Quale termine per il deposito della domanda di ammissione del credito in caso di confisca di prevenzione?
26 Settembre 2018
1.
«Se il termine di decadenza di 180 giorni, decorrente dall'entrata in vigore della legge 24 dicembre 2012, n. 228, entro cui i titolari di un diritto di credito garantito da ipoteca iscritta su beni confiscati, in esito a procedimento di prevenzione – già definiti ed ai quali non è applicabile la nuova disciplina contenuta nel libro I del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – devono presentare domanda di ammissione del credito al giudice dell'esecuzione competente, operi anche nel caso in cui l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata abbia omesso di comunicare agli stessi creditori le informazioni di cui all'art. 1, comma 206, lett. a), b) e c), legge 228 del 2012».
La sorte dei diritti di credito 'correlati' a beni oggetto di confisca – specie in riferimento a immobili sottratti alla garanzia ipotecaria in virtù del trasferimento coatto e a titolo originario allo Stato – resta tema alquanto spinoso, pur dopo l'intervento legislativo contenuto nel codice antimafia (d.lgs. 159 del 15 settembre 2011) e in altre disposizioni pressoché coeve (legge di stabilità n.228 del 24 dicembre 2012). Alcune diversità di vedute in merito alle modalità applicative di tali disposizioni, dettate in sede di riassetto della disciplina delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, hanno di recente portato ad un nuovo intervento del Legislatore, sul tema, nell'ambito della 'mini-riforma' del codice del 2011, realizzata con legge 161 del 17 ottobre 2017, il che testimonia la particolare complessità di aspetti giuridici più che mai divenuti «trasversali», posto che l'intervento espropriativo da un lato è imposto da esigenze di contrasto della pericolosità sociale manifestata dal debitore (recupero di accumulazioni patrimoniale geneticamente illecite) dall'altro rischia di travolgere diritti di soggetti potenzialmente «estranei» a tale inveramento della pericolosità, colpevoli solo di essere entrati in contatto (nell'intricato divenire delle relazioni economiche e sociali) con il soggetto ritenuto, ex post, «pericoloso». Del resto, non bisogna stupirsi della esistenza di interpretazioni tra loro difformi – così come della necessità di interventi regolativi aggiuntivi –, atteso che nel passaggio da una sostanziale deregulation – per cui la tutela del creditore, riconosciuta la buona fede, avveniva, sino al 2012, in base alle ricadute del principio generale di tutela dell'affidamento incolpevole (v. Cass. pen., Sez. unite,28 aprile 1999, n. 9, Bacherotti; Corte cost. n. 1/1997; sulla valenza generale. in ambito comunitario, del principio di tutela dell'affidamento incolpevole dell'operatore economico v. altresì C.G.Ue 3 maggio 1978, in C 112/77) – a una dettagliata gabbia normativa tesa a fissare normativamente i presupposti e scandire il procedimento teso a riconoscerli, è del tutto fisiologica la formazione di un dibattito giurisprudenziale, determinato anche dalle, non sempre ineccepibili, tecniche di redazione delle singole disposizioni. Prima di passare ad esaminare l'oggetto specifico del contrasto, emerso con la decisione emessa in data 16 novembre 2017 dalla Prima Sezione penale della Corte di cassazione (con ordinanza numero 54794 del 2017) giova, pertanto ricostruire, sia pure in sintesi, alcune delle sue premesse. Il decreto legislativo n. 159 del 2011 (codice antimafia) realizza, nelle intenzioni, un sistema organico di accertamento ed eventuale tutela della pretesa patrimoniale vantata dal creditore nei confronti del soggetto portatore di pericolosità (e/o nei confronti di persone fisiche o giuridiche a costui ricollegabili) non più esigibile per il mutamento della condizione del debitore 'primario' e, soprattutto, dei beni a lui riferibili (spesso intestati formalmente a soggetti diversi dal portatore di pericolosità). In effetti, il principio cui si ispira la disciplina è quello della tutela dell'affidamento incolpevole (assenza di strumentalità del credito all'attività illecita, salva la dimostrazione dell'ignoranza incolpevole di tale nesso), quale presupposto per la conversione ex lege del contenuto dell'originaria pretesa (sorta prima del sequestro dei beni) in un diritto con natura 'sequenziale', rappresentato da una sub-pretesa ad ottenere dallo Stato (soggetto divenuto titolare dei beni in virtù della confisca) la soddisfazione del credito originario residuo, con graduazione della garanzia patrimoniale e apertura di una procedura concorsuale atipica (in estrema sintesi, tali risultano essere le linee di intervento risultanti dal contenuto degli articoli da 52 a 62 codice antimafia). L'attesa regolamentazione legislativa di tale segmento critico della disciplina della confisca – a fronte dei frequenti conflitti sorti, in passato, tra tribunali della prevenzione e giudici civili dell'esecuzione – rischiava tuttavia la incidenza temporale largamente «posticipata»alla attivazione e definizione di nuove procedure di sequestro (posteriori al 13 ottobre del 2011), posto che la disciplina transitoria introdotta in modo espresso all'art. 117, comma 1, del cod. antimafia possiede l'effetto di rendere ultrattive , per tutti i procedimenti già in corso a tale data, le disposizioni previgenti che non regolamentavano in modo espresso il conflitto tra la pretesa «creditoria» del terzo e la confisca del bene costituito in garanzia. Da ciò sorge l'esigenza, realizzata con la legge di stabilità n. 228 del 24 dicembre 2012, di regolamentazione dei rapporti pendenti, siano essi relativi a beni già oggetto di confisca definitiva (procedimento di prevenzione definito alla data di entrata in vigore di tale legge, ossia al 1 gennaio 2013) o relativi a beni oggetto di sequestro o confisca non definitiva, nell'ambito di procedure di prevenzione «in atto» alla data del 1 gennaio 2013 non rientranti nell'ambito di applicazione della disciplina «madre», contenuta nel nuovo cod. antimafia. Per dirla in modo chiaro, il Legislatore del 2012 è costretto ad introdurre – anche per la particolare rilevanza economica dei contenziosi in atto – una sorta di «disciplina transitoria avversa» rispetto a quella primaria, contenuta nell'art. 117 cod. antimafia, dato che si realizza l'obiettivo di rendere – nei limiti della ragionevolezza – immediatamente applicabili (appunto, azzerando gli effetti della disciplina transitoria generale) le disposizioni in punto di tutela dei terzi creditori contenute negli articoli 52 - 62 del codice antimafia. In tale ambito va calato il contrasto oggetto di analisi, fermo restando che si tratta – all'evidenza – soltanto di uno dei molteplici aspetti problematici che il «ritaglio» dalla disciplina-madre (realizzato dai commi 194 - 206 della legge 228 del 2012), in una con la stessa disciplina generale, ha determinato dalla sua entrata in vigore ad oggi. Tra questi, vanno qui solo sommariamente ricordati il contrasto relativo alla applicabilità delle previsioni in tema di tutela dei terzi creditori ai provvedimenti di confisca estesa (o assimilati) emessi in sede penale e quello relativo al subingresso di nuovo creditore, in luogo di quello originario, in epoca successiva alla trascrizione del provvedimento di sequestro (il primo aspetto ha visto l'intervento espresso del Legislatore del 2017, che non solo ha confermato la linea interpretativa tendente alla 'parificazione' della tutela dei terzi ma ha esteso, con norma di interpretazione autentica, alla confisca estesa la disciplina transitoria contenuta nella legge 228 del 2012; circa il secondo aspetto va segnalata la recente emissione di una ordinanza di rimessione del contrasto alle Sezioni unite (Sez. V, ord. n. 3810 del 2018). In ogni caso, dando per presupposta la tutelabilità astratta (in rapporto ai criteri oggettivi e soggettivi di legittimazione di cui al comma 198) della pretesa vantata dal creditore ante sequestro o ante confisca il punto di criticità consiste nella avvenuta introduzione espressa di una ipotesi di decadenza, disciplinata al comma 199 dell'art. 1 di detta legge. Secondo tale norma, la domanda di ammissione del credito al pagamento (costruita sul modello “a regime” di cui all'art. 58, comma 2, cod. antimafia) per i beni oggetto di confisca già definitiva, va depositata entro 180 giorni dalla entrata in vigore (1 gennaio 2013) della medesima legge. Non rileva il momento specifico in cui la confisca sia divenuta definitiva (basta che sia antecedente al 1 gennaio 2013 e il credito sia ancora esigibile e insoddisfatto) quanto la correlazione tra il diritto vantato e la perdita della garanzia patrimoniale determinata dalla confisca, con residua posizione creditoria tutelabile (per assenza di strumentalità con le condotte illecite o ignoranza incolpevole del nesso). Il legislatore, peraltro, riproduce al comma 205 la previsione decadenziale (sempre con il termine dei 180 giorni) nella ipotesi di confisca divenuta irrevocabile dopo il 1 gennaio 2013 ma in procedimenti governati dalle disposizioni previgenti e ultrattive (legge 1423 del 1956 e legge 575 del 1965) per effetto dei contenuti della disciplina transitoria generale di cui all'art. 117 cod. antimafia. In tal caso, lì dove la proposta applicativa della misura di prevenzione sia stata depositata prima del 13 ottobre 2011 (data di vigenza del d.lgs. n.159 del 2011) l'applicazione della disciplina in punto di tutela del credito vantato dal terzo è regolamentata anch'essa dalla legge di stabilità del 2012, il che dimostra come la voluntas legis sia quella di creare un «sottosistema» teso a rendere immediatamente applicabile a tutti i rapporti pendenti – in senso ampio - il complesso di regole introdotto con la riforma del 2011 (artt. 52 e ss. cod. antimafia) . In tale assetto, il soggetto che si prospetta quale portatore di una condizione giuridica meritevole di tutela – ed ‘inciso' dalla confisca – deve, pertanto, rivolgersi al tribunale della Prevenzione (giudice che ha disposto la confisca) entro il suddetto termine perentorio, che – per come espresso nelle due disposizioni testè citate –, decorre : a) dall'entrata in vigore della legge numero 228 del 2012 (confisca già irrevocabile a tale data); b) dalla data di definitività del provvedimento di confisca (per i procedimenti già in corso alla data del 13 ottobre 2011). Tale onere di attivazione, nell'ottica in cui pare muoversi il legislatore del 2012, prescinde da una comunicazione rivolta da organi pubblici al soggetto titolare della posizione giuridica incisa dalla confisca. In effetti, la disposizione contenuta al comma 206 dell'art. 1 legge 228 del 2012 si occupa di costruire una fattispecie definibile come ‘servente' all'operare della decadenza, posto che impone all' Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) di comunicare ai creditori titolari di posizioni astrattamente tutelabili (previamente censiti nel corso del procedimento che ha dato luogo alla confisca) entro dieci giorni dalla data di vigenza della legge di stabilità 2012 o dalla definitività della confisca: a) la stessa possibilità di proporre la domanda di ammissione del credito; b) la data di scadenza del termine entro cui la domanda va presentata (dunque i 180 giorni dalla entrata in vigore della legge, prima ipotesi, o dalla definitività del provvedimento, nella seconda ipotesi); c) ogni altra informazione utile per agevolare la presentazione della domanda. Tuttavia il testo delle disposizioni appare chiaro nel costruire tale obbligo dell'Agenzia – da realizzarsi a mezzo di posta elettronica certificata ove possibile e, in ogni caso, mediante apposito avviso inserito nel proprio sito internet –, non come il dies a quo della decadenza (che resta ancorata agli eventi prima richiamati) ma come mero fattore di ‘agevolazione' all'esercizio della facoltà spettante al singolo creditore . Tale segmento della disciplina transitoria del 2012 si atteggia - pertanto - con portata di diversificazione e originalità rispetto alla stessa discipina-madre (quella contenuta nel testo del cod. antimafia). Ciò perché nel sistema “a regime” (art. 57 d.lgs. 159/2011) è costruita una sequenza di instaurazione del particolare contraddittorio che, partendo dal sequestro dei beni, pone un onere di individuazione dei creditori in capo all'amministratore giudiziario (correlato all'esercizio dei compiti gestionali) con successiva «assegnazione» ai creditori censiti, da parte del giudice delegato, di un termine perentorio (non superiore a novanta giorni) per il deposito delle istanze di accertamento dei rispettivi diritti. Il decreto del giudice va notificato agli interessati a cura dell'amministratore (art. 57, comma 2, d.lgs. 159/20117), ed il termine per la presentazione delle domande decorre da tale comunicazione (art. 58, comma 5, d.lgs. 159/20117) sicché non vi è dubbio circa l'esistenza di una diversità essenziale tra i contenuti della disciplina ' a regime' e quelli della disciplina transitoria introdotta nel 2012. Mentre nel primo caso il creditore è chiamato ad attivarsi, a pena di decadenza, solo dopo aver ricevuto dall'autorità procedente l'assegnazione del termine (con possibile ammissione di domande tardive, entro un anno dalla definitività della confisca, ove sia dimostrata l'assenza di colpa nel ritardo), nel secondo caso (disciplina transitoria) il creditore è tenuto ad attivarsi in rapporto ad 'eventi' (l'entrata in vigore della legge di stabilità o la definitività del decreto di confisca) i cui effetti prescindono dall'avviso in tema di esercizio della facoltà . La ragionevolezza di simile diversità di regolamentazione (della facoltà di esercizio del diritto) può ipotizzarsi come esistente ove si ponga mente a due fattori incidenti. Il primo, essenzialmente di tipo giuridico, sta nella stessa natura di ogni disciplina transitoria, la cui finalità è essenzialmente quella di rendere applicabile un novum normativo a situazioni ancora non esaurite. In tale ambito, risulta possibile introdurre delle forme di semplificazione (circa le modalità di esercizio del diritto) rispetto al modello 'ordinario', purché si rispetti il contenuto essenziale delle facoltà riconosciute dalla disciplina ' a regime'. Il secondo è di ordine storico/sistematico . Il Legislatore, per i procedimenti già definiti o pendenti al 13 ottobre 2011, pare basarsi su una considerazione di fatto – rappresentata dalla pregressa attività gestionale - ed una di diritto, rappresentata dalla possibilità di intervento nel procedimento del soggetto terzo titolare di diritto reale di garanzia, ai sensi dell'art. 2-ter, comma 5, della legge 575 del 1965, aspetti che portano a ritenere fondata – quantomeno – una presunzione di conoscenza del procedimento pregiudizievole in capo al creditore inciso. Ciò potrebbe aver giustificato la costruzione di un modello legale (in sede di disciplina transitoria) in cui la decadenza dalla facoltà di proporre domanda (essenzialmente limitata ai crediti assistiti da ipoteca) non è correlata alla effettiva comunicazione da parte dell'autorità procedente circa l'esistenza della medesima e del suo termine di proposizione. Su tali premesse storiche si determina – in ogni caso – il contrasto oggetto di esposizione. Il tema è quello della decadenza per la proposizione di domanda 'tardiva' da parte del creditore inciso dalla confisca (deposito dell'istanza successivo al decorso di 180 giorni dalla entrata in vigore della legge di stabilità, per i provvedimenti già definitivi, o dalla data in cui il decreto di confisca è divenuto definitivo, in caso di procedure governate dalle norme ultrattive) . Un primo orientamento interpretativo maturato in sede di legittimità si è espresso in modo netto circa l'impossibilità di valorizzare l'omessa esecuzione – da parte dell'Agenzia Nazionale – dei doveri informativi di cui al comma 206 dell'art. 1 legge del 2012 quale ragione di vanificazione dell'operare della decadenza che, in tale visione, resta ancorata ai momenti indicati dal Legislatore al comma 199 ed al comma 205 . Si ritiene, in tali decisioni (Si vedano, in particolare, Cass. pen., Sez. I, 12 febbraio 2016, n. 20479; Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2016, n. 36626), che le esigenze di certezza, tempestiva definizione dei rapporti pendenti e parità di trattamento siano state perseguite, non irragionevolmente, dal legislatore attraverso la previsione di una decadenza ancorata ad un evento giuridico ben individuato (la data di vigenza della legge di stabilità del 2012 o la data in cui la confisca è divenuta definitiva) e strutturata con concessione di un termine congruo, sicché l'omessa esecuzione degli adempimenti, da parte dell'Agenzia, tesi ad agevolare il creditore nell'esercizio della facoltà, non avrebbe conseguenza alcuna sulla tempestività o meno della domanda. Con l'ordinanza numero 54794 del 2017 (deliberata il 16 novembre 2017) la medesima sezione della Corte di cassazione esprime una diversa opinione sul tema, con rimessione del quesito in diritto alle Sezioni unite della Corte. Il provvedimento, premessa la ricognizione dei fatti (confisca emessa in procedura di prevenzione e divenuta definitiva nel gennaio del 2012 / domanda di riconoscimento del credito garantito depositata in data 28 gennaio 2014 / provvedimento di inammissibilità emesso dal giudice della esecuzione per tardività, ai sensi dell'art. 1, comma 199, della legge 228 del 2012) muove dalla considerazione per cui, in via generale, la previsione di una decadenza per l'esercizio di un'azione posta a tutela di un diritto soggettivo implica la conoscibilità per l'interessato del momento di iniziale decorrenza di detto termine, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il tempo assegnatogli, pena la violazione dei contenuti dell'art. 24 della Costituzione. Ciò posto, si dissente circa la pretesa «irrilevanza» dell'omesso adempimento dei doveri informativi gravanti sull'Agenzia Nazionale ai sensi del comma 206 dell'art. 1 legge 228 del 2012, posto che - fermo restando l'ancoraggio della decorrenza del termine ai diversi 'eventi' indicati dal legislatore - è proprio l'adempimento di tali oneri informativi, si afferma, a rendere concreta l'esigibilità del rispetto del termine. In altre parole, si evidenzia che lì dove non risulti rispettato il procedimento comunicativo, in tale comma descritto, il creditore potrebbe venirsi a trovare in una condizione di inerzia incolpevole, tale da giustificare – al di là di quanto previsto dalla disciplina a regime in punto di domande tardive – l'applicazione della generale disposizione processuale che regolamenta la restituzione nel termine (Si tratta, come è noto, dell'art. 175 comma 1 del codice di rito penale, pacificamente applicabile anche alle 'parti private'). La questione sollevata implica, pertanto, la soluzione – da parte delle Sezioni unite –di più quesiti che potrebbero definirsi 'intermedi'. Il primo riguarda, per il vero, la stessa ragionevolezza (ma in chiave di legittimità costituzionale) di una disciplina transitoria che, come si è notato, realizza un modello operativo di tutela «semplificato» rispetto alla disciplina introdotta 'a regime'. Sul tema, sono state ipotizzate in precedenza le possibili ragioni di riequilibrio sistematico (esistenza del procedimento di cognizione a monte, con presunzione semplice di conoscenza, da parte del creditore inciso, del vincolo trascritto sul bene, nonchè possibilità di intervento del titolare del diritto reale di garanzia nel procedimento teso alla applicazione della confisca) che potrebbero condurre ad una valutazione di compatibilità con le ricadute dei principi costituzionali. Il secondo, più strettamente nomofilattico, riguarda il 'senso complessivo' della disposizione contenuta nel comma 206 dell'art. 1 della legge 228 del 2012, lì dove tale previsione di legge pare costruire un obbligo accessorio finalizzato non già a realizzare le condizioni di operatività della decorrenza del termine decadenziale, quanto ad agevolare i titolari della condizione giuridica nell'opera di ricognizione dei contenuti complessivi della legge. Il terzo, da ipotizzarsi in sequenza, riguarda la possibilità o meno di accesso - in sede di applicazione della disciplina transitoria – a quel frammento di disciplina 'generale' rappresentato dalla regolamentazione della domanda tardiva (art. 58, comma 5, del d.lgs. 159 del 2011) apparentemente precluso dal mancato richiamo espresso. In tal caso detta disposizione (che la stessa ordinanza di rimessione prospetta come non applicabile) potrebbe svolgere un ruolo di clausola di salvezza – con incremento di discrezionalità in capo al giudice della esecuzione – in tutti i casi di potenziale superamento incolpevole del termine di decadenza. 2.
All'udienza del 16 novembre 2017 la Prima Sezione penale della Corte di cassazione, investita del ricorso proposto da Business Partner Italia s.c.p.a. avverso il provvedimento emesso in data 10 dicembre 2014 dal tribunale di Palermo ha rimesso - di ufficio - alle Sezioni unite la questione relativa al contrasto potenziale prima illustrato, in tema di individuazione del termine di decadenza di cui all'art. 1, comma 199, della legge 228 del 2012 e possibilità di restituzione nel termine in caso di domanda tardiva. 3.
Il Primo Presidente, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 610 c.p.p. ha fissato la trattazione del ricorso innanzi le Sezioni unite per l'udienza del 22 febbraio 2018. 4.
All'udienza del 22 febbraio 2018, le Sezioni unite della Cassazione penale, chiamate a decidere sulla questione controversa «se i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti di prevenzione, per i quali non si applica la disciplina del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito, al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca, nel termine di decadenza previsto dall'art. 1, comma 199, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all'art. 1, comma 206, della legge da ultimo citata» hanno dato risposta «positiva, perchè il termine di decadenza previsto dall'art. 1, comma 199, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 decorre indipendentemente dalle comunicazioni di cui al successivo comma 206. L'applicazione di detto termine è comunque subordinata all'effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui è stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca. È, in ogni caso, fatta salva la possibilità del creditore di essere restituito nel termine stabilitp a pena di decadenza se prova di non averlo potuto osservare per causa a lui non imputabile» 5.
Le Sezioni unite, sentenza n. 39608 (dep. il 3 settembre 2018), hanno risolto il dubbio interpretativo sin qui illustrato, affermando i seguenti principi di diritto (intermedi e conclusivo): a) un termine decadenziale non può decorrere, nell'ambito di un procedimento, lì dove il soggetto gravato dalla sua osservanza non conosca l'esistenza del procedimento medesimo; b) l'istituto generale della restituzione nel termine di cui all'art. 175 c.p.p. presuppone che il termine di cui si discute sia già integralmente decorso; c) i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti di prevenzione, per i quali non si applica la disciplina del d.lgs. 159 del 2011, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito al giudice della esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca nel termine di decadenza previsto dall'art.1, comma 199, della legge 24 dicembre 2012, n.228, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all'art. 1, comma 206, della legge da ultimo citata; e ciò perché il termine di decadenza previsto dal richiamato comma 199 decorre indipendentemente dalle comunicazioni di cui al successivo comma 206. L'applicazione di detto termine è comunque subordinata all'effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui è stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca. È in ogni caso fatta salva la possibilità del creditore di essere restituito nel termine, stabilito a pena di decadenza, se prova di non averlo potuto osservare per caqusa a lui non imputabile.
La decisione in esame analizza il quesito sottoposto in sede di rimessione e lo risolve attraverso una ponderata “combinazione” di criteri ermeneutici letterali e sistematici, chiarendo il senso delle disposizioni legislative, con forte ispirazione a contenuti di principio. Va immediatamente chiarito che quanto al quesito specifico, prima illustrato, le Sezioni unite confermano che i contenuti del comma 206 dell'articolo 1 della legge 228 del 2012 (obblighi informativi gravanti sull'Agenzia Nazionale) hanno mera funzione servente e agevolativa delle modalità di presentazione della domanda di ammissione del credito e il termine di decadenza resta quello previsto – con chiarezza – dal comma 199 (i 180 giorni decorrenti dal 1 gennaio del 2013 o dalla data di definitività della confisca, se posteriore, in procedura di prevenzione vecchio rito). Non può dunque identificarsi il dies a quo della decadenza con la ricezione di simile comunicazione, restando la decadenza stessa fissata dal Legislatore all'evento specifico (entrata in vigore della legge del 2012/definitività della decisione di confisca) preso in considerazione nel comma 199 dell'art. 1 della legge del 2012. Ciò posto, si ritiene – tuttavia – di precisare che la ratio della disciplina transitoria adottata con la legge di stabilità del 2012 (individuata nella necessità di rapida definizione dei contenziosi pendenti) non può cancellare talune garanzie fondamentali, spettanti al soggetto titolare della posizione soggettiva tutelabile e inciso dalla decisione di confisca. Tra queste, di fondamentale rilievo, è quella del diritto alla “conoscenza” della fonte del potenziale pregiudizio – rappresentata dal procedimento di prevenzione – costruito sistematicamente in chiave di presupposto per l'operare della decadenza. In altre parole il termine di decadenza inizia a decorrere se – e in quanto – il soggetto destinatario sia venuto a conoscenza della esistenza del procedimento (o del provvedimento) pregiudizievole. Conviene soffermarsi su tale premessa teorica, essenziale per comprendere il senso del ragionamento espresso dalle Sezioni unite. In particolare, il massimo organo nomofilattico realizza – nelle sue premesse – una significativa assimilazione tra le garanzie spettanti al terzo creditore (soggetto che in virtù della confisca vede estinto il diritto di credito correlato al bene oggetto di ablazione) e quelle spettanti al terzo “proprietario formale” del bene confiscato (perché ritenuto nella disponibilità di fatto del soggetto pericoloso), riconducendo entrambe le posizioni soggettive in questione all'ampia nozione di tutela della proprietà riconosciuta dall'art. 1 prot. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Vengono infatti citate, in premessa, decisioni della Corte Edu applicative di tale parametro, tese a promuovere il giusto equilibrio tra l'interesse generale alla confisca e i diritti del singolo (Corte Edu, 26 giugno 2001, CM c. Francia). Si cita, altresì, la recente direttiva 2014/42/Ue in tema di congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato, in particolare lì dove – al considerando 33 – si valorizza la necessaria tutela dei diritti dei terzi in tutte le ipotesi di confisca. Ciò porta a delineare il contenuto di taluni principi generali – che assicurano la compatibilità costituzionale e convenzionale della confisca di prevenzione – tra cui quello relativo alla necessaria effettività della tutela giurisdizionale di tutte le posizioni giuridiche soggettive interessate dal procedimento. Tale diritto alla effettività della tutela presuppone – tra l'altro – che il procedimento di confisca sia conosciuto dagli interessati . Dunque la conoscenza del procedimento (o del suo esito) si pone – in tale ottica – come una condizione essenziale per lo stesso sorgere della decadenza, nel senso che a fronte del dato formale – rappresentato dalla entrata in vigore della legge del 2012 o dalla definitività della decisione e dal decorso dei 180 giorni – il titolare del diritto di credito inciso può allegare la mancata conoscenza del procedimento di prevenzione (o del provvedimento di confisca) come fattore idoneo a determinare una “diversa decorrenza in concreto” della decadenza, sì da rendere ammissibile una domanda di ammissione apparentemente tardiva. Le Sezioni unite, su tale aspetto, precisano che evidentemente il Legislatore del 2012 – anche in virtù degli assetti normativi raggiunti, nell'ambito della legge 575 del 1965, sulla partecipazione al procedimento di cognizione del titolare di un diritto reale di garanzia – ha ritenuto di presumere in capo a tali soggetti la conoscenza del procedimento, ma tale presunzione non può identicarsi come assoluta. Una volta introdotta la domanda apparentemente tardiva – e allegata la mancata conoscenza del procedimento – spetterà al giudice del merito «la verifica, sulla base degli atti e delle ulteriori informazioni acquisibili, della fondatezza di tali prospettazioni» (così a pag. 28 della decisione). Ovviamente tra tali informazioni rientra la verifica della condotta tenuta dall'Agenzia nazionale, nel senso che in presenza di una comunicazione operata ai sensi del comma 206 il creditore difficilmente potrà allegare con successo la mancata conoscenza del provvedimento di confisca. È importante segnalare, peraltro, che tale assetto non equivale a una domanda di restituzione nel termine di cui all'art. 175 c.p.p. Nell'ipotesi di mancata conoscenza del procedimento (o del provvedimento) di prevenzione il termine di decadenza non inizia a decorrere (perché decorre solo dal momento, successivo, di conoscenza del provvedimento) mentre l'ipotesi presa in esame nel corpo dell'art. 175 è quella del termine inutilmente decorso. Questa è la ragione per cui le Sezioni unite, pur confermando l'applicabilità della disposizione in parola al caso della domanda di ammissione del credito, assegnano a tale istituto una funzione meramente residuale, nel senso che: a) il soggetto era a conoscenza del provvedimento o del provvedimento; b) la domanda non è stata presentata nel termine per fatti impeditivi incolpevoli. Da ultimo, va evidenziato che le Sezioni unite – così ricostruita la disciplina legislativa e precisata la correlazione tra la medesima ed alcuni principi generali – escludono che in sede di disciplina transitoria (legge 228/2012) possa applicarsi la previsione di legge ‘a regime' di cui all'art. 58, comma 5, d.lgs. 159 del 2011 (domanda tardiva entro un anno dalla definitività della confisca), sia in virtù del fatto che tale disposizione non è espressamente richiamata dai contenuti della legge228/2012 che in ragione del diverso ambito applicativo rispetto al tema dedotto. |