anche di quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato (ad es., nei casi di cui agli artt. 240, comma 2, n. 1), c.p., e art. 12-sexies,d.l. 306/1992). Facendo leva sul combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p., la Seconda sezione in quella occasione aveva osservato che “la misura di sicurezza della confisca obbligatoria risponde ad una duplice finalità, ossia quella di colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente e quella di eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all'attività criminale posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa connotazione obiettiva di illiceità che investe la res determinandone la pericolosità in sé”, concludendo che “l'indirizzo giurisprudenziale proposto ammette la proiezione della cognizione del giudice sul tema della confisca: nel senso che la confisca disposta nel caso di estinzione del reato è subordinata all'esistenza, da accertarsi dal giudice, del fatto costituente reato, trattandosi di indagine che non investe questioni relative all'azione penale, bensì soltanto l'applicazione di una misura di sicurezza, sottratta all'effetto preclusivo della causa estintiva”. Nella sentenza n. 39756 del 2011, la Seconda sezione ha osservato che, ai fini della ipotesi di confisca de qua, “la condanna funge da presupposto, non in quanto categoria astratta, ma quale termine evocativo proprio di quell'accertamento che ontologicamente giustifica, sul piano normativo, la sottrazione definitiva del bene, in quanto proveniente dal reato. Tale assunto, d'altra parte, si pone in linea con la ratio dell'istituto, quale desumibile dagli stessi lavori preparatori del codice penale”. D'altro canto, secondo la Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, la confisca "consiste nella eliminazione di cose che provengono da fatti illeciti penali, o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l'idea e l'attrattiva del reato", e la confiscabilità non soltanto del prodotto ma anche del profitto del reato si giustifica con il rilievo che "le utili trasformazioni dell'immediato prodotto del reato, gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa non debbono né possono impedire che al colpevole venga sottratto ciò che era precisamente obbietto del disegno criminoso e che egli sperava di convertire in mezzo di maggior lucro e di illeciti guadagni" (Relazione cit., pag. 280). Alla stregua di tali rilievi, “può quindi dedursi che, ciò che viene posto a fulcro della disciplina codicistica, non è il rinvio ad un concetto di condanna evocativo della categoria del giudicato formale ma – più concretamente – il richiamo ad un termine che intende esprimere un valore di equivalenza rispetto all'accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso: a prescindere, evidentemente, dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito. Un assunto, questo, che, a ben guardare, consente di escludere, fra l'altro, la irragionevole identità di trattamento (sul piano della medesima preclusione alla confisca) che verrebbe ad essere riservata alle ipotesi in cui la causa di estinzione del reato intervenga (come nella presente vicenda processuale) quando le statuizioni di condanna adottate dai giudici del merito hanno integralmente cristallizzato lo scrutinio su responsabilità e collegamento tra beni e reato, rispetto alle ipotesi in cui la causa estintiva sia stata dichiarata, ad esempio, già con la sentenza di primo grado (come nella vicenda che ha dato origine alla pronuncia delle Sezioni unite, innanzi ricordata), senza alcuna concreta verifica degli accennati presupposti”. Per altro verso, è stata considerata addirittura dirimente “la circostanza che, proprio con riferimento alla confisca di cui al d.l. n. 306 del 1990, art. 12-sexies, il legislatore abbia ritenuto di dover espressamente precisare, con riferimento ai casi di confisca ivi previsti, che gli stessi trovano applicazione nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 c.p.p.: una previsione, questa, che sta appunto a dimostrare come per la estensione alle sentenze di patteggiamento di quei casi di confisca fosse necessaria una espressa previsione normativa, proprio perché – a differenza che nella condanna – quelle sentenze non presuppongono un accertamento pieno di responsabilità. Il che consente, evidentemente, di trarre la proposizione reciproca, per la quale la locuzione condanna assume, agli effetti della confisca, il valore di pronuncia che irrevocabilmente attesti la sussistenza del reato e della relativa responsabilità”. In virtù di queste considerazioni, preso atto che la prescrizione dei reati era intervenuta dopo la pronuncia di condanna, tanto in primo che in secondo grado, ma che i ricorsi per cassazione erano ammissibili, e pertanto non precludevano l'intervento della causa estintiva, si è osservato che “le statuizioni adottate dai giudici del merito in punto di accertamento dei fatti-reato, delle responsabilità e della illecita provenienza dei beni sottoposti a confisca si sono definitivamente cristallizzate, al punto da vanificare, contenutisticamente, la stessa presunzione di non colpevolezza: il che giustifica, pertanto, il soddisfacimento dei fini di garanzia di accertamento pieno, che il termine condanna è volto ad assicurare nel quadro della confisca, quale necessario presupposto del provvedimento ablatorio”. Per queste ragioni, unitamente all'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza nei confronti degli imputati, per essere tutti detti reati estinti per intervenuta prescrizione, è stata confermata nel resto l'impugnata sentenza, “ivi comprese le disposte confische nei confronti di tutti gli imputati”. L'orientamento della Seconda sezione è stato successivamente accolto dalla V Sezione (n. 48680/2012), e dalla Sesta sezione (sentenza n. 31957/2013). Per quest'ultima, in particolare, l'estinzione del reato per prescrizione non preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, nei casi in cui vi sia comunque stato un accertamento incidentale, equivalente a quello contenuto in una sentenza di condanna, della responsabilità dell'imputato e del nesso pertinenziale fra oggetto della confisca e reato (nel caso di specie, la S.C. ha considerato confiscabile il prezzo del reato in un caso nel quale la prescrizione era maturata dopo la pronuncia di condanna in primo grado, ed il giudice d'appello, nel dichiararla, aveva, in motivazione, confermato la statuizione relativa alla responsabilità dell'imputato ed alla provenienza illecita dei beni confiscati). Ben prima dei citati interventi, le Sezioni unite, con la sentenza n. 14/1958, intervenendo per la prima volta in argomento, avevano inizialmente ritenuto che l'intervenuta amnistia non esime il giudice dall'obbligo di applicare l'art. 240, primo capoverso, n. 2) c.p. (confisca delle cose, di cui la fabbricazione, l'uso, ecc., costituiscono reato) e, se già, sufficienti elementi di decisione non emergano dal procedimento, egli può e deve ulteriormente assumerli: né era di ostacolo la norma di cui all'art. 592 c.p.p. [abr.] (pregiudizialità dell'amnistia), giacché gli accertamenti da compiere non concernono questioni relative all'azione penale bensì l'applicazione di una misura di sicurezza che, per espressa eccezione di legge (inapplicabilità alla confisca dell'art. 210 c.p.: v. art. 236 c.p., in fine), è sottratta all'effetto preclusivo dell'amnistia. Ad analoghe conclusioni potrebbe giungersi in tema di prescrizione. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite dalla VI Sezione, con ord. 19 novembre 2014 A conclusioni diverse si è giunti per la c.d. confisca per equivalente. In proposito, valorizzando la natura sanzionatoria dell'istituto (Cass. pen., Sez. un., n. 18374/2013), si ritiene che l'estinzione del reato precluda la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o oil profitto, potendo essa applicarsi, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell'accertamento della responsabilità dell'autore del reato (Cass. pen., Sez. VI, n. 18799/13). La stessa Corte Edu (29 ottobre 2013, Varvara c. Italia) ha chiarito che una confisca di natura sanzionatoria non può essere disposta se non in presenza di una sentenza di condanna definitiva. 2
All'udienza 19 novembre 2014, la VI Sezione penale ha rimesso al Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione un ricorso che propone le seguenti questioni ritenute oggetto di contrasto giurisprudenziale:
se, qualora sia qualificata come confisca diretta, possa essere disposta anche con la sentenza che dichiara l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. 3
Il Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'udienza pubblica 26 giugno 2015, un ricorso che propone le seguenti questioni, ritenute dalla VI Sezione penale oggetto di contrasto giurisprudenziale:
se, qualora sia qualificata come confisca diretta, possa essere disposta anche con la sentenza che dichiara l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. 4
All'udienza 12 giugno 2015, le Sezioni Unite penali hanno deciso che:
All'udienza 12 giugno 2015, le Sezioni Unite penali avevano deciso che:
In data 21 luglio 2015 è stata depositata la motivazione della suddetta sentenza (n. 31617 del 2015). Le Sezioni unite hanno, in particolare, affermato i seguenti principi di diritto: I – “Il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell'art. 240, secondo comma, n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell'art. 322-ter cod. pen., la confisca del prezzo o del profitto del reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata un precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato”; II – “Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e reato”. |