La contestazione in sede di legittimità del difetto di rappresentanza processuale

Franco Petrolati
02 Giugno 2016

All'interno della giurisprudenza di legittimità si era formato un contrasto sia circa la possibilità di contestare, per la prima volta in sede di legittimità, il difetto di rappresentanza processuale sia in ordine alle modalità di sanatoria di siffatto vizio.Le Sezioni Unite forniscono al primo interrogativo la risposta più rigorosa, riconoscendo al contempo, tuttavia, una possibilità di sanatoria del vizio con efficacia retroattiva.
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Per comprendere la portata della questione oggetto di contrasto è opportuno prendere le mosse dalla fattispecie processuale che ha dato luogo all'intervento delle Sezioni Unite.

Un figlio agisce in rappresentanza del padre, in forza di una dedotta procura notarile, per l'accertamento dell'usucapione della proprietà di un locale terraneo; la domanda è accolta nei due gradi di merito.

Una delle due controparti ricorre per cassazione eccependo, con il primo motivo, che non è stata mai prodotta in giudizio la procura notarile dalla quale deriva, in tesi, il potere sostanziale e processuale di agire come rappresentante del padre.

Si replica, da parte di costui, che la questione è nuova e, quindi, preclusa nel giudizio di cassazione, non essendo stata mai sollevata nei gradi di merito; la procura non viene, tuttavia, prodotta né sono formulate deduzioni specifiche in ordine alla sua sussistenza.

La seconda sezione della S.C. ritiene che sulla predetta eccezione pregiudiziale sussista un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, con peculiare riguardo alla formazione di un giudicato implicito laddove sulla questione non si sia discusso nei precedenti gradi di merito.

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Orientamento per il quale è sufficiente il giudicato implicito

Più in particolare, in accordo con un primo orientamento interpretativo invalso nella giurisprudenza della Corte, il limite della rilevanza del difetto di valida rappresentanza processuale è costituito dal formarsi del giudicato, il quale impedisce il riesame non solo delle ragioni o questioni giuridiche che sono state proposte e fatte valere in giudizio, ma anche di quelle che, seppure non espressamente dedotte o rilevate, costituiscono il necessario presupposto, anche di ordine processuale, della pronuncia di merito (c.d. giudicato implicito). Di conseguenza, è inammissibile nel giudizio di legittimità il motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di rappresentanza di un ente collettivo nei precedenti gradi del giudizio, quando lo stesso non sia stato mai dedotto nel corso dei medesimi (Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 2009, n. 23035).

Orientamento per il quale è necessaria la formazione di un giudicato “esplicito”

Secondo altra tesi affermata dalla medesima Corte di legittimità, invece, poiché la delega dal Presidente di un ente al direttore di una sede periferica per agire in giudizio, attiene al momento genetico del processo e alla valida instaurazione del contraddittorio, la procura da questi conferita al difensore dichiarando di agire per l'ente, senza neppure dedurre di averne ricevuto i poteri rappresentativi in base alla suddetta delega, determina la nullità del giudizio, rilevabile d'ufficio sempreché, sulla specifica questione, non si sia formato il giudicato interno, che si determina allorché la carenza del potere rappresentativo sia stata appositamente denunciata e, quindi, sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello (Cass., sez. I, 21 dicembre 2011, n. 28078).

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La seconda Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 25353 del 2014, ha rimesso alle Sezioni Unite le seguenti questioni.

Si tratta di stabilire, in primo luogo, se la pronuncia sul merito del diritto azionato implichi una decisione anche sulla sussistenza della rappresentanza processuale, come tale suscettibile di passare in giudicato (c.d. giudicato implicito) con conseguente preclusione della contestazione, per la prima volta, in sede di legittimità.

Ove si neghi tale preclusione, poi, occorre accertare se, in quale misura e secondo quali modalità sia sanabile il difetto del potere rappresentativo.

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Viene richiamato, innanzitutto, il principio di diritto invalso nella giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 16 novembre 2009, n. 24179), secondo il quale il potere rappresentativo in sede processuale, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito del potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto della “legitimatio ad processum" del rappresentante, attenendo alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere denunciato in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità, ove resta praticabile la diretta valutazione degli atti attribuitivi del potere rappresentativo, essendo la cassazione, riguardo al vizio di natura processuale, giudice anche del fatto; è, tuttavia, fatto espressamente salvo il limite preclusivo costituito dal giudicato interno sul punto. La questione sulla quale si sono divise le sezioni semplici è, quindi, se tale preclusione maturi solo in forza di un giudicato esplicito sulla sussistenza della rappresentanza processuale (come ritenuto in Cass. civ., sez. lav., 21 dicembre 2011, n. 28078) ovvero si configuri anche nel caso di una decisione del merito della causa, in quanto implicante un giudicato implicito sulla questione pregiudiziale relativa al potere rappresentativo (come affermato in Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 2009, n. 23035).

Riguardo ad altra questione pregiudiziale, relativa al difetto di giurisdizione ex art. 37 c.p.c., le Sezioni Unite ricordano che la giurisprudenza si è orientata, a partire dal leading case in Cass. civ., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, nel senso che la pronuncia nel merito in primo grado, ove appellata per motivi non inerenti alla giurisdizione, configuri in linea di massima un giudicato implicito tale da precludere che la sussistenza della giurisdizione possa essere ulteriormente revocata in dubbio in forza di un rilievo di ufficio o di una eccezione di parte (a meno che non risulti che la decisione sia stata adottata in forza di una ragione assorbente che abbia consentito di prescindere dall'esame della giurisdizione: inammissibilità della domanda, palese infondatezza ecc.).

Altre questioni pregiudiziali, invece, qualificate come “fondanti” o “vitali” , in quanto attinenti al vizio radicale del contraddittorio od alla carenza assoluta di “potestas iudicandi” nel giudice, la nomofilassi ammette che siano sollevate per la prima volta in sede di legittimità, di ufficio o su ricorso della parte, argomentando che il principio costituzionale della ragionevole durata del processo recede rispetto a vizi suscettibili di essere fatti valere anche in via autonoma o di impugnazione straordinaria (con l'actio nullitatis o l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.) o, comunque, di fronte a sentenze che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando radicalmente i presupposti e le condizioni del giudizio (così nella richiamata Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26019).

Le Sezioni Unite ritengono, quindi, nella pronuncia in esame che anche il difetto del potere di rappresentanza processuale sia ascrivibile a tale ordine di questioni, suscettibili di essere sollevate per la prima volta in sede di legittimità, in quanto il vizio esclude la sussistenza di una delle condizioni del potere di azione; al riguardo evidenziano, in particolare, la coerenza di tale soluzione con quanto già recentemente argomentato in tema di carenza di rappresentanza sostanziale (c.d. falsus procurator), laddove si è affermato che la deduzione del difetto o del superamento del potere rappresentativo - con conseguente inefficacia del contratto - integra una mera difesa, sicché il giudice deve tener conto dell'assenza di tale potere, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte (Cass. civ., sez. un., 3 giugno 2015, n. 11377).

Al riconoscimento della possibilità di contestare per la prima volta nel giudizio di cassazione la c.d. legittimatio ad processum si deve, tuttavia, affiancare “simmetricamente” la possibilità di sanare il vizio della rappresentanza volontaria ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c.. Al riguardo viene espressamente confermato il principio di diritto già affermato in Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2010, n. 9217, secondo cui il giudice, una volta rilevato il difetto di rappresentanza, "deve" promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti "ex tunc", senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali. Le Sezioni Unite precisano ora, tuttavia, che nessun termine deve essere assegnato ove il difetto di rappresentanza, in luogo di essere rilevato di ufficio, sia eccepito dalla parte ricorrente per cassazione, in quanto la formulazione di tale contestazione è di per sé idonea a far sorgere nella parte resistente l'onere di procedere alla sanatoria, avvalendosi, al riguardo, delle produzioni documentali consentite dall'art. 372 c.p.c..

In conclusione, quindi, in difetto di qualsiasi deduzione o produzione riguardo alla contestata procura notarile, la Corte dichiara la nullità del giudizio promosso dal presunto rappresentante, limitando, tuttavia, al solo grado di legittimità la condanna del soccombente al rimborso delle spese processuali, in considerazione dell'assenza di qualsiasi contestazione del potere di rappresentanza nei gradi di merito.

Qualora si adotti un punto di vista pragmatico il nodo problematico potrebbe essere riassunto nei seguenti termini: in forza di una contestazione su di una questione pregiudiziale di rito, formulata per la prima volta in sede di legittimità, si pone nel nulla un giudizio protrattosi per oltre dieci anni e già definito nel merito. Ovvio, quindi, chiedersi se tale questione meriti di essere considerata così importante.

Le Sezioni Unite si muovono, riguardo al potere di controllo delle nullità verificate nei pregressi gradi, su un sentiero non solo obiettivamente incerto – perché non ben delineato sul piano normativo – ma anche pericoloso in ragione dell'incidenza di contrapposte esigenze di rango costituzionale, come la ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. e l'affidabilità dei giudicati ex art. 24 Cost. Da una lato, infatti, si delinea l'esigenza di evitare che il processo sia dichiarato nullo in forza di un rilievo o di una contestazione non sollevati nei gradi di merito: si impongono così preclusioni e si configurano giudicati impliciti tali da sollecitare le parti ad una condotta più responsabile sin dagli atti introduttivi in primo e secondo grado; dall'altro, incombe il pericolo che il giudicato maturato attraverso le barriere preclusive si riveli del tutto inutile - in quanto insuscettibile, ad esempio, di essere efficace nei confronti di soggetti pretermessi - o comunque inattendibile, in quanto formato in assenza di condizioni essenziali legittimanti la giurisdizione, come il rispetto di un termine perentorio o di un adempimento a pena di improcedibilità.

Il dubbio, quindi, è se la rappresentanza processuale meriti sempre di essere ascritta all'ordine delle questioni “vitali” o “fondanti” suscettibili di pregiudicare – secondo la motivazione di Cass., sez. un., n. 26019/2008 cit. - la potestas iudicandi non solo del giudice adito ma di una qualsiasi autorità giurisdizionale.

Si può osservare, al riguardo, che l'eventuale insussistenza della procura notarile in forza del quale taluno ha agito in nome di un altro non consente la formazione di un giudicato affidabile, in quanto il soggetto falsamente rappresentato sarebbe legittimato all'impugnazione dell'apparente giudicato in via straordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c. o, secondo la tesi condivisa in giurisprudenza, ai sensi dell'art. 327, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2012, n. 13374); al contempo non è, tuttavia, da escludere che l'ordinamento possa ritenere tollerabile tale deficit di affidabilità del giudicato, a fronte dei “costi” insiti nella radicale declaratoria di nullità di due gradi di giudizio, così da ridimensionare l'ambito del controllo rimesso al giudizio di cassazione. Su questo sentiero, al momento, le Sezioni Unite non hanno inteso avventurarsi.

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