Le Sezioni Unite sulla compatibilità tra la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. e i reati di cui all'art. 73 d.P.R. 309/1990

28 Settembre 2020

Per la terza volta in pochi mesi le Sezioni Unite della Suprema Corte, dopo essersi pronunciate in tema di coltivazione di piante dalle quali sono ricavabili sostanze stupefacenti ed in merito alla circostanza aggravante di cui all'art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/1990, tornano…
1.

Per la terza volta in pochi mesi le Sezioni Unite della Suprema Corte, dopo essersi pronunciate in tema di coltivazione di piante dalle quali sono ricavabili sostanze stupefacenti ed in merito alla circostanza aggravante di cui all'

art. 80, secondo comma,

d.P.R.

309/1990

, tornano ad occuparsi del delitto di cui all'art. 73 del Testo Unico, per scrutinarne la compatibilità con la circostanza attenuante comune del lucro di speciale tenuità.

Secondo l'

art. 62 n. 4

c.p.

, nei delitti determinati da motivi di lucro attenua il reato l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità; come è noto, l'ambito operativo di questa circostanza era originariamente circoscritto ai soli delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio: l'

art. 2

l

. 7 febbraio 1990, n. 19

ne ha poi consentito l'applicazione - così rendendo la circostanza attenuante quasi del tutto speculare alla corrispondente circostanza aggravante prevista dall'

art. 61 n. 7

c.p.

- anche ai delitti determinati da motivi di lucro, senza che dunque abbia più decisiva rilevanza il bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice violata dall'agente, essendo sufficiente che l'azione delittuosa sia stata posta in essere per acquisire un vantaggio di natura patrimoniale.

L'attuale formulazione della norma impone pertanto di valutare tanto il danno cagionato alla persona offesa, quanto l'entità del lucro che si è conseguito o ci si riprometteva di conseguire, dovendosi tuttavia - in relazione a questa seconda categoria di reati - accertare che la speciale tenuità abbia caratterizzato non solo il beneficio economico avuto di mira dall'agente, ma anche l'evento dannoso o pericoloso cagionato dal reato.

All'indomani della novella del 1990 si è invocato il riconoscimento della circostanza attenuante in questione anche in relazione al delitto di cui all'

art. 73

d.P.R.

n. 309/1990

.

Per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità si è arroccata sull'orientamento negativo inaugurato da Cass. pen., Sez. fer., 8 settembre 1990, Cucchi, che fa leva principalmente su due ordini di considerazioni: l'impossibilità di ritenere specialmente tenuel'evento dannoso del delitto in argomento, che offende tra gli altri il bene primario della salute pubblica; l'esistenza di altra disposizione dell'ordinamento (il quinto comma della medesima norma incriminatrice) che già ricollega benefici sanzionatori alla minore offensività della condotta.

In applicazione di questi principi Cass. pen., Sez. IV, 26 febbraio 1993, n. 3621 rilevò l'impraticabilità di una valutazione in termini di speciale tenuità di un evento dannoso, qual è quello cagionato dal delitto in oggetto, che offende non il patrimonio ma la salute del consumatore, così dando continuità a quanto affermato dalla citata sentenza del settembre 1990, nelle cui motivazioni può leggersi che l'evento conseguente ad una cessione di stupefacenti non può mai essere ritenuto di speciale tenuità, «posto che, realizzandosi con tale condotta incremento nella circolazione e nella diffusione di sostanze tossiche, si verifica un evento pernicioso per la salute dell'uomo e negativamente influente sul corretto svolgersi dei rapporti sociali».

Ancor più chiaramente

Cass.

pen

., S

ez. VI, 30 marzo 1999, n. 7830

statuì che l'evento dannoso o pericoloso prodotto dal reato, afferendo ai «valori costituzionali attinenti alla salute pubblica, alla sicurezza ed all'ordine pubblico, alla salvaguardia del sociale», non poteva essere valutato in termini di speciale tenuità.

L'ulteriore argomento a supporto dell'orientamento fu messo in evidenza da

Cass.

pen

., Sez.

IV, 26 giugno 2013, n. 36408

(ma cfr. anche

Cass.

pen

., Sez.

VI, 13 ottobre 2009, n. 41758

;

Cass.

pen

., Sez.

VI, 27 febbraio 2013, n. 23821

e

Cass.

pen

., Sez.

VI,

29 gennaio 2014, n. 9722

), secondo cui ammettere l'applicabilità della circostanza avrebbe comportato «una ingiustificata duplicazione di benefici sanzionatori. Come è noto, infatti, i presupposti dell'applicazione dell'attenuante di cui all'

art. 62 c.p.

, n. 4 nei delitti comunque determinati da motivi di lucro sono due e debbono concorrere: l'avere agito per conseguire, o l'avere comunque conseguito, un lucro di speciale tenuità e l'essere poi l'evento, dannoso o pericoloso, di speciale tenuità. Tale attenuante può, pertanto, essere concessa solo in una situazione caratterizzata dalla “minima offensività” del fatto, sotto il profilo del profitto derivatone per l'agente e del danno dal medesimo provocato, situazione all'evidenza coincidente con i presupposti fattuali che condizionano l'applicabilità dell'attenuante del fatto di “lieve entità”».

In una delle più recenti pronunce in argomento,

Cass.

pen

., Sez.

IV, 16 aprile 2019, n.

32513

ha ribadito che “la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all'articolo 62, numero 4, seconda parte, c.p., non è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti, giacché, quand'anche il lucro conseguito fosse di speciale tenuità, non potrebbe comunque ritenersi soddisfatta l'altra condizione prevista dalla norma e cioè la speciale tenuità del danno o del pericolo derivante al consumatore dall'agire dello spacciatore, sia perché si verte in materia di salute della persona, sia perché occorre tener conto non dei soli danni immediati ma anche di quelli mediati, pur sempre ricollegabili all'uso di sostanze stupefacenti. Inoltre, potendo la ridotta rilevanza economica della violazione di uno dei precetti contenuti nell'

articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990

, costituire indice dell'eventuale configurabilità del fatto di lieve entità, di cui al comma 5 del medesimo articolo, l'eventuale riconoscimento dell'attenuante comune si risolverebbe in una duplicazione della valutazione del medesimo elemento”; negli stessi termini si è ripetutamente espressa anche la Terza Sezione della Suprema Corte (da ultimo cfr. la sentenza del 9 aprile 2019, n. 36371).

In epoca recente hanno ripreso tuttavia vigore quelle pronunce, originariamente isolate, che, valorizzando l'inconsistenza dei due argomenti sui quali si fonda l'opposto orientamento, hanno concluso per la astratta compatibilità tra la circostanza attenuante di cui all'

art. 62 n. 4

c.p.

e il delitto di cui all'

art. 73

d.P.R.

309/1990

.

Ed invero, poiché la norma in esame si limita a richiedere che l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità, non vi è ragione per non effettuare una simile valutazione avendo quale parametro di riferimento il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, di qualunque natura esso sia: di modo che, così come si è già statuito in relazione ai delitti di cui agli

articoli 455

c.p.

(cfr.

Cass.

pen

., Sez.

V, 19 ottobre 2005, n. 43342

: «erroneamente [...] la Corte d'appello ha escluso l'applicabilità dell'attenuante di cui all'art.

62, primo comma, n. 4, c.p.

, affermando solamente che essa non sarebbe applicabile ai reati contro la fede pubblica. Mentre avrebbe dovuto considerare se il numero e il valore delle banconote trovate in possesso dell'imputato erano indicativi o meno della possibilità di trarne un profitto particolarmente modesto e se altrettanto modesto poteva valutarsi il pericolo che tali banconote erano idonee a generare per l'erario e per la fede pubblica»), 171 ter L. 633/1941 (cfr.

Cass.

pen

., Sez.

III, 12 ottobre 2011, n. 2685

),

474

c.p. (cfr.

Cass.

pen

., Sez.

V, 19 marzo 2013, n. 26807

),

314

c.p. (cfr.

Cass.

pen

., Sez.

VI, 22 febbraio 2012, n. 7919

) e 323 c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 1° febbraio 1994), l'apprezzamento della speciale tenuità dell'evento dannoso o pericoloso deve essere effettuato anche in relazione ai beni giuridici protetti dall'

art. 73

d.P.R.

n. 309/1990

, tutte le volte che si accerti che l'azione delittuosa del reo è stata determinata da motivi di lucro

Peraltro, come ha acutamente evidenziato

Cass.

pen

., Sez.

VI, 24 novembre 2016, n. 5812

, sostenendo il contrario verrebbe a crearsi una insanabile contraddizione con la struttura della fattispecie incriminatrice delineata dal legislatore: ed infatti, attraverso l'art. 73, quinto comma, del Testo Unico si «riconosce espressamente la possibilità che un fatto punibile ai sensi del citato art. 73 sia caratterizzato da minima offensività dei beni protetti, pure certamente primari e costituzionalmente garantiti. Ove infatti si ritenesse ontologicamente impossibile il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso “tenue” in caso di violazione della disciplina penale degli stupefacenti, ciò comporterebbe necessariamente anche il venir meno della possibilità di connotare una condotta punibile

ex art. 73

d.P.R.

n. 309 del 1990

quale fatto “di lieve entità” ai sensi del comma 5 dello stesso articolo. Quell'interpretazione si porrebbe quindi in contrasto non solo col chiaro tenore letterale dell'art. 62, n. 4, seconda parte, c.p., il quale prevede l'applicabilità dell'attenuante in questione a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, ma anche col citato art. 73, comma 5. Con la conseguenza che per i reati in materia di stupefacenti si verificherebbe un'ingiustificata abrogazione de facto, per impossibilità dei relativi presupposti legali (che la stessa giurisprudenza in esame assume essere coincidenti), non solo dell'attenuante del lucro di speciale tenuità, ma anche della fattispecie “di lieve entità” di cui all'art. 73, comma 5».

Quanto al secondo argomento, esso è smentito tanto da un argomento sistematico (non è in discussione che la circostanza attenuante in parola possa trovare applicazione anche in relazione a fatti già valutati – ad altri fini – in termini di particolare tenuità: cfr., ad esempio, Cass. pen., Sez. VI, 1 febbraio 1994, che ha statuito che «la qualificazione giuridica dell'ipotesi attenuata dal fatto di particolare tenuità, di cui all'

art. 323-

bis

c.p.

, deve essere effettuata sulla base di una valutazione globale del fatto in tutti i suoi elementi e modalità, con la conseguenza che il dato patrimoniale, ancorché positivamente apprezzato ai fini dell'attenuante prevista dall'

art. 62 n. 4 c.p.

, può non essere sufficiente ad integrare la distinta attenuante in esame, caratterizzata da una più complessa oggettività giuridica»), quanto da un argomento di carattere logico: poiché l'ipotesi di lieve entità è divenuta (per effetto della novella introdotta dal

d.l.

23 dicembre 2013, n. 146

) ipotesi autonoma di reato, il riconoscimento della circostanza attenuante comune non comporta alcuna duplicazione di benefici sanzionatori, «e ciò - come ha osservato la già citata sentenza n. 5812/2017 - è tanto più vero in quanto quell'attenuante richiede per la sua applicazione l'esistenza di un elemento ulteriore rispetto alla tenuità dell'offesa (comune alle due norme considerate) e come tale specializzante rispetto al fatto lieve di cui all'art. 73, comma 5. Elemento consistente nell'essere il delitto determinato da motivi di lucro e nell'avere l'agente perseguito, o effettivamente conseguito, un lucro di speciale tenuità».

Si è dunque affermato che «la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'

art. 62 n. 4

c.p.

è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti, in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile» con l'ipotesi «del fatto di lieve entità, prevista dall'

art. 73

comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990

» (

Cass.

pen

., Sez.

VI, 18 gennaio 2011, n. 20937

, ovvero, negli stessi termini, più di recente,

Cass.

pen

., Sez.

IV, 21 maggio 2019, n. 38381

).

2.

La Quarta

Sezione

della Suprema Corte, con ordinanza n. 42731 del 10 /17 ottobre

2019

, ha rimesso alle Sezioni unite la seguente questione controversa:

se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'

art. 62 c.p.

, n. 4 sia applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, e se sia compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dal

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73,

comma 5.

Nell'esaminare il ricorso per cassazione dell'imputato, condannato per il reato di cui all'art. 73, quinto comma, del Testo Unico per avere ceduto 2,2 grammi di hashish ricavandone un corrispettivo di dieci euro, i giudici di legittimità, nell'esaminare l'unico motivo di gravame, relativo per l'appunto al mancato riconoscimento della circostanza attenuante dell'

art. 62 n. 4

c.p.

, hanno richiamato il contrasto oramai reso evidente dalle plurime divergenti sentenze degli ultimi anni.

Hanno dunque illustrato le numerose pronunce che in epoca recente hanno ritenuto la circostanza attenuante comune applicabile al caso di specie: «Con sentenza in data 31/1/2018 n. 11363, in proc. Ben Mohamed, (Rv.272519), la Sez. 6 ha affermato che la circostanza attenuante del conseguimento di lucro di speciale tenuità di cui all'

art. 62 c.p.

, n. 4 è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità prevista dal

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73,

comma 5, puntualizzando in motivazione che tale attenuante richiede, rispetto al “fatto lieve”, un elemento specializzante costituito dall'avere l'agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità, per cui non si determina una indebita duplicazione di benefici sanzionatori. Tale puntualizzazione ha risolto i potenziali conflitti di sovrapposizione tra le due norme, originati dal rilievo che l'attenuante comune presuppone, nei delitti determinati da motivi di lucro, che l'agente abbia conseguito un lucro di speciale tenuità ed altresì che l'evento dannoso o pericoloso sia stato di speciale tenuità, così come il

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73,

comma 5, sanziona le condotte illecite in materia di stupefacenti che si connotino per la loro lieve entità (desumibile da una valutazione complessiva della condotta posta in essere, valutata alla luce dei plurimi parametri indicati dalla norma, come è stato poi statuito dalla sentenza delle S.U. n. 51063 del 27/9/2018, in proc. Murolo, Rv.274076).
Secondo l'orientamento condiviso dalla sentenza in esame, l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 presenta un elemento specializzante rispetto alla generale previsione del reato di <lieve entità> in materia di stupefacenti, costituito appunto dall'avere l'agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità, che escluderebbe ogni indebita duplicazione di benefici sanzionatori in caso di contestuale riconoscimento della fattispecie delittuosa del d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (conf. Sez. 6, n. 36868 del 23/06/2017, Taboui (Rv.270671).

Alla medesima soluzione sono pervenute altre precedenti pronunce.

Con sentenza n. 20937 del 18/01/2011, Bagoura (Rv.250028), la Sez. 6 ha sottolineato come la novella dell'

art. 62

c.p.

, n. 4, in precedenza limitata alle ipotesi di danno economico di particolare tenuità prodotto nei reati contro il patrimonio, ha reso applicabile l'attenuante anche ai reati determinati da motivi di lucro, allorché al profitto di speciale tenuità raggiunto dall'imputato si coniughi la complementare produzione di un evento dannoso o pericoloso di speciale tenuità: per effetto di tale modifica l'attenuante in esame è di conseguenza configurabile in ogni tipo di delitto, purché commesso per fini di lucro, a prescindere dalla natura dell'offesa prodotta e dal bene protetto dalla norma incriminatrice, e dunque non circoscritta ai soli reati offensivi di beni ed entità patrimoniali.

Nel solco di tale decisione si inserisce anche la sentenza n. 5812 del 24/11/2016, Samateh (Rv.269032), con la quale la Sez. 6 ha preso espressamente in considerazione tra le altre questioni affrontate - l'aspetto concernente il rischio di “duplicazione” di effetti attenuanti fondati sul medesimo fatto, ossia la tenuità del lucro, che verrebbe ascritta sia quale attenuante, ai sensi dell'

art. 62 c.p.

, n. 4, seconda parte, che ai fini del riconoscimento della fattispecie lieve prevista dal

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73,

comma 5. Si è sostenuto che la trasformazione dell'attenuante speciale prevista dal testo originario del

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73,

comma 5, in autonoma fattispecie di reato [...] comporta che a tale autonoma fattispecie delittuosa corrisponde oggi una specifica cornice edittale, il che fa escludere che l'attenuante comune in esame, destinata ad incidere sull'ordinario trattamento punitivo riservato a quelle condotte, possa determinare un'indebita duplicazione di benefici sanzionatori, in quanto l'attenuante richiede per la sua applicazione l'esistenza di un elemento ulteriore - l'aver conseguito od agito in vista di un lucro di speciale tenuità - specializzante rispetto al “fatto lieve” ci cui al citato art. 73.

Nel medesimo orientamento di compatibilità tra l'attenuante dell'

art. 62 c.p.

, n. 4 e l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità in materia di stupefacenti si colloca poi, di recente, la sentenza

Cass.

pen

.,

n. 5031 del 15

gennaio

2019

, Caruso (Rv.275265), con la quale la Sez. 4 ha ribadito che con la

l

. n. 19 del 1990

il legislatore ha ampliato la latitudine funzionale dell'elemento circostanziale di che trattasi, fino a quel momento limitata alla entità del danno economico prodotto nei reati contro il patrimonio, estendendola ai reati determinati da motivi di lucro, allorché al profilo di speciale tenuità si accompagni, in sincronica relazione, la complementare produzione di un evento dannoso o pericoloso di speciale tenuità».

Hanno poi riassunto l'orientamento contrario, più risalente, ma affermato ancora in epoca recente, “in base al quale la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all'

art. 62 c.p.

, n. 4 non è applicabile ai reati in tema di stupefacenti, in quanto, potendo la ridotta rilevanza economica della violazione di uno dei precetti contenuti nel

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73

costituire indice per la configurabilità della fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 del medesimo articolo, l'eventuale riconoscimento dell'attenuante si risolverebbe in una duplice valutazione del medesimo fatto (in tal senso,

Cass.

pen

.,

Sez.

III

, n. 46447 del 10

ottobre

2017

, Mor, Rv. 272078;

Cass.

pen

.,

Sez.

I

, n. 36408 del 26

giugno

2013

, Lassad, Rv. 255958;

Cass.

pen

.,

Sez.

VI

, n. 23821 del 27

febbraio

2013

, Orlandi, Rv. 255663). Si è ritenuto sul tema che per la configurabilità dell'attenuante dell'

art. 62 c.p.

, n. 4 nei delitti comunque determinati da motivi di lucro debbono concorrere due elementi: l'aver agito per conseguire, o l'avere comunque conseguito, un lucro di speciale tenuità e l'essere poi l'evento, dannoso o pericoloso, di speciale tenuità. Di conseguenza, l'attenuante in parola può essere concessa solo in una situazione caratterizzata dalla “minima offensività” del fatto, sotto il profilo del profitto derivatone per l'agente e del danno dal medesimo provocato, situazione all'evidenza coincidente con i presupposti fattuali che condizionano il riconoscimento della fattispecie di “lieve entità” di cui al

d.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73,

comma 5. Non sarebbe quindi consentita una duplice valorizzazione delle medesime circostanze per addivenire all'applicazione dell'attenuante comune al fatto di lieve entità, già giudicato tale sulla base dei medesimi elementi costitutivi dell'attenuante.

Nelle pronunce che aderiscono a tale orientamento, l'incompatibilità dell'attenuante dell'

art. 62 c.p.

, n. 4 è stata ritenuta anche in ragione dell'ulteriore requisito applicativo consistente nella “speciale tenuità” del danno o del pericolo cagionati, requisito che deve coesistere con quello della tenuità del lucro: nei reati in materia di stupefacenti - si è detto - l'evento non potrebbe essere in alcun caso qualificato in termini di “speciale tenuità”, atteso che le condotte contemplate e penalmente sanzionate dal

d.P.R.

n. 309 del 1990

sono lesive dei valori costituzionali attinenti alla salute pubblica, alla salvaguardia del sociale, alla sicurezza ed all'ordine pubblico, di fronte ai quali resterebbe del tutto irrilevante la ridotta valenza economica del lucro conseguito (in tal senso si sono espresse, in particolare,

Cass.

pen

.,

Sez.

VI

, n. 41758 del 13

ottobre

2009

, Ntkaazouzt, Rv. 245019, e la risalente

Cass.

pen

.,

Sez.

VI

, n. 7830 del 30

marzo

1999

, Chanovi, Rv. 214733).

A questo secondo orientamento “restrittivo”, ha offerto un ulteriore contributo la sentenza della

Cass.

pen

.,

Sez.

III

, n. 18013 del

5 febbraio

2019

(Rv. 275950), ove si è affermato che « ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall'

art. 62 c.p.

, comma 1, n. 4, non si deve avere riguardo soltanto al valore venale del corpo del reato ma anche al pregiudizio complessivo ed al disvalore sociale recati con la condotta dell'imputato in termini effettivi o potenziali. Nella fattispecie la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché la difesa dell'imputato non aveva indicato gli elementi che nella fattispecie concreta avrebbero consentito di configurare l'attenuante invocata: dopo aver valorizzato, a favore della tesi sostenuta, il modesto vantaggio economico conseguito all'agente dalla cessione di una sola dose di eroina, aveva infatti tralasciato di considerare il concorrente presupposto relativo alla speciale tenuità del danno arrecato. Si è argomentato in motivazione che la contestuale rilevanza attribuita dal legislatore al disvalore degli effetti provocati dall'azione criminosa imponeva invece la necessaria considerazione della condotta nella sua globalità in relazione a tutti gli aspetti dannosi derivatine, quali il conseguente disvalore sociale e la pericolosità in termini di salute pubblica».

Ravvisato il

contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, se ne è devoluto l'esame alle Sezioni unite.

3.

Il Primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 30 gennaio 2020 la discussione davanti alle Sezioni Unite della questione:

se la circostanza attenuante del conseguimento di un

lucro di speciale tenuità

di cui all'

art. 62 n. 4 c.p.

sia applicabile al reato di

cessione di sostanze stupefacenti

in presenza di un

evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale

, e se sia compatibile con l'autonoma

fattispecie del fatto di lieve entità

, prevista dall'

art.

73, comma 5, d.P.R. n. 309/90

5.

Nell'udienza del 30 gennaio 2020 le Sezioni Unite Penali della Suprema Corte hanno risolto la questione se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'

art. 62 n. 4 c.p.

sia applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, e se sia compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall'

art.73, comma 5, d.P.R. n. 309/

19

90

, sposando, in relazione ad entrambi i quesiti, la soluzione affermativa.

5.

La sentenza Dabo, n. 24990/2020, è stata depositata il 2 settembre 2020.

Le Corte, dopo aver premesso che i giudici di merito avevano escluso l'invocata circostanza sul rilievo che “un eventuale riconoscimento dell'attenuante - che si fonda sulla ridotta rilevanza economica della violazione - si risolverebbe in una duplice valutazione dei medesimi elementi già considerati per l'inquadramento del fatto nella citata ipotesi delittuosa, con conseguente indebita duplicazione dei benefici sanzionatori”, ha affrontato i “due nuclei problematici” della questione devoluta al suo scrutinio: l'applicabilità della circostanza in questione ai reati in materia di stupefacenti (in particolare, la possibilità “di configurare un evento dannoso di speciale tenuità là dove i beni tutelati abbiano rango costituzionale”, attenendo “alla salute pubblica, alla salvaguardia del sociale, alla sicurezza dell'ordine pubblico”), e, in caso di risposta affermativa, i rapporti tra l'attenuante medesima ed il fatto di lieve entità (in particolare, la denunciata duplice ripercussione sul trattamento sanzionatorio del medesimo elemento valutativo).

Ripercorsi i tratti salienti del contrasto giurisprudenziale, in termini sostanzialmente sovrapponibili all'ordinanza di rimessione, le Sezioni unite hanno ritenuto “condivisibile la soluzione prospettata dall'indirizzo giurisprudenziale più recente, secondo il quale la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'art. 62 c.p., n. 4 è applicabile ai reati in materia di stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato anch'esso da speciale tenuità, ed è compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dal d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5”.

Quanto al primo aspetto, la possibilità di riconoscere l'attenuante in esame anche ai reati in materia di stupefacenti è confermata da “dati testuali, teleologici e sistematici”:

1) il contenuto e la ratio della richiamata novella del 1990, che, come può leggersi nella Relazione illustrativa del disegno di legge dal quale origina il descritto intervento normativo, presentato dal Ministro della Giustizia alla Camera dei Deputati il 19 ottobre 1987, ha inteso “riformulare l'art. 62 c.p., n. 4, in modo simmetrico all'art. 61 c. p., n. 7, che già prevedeva l'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità non solo per i reati contro il patrimonio, ma anche per quelli determinati da motivi di lucro”, assegnando rilevanza non al solo danno patrimoniale arrecato alla persona offesa (perché, come si notava nella citata Relazione, così facendo si sarebbe “contenuta la portata” della circostanza attenuante “in margini eccessivamente ristretti e generalmente riferibili ai soli delitti che tutelano, esclusivamente o in via cumulativa, il patrimonio”), ma, più in generale, al cd. “danno criminale”, così da consentire al giudice di valutare sempre e comunque la “effettiva lesività della condotta criminosa”: la riscrittura della norma non ha, dunque, introdotto “alcuna selezione di categorie di reati operata in via astratta in relazione al bene giuridico protetto”, di modo che la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c. p. può certamente accedere anche a delitti diversi da quelli contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, dovendo venire in rilievo non l'oggetto giuridico tutelato dall'incriminazione, ma bensì la circostanza che il reo abbia agito per conseguire un vantaggio patrimoniale;

2) i molteplici argomenti di carattere sistematico che smentiscono recisamente l'assunto secondo cui l'evento dannoso o pericoloso cagionato dai delitti aventi ad oggetto le droghe, attingendo beni giuridici di primaria importanza e costituzionalmente protetti (la salute, l'ordine e la sicurezza pubblici), non sarebbe mai valutabile in termini di tenuità: non soloil quinto comma dell'art. 73 del Testo Unico, che “dimostra .. - tanto sulla base della pertinente disciplina giuridica che della quotidiana esperienza giudiziaria - che anche per i delitti in materia di stupefacenti è senz'altro configurabile una lesione o messa in pericolo dei beni giuridici protetti caratterizzata da lieve entità”, ma anche l'art. 131-bis c.p., che “non connette alla mera individuazione del bene giuridico protetto alcun rilievo ai fini del giudizio sull'utilità e necessità della pena”, imponendo di guardare non alla categoria alla quale appartiene il reato in contestazione, ma alla sua sola cornice edittale, così potendo certamente trovare applicazione anche in relazione al delitto di cui al quinto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990; dunque, i reati in materia di stupefacenti possono risultare non punibili in ragione della particolare tenuità del fatto, ovvero possono essere caratterizzati da minima offensività, tale da determinare la qualificazione in termini di lieve entità e/o il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c. p.: ed invero, come aveva notato la già richiamata sentenza n. 5812/2019, in un passaggio espressamente richiamato dalle Sezioni Unite Dabo, “posto .. che la pena edittale prevista per l'ipotesi lieve di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, rientra nei limiti di cui all'art. 131-bis, comma 1, e che gli elementi oggettivi di esclusione della particolare tenuità dell'offesa sono specificamente (e tassativamente) descritti nel comma 2 della medesima disposizione, senza che tra essi figuri un qualsivoglia riferimento alla categoria dei delitti in tema di stupefacenti, deve ritenersi che la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., possa applicarsi alle condotte rientranti nella fattispecie di lieve entità. Sicché anche per tale via risulta confermata la possibilità che i delitti in materia di stupefacenti di cui al d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, siano caratterizzati da minima offensività, tale da determinare alternativamente, previa scrupolosa verifica degli elementi indicati nelle norme testé citate, la qualificazione del fatto in termini di lieve entità ex art. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, ovvero la sua non punibilità ex art. 131-bis c.p.”.

Non può, dunque, sostenersi che vi sia strutturale incompatibilità tra la circostanza di cui all'art. 62 n. 4 c. p. ed i delitti in materia di sostanze stupefacenti: l'attenuante “attraversa tutti i reati commessi a scopo di lucro”, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, “sicché, una volta verificato che il delitto è stato commesso a fini di lucro, il giudice di merito deve valutare, in concreto, la ricorrenza, o meno, della speciale tenuità riferita sia al lucro perseguito o conseguito dall'autore del reato, sia all'evento dannoso o pericoloso causato nel caso di specie”, scrutinando il grado di effettiva e concreta offensività del reato, ed assumendo le conseguenti determinazioni non solo in termini di esatto inquadramento giuridico (fatto ordinario, punito dal primo e dal quarto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990; ovvero fatto lieve, punito dal quinto comma della medesima norma incriminatrice), ma anche in termini di esclusione della punibilità (ex art. 131-bis c. p.) ovvero di attenuazione della pena (ex art. 62 n. 4 c. p.).

Quanto al secondo aspetto, la Corte non ha ravvisato alcuna anomalia nei rapporti tra la circostanza attenuante in questione ed il fatto di lieve entità.

Ed invero, l'intervenuta metamorfosi del fatto lieve, divenuto ipotesi autonoma di reato per effetto del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modifiche dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10, ha svuotato di argomenti l'opposto orientamento: “la trasformazione dell'attenuante speciale originariamente prevista al d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in ipotesi di reato autonomo, come tale dotata di specifica cornice edittale, fa sì che l'attenuante comune in esame sia ormai destinata ad incidere sull'ordinario trattamento punitivo riservato a quelle condotte, sicché in tal caso non si verifica .. alcun cumulo di benefici sanzionatori tra loro concorrenti. Tale conclusione appare del resto perfettamente in linea con la ratio dell'operata trasformazione normativa, espressamente volta a dare consistenza ai principi costituzionali di proporzionalità e adeguatezza della pena in materia di stupefacenti, conformando il sistema penale di settore alla multiforme varietà delle relative condotte e del loro effettivo disvalore ed emancipando il giudice, in tale ambito, da rigidi meccanismi di determinazione del trattamento sanzionatorio. L'accoglimento della opposta tesi, preclusiva dell'applicazione dell'attenuante, comporterebbe infatti un rigido limite nella modulazione della pena al fatto storico, e comporterebbe che, anche in presenza di un lucro e di un'offesa di speciale tenuità, l'imputato non possa beneficiare di un eventuale e specificamente motivato giudizio di bilanciamento con le aggravanti che fossero state contestate in relazione alla fattispecie di cui al citato art. 73, comma 5”.

L'assunto è confermato da due ulteriori argomenti:

1) ove il legislatore ha voluto affermare l'incompatibilità di una specifica attenuante con la nuova fattispecie delittuosa, lo ha disposto espressamente: l'art. 19, comma 5, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, ha, ad esempio, previsto che la diminuente della minore età non operi per i delitti di cui al d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ai fini della determinazione del limite di pena rilevante in ordine all'applicazione delle misure cautelari diverse dalla custodia in carcere nei confronti degli imputati minorenni; “al contrario, al momento della trasformazione dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 5 in fattispecie autonoma di reato, non è stata espressamente esclusa la compatibilità con la nuova ipotesi delittuosa dell'attenuante comune di cui all'art. 62 c.p., n. 4, risultando anche per questa via confermata, in applicazione della regola ermeneutica condensata nel brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, la preclusione dell'interpretazione restrittiva”;

2) la coesistenza dei due istituti non comporta la denunciata duplice valenza del medesimo parametro: ed invero, <mentre la valutazione della “lieve entità” del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è relativa alla condotta - avuto riguardo ai mezzi, alla modalità e alle circostanze dell'azione - e all'oggetto materiale del reato - in relazione alla qualità e quantità delle sostanze -, la verifica della “speciale tenuità” rilevante per il riconoscimento dell'attenuante di cui alla seconda parte dell'art. 62 c.p., n. 4, attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e all'evento (dannoso o pericoloso) del reato. Si tratta quindi, contrariamente all'asserzione posta a fondamento della tesi restrittiva, di valutazioni focalizzate su elementi tra loro ontologicamente distinti, ancorché in astratto suscettibili di convergere nell'accertamento del complessivo disvalore del fatto storico. Si tratta, inoltre, in ogni caso, di valutazioni di diversa natura e diverso grado: la prima, attinente alla “lieve entità del fatto”, è unitaria e complessiva, non scandita da un ordine gerarchico degli elementi allo scopo rilevanti, per ciascuno dei quali è possibile un giudizio di parziale o totale compensazione ..; la seconda, relativa alla “speciale tenuità” del lucro e dell'offesa, indica due temi specifici e distinti, suscettibili di opposte conclusioni nel medesimo caso di specie e ancorati ad un parametro di maggiore intensità e pregnanza rispetto a quello rilevante per l'integrazione della fattispecie “lieve”>. L'argomentare delle Sezioni Unite è, peraltro, confermato dall'analisi delle plurime pronunce di legittimità che, pur in presenza di fatti di lieve entità, hanno escluso il riconoscimento della circostanza attenuante in parola (cfr., ex plurimis, Sez. VI, 16 maggio 2017, n. 31603).

Questo, dunque, il principio di diritto affermato dalla sentenza Dabo: “La circostanza attenuante del lucro e dell'evento di speciale tenuità è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi i delitti in materia di stupefacenti, ed è compatibile con la fattispecie di lieve entità prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5”.

L'assunto è certamente condivisibile: non sussistendo alcuna incompatibilità logica e/o sistematica tra i due istituti, il giudice – analizzando le peculiari caratteristiche del reato per il quale si procede - può riconoscere la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c. p. anche in relazione ai delitti in materia di sostanze stupefacenti, all'esito di una puntuale ed esaustiva verifica dell'entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall'agente, e, contestualmente, della gravità dell'evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta, dovendo a tale ultimo proposito, come sottolineato dalle Sezioni unite, venire in rilievo un'offesa che <si riveli di tale particolare modestia da risultare “proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l'autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito>.

L'attenuazione della pena può senz'altro essere riconosciuta nella maggior parte delle ipotesi di spaccio “da strada”, allorquando le indagini della polizia giudiziaria abbiano consentito di accertare null'altro che la cessione (o la detenzione a fini di cessione) di una dose o poco più di sostanza stupefacente, dalla quale l'imputato ha ricavato (o avrebbe potuto ricavare) un guadagno di pochi euro: come nel caso oggetto del ricorso scrutinato dalle Sezioni unite, che hanno infatti annullato con rinvio – con esclusivo riferimento al riconoscimento dell'invocata attenuante - la sentenza di condanna dell'imputato, tratto a giudizio per la cessione di una dose di hashish dalla quale aveva ricavato un corrispettivo di 10 euro.

In presenza di condotte di cessione ripetute nel tempo, pur potendosi comunque ritenere la sussistenza dell'ipotesi di lieve entità (secondo l'oramai univoca giurisprudenza di legittimità, il cd. “piccolo spaccio” può essere riconosciuto anche in presenza di attività reiterate e poste in essere con modalità professionali o comunque servendosi di una minima organizzazione all'uopo approntata, tutte le volte in cui possa dirsi che questi aspetti non hanno in concreto connotato i fatti di maggiore offensività, perché hanno riguardato volumi complessivi comunque modesti di droga, o perché hanno interessato una cerchia ristretta di acquirenti; si pensi, ad esempio, ai numerosi casi in cui i reati sono ascritti a figure secondarie nella catena della commercializzazione della droga, spesso a loro volta tossicodipendenti o consumatori abituali, soggetti che, procacciandosi lo stupefacente da destinare al proprio consumo, ne acquistano una o due dosi in più, cedendole sistematicamente ad una ristrettissima cerchia di soggetti, onde ricavare i denari necessari all'acquisto della successiva fornitura), i giudici di legittimità tendono – correttamente – ad escludere il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c. p., valorizzando tanto la circostanza che – sommando i guadagni ricavati da ogni singola cessione – il lucro conseguito non può essere ritenuto modesto, quanto la circostanza che – venendo in rilievo la cessione di quantitativi complessivamente significativi di droga – l'evento dannoso o pericoloso deve necessariamente essere valutato in termini di maggiore gravità; in termini, cfr. Sez. VI, 16 maggio 2017, n. 31603 e, da ultimo, Sez. III, 20 marzo 2019, n. 30523:"la Corte d'appello ha escluso l'applicazione dell'invocata attenuante sul rilievo .. dell'abitualità del comportamento. Difatti l'imputato deteneva un numero di dosi già pronte per l'immediata cessione di volta in volta effettuata, sicché non si prefiggeva un lucro di speciale tenuità. Secondo la sentenza impugnata, la singola cessione, di per sé produttiva di un lucro connotato da speciale tenuità, andava valutata nel contesto dell'attività svolta, in via continuativa, di cessione di sostanze stupefacenti, e comportava l'esclusione dell'attenuante avuto riguardo alla somma dei profitti non certamente lievi. La sentenza non mostra profili di violazione di legge ed è congruamente motivata l'esclusione della circostanza attenuante. Al riguardo è sufficiente osservare che, secondo quanto accertato in sede di merito, la condotta contestata al ricorrente era espressione di una consueta e costante modalità di guadagno del ricorrente, di per sé non compatibile, secondo il citato orientamento, con la fattispecie mitigatrice di cui all'art. 62 c.p., n. 4 ... Il ricorrente censura la sentenza impugnata richiamando il principio di unitarietà del reato continuato, principio che comporta che il reato debba essere considerato unico e che, in relazione a questo, doveva essere valutata l'entità del lucro, che era da stimarsi di speciale tenuità. Tale ragionamento non è condivisibile, dal momento che i giudici del merito hanno posto l'accento sulle circostanze dell'azione, sulle modalità del fatto .. indicative esse stesse del fine di guadagno non lieve. Il ragionamento dei giudici del merito è ancorato alle descritte modalità della condotta, reiterate e continuate, significative di una finalità di guadagno ritenuto non lieve ... Qui non rileva il tema della unitarietà del reato continuato, in quanto anche le condotte di piccolo spaccio, continuate e ritenute espressione di un medesimo disegno criminoso, possono essere espressione di una finalità di guadagno non lieve, e tali sono state, motivatamente ritenute, quelle poste in essere dallo S. Va ritenuto, quindi, che in un contesto di cessione reiterata di piccole dosi, di per sé comportanti un lucro di speciale tenuità, quello che rileva non è il singolo profitto della singola operazione di vendita, ma la somma dei profitti delle singole azioni che l'autore del reato mira di conseguire o consegue. In tale situazione, che di regola comporta la unicità del disegno criminoso e, dunque, la disciplina del reato continuato, l'autore del reato non opera per un “lucro di speciale tenuità”, da considerarsi per ogni singola occasione, bensì opera per motivi di lucro (non minimo) quanto al procacciarsi un congruo profitto per la sua complessiva attività".