Sulla necessità del pericolo di diffusione nel reato di produzione di materiale pedopornografico ex art. 600-ter, comma 1, c.p.
04 Gennaio 2019
1.
Su ordinanza di rimessione della terza Sezione penale della Corte di cassazione, il Primo Presidente ha assegnato alle Sezioni unite – che decideranno il prossimo 31 maggio – il quesito se sia ancora necessario, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, n. 1, c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale; alle Sezioni unite è demandato il compito di verificare se, alla luce della formulazione della disposizione introdotta dalla l. 6 febbraio 2006, n. 38, l'interpretazione suddetta – sancita dalla sentenza delle Sezioni unite n. 13 del 31 maggio 2000 e confermata dalla giurisprudenza successiva – sia ancora attuale.
La vicenda processuale. La vicenda processuale giunta all'attenzione della Corte concerne una sentenza pronunziata dalla Corte di appello di Palermo, che aveva confermato la condanna inflitta in primo grado a un parroco, riconosciuto responsabile sia del reato di prostituzione minorile aggravata consumata e tentata (per avere compiuto e tentato di compiere atti sessuali con alcuni ragazzi infradiciottenni adescati vantando amicizie importanti che sarebbero state utili per procurare loro contratti televisivi) che – per quanto interessa ai fini della questione rimessa alle Sezioni unite – del reato di pornografia minorile continuata e aggravata dall'aver commesso i fatti in danno di minori e con l'abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto. (artt. 81, comma 2, 600-ter, comma 1, e 600-sexies, comma 2, c.p.). Secondo le sentenze di merito, infatti, l'imputato, utilizzando i minorenni suddetti, aveva realizzato e prodotto materiale pornografico, o comunque aveva indotto i ragazzi a partecipare a esibizioni pornografiche (dietro remunerazione con denaro o altre utilità economiche come le ricariche telefoniche), inducendoli a posare nudi per foto e video da lui realizzati, che ne ritraevano gli organi genitali e che egli aveva conservato su propri dispositivi informatici.
Inquadramento normativo. Con il delitto di pornografia minorile il Legislatore – mosso da un anelito repressivo indotto dal bene giuridico tutelato, individuabile nell'equilibrato sviluppo psico-sessuale del minore – grazie a una norma penale a più fattispecie, ha inteso punire ogni fase del relativo processo produttivo e diffusivo, allo scopo di intervenire in via repressiva sia nel momento che prelude al contatto con minore, che in quelli successivi alla produzione del materiale pedopornografico, oltre, naturalmente, a quelli in cui il prodotto viene realizzato. Secondo il dettato dell'art. 600-ter c.p. attualmente vigente, si va, infatti, dalla divulgazione di notizie finalizzate all'adescamento minorile e dal reclutamento dei minori a tal fine, alla realizzazione di spettacoli a sfondo sessuale con il coinvolgimento di soggetti minorenni, alla produzione di materiale pornografico con questi ultimi ed alla sua distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, offerta o cessione. La pornografia minorile, come da definizione legislativa (art. 600-ter, ultimo comma, c.p. inserito dall'art. 4, comma 1, lett. h),l. 1 ottobre 2012, n. 172), è intesa come ogni rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un soggetto minorenne coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di un minore a scopi sessuali.
Questione controversa. Il 30 novembre 2017, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite il quesito «Se, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, n. 1, c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla l. 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni unite 31 maggio 2000 (dep. 5 luglio 2000), n. 13, confermata dalla giurisprudenza di questa Sezione, anche dopo la modifica normativa citata». Il thema decidendum devoluto alle Sezioni unite non si innesta su un contrasto esistente ma tende a sollecitare – secondo un percorso oggi obbligato per le Sezioni semplici, giusto il disposto dell'art 1, comma 66, della l. 23 giugno 2017, n. 103 che ha introdotto il comma 1-bis all'art. 618 c.p.p. – un revirement interpretativo circa la necessità che, per configurarsi la fattispecie di cui all'art. 600-ter, comma 1, c.p. in capo a chi ha prodotto il materiale pornografico, sia necessario il pericolo di diffusione di esso.
Le argomentazioni dell'ordinanza di rimessione: l'evoluzione normativa, Sezioni unite 31 maggio 2000, n. 13 e la giurisprudenza e la dottrina successive. Lo stimolo a porre la questione deriva dai motivi di doglianza che i difensori dell'imputato – in via subordinata rispetto all'annullamento della sentenza di condanna – hanno sottoposto alla Corte di cassazione, laddove essi hanno sostenuto che la condotta contestata sia sussumibile nella fattispecie di detenzione del materiale pornografico di cui all'art. 600-quater c.p., profilo su cui la Corte di appello non si era espressamente intrattenuta, ma che aveva implicitamente risolto ritenendo corretto il riconoscimento del più grave reato ex art. 600-ter, comma 1, c.p. Nel concreto – si legge nell'ordinanza in commento – la questione era rilevante considerato che, dall'istruttoria svolta, non era emerso che vi fosse stato pericolo di diffusione. A sostegno delle ragioni della svolta esegetica auspicata, la sezione rimettente sviluppa un lungo ed articolato percorso argomentativo, che ricostruisce storicamente la disposizione incriminatrice attraverso le evoluzioni normative – sia interne che sovranazionali – e l'elaborazione giurisprudenziale che l'hanno riguardata. In primo luogo, il Collegio si è soffermato sugli interventi normativi, che hanno visto l'introduzione della norma punitiva ex l. 3 agosto 1998, n. 269, la modifica della l. 6 febbraio 2006, n. 38 – applicabile ratione temporis al caso di specie – e quelle derivanti dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con modificazioni nella l. 23 aprile 2009, n. 38, dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modificazioni nella l. 15 ottobre 2013, n. 119 e dalla l. 1 ottobre 2012, n. 172, che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, stipulata a Lanzarote il 25 ottobre 2007. In secondo luogo, i giudici rimettenti hanno concentrato l'attenzione sulla pronunzia delle Sezioni unite da cui intendono dissentire, sulle reazioni dottrinarie all'autorevole precedente e sulla giurisprudenza successiva. La sentenza delle Sezioni unite, 31 maggio 2000, n. 13 – intervenuta a chiarire le implicazioni della finalità di lucro rispetto al reato in discorso – ha sancito il principio di diritto secondo cui: «Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600-terc.p. – mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l'ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto». Un primo aspetto che le Sezioni unite – sostiene la terza Sezione – valorizzano verte su un parallelismo con la fattispecie sugli spettacoli pornografici, sicché, secondo la sentenza del 2000, «non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non "offrendo" il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pornografico sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia». Da un punto di vista logico – sistematico, concorrerebbe all'idea della centralità del pericolo di diffusione, a giudizio delle Sezioni unite, la circostanza che l'art. 14 della legge 269 del 1998, nel disciplinare le attività e gli strumenti di contrasto contro la pedofilia, prevede, anche per la fattispecie in discorso, le attività sotto copertura ovvero quelle degli agenti provocatori ovvero, ancora, il ritardo nell'emissione o nell'esecuzione di provvedimenti di cattura, arresto e sequestro, quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori o per identificare o catturare i responsabili. Tali strumenti straordinari di contrasto troverebbero la loro giustificazione nella necessità di impedire la diffusione e non già semplicemente la produzione di pornografia minorile quando non vi sia il pericolo concreto che questa pornografia sia immessa nel circuito dei pedofili. Ne consegue, secondo l'esegesi della sentenza del 2000, che il giudice è tenuto ad accertare di volta in volta se ricorra il concreto pericolo dì diffusione del materiale pornografico, facendo riferimento ad elementi sintomatici della condotta, come l'esistenza di una struttura organizzata anche rudimentale, atta a corrispondere alle esigenze del mercato dei pedofili; il concreto collegamento dell'agente con soggetti pedofili, potenziali destinatari del materiale pornografico; la disponibilità materiale di strumenti tecnici (di riproduzione e/o di trasmissione, anche telematica) idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari; l'utilizzo, contemporaneo o differito nel tempo, di più minori per la produzione del materiale pornografico; i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile; altri indizi significativi suggeriti dall'esperienza. Come si è anticipato, la dottrina aveva individuato dei profili critici nell'impostazione della Corte nel suo massimo consesso, che la terza Sezione condivide. Il contestuale riferimento sia alla convenzione di New York sui diritti del fanciullo che a quella di Stoccolma fatto dalle Sezioni unite era equivoco giacché i due atti internazionali perseguivano finalità non sovrapponibili, dal momento che la Convenzione di New York auspicava una tutela del minore verso qualsiasi forma di sfruttamento a prescindere dalle finalità che l'autore si proponeva di realizzare, mentre la dichiarazione finale della Conferenza di Stoccolma adottava una soluzione più restrittiva, impegnando i legislatori a reprimere lo sfruttamento sessuale di minori solo se realizzato a scopo commerciale. In secondo luogo, i commentatori avevano censurato che la Corte non avesse focalizzato l'interesse tutelato nel libero sviluppo personale del minore, vulnerato già dalla realizzazione di materiale o spettacoli pornografici, ed avesse invece concentrato l'attenzione sulla condotta dell'agente e sulla sua consistenza – richiedendo che esse fossero tali da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto – individuando gli indici di cui si è detto che nulla aggiungevano all'offesa consumata con il coinvolgimento del minore nella preventiva attività di produzione. In terzo luogo, si legge nell'ordinanza di rimessione, «scarsamente convincente era anche il riferimento alle speciali attività investigative, giacché pure nella repressione del traffico di stupefacenti erano previsti eccezionali strumenti investigativi, nonostante la liceità della detenzione ad uso personale». L'interpretazione della Sezioni unite, infine, era intrinsecamente contraddittoria laddove, da una parte, aveva escluso il carattere lucrativo dello sfruttamento e, dall'altra, nel richiedere il pericolo concreto della diffusività, aveva implicitamente avallato un sistema in cui doveva essere presente un'organizzazione di mezzi e persone che chiaramente aveva interessi economici. Non erano mancate, infine, voci dottrinarie che, dopo l'entrata in vigore della l. 38/2006, avevano ritenuto il reato in esame fattispecie di danno e reputato irrilevante come elemento costitutivo il pericolo concreto della diffusione del materiale pedopornografico prodotto.
Il Collegio rimettente ha altresì attuato un'ampia carrellata della giurisprudenza di legittimità successiva alle Sezioni unite, che si è mostrata compatta nel ritenere essenziale, nella configurazione dell'art. 600-ter, comma 1, c.p. il pericolo in concreto della diffusione (evidenziando, così, «l'accettazione, più o meno consapevole, dell'assioma delle Sezioni unite 13/2000», sottolinea l'ordinanza in commento), incentrandosi il dibattito giurisprudenziale solo sugli elementi sintomatici di questo pericolo, sia pure aggiornati alla luce dell'evoluzione informatica. Pure senza cedimenti è il fronte interpretativo che attribuisce a tale profilo valore discriminante rispetto alla fattispecie di cui all'art. 600-quaterc.p. Solo due sentenze, peraltro entrambe non massimate, sembravano andare – sostiene l'ordinanza di rimessione – nel senso del revirement auspicato.
Le argomentazioni dell'ordinanza di rimessione a sostegno del revirement interpretativo. Il tentativo della terza Sezione di sovvertire detto fronte interpretativo fonda su plurime riflessioni, non trascurando peraltro di domandarsi se l'interpretazione, ritenuta errata, della sentenza del 2000 non fosse dovuta alla preoccupazione di restringere la portata applicativa della norma per sottrarla a censure di costituzionalità per mancanza di offensività. In primo luogo, i giudici rimettenti ritengono che l'impostazione tradizionale non trovi riscontro nel dato normativo e anzi finisca per contraddire e tradire lo spirito dei numerosi interventi che si sono avuti in questi anni. La l. 269/1998 – richiamando l'adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996 – ha il dichiarato scopo di tutelare i fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale; nello stesso senso si muove la legge 46 dell'11 marzo 2002 di ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, fatto a New York il 6 settembre 2000. La decisione quadro 2004/68/Gai del Consiglio del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile – ricorda la terza sezione – costituisce del pari uno snodo normativo fondamentale laddove ha sancito che l'Unione europea ritiene lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile gravi violazioni dei diritti dell'uomo e del diritto fondamentale di tutti i bambini ad una crescita, un'educazione ed uno sviluppo armoniosi, reputando particolarmente pericolosa la pornografia infantile, a causa della diffusione a mezzo internet meritevole di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive Quanto alla disciplina nazionale, l'art. 600-terc.p., vigente al 2009, ha riprodotto integralmente l'art. 2 della decisione quadro 2004/68/Gai. Il quadro normativo, sia a livello nazionale che internazionale, dunque, vede una tutela intensa rispetto ad ogni forma di sfruttamento del minore a scopi pornografici, reputato degradante. In quest'ottica, un importante tassello del ragionamento della sezione rimettente fonda sulla constatazione che, sia nella normativa sovranazionale che in quella nazionale, si prescinde dal pericolo della diffusione del materiale, perché le condotte della produzione, detenzione, divulgazione, cessione etc. sono tutte distinte e tutte di danno; né il dato letterale avvalora un'interpretazione diversa, dal momento che esso è rimasto inalterato in tutte le versioni della norma e non contempla, ai fini dell'integrazione delle condotte del comma 1, il pericolo né astratto né concreto della diffusione del materiale, profilo del quale si occupano specificamente i commi successivi al primo con autonome fattispecie di reato, punite con pene inferiori, ad eccezione del comma 2, relativo al commercio, per il quale si applica la stessa pena del comma 1. Né è sostenibile – prosegue la terza Sezione – che, laddove non vi sia il pericolo di diffusione, debba entrare in gioco l'art. 600-quaterc.p., giacché quest'ultimo, con la clausola di salvezza ivi inserita, prevede testualmente che si faccia luogo all'applicazione della norma ivi contenuta solo allorché sia esclusa ciascuna delle ipotesi contemplate dall'art. 600-terc.p. D'altra parte, nell'ottica della tutela del minore, non vi è motivo per ritenere necessario il pericolo di diffusione perché già la realizzazione del materiale implica una relazione adulto/minore, sia pure senza contatto fisico, meritevole ex se di repressione siccome degradante e gravemente offensiva della dignità del minorenne, sfruttato a fini sessuali. Un'ulteriore considerazione fonda sulla circostanza che accomunare nel disposto dell'art. 600-quater c.p. sia la detenzione di materiale prodotto per uso proprio, che quella di materiale realizzato da terzi, sarebbe irragionevole, siccome le condotte rivestono un disvalore evidentemente diverso. 2.
All'udienza del 30 novembre 2017, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alla Sezioni unite il quesito «Se, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, n. 1, c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla l. 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni unite 31 maggio 2000 (dep. 5 luglio 2000), n. 13, confermata dalla giurisprudenza di questa Sezione, anche dopo la modifica normativa citata». 3.
Il primo Presidente ha rimesso gli atti alle Sezioni unite e l'udienza di trattazione è fissata per il 31 maggio 2018. Il quesito è: «Se, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, n. 1, c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza n. 13 del 31 maggio 2000 delle Sezioni unite».
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All'udienza del 31 maggio 2018, le Sezioni unite della Cassazione penale, chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa «Se, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, n. 1, c.p., con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza n. 13 del 31 maggio 2000 delle Sezioni unite», hanno dato risposta negativa. 5.
Le Sezioni unite, accogliendo l'interpretazione della sezione rimettente, hanno sancito il principio secondo cui «Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1), c.p., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale».
Il pericolo di diffusione. La sentenza, deliberata il 31 maggio 2018 e depositata il successivo 15 novembre, ha condiviso la tesi della sezione rimettente, reputando che l'interpretazione della pronunzia delle Sezioni unite n. 13 del 2000 che riteneva necessario che vi fosse pericolo di diffusione del materiale - dominante dal 2000, salvo qualche arresto di segno diverso - dovesse ritenersi superata dall'evoluzione normativa che aveva visto un sensibile rafforzamento della tutela del minore e che comunque dovesse reputarsi anacronistica, in quanto riferita a un contesto sociale e ad un grado di sviluppo tecnologico radicalmente mutati negli ultimi anni. La sentenza del 2000 - chiariscono le Sezioni unite del 2018 – trovava la propria ratio nella necessità di contenere la portata punitiva della norma, al cui ampliamento essa stessa aveva contribuito, interpretandola nel senso che lo sfruttamento punito dalla disposizione allora vigente non dovesse presentare necessariamente risvolti economici. L'operazione di compensazione aveva quindi trovato sbocco escludendo che la produzione del materiale pedopornografico destinato ad una fruizione meramente privata, da parte dello stesso soggetto che aveva realizzato detto materiale, potesse rientrare nel paradigma dell'art. 600-ter piuttosto che in quello meno grave di cui all'art. 600-quater c.p. Avevano contribuito a questa interpretazione, da una parte, la mancanza di una definizione di pornografia minorile come quella poi inserita nell'art. 600-ter dalla l. 172 del 2012, imperniata sull'esigenza di tutela della dignità sessuale e dell'immagine del minore; dall'altra, l'assimilazione della produzione alle previsioni dello stesso articolo riferite a "spettacoli" ed "esibizioni". Un ruolo centrale nell'elaborazione che si è superata con la pronunzia in commento era rivestito, infine, dalla circostanza che il contesto tecnologico dell'epoca non implicava necessariamente la successiva diffusione del materiale realizzato, resa oggi possibile dallo sviluppo dei sistemi di comunicazione e condivisione telematici, per cui qualsiasi produzione di immagini o video è ontologicamente suscettibile di essere resa nota, anche in tempo reale, ad una platea indeterminata di soggetti (la Corte ha parlato di «pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smartphone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata, e ha reso normali il collegamento a Internet e l'utilizzazione di programmi di condivisione e reti sociali» e di «accessibilità generalizzata alle tecnologie della comunicazione, che implicano facilità, velocità e frequenza nella creazione, nello scambio, nella condivisione, nella diffusione di immagini e video ritraenti una qualsiasi scena, anche della vita privata»). Anche il quadro normativo di riferimento, italiano e sovranazionale, è, come anticipato, profondamente cambiato (la sentenza ne riporta una dettagliata ricostruzione). Ciò, da una parte consente di attribuire significato al fatto che non è stata introdotta nell'art. 600-ter c.p. alcuna dizione che rimandi al pericolo di diffusione, e, dall'altra, autorizza le Sezioni Unite a ritenere che il reato possa essere considerato, oggi, fattispecie di danno perché anche la sola realizzazione del materiale, utilizzando minori, determina un vulnus penalmente rilevante alla loro dignità sessuale ed alla loro immagine, a prescindere dalla diffusione o dal pericolo di diffusione che vi siano ricollegati. La norma dell'art. 600-ter, nella sua formulazione attuale, infatti, appare indirizzata a punire la generalità delle condotte che danno origine a materiale pornografico in cui vengono utilizzati soggetti minorenni. La stessa definizione di "pornografia minorile" dovuta alla l. 172 del 2012 - riferita ad ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali - chiarisce che oggetto della tutela penale sono l'immagine, la dignità e il corretto sviluppo sessuale del minore, vulnerati fin dall'utilizzazione del minore nella realizzazione di materiale pornografico. Quale ulteriore argomento a favore dell'interpretazione qui delineata, le Sezioni Unite richiamano l'art. 600-quater.1 (introdotto dall'art. 4 della legge 38 del 2006), che punisce la pornografia virtuale, laddove la norma in discorso accomuna le ipotesi sanzionatorie degli artt. 600-ter e 600-quater e accenna alla sola “realizzazione” di materiale pedopornografico, prescindendo dal concetto di “produzione” cui l'esegesi oggi superata ricollegava la necessità del pericolo di diffusione.
I rapporti tra l'art. 600-ter e l'art. 600-quater alla luce della sentenza delle Sezioni unite. L'interpretazione delle Sezioni Unite in commento ridisegna anche i rapporti tra i reati di cui agli artt. 600-ter e 600-quater c.p. laddove, prima del revirement interpretativo, qualora il materiale fosse stato prodotto dal soggetto agente, ma non vi fosse stato pericolo di diffusione, la condotta doveva essere ricondotta alla seconda delle due disposizioni, ancorché il dato letterale - dove si legge che l'agente «si procura o detiene» materiale pedopornografico - non autorizzasse nettamente tale opzione interpretativa. Oggi, sulla scorta della nuova esegesi e della clausola di riserva prevista dallo stesso art. 600-quater, di quest'ultima fattispecie risponderà solo il soggetto che non abbia realizzato il materiale pedopornografico.
La pedopornografia domestica. La pronunzia delle Sezioni unite non conduce necessariamente, come potrebbe immaginarsi, a un irrigidimento della tutela penale. La sentenza in commento ha infatti affrontato anche un altro tema, vale a dire quello della cd. pornografia domestica rispetto a minori che abbiano raggiunto l'età del consenso sessuale, agganciandosi a quelle fonti sovranazionali (l'art. 3, comma 2, della decisione quadro del Consiglio n. 2004/68/Gai del 22 dicembre 2003, l'art. 20, comma 3, della Convenzione di Lanzarote e la direttiva dell'Unione europea 2011/93) che hanno demandato al legislatore nazionale la possibilità di valorizzare in bonam partem l'età del minore, il suo consenso e la destinazione non diffusiva del materiale, ancorché tali indicazioni non siano state ancora recepite nel diritto interno, Allo scopo di evitare l'incriminazione di un comportamento suscettibile di porsi al di fuori del novero delle condotte effettivamente incidenti sul bene giuridico tutelato (per evitare cioè«un'applicazione eccessivamente espansiva della norma penale, ben al di là di ipotesi che rispecchino la gravità sociale e lo spessore criminale del fenomeno della pedopornografia»), l'interprete - sostengono le Sezioni unite - deve fondare le proprie valutazioni sul concetto di "utilizzazione del minore", che deve rinvenirsi in ogni processo di reificazione del predetto, che lo trasformi in oggetto per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere. Ciò deve condurre ad individuare le condotte di produzione aventi carattere illecito in quelle che siano frutto della posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore ovvero che siano state ottenute con minaccia, violenza o inganno o allo scopo di commercializzare il materiale ovvero che abbiano coinvolto minori di età inferiore a quella del consenso sessuale. In questi casi il minore, vuoi per le modalità della condotta, vuoi per l'incapacità di esprimere un valido e consapevole consenso, vuoi perché ha subito condizionamenti di sorta, è stato letteralmente “utilizzato”. Al contrario qualora la realizzazione del materiale sia avvenuta per libera e consapevole scelta di un minore che abbia l'età per determinarsi in tal senso, il prodotto sia destinato ad un utilizzo solo privato, sia stato realizzato nell'ambito della sua vita sessuale ed in condizioni di parità con chi se n'è reso autore — come accade, sostiene la Corte, nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni - dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella "utilizzazione" che costituisce il presupposto dei reati sopra richiamati, sia quello ex art. 600-ter che quello ex art. 600-quaterc.p.
L'overruling in malam partem. Le Sezioni unite, infine, stimolate dalla stessa sezione rimettente, hanno accennato al tema della possibile incidenza del cambio di giurisprudenza nel concreto dei procedimenti e della conseguente frizione con la giurisprudenza della Corte Edu che ha censurato l'overruling interpretativo in malam partem per violazione dell'art. 7 Cedu, escludendo che, nella specie, il problema si ponga. Da una parte, la generalizzazione del pericolo di diffusione del materiale realizzato utilizzando minorenni deriva, infatti, dall'ampliamento dell'idoneità a diffondersi del materiale pedopornografico legato ai nuovi sistemi di comunicazione, divenendo, così, caratteristica immanente della condotta di produzione; dall'altra, il requisito era stato già depotenziato dalla normativa sovranazionale e nazionale, che ne avevano sostanzialmente escluso la necessità. A voler tacere, continua la Corte, del contraltare in bonam partem che pure deriva dalla sentenza in commento, costituito dalla delimitazione della portata punitiva concernente il tema della pedopornografia domestica. |