Il controverso limite della pena massima continuata applicabile in sede esecutiva

Enrico Campoli
20 Luglio 2017

Il limite dettato dall'art. 81, commi 1 e 2, c.p. in tema di applicazione della pena in sede di continuazione (triplo della pena inflitta per il reato più grave) trova applicazione anche in sede di esecuzione ovvero, in quest'ultima sede, trova spazio la regola dettata dall'art. 671, comma 2, c.p.p. secondo cui esso è valicabile in quanto formato dalla somma delle pene inflitte in ciascuna decisione irrevocabile?
1.

Il limite dettato dall'art. 81, commi 1 e 2, c.p. in tema di applicazione della pena in sede di continuazione (triplo della pena inflitta per il reato più grave) trova applicazione anche in sede di esecuzione ovvero, in quest'ultima sede, trova spazio la regola dettata dall'art. 671, comma 2, c.p.p. secondo cui esso è valicabile in quanto formato dalla somma delle pene inflitte in ciascuna decisione irrevocabile?

Il giudice dell'esecuzione, nel ritenere fondata la sussistenza del medesimo disegno criminoso tra fatti giudicati in due decisioni irrevocabili, riconosce la continuazione degli stessi con altri, questi ultimi già oggetto di precedente, ed analoga, ordinanza che aveva determinato la pena in anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.098,73 di multa nel rispetto del canone applicativo di cui all'art. 81, commi 1 e 2, c.p.

Nel rideterminare la pena, il giudice dell'esecuzione, una volta individuata ex art. 187 att. c.p.p., la violazione più grave – ed esattamente, in quella che aveva stabilito la pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.031,91 di multa – pur dando atto che, con la precedente ordinanza ex art. 671 c.p.p., la pena risulta già aumentata fino al triplo (art. 81, commi 1 e 2, c.p., anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.095,73 e non 3.098,73, come erroneamente indicato di multa – incrementa la sanzione di ulteriori due mesi di reclusione ed euro 400 di multa – con pena ad anni quattro e mesi otto di reclusione ed euro 3.498,73 (invero, 3.495,73) di multa, poi, parzialmente, oggetto di indulto.

Il consapevole superamento, da parte del giudice dell'esecuzione, della soglia massima legale della pena, rappresentata, ex art. 81 c.p., dal triplo della pena inflitta per la violazione più grave (anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.031,91 di multa aumentabile al massimo in quella di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.095,73), valicandone il confine sulla base del canone dettato dall'art. 671, comma 2, c.p.p., forma oggetto del ricorso di legittimità e costituisce la questione controversa.

I giudici di legittimità – nel rimettere l'opzione interpretativa alle Sezioni unite – registrano due orientamenti contrastanti, orientamenti la cui scelta determina sensibili ripercussioni sul condannato avendo ad oggetto il trattamento sanzionatorio.

Nel manifestare consapevole dissenso dall'orientamento espresso dal provvedimento impugnato (a sua volta assunto in adesione a decisioni della stessa Sezione. Vedi, ad esempio, Cass. pen., Sez. I, n. 45256/2013, secondo cui la pena per il reato continuato può essere, in sede di esecuzione, determinata […] in misura superiore al triplo di quella inflitta per la violazione più grave), i giudici remittenti tengono, in primo luogo, a sottolineare che il rinvio operato dall'art. 671 c.p.p. alla disciplina del concorso formale e del reato continuato dettata dall'art. 81 c.p.p. non può non comportare un ineliminabile trasporto – in sede esecutiva – del criterio legale di determinazione della pena espresso in detta norma e consistente in una particolare declinazione del cumulo giuridico […] con il solo elemento differenziale rappresentato dalla necessità […] di prendere in considerazione il parametro basico di cui all'art. 187 att. c.p.p.

Ed è proprio sul carattere del rinvio che l'orientamento contrastante marca la propria differenza ritenendo che, fermo restando il rimando dettato dall'art. 671, comma 2, c.p.p. alla disciplina del reato continuato, esso rimane confinato all'applicazione (sostanziale) dell'istituto mentre quanto stabilito in punto di pena assume connotazioni specializzanti, (art. 15 c.p.), e, per questo, prevalenti in sede di applicabilità.

Il motivo principale su cui tale orientamento è fondato è quello di evitare che si formi una “sacca di impunità” la quale si verrebbe, automaticamente a creare, laddove una volta riconosciuta la continuazione ed applicato il limite del triplo fossero pronunciate nuove sentenze di condanna per ulteriori reati accomunati ai precedenti dal medesimo disegno criminoso (così, per tutte, Cass. pen., Sez. I, n. 5637/2001), tanto che se dovesse ritenersi operante il criterio di cui all'art. 81 c.p. e non quello posto dall'art. 671, co. 2, il giudice dell'esecuzione si troverebbe di fronte ad un limite insuperabile e per gli ulteriori reati satellite non potrebbe stabilire un aumento, neppure minimo, della pena complessiva fissata in occasione della continuazione anteriormente riconosciuta.

L'argomento social-preventivo così fortemente reclamato da tale orientamento, che lamenta la possibile e subdola creazione di un'area di reati senza sanzione, mette in discussione lo stesso statuto costitutivo del reato continuato e del trattamento sanzionatorio ad esso correlato, il quale oggetto dell'intervento riformatore del d.l. 99 dell'11 aprile 1974 soffriva, nell'ambito del codice di procedura penale del 1930, di enormi difficoltà applicativa in presenza di giudicati già formatisi.

È per tale ragione e ciò anche alla luce di specifici interventi della Corte costituzionale (sentenza n. 115 del 27 marzo 1987) che sottolineavano una tale ampiezza di profili di incostituzionalità da sconsigliare una sentenza additiva di così ampia portata che, nel successivo codice di rito del 1988, veniva introdotta, ex art. 671 c.p.p., l'applicabilità, anche in sede esecutiva, della disciplina dell'art. 81 c.p. […] sempre che, ovviamente, la stessa non sia stata esclusa in sede di cognizione (così, Relazione al Progetto Preliminare del nuovo codice di procedura penale).

Ebbene, il pilastro fondante della disciplina introdotta con il nuovo codice di rito è proprio quello di consentire anche in fase esecutiva l'applicabilità del cumulo giuridico (di favore) alternativo al cumulo materiale tutte le volte in cui, in forza di una deliberazione ideativa unitaria, si evinca una pericolosità soggettiva che prescinde dal numero delle violazioni poste in essere e dalla loro eterogeneità delittuosa.

Negare tale assunto vuol dire impedire che in sede esecutiva – a differenza di quanto avviene in sede di cognizione ovvero in quest'ultima mista a precedente giudicato – si applichi un trattamento sanzionatorio non predeterminato dal Legislatore finendo per irrogare una pena che deroghi ad esso per giunta invertendo la logica di sistema che vuole la norma processuale servente rispetto a quella sostanziale, e non il contrario come pare sostenersi.

Va, pertanto, disconosciuto il sostenuto carattere specializzante in quanto la ragione di precisare […] che la pena da irrogare per effetto della continuazione deve essere non superiore a quella risultante dal cumulo materiale (evidente il riferimento alla previsione del comma 2 dell'art. 671) altro non è che la proiezione, in sede esecutiva, dell'ulteriore limite espresso in via generale dall'art. 81 co. 3 c.p. all'evidente fine di riprodurre in modo conforme (tra cognizione ed esecuzione) l'esigenza di una corrispondenza di risultato tra i due momenti processuali in cui viene a valutarsi il medesimo disegno criminoso.

È quest'ultimo il perno fondamentale della disciplina del reato continuato, a prescindere dal momento in cui esso trova applicazione, tant'è che è su di esso, e sui suoi presupposti applicativi, che, in realtà, andrebbero concentrati i migliori sforzi interpretativi al fine di contrastare, in tutta evidenza, prassi largheggianti.

Anche il cumulo giuridico di favore – come quello derivante dalla disciplina del reato continuato – ha un limite ed è quello del cumulo materiale che il Legislatore ritiene opportuno ribadire allo scopo di evitare che lì dove la quantificazione della pena per la violazione più grave risulti particolarmente consistente (ad esempio, 15 anni) l'istituto del cumulo giuridico con potenziale moltiplicatore del triplo ex art. 81 co. 1 (nell'esempio 45 anni, inevitabilmente da moderare attraverso la previsione dell'art. 78 c.p.) porti al superamento della somma algebrica delle pene inflitte in cognizione, con risultati aberranti e difformi dalla ratio legis.

Tra disciplina sostanziale e disciplina processuale della continuazione alcuna specialità derogatoria, a differenza di quanto assunto dall'altro orientamento, è dato rilevare in quanto se così fosse si cancellerebbe dall'istituto della continuazione – ove riconosciuto in sede esecutiva – il criterio determinativo della pena del cumulo giuridico di cui all'art. 81, criterio da ritenersi espressamente richiamato dal comma 1 dell'art. 671.

L'applicazione del criterio legale (cumulo giuridico) del trattamento sanzionatorio non determina l'artificiosa creazione di un'area di reati senza sanzione bensì l'incorporazione di quest'ultimi nella rideterminazione complessiva della pena in fase esecutiva in forza del ripensamento di una loro proporzionale incidenza nell'ambito del confine stabilito dal tetto massimo del triplo per la violazione più grave.

2.

All'udienza del 17 gennaio 2017 – motivazione depositata in data 15 febbraio 2017 – la prima Sezione penale (ord. 7367/2017) della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la decisione sulla seguente questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale:

  • se il giudice della esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione – ex art. 671 c.p.p. – tra più violazione di legge giudicate in distinte decisioni irrevocabili sia tenuto, in sede di determinazione della pena, al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave (art. 81, commi 1 e 2, c.p.) o se in tale sede trovi applicazione esclusivamente la disposizione di cui all'art. 671, comma 2, c.p.p. (limite rappresentato dalla somma delle pene inflitte in ciascuna decisione irrevocabile).
3.

Il primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 18 maggio 2017 l'udienza per la decisione della questione:

« Se il giudice dell'esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena sia tenuto al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, ai sensi dell'art. 81, primo e secondo comma, cod. pen., oppure debba applicare il diverso criterio indicato dall'art. 671, comma 2, cod. proc. pen., rappresentato dalla somma delle pene inflitte in ciascuna decisione irrevocabile ».

4.

Le Sezioni unite della Cassazione, all'udiezna del 18 maggio 2017, chiamate a decidere:

« Se il giudice dell'esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena sia tenuto al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, ai sensi dell'art. 81, primo e secondo comma, cod. pen., oppure debba applicare il diverso criterio indicato dall'art. 671, comma 2, cod. proc. pen., rappresentato dalla somma delle pene inflitte in ciascuna decisione irrevocabile ».

hanno risposto che

« Il giudice della esecuzione è tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave ».

5.

L'orientamento maggioritario, consolidatosi nel tempo, secondo cui il giudice, nell'applicare il regime della continuazione, è legittimato a valicare, in sede di incidente di esecuzione ex art. 671 c.p.p., il limite del triplo del massimo della pena, dettato dall'art. 81, commi 1 e 2, c.p., trova sbarramento nella recente decisione assunta dalle Sezioni unite (n. 28659/2017).

In quest'ultima si è, difatti, sancito, ex art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., il seguente principio di diritto:

«Il giudice dell'esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena è tenuto anche al rispetto del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, oltre che del criterio indicato dall'art. 671, comma 2, c.p.p., rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile».

I due criteri, quello del cumulo materiale previsto dall'art. 671, comma 2, c.p.p. – «Il giudice dell'esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto» – e quello del cumulo giuridico di favore, dettato dall'art. 81, comma 1 e 2, c.p., – «È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge [non si escludono in linea di principio, ben potendo trovare contemporanea applicazione, purché non entrino in contraddizione tra loro nel qual caso il secondo deve necessariamente trovare prevalenza.

Lo sbarramento dettato dall'art. 81, commi 1 e 2, c.p., difatti, secondo la nuova impostazione interpretativa, è da ritenere contenitivo di quello previsto dall'art. 671, comma 2, c.p.p. in quanto se in quest'ultima sede possono trovare applicazione più sentenze (e/o decreti penali di condanna) in “somma algebrica” tra loro, essa non può mai andare oltre quella massima sancita dal primo, il quale, a mani del legislatore, stabilisce l'invalicabile confine del triplo della pena prevista per la violazione più grave.

Anche l'orientamento, ora da ritenere superato, considerava i due criteri contestualmente applicabili con la differenza, però, che, in caso di conflitto tra loro, a prevalere dovesse essere il limite dettato dall'art. 671, comma 2, c.p.p. e non, come ora stabilito, quello dettato dall'art. 81, comma 1 e 2, c.p.

Tale prevalenza, pur nel concorso apparente tra norme, si sosteneva affondasse le sue radici sia nel carattere specializzante dell'art. 671, comma 2, c.p.p. che nella volontà di impedire la creazione di reati senza sanzione.

Come giustamente, però, osservato nella sentenza in commento, ed invero già nell'ordinanza di rimessione della prima Sezione, l'introduzione dell'art. 671 c.p.p. nel codice di procedura penale vigente è «da rintracciare nell'esigenza di consentire l'applicazione dell'istituto» della continuazione a prescindere dal momento in cui lo stesso è chiamato ad operare attese le finalità mitigatorie cui è destinato in merito al trattamento sanzionatorio.

Appare, difatti, come eccentrico l'argomento riguardante l'applicazione dell'art. 15 c.p. essendo in esame un rapporto di specialità non avente ad oggetto «più leggi penali o più disposizione della medesima legge penale che regolano la stessa materia[]» ovvero «norme che prevedono per lo stesso fatto una sanzione rispettivamente penale o amministrativa, oppure diverse sanzioni amministrative» bensì «un istituto penale sostanziale (l'art. 81 c.p.) ed una norma (l'art. 671 c.p.p.)» di carattere processuale.

Del resto lo stesso richiamo nella disciplina dell'art. 671 c.p.p. al fatto che la continuazione in sede esecutiva può essere ammessa solo se non sia stata esclusa dal giudice della cognizione costituisce la dimostrazione palese che si è in presenza del medesimo istituto né alcuna contraddizione è dato scorgere nel fatto che, nel secondo comma del suddetto articolo, venga sancito un “autonomo” limite atteso che lo stesso, di natura materiale, deve comunque tenere conto di quello giuridico di favore atteso che in quest'ultimo caso si tratta di «una mera ipotesi di pena applicabile” mentre nel secondo le pene sono state “già concretamente applicate».

Solo in questo modo si riesce a fornire una lettura costituzionalmente orientata dei due istituti consentendone una contestuale, e complementare, applicazione che prescinde dal momento attuativo senza incorrere nel pericolo di creare “sacche di sostanziale impunità” sia perché questo non è un problema solo della fase esecutiva, ma ben può riguardare anche la fase di cognizione, e sia perché è lo stesso legislatore a prevedere dei criteri mitigatori, basti solo pensare agli istituti di cui agli artt. 78, 66, 63, comma 4, c.p., per conseguire le finalità rieducative e di reinserimento sociale della pena dettate dall'art. 27 della Cost.

Come già sottolineato, opportunamente, dall'ordinanza di rimessione la vera questione è la rigorosa applicazione del regime stesso della continuazione da ancorare a precisi e specifici parametri di valutazione al fine di superare prassi largheggianti, che fuoriescono dai corretti binari interpretativi.

Un'ultima, piccolissima, considerazione a margine riguardante il merito del ricorso esaminato : le Sezioni unite sanno certamente di diritto ma non sanno far di conto: come già anticipato in sede di presentazione del conflitto non ci si è accorti, – ma la cosa è rimediabile, d'ufficio, ex art. 625-bis, comma 3, c.p.p. –, che la pena pecuniaria è stata malamente calcolata: la pena massima del triplo, stante quella base di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.031,93, è, difatti, quella di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 3.095,73 (e non euro 3.098,73 in quanto il triplo di 1.031,91 è euro 3.095,73).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.