Le attività istruttorie necessarie per riformare in melius in appello una sentenza di condanna di primo grado
22 Dicembre 2017
1.
Vi è contrasto (e, per la verità, anche qualche equivoco) in giurisprudenza in ordine alle attività istruttorie necessarie per riformare in melius, in appello, una sentenza di condanna di primo grado.
Premessa. La reformatio in peius di una sentenza di assoluzione nella giurisprudenza della Corte Edu. Con riguardo alla possibilità e ai limiti entro i quali è possibile la riforma in peius in appello di una sentenza assolutoria di primo grado, la Corte Edu (con orientamento consolidato, ribadito più recentemente dalle sentenze 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia; 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; 4 giugno 2013, Hanu c. Romania; 22 settembre 2015, Nitulescu c. Romania; 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia) è ferma nel ritenere che la condanna emessa in grado di appello, in riforma di una pronuncia assolutoria emessa in primo grado, non si pone, in linea astratta, in contrasto della Convenzione Edu (e in particolare con il disposto dell'art. 6 § 1), purché l'affermazione di responsabilità, qualora determinata da una diversa valutazione di attendibilità di prove dichiarative ritenute decisive, consegua all'esame diretto dei testimoni da parte del giudice del gravame, ciò in quanto la rivisitazione dell'originario verdetto assolutorio non può avere luogo correttamente, nel rispetto dei principi del giusto processo, senza una diretta valutazione delle prove fornite dai testimoni dell'accusa, poiché «coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. La valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate» (Corte Edu, sentenza Dan c. Moldavia cit., § 33). La mancata escussione da parte della Corte d'appello dei testimoni esaminati in primo grado e il fatto che la Suprema Corte di legittimità non cerchi di porvi rimedio rinviando il caso alla Corte d'appello per un nuovo esame degli elementi di prova, riduce sostanzialmente ridotto il diritto di difesa del ricorrente, in quanto «uno dei requisiti di un processo equo è la possibilità per l'imputato di affrontare i testimoni in presenza di un giudice che deve decidere la causa, perché le osservazioni del giudice sul comportamento e la credibilità di una certa testimone possono avere conseguenze per l'imputato» (Corte Edu, sentenza Hanu c. Romania cit., § 39); ciò non vale, peraltro, nei casi in cui risulti impossibile riesaminare un testimone, perché, per esempio, è deceduto, ovvero perché occorre tutelare il diritto del testimone di non auto-accusarsi (Corte Edu, sentenza Dan c. Moldavia cit., § 33).
La giurisprudenza interna. La giurisprudenza di legittimità ha generalmente recepito il predetto orientamento della Corte Edu; risulta, pertanto, pacifico che il giudice d'appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, quando intenda operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova testimoniale decisiva ai fini dell'affermazione di responsabilità, ritenuta in primo grado non attendibile, sia obbligato – in base all'art. 6 Conv. Edu, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu – alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (Cass.pen., Sez. VI, n. 16566/2013; Cass.pen., Sez. V, n. 52208/2014; Cass.pen., Sez. III, n. 11658/2015). Il principio risulta conclusivamente ribadito dalle Sezioni unite (n. 27620/2016, Dasgupta) nei seguenti termini: «La previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Edu, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte Edu, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado». Le Sezioni unite hanno anche osservato – sia pure in via meramente incidentale (poiché i temi non avevano alcun rilievo ai fini della decisione) – che «l'esigenza di rinnovazione della prova dichiarativa non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante, sia esso testimone "puro" (art. 197 c.p.p.) o testimone "assistito" (art. 197-bis c.p.p.)», precisando, sempre in via meramente incidentale, che «a simile conclusione deve pervenirsi anche in caso di dichiarazioni di coimputato in procedimento connesso (art. 210 c.p.p.) o di coimputato nello stesso procedimento (art. 503 c.p.p.), fermo restando che l'eventuale rifiuto di sottoporsi ad esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l'imputato prosciolto in primo grado, cui va conservato il diritto di confrontarsi con la prova dichiarativa, la quale, nella valutazione del primo giudice, non era stata considerata concludente per l'affermazione della sua responsabilità penale»; discorso analogo andrebbe fatto «per le dichiarazioni rese dall'imputato in causa propria (v. sul punto Corte Edu, Sez. 3, 14/01/2014, Cipleu c. Romania): fermo restando che, ove anche su esse si sia basata la pronuncia assolutoria, dovendo in tal caso il giudice di appello promuovere un nuovo esame dell'imputato, dal rifiuto di questo di sottoporvisi non potrebbe conseguire, evidentemente, alcuna preclusione all'accoglimento della impugnazione, perché ciò equivarrebbe ad attribuire all'imputato il potere di condizionare potestativamente l'esito del processo». La necessità della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ai fini della riforma in peius dell'originario verdetto assolutorio è stata ritenuta anche con riferimento all'esame di periti e consulenti (Cass. pen., Sez. II, n. 34843/2015), non anche quando il giudice d'appello compia una diversa valutazione di prove non dichiarative ma documentali (Cass. pen., Sez. II, n. 29452/2013, con la precisazione che rientrano tra le prove documentali anche le conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione: nel caso di specie, il diverso apprezzamento concerneva l'uso ed il significato di espressioni criptiche e/o fuori contesto, contenute in intercettazioni telefoniche; conformi, Cass. pen., Sez. VI, n. 36179/2014 e Cass. pen., Sez. II, n. 677/2015).
I casi nei quali la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale non è necessaria. La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è stata ritenuta non necessaria nei seguenti casi:
Decisiva conferma dell'orientamento perviene, ancora una volta, dalle Sezioni unite (n. 18620/2017, Patalano), per le quali «il giudice d'appello che intenda procedere alla reformatio in peius di una sentenza assolutoria di primo grado, […] non ha l'obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione».
La riforma in melius della sentenza di condanna di primo grado. Il primo orientamento. Premesso che l'obbligo per la Corte di appello di rinnovare l'istruzione e di escutere nuovamente i dichiaranti, gravante su detto giudice qualora intenda esaminare l'opportunità di valutare diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (sancito dall'art. 6 Conv. Edu, come interpretato dalla sentenza della Corte Edu) costituisce espressione di un generale principio di immediatezza, un orientamento ha ritenuto che detto obbligo sia configurabile non solo quando il giudice d'appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, ma anche nell'ipotesi in cui intenda riformare una condanna in primo grado in assoluzione (Cass. pen., Sez. II, n. 32619/2014: la S.C. ha precisato che, in siffatta situazione, l'obbligo di rinnovare la prova orale è ancora più stringente quando, nel processo concluso con condanna in primo grado che si intenda riformare, vi sia stata la costituzione di parte civile; il principio è stato successivamente ribadito da Cass. pen., Sez. II, n. 50643/2014, Cass. pen., Sez. III, n. 42982/2015, Cass.pen., Sez. II, n. 36434/2015, Cass. pen., Sez. V, n. 36208/2015 e Cass.pen., Sez.V, n. 42389/2015).
L'orientamento contrario. Altro orientamento ha ritenuto, al contrario, che l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale e di escutere nuovamente i dichiaranti, gravante sul giudice d'appello qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (sancito dall'art. 6 Cedu, come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c. Moldavia), sia configurabile soltanto quando il giudice d'appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, non anche nell'ipotesi in cui la nuova assunzione della prova dichiarativa venga sollecitata dall'accusa, al fine di ottenere il ribaltamento della decisione assolutoria (Cass. pen., Sez. VI, n. 44084/2014; conformi, Cass.pen., Sez. V, n. 29827/2015 e Cass. pen., Sez. III, n. 42443/2016). L'orientamento è stato successivamente ribadito dalle Sezioni unite (sentenza n. 27620/2016, Dasgupta, cit.), nei seguenti termini: «è il caso di notare che, proprio in quanto non viene in questione il principio del ragionevole dubbio, non può condividersi l'orientamento secondo cui anche in caso di riforma della sentenza di condanna in senso assolutorio il giudice di appello, al di là di un dovere di motivazione rafforzata, deve previamente procedere a una rinnovazione della prova dichiarativa (in questo senso, ma isolatamente, Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, Pipino, Rv. 260071)»: l'affermazione muove dalla considerazione di uno soltanto tra i plurimi precedenti esistenti in argomento, ed è stata meramente incidentale, in quanto priva di rilievo ai fini della decisione in oggetto, tanto che le Sezioni Unite non hanno ritenuto di farne conseguire la conclusiva enunciazione di un principio di diritto ex art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p.; essa non risulta ad oggi massimata. A detto orientamento risulta essersi successivamente conformata Cass. pen., Sez. IV, n. 4222/2017.
La decisione più recente. Il primo orientamento risulta in parte più recentemente ribadito da Cass. pen., Sez. II, n. 41571/2017 per la quale testualmente (f. 21 s.) «l'art. 603, comma 3, c.p.p. in applicazione dell'art. 6 Conv. Edu deve essere interpretato nel senso che il giudice di appello per pronunciare sentenza di assoluzione in riforma della condanna del primo giudice deve previamente rinnovare la prova testimoniale della persona offesa, allorché, costituendo prova decisiva, intenda valutarne diversamente l'attendibilità, a meno che tale prova risulti travisata per omissione, invenzione o falsificazione». Dopo aver chiarito che l'esigenza della motivazione rafforzata si pone per ogni forma di reformatio, quale che ne sia l'esito, la decisione ha valorizzato, per giungere ad una interpretazione convenzionalmente (ex art. 6 Conv. Edu) e quindi costituzionalmente (ex art. 117 Cost.), orientata dell'art. 603 c.p.p., consolidati orientamenti della giurisprudenza della Corte Edu: «Infatti, da ultimo (Ben Moumen c. Italia del 23/06/2016) la stessa Corte ha ricordato che “nell'esaminare un motivo di ricorso relativo all'articolo 6, la Corte deve in sostanza determinare se il procedimento penale abbia rivestito un carattere equo (si veda, tra molte altre, Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, § 84, Corte Edu 2010). Per farlo, essa considera il procedimento nell'insieme e verifica se siano stati rispettati non soltanto i diritti della difesa ma anche l'interesse del pubblico e delle vittime a che gli autori del reato siano debitamente perseguiti (GMgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 175, Corte Edu 2010) e, se necessario, dei diritti dei testimoni (si vedano, tra moltissime altre sentenze, Doorson c. Paesi Bassi, 26 marzo 1996, § 70, Recueil des arréts et décisions 1996-11, e Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito [GC], nn. 26766/05 e 22228/06, § 118, Corte Edu 2011). La Corte rammenta anche in questo contesto che la ricevibilità delle prove è regolata dalle norme di diritto interno ed è di competenza dei giudici nazionali, e che il suo unico compito consiste nel determinare se il procedimento sia stato equo (GMgen, sopra citata, § 162, con i riferimenti ivi citati)”. Del resto, nell'ambito delle decisioni della Corte Europea si assiste ad una sempre maggior tutela della parte civile: si veda in particolare la sentenza Alikaj e altri contro Italia del 29/03/2011, relativa ad un caso di dichiarata prescrizione del reato contestato a un membro della polizia che aveva ucciso una persona nel corso di un inseguimento dopo la fuga a seguito di un controllo stradale, la quale ha ritenuto che il sistema penale, così come era stato applicato nella fattispecie, non poteva generare alcuna forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti, parti civili nel processo penale, e che l'esito della procedura penale controversa non aveva offerto una adeguata riparazione della offesa arrecata al valore sancito dall'articolo 2 della Convenzione; si vedano ancora le sentenze nei caso Beganovic c. Croazia del 25/06/2009 e Kosteckas c. Lithuania del 13/06/2017, che hanno ritenuto equiparabile ad un trattamento disumano e degradante, con conseguente violazione dell'art. 3 della Convenzione Edu, il fatto che il sistema giudiziario, pur quando la vittima sia stata risarcita in sede civile, non aveva portato, per prescrizione dell'azione penale, alla punizione in sede penale dei colpevoli dell'atto criminoso. In tal modo, la Corte Edu mostra di concepire la costituzione di parte civile non soltanto nell'interesse della parte lesa, ma anche nell'interesse pubblico della difesa sociale preventiva e repressiva contro il delitto e strumento per attenuare l'allarme sociale e soddisfare il desiderio di giustizia delle vittime».
La dottrina. La citata decisione della seconda Sezione è stata accolta con favore dalla dottrina (H. BELLUTA, Oltre Dasgupta o contro Dasgupta? In Dir. pen. cont.), per la quale, «certamente, a fronte del paradosso – alimentato dal nuovo comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., a norma del quale la rinnovazione parrebbe persino obbligatoria a fronte dell'appello del Pubblico Ministero avverso sentenza di proscioglimento, quando la doglianza converga su ragioni attinenti alla valutazione della prova dichiarativa – di un appello più garantito laddove investa un proscioglimento (con conseguente necessità di immediatezza ed oralità), rispetto all'appello (verosimilmente dell'imputato) contro una sentenza di condanna (con possibile rivalutazione ex actis), la posizione oggi assunta dalla Seconda Sezione potrebbe ridare al sistema un simulacro di coerenza».
Il contrasto. Il contrasto, presunto o potenziale, riguarda comunque una questione di grande rilievo: in astratto, ne va, quindi, considerata con estremo favore la rimessione alle Sezioni unite. Si impone, peraltro, qualche precisazione.
Il quadro normativo di riferimento. La decisione che, si dice, avrebbe dato vita al potenziale contrasto giurisprudenziale enucleato su una questione di speciale importanza, è stata adottata nella vigenza dell'art. 603 c.p.p. prima delle modifiche ad esso apportate dalla riforma Orlando (l. 103/2017), il cui art. 1, comma 58, ha introdotto un nuovo comma 3-bis a norma del quale «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». Le Sezioni unite dovranno, quindi, in primo luogo, stabilire se la predetta modifica sia rilevante, o meno, e applicabile, o meno, con riguardo al caso da esaminare:
Si porrebbe, in tale ultimo caso, un ulteriore problema, ovvero se il “nuovo” effetto semi-vincolante dell'enunciazione del principio di diritto da parte delle Sezioni unite (alle quali – in caso di dissenso – le Sezioni semplici hanno ora – ex art. 618, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 1, comma 66, l. 103/2017 – l'onere di rimettere la decisione della questione, senza facoltà di pronunziarsi in difformità) possa riguardare anche i principi di diritto affermati in via meramente incidentale. Si tratta di un tema di estrema delicatezza, sul quale sarebbe auspicabile un'ampia riflessione ad opera di tutti gli operatori del diritto.
La rilevanza della questione. Il rilevato potenziale contrasto giurisprudenziale su una questione di speciale importanza riguarda, in realtà, unicamente la necessità o meno della riaudizione «della prova testimoniale della persona offesa»: questo soltanto ha ritenuto necessario Cass.pen., Sez. II, n. 41571/2017 cit., non altro. Eppure la citata decisione risulta ad oggi massimata nei seguenti termini (massima ufficiale n. 270750): «In tema di rinnovazione del dibattimento, l'obbligo per il giudice di appello, sancito dall'art. 6 Cedu, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, di escutere nuovamente i dichiaranti qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado, costituisce espressione di un generale principio di immediatezza e trova pertanto applicazione, non solo nel caso di riforma della decisione assolutoria, ma anche quando il giudice d'appello intenda riformare la sentenza di condanna emessa in primo grado». Massimando un principio di diritto secondo il quale, ai fini della reformatio in melius in appello di una sentenza di condanna di primo grado, sarebbe necessario «escutere nuovamente i dichiaranti qualora [la Corte d'appello] valuti [rectius: intenda esaminare la possibilità di valutare] diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado» è stato, pertanto, immotivatamente travisato l'orientamento espresso (attraverso la formulazione di un principio di diritto chiaro ed inequivocabilmente più limitato) dalla Seconda sezione. L'evidenziato errore si ripercuote anche sulla rimessione della decisione alle Sezioni Unite, avvenuta in riferimento alla questione «se il giudice di appello, investito di una impugnazione dell'imputato avverso la sentenza di condanna di primo grado, fondata in tutto o in parte su prove dichiarative, non possa pervenire a una riforma della decisione impugnata nel senso dell'assoluzione senza previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale», laddove la menzionata decisione della Seconda Sezione aveva affermato il principio unicamente, sulla scorta di plurime fonti sovranazionali ed a tutela della vittima del reato, in riferimento alla «prova testimoniale della persona offesa», e nei soli casi in cui, costituendo essa prova decisiva, la Corte di appello intenda esaminare l'opportunità di valutarne diversamente l'attendibilità (e salvi i casi di prova travisata per omissione, invenzione o falsificazione). Tale principio di diritto, l'unico affermato dalla Seconda Sezione, non potrebbe mai assumere rilievo ai fini della decisione del ricorso rimesso alle Sezioni unite, riguardante un caso (di omicidio) nel quale la vittima è deceduta, e non si pone, quindi, il problema di riesaminarla o meno; la questione realmente costituente oggetto di potenziale contrasto giurisprudenziale e, comunque, di speciale importanza potrà, al più, essere esaminata dalle Sezioni unite in via meramente incidentale. 2.
L'ufficio per l'esame preliminare dei ricorsi penali della I Sezione penale ha rimesso al Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione un ricorso avente ad oggetto la seguente questione, ritenuta oggetto di potenziale contrasto giurisprudenziale e, comunque, di speciale importanza: «se il giudice di appello, investito di una impugnazione dell'imputato avverso la sentenza di condanna di primo grado, fondata in tutto o in parte su prove dichiarative, non possa pervenire a una riforma della decisione impugnata nel senso dell'assoluzione senza previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». 3.
Il Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'udienza del 21 dicembre 2017, un ricorso avente ad oggetto la seguente questione, ritenuta oggetto di potenziale contrasto giurisprudenziale, e comunque di speciale importanza: «se il giudice di appello, investito di una impugnazione dell'imputato avverso la sentenza di condanna di primo grado, fondata in tutto o in parte su prove dichiarative, non possa pervenire a una riforma della decisione impugnata nel senso dell'assoluzione senza previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». 4.
Le Sezioni unite della Cassazione penale, chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa se «se il giudice di appello, investito di una impugnazione dell'imputato avverso la sentenza di condanna di primo grado, fondata in tutto o in parte su prove dichiarative, non possa pervenire a una riforma della decisione impugnata nel senso dell'assoluzione senza previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale», hanno affermato che: Il giudice di appello investito dell'impugnazione dell'imputato contro la sentenza di condanna con la quale si deduca l'erronea valutazione della prova dichiarativa, per pervenire alla riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado. Tuttavia, egli è tenuto (ove occorra, previa rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell'art. 603 c.p.p.) ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado.
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