Registrazioni ed intercettazioni, "così simili e così diverse"
24 Febbraio 2017
1.
Le registrazioni delle conversazioni svolte da persone presenti al colloquio – anche senza che sia intervenuto alcun provvedimento autorizzativo dell'autorità giudiziaria ed anche quando la polizia giudiziaria, al fine di precostituire la prova da far valere in giudizio, solleciti le stesse ovvero abbia fornito strumenti utili per effettuarle o contestualmente le ascolti – sono sempre pienamente utilizzabili, ex art. 234 c.p.p., quali prove documentali.
La decisione che nega la rimessione alle Sezioni unite. Con la sentenza n. 3851/2017 la seconda Sezione della Corte di cassazione, dopo avere richiamato i vari orientamenti giurisprudenziali formatisi in proposito, non solo ha ribadito la piena utilizzabilità, tout court, delle registrazioni delle conversazioni svolte da persone presenti ai colloqui quali legittime prove documentali acquisibili, ex art. 234, comma 1, c.p.p. ma ha anche evidenziato, i motivi per i quali, non appare utile un nuovo intervento delle Sezioni unite avendo quest'ultime, a proprio avviso, già esaustivamente risposto, nella sentenza n. 36407/2003, alle obiezioni, ed ai distinguo, formatisi nelle more (Le decisioni che esprimono l'orientamento contrario a quello qui accolto non danno luogo ad argomentazioni “nuove” o, comunque, diverse da quelle già esaminate). Le Sezioni unite, nella citata pronuncia, hanno avuto modo di sostenere che le registrazioni tra presenti costituiscono prove documentali e per ciò solo del tutto avulse dal regime normativo sancito dagli artt. 266 e ss. c.p.p. per le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Si è affermato, significativamente, in quella sede che mai può essere ricondotta nel concetto d'intercettazione la registrazione di un colloquio […] ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque autorizzata ad assistervi in quanto vengono a mancare sia la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione che la “terzietà” del captante. Secondo il massimo consesso di legittimità la conversazione tra presenti nel mentre si svolge entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori – tanto da essere gli stessi legittimati, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es. : segreto d'ufficio), a rendere testimonianza riguardo ai contenuti – interlocutori che, approcciandosi ad essa, sono, pertanto, pienamente liber(i) di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, la quale costituisce il modo per memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall'altro o dagli altri interlocutori. Tale traccia interpretativa è stata seguita da numerose decisioni di legittimità (Cass. pen., Sez. I, n. 14829/2009; Cass. pen., Sez. VI, n. 31342/2011; Cass. pen., Sez. I, n. 6339/2013) avendo esse modo di estendere la “copertura” per l'acquisizione della registrazione tra presenti, svolta con qualsiasi mezzo, anche ai casi in cui fosse già maturato l'intervento della polizia giudiziaria ovvero avendo quest'ultima fornito la strumentazione utile per effettuarla. Nel medesimo solco, ed in modo ancor più netto (Cass. pen., Sez. V, n. 4287/2016) si è avuto modo di precisare sia che la registrazione fonografica di una conversazione telefonica effettuata da uno degli interlocutori alla stessa (ma lo stesso, ovviamente, può affermarsi per un colloquio tra presenti) altro non è che la memorizzazione fonica di un fatto storico, pertanto pienamente utilizzabile in sede dibattimentale, e sia che la trascrizione di essa null'altro si sostanzia se non in una mera trasposizione del suo contenuto su di nastro magnetico – (la registrazione fonografica della conversazione […] costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale si può disporre legittimamente a fini probatori, trattandosi di una prova documentale pienamente utilizzabile (ove anche fosse stata effettuata dietro suggerimento o su incarico della polizia giudiziaria) proprio in quanto registrazione operata da persona che, per essere protagonista della conversazione, era pienamente legittimata a rendere testimonianza nel processo).
Il diverso orientamento ed un incongruo corollario. A differenza degli orientamenti postisi nel solco delle Sezioni unite se n'è andato formando un altro che individua nell'impulso (o nell'intervento) della polizia giudiziaria il discrimine tra l'attività di registrazione, che rientrerebbe nel perimetro dettato dall'art. 234, comma 1, c.p.p., e quella intercettizia, quest'ultimada ritenere fuori da quei confini in quanto avente già valenza investigativa con quel che questo determina in termini di necessaria e preventiva autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria. Nella sentenza n. 19158/2015 la stessa seconda Sezione della Corte di legittimità (in diversa composizione) si è discostata dall'insegnamento nomofilachico delle Sezioni unite sostenendo che tutte le volte in cui la registrazione avviene a mezzo di un privato ma su espressa sollecitazione della polizia giudiziaria, ciò costituisce di per sé un'attività investigativa in piena regola – e non una mera forma di documentazione del dialogo intrattenuto tra due soggetti privati e per questo acquisibile ex art. 234, comma 1, c.p.p. – con la conseguenza che per salvaguardarla probatoriamente necessita di un (preventivo) decreto motivato del pubblico ministero (in forma non orale) costituendo esso, non essendo le registrazioni assimilabili alle intercettazioni, la garanzia minima per la compressione del diritto alla segretezza – (le norme sui documenti […] sono state concepite formulate con esclusivo riferimento ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima( e, comunque, non in vista ed in funzione del processo […] Quando la documentazione […] fonica viene etero diretta dalla polizia giudiziaria il diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni viene inciso con una precisa finalità investigativa dato che i relativi contenuti sono destinati certamente ad entrare a far parte del compendio probatorio del processo in corso). La garanzia “minore” del decreto (in forma scritta) del pubblico ministero – rispetto a quella dell'autorizzazione del giudice, prevista dagli artt. 266 e ss. c.p.p. – non è stata, però, ritenuta sufficiente nell'altra situazione fattuale in cui la memorizzazione della conversazione da parte di persona presente al colloquio non solo avviene a mezzo di uno strumento fornito dalla polizia giudiziaria ma quest'ultima, parallelamente, lo registra anch'essa, a mezzo di apposite apparecchiature in sua dotazione. In tali casi, si sostiene, (Cass. pen., Sez. III, n. 39378/2016), che è configurabile, non un'attività documentale acquisibile ex art. 234, comma 1, c.p.p. bensì una vera e propria intercettazione soggetta alla disciplina artt. 266 e ss. c.p.p..
Osservazioni. Registrazioni ed intercettazioni non sono solo due “cose” completamente diverse nella realtà materiale ma, laddove calate nella dinamica, dapprima, giuridica, e, poi, processuale rispondono anche ad istituti e garanzie ontologicamente opposte. Intercettare una comunicazione e/o una conversazione di due, o più soggetti, vuol dire captarne, dall'esterno, i contenuti violando la segretezza e la riservatezza che chi la intrattiene ha diritto a tutelare : infrangere queste garanzie, la prima delle quali (art. 13 Cost.) costituzionalmente sancita, è possibile solo a mezzo di un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Registrare una comunicazione e/o una conversazione che avviene tra due, o più soggetti, non determina, invece, alcuna intrusione dall'esterno in quanto chi la effettua è presente al colloquio: memorizzare su nastro, o su altro dispositivo elettronico, quanto dico ed ascolto, ovvero essere soggetto ignaro della registrazione da parte di un terzo presente, altro non è che la cristallizzazione fonica di un fatto storico al quale partecipo ed in relazione al quale non v'è, né mai vi potrebbe essere, alcun obbligo né di riservatezza né di segretezza, salvo le ipotesi in cui ricorrono situazioni legate al divieto di divulgazione in forza della qualità di uno degli interlocutori. La differenza tra le registrazioni e le intercettazioni (delle conversazioni che si svolgono tra le persone) risiede nell'elementare considerazione che entrambe si effettuano tra soggetti privati ma, nel primo caso, la captazione è svolta a mezzo di una persona presente al colloquio, – la quale ha consapevolezza della registrazione in corso - e, nel secondo, da persona non partecipante ad esso. È per questo che solo le seconde rientrano nell'egida di tutela costituzionale attribuita all'autorità giudiziaria in materia, atteso che nessuno degli interlocutori è a conoscenza della registrazione (dall'esterno) del “loro” colloquio. La garanzia costituzionale della riservatezza (art. 13 Cost.), a differenza di quella della segretezza, non ha ragione di essere: poiché quel colloquio mi “appartiene” avendolo io svolto e potendo sul contenuto dello stesso rendere testimonianza non v'è ragione di preservarlo e ciò anche nel caso in cui la registrazione sia svolta da un terzo presente in quanto il solo fatto di esservi lo legittima a divulgarne il contenuto. La circostanza, poi, che la registrazione sia indotta dalla polizia giudiziaria non determina alcuna influenza sulla agibilità processuale della stessa in quanto proprio il fatto che essa ne può potenzialmente prescindere determina, sotto il profilo formale, l'assoluta legittimità della stessa ed, in sede probatoria, la piena utilizzabilità quale documento. Del tutto irragionevole appare poi voler determinare il mutamento del regime processuale applicabile in forza del fatto che la polizia giudiziaria non si limiti a suggerirne la registrazione, ovvero a fornirne i mezzi, bensì che provveda anche ad ascoltarla mentre si svolge. Alcun aggiramento della disciplina delle intercettazioni è dato evincere in questi casi perché l'ascolto da parte di un captante terzo (polizia giudiziaria) non ammesso al colloquio è già oggetto di registrazione e, quindi, si sovrappone ad essa e non vi si sostituisce. Intercettare un colloquio che il soggetto partecipante ad esso sta già registrando è una contraddizione in termini in quanto in tal caso non si fa altro che duplicare quanto già è oggetto di registrazione, diversificando la documentazione e rafforzandone il portato probatorio. Le obiezioni mosse alla portata onnicomprensiva delle motivazioni formulate dalle Sezioni Unite non intaccano la strutturale diversità degli istituti, diversità che non trova nell'intervento della polizia giudiziari, – in qualsiasi modo esso abbia a manifestarsi – alcuno sviamento in quanto quest'ultimo prescinde totalmente da essa e non può, proprio per tale ragione ontologica, “influenzarne” l'agibilità processual-probatoria.
vedi GIORDANO, La registrazione della conversazione da parte di una persona presente
|