Termine per integrare il contraddittorio nei confronti del contumace in primo grado colpito da un evento interruttivo
03 Luglio 2019
Questione controversa
La questione controversa nella giurisprudenza della Corte è quella delle conseguenze della inosservanza del termine per l'integrazione del contraddittorio nelle cause inscindibili e, in particolare, quella risolta dalle Sezioni Unite nel caso di specie si appunta sul più particolare problema della impugnazione proposta nei confronti della parte, contumace nel giudizio di primo grado, colpita da un evento interruttivo che si sia verificato nel corso del giudizio e non sia stato notificato né certificato né diversamente documentato. Vediamo in primo luogo la soluzione del contrasto sulla questione “primaria” ossia sull'inosservanza del termine per l'integrazione e la sua soluzione. Un primo orientamento (Cass. civ., 29 novembre 2004, n. 22411) afferma che tale termine è perentorio, non prorogabile su accordo delle parti né sanabile con la costituzione tardiva della parte, sicché la sua violazione determina l'inammissibilità dell'impugnazione proposta (in termini anche sentenze più risalenti, ossia Cass. civ., 18 giugno 1996 n. 5572; Cass. civ., 26 febbraio 2001 n. 2756; Cass. civ., 4 giugno 2001 n. 7482; Cass. civ., 29 aprile 2003 n. 6652). Questo orientamento rigoroso è stato più recentemente confermato da alcune sentenze (Cass. civ., 26 novembre 2008 n. 28223 e Cass. civ., 20 gennaio 2016 n. 891) secondo cui il termine assegnato ex art. 331 c.p.c. è concesso non soltanto per iniziare il procedimento ma anche per svolgere le necessarie indagini anagrafiche o al registro delle imprese. Un secondo indirizzo, pur partendo dalla comune premessa della improrogabilità ex art. 153 c.p.c. e 331 c.p.c. del termine stesso, ritiene che in via generale si possa dar rilievo a situazioni di forza maggiore, purché siano “certe” ed “obiettive”. In sostanza secondo tale indirizzo la sanzione della inammissibilità sarebbe diretta a colpire alcuni comportamenti processuali volontari e colpevoli ma non quelli non imputabili né per dolo né per colpa (Cass. civ., 26 ottobre 1992 n. 11626). Tale pronuncia è stata criticata dalla dottrina per non aver valorizzato la disciplina del termine ordinatorio in una norma che non prevede espressamente la sua perentorietà e per non aver affermato la generale portata del principio della rimessione in termine per l'inesigibilità del tempestivo esercizio del potere. La pronuncia in questione ha avuto comunque un seguito nella giurisprudenza della Corte (Cass. civ., 13 luglio 1995 n. 7658; Cass. civ., 5 luglio 2000 n. 8952; Cass. civ., 15 luglio 2003 n. 11072; Cass. civ., 6 febbraio 2004 n. 2292). Orientamenti contrapposti
In questo quadro storico sono poi intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 21 gennaio 2005 n. 1238 la quale – in una fattispecie molto simile a quella affrontata oggi dalle Sezioni Unite – ha affermato che qualora in sede di notificazione del ricorso per cassazione in attuazione di ordine di integrazione del contraddittorio risulti il decesso del destinatario (o di uno dei destinatari), e la parte, che debba procedere alla detta integrazione, pur avendo tempestivamente espletato l'adempimento posto a suo carico ai sensi dell'art. 331 c.p.c. con la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, veda non conseguito il perfezionamento della notificazione, nel termine all'uopo fissato per detta integrazione, nei confronti del destinatario dell'atto (o di alcuni di essi), a causa, appunto, di un evento – il decesso del medesimo (o dei medesimi) – che essa non era tenuta a conoscere e di cui venga informata soltanto attraverso la relazione di notifica, deve esser assegnato un termine ulteriore (di carattere perentorio) per procedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della parte defunta, essendo da escludere, nel quadro di una interpretazione costituzionalmente vincolata, una immediata declaratoria di inammissibilità del ricorso, trattandosi di soluzione contrastante con gli artt. 3 e 24 Cost., sia perché essa condurrebbe ad equiparare situazioni processuali del tutto diverse (ponendo sullo stesso piano l'inerzia rispetto all'ordine di integrazione e la tempestiva esecuzione di questo, non completata per cause indipendenti dalla volontà della parte procedente e non rientranti nella normale prevedibilità), sia perché essa si risolverebbe in una non ragionevole compressione del diritto di difesa, atteso che la detta parte si vedrebbe addebitato l'esito parzialmente intempestivo del procedimento notificatorio per un fatto in concreto sottratto ai suoi poteri d'impulso, in quanto dalla stessa non conosciuto. Nonostante tale pronuncia non si sono del tutto fermati i contrasti giurisprudenziali tant'è che si sono avute pronunce altalenanti, di cui alcune in ossequio al principio più rigoroso hanno ribadito l'improrogabilità del termine per ragioni di ordine pubblico processuale, altre, in osservanza dell'orientamento più liberale, hanno escluso ogni automatismo o meccanicismo nella dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione ex art. 331 c.p.c. (per tutte si veda Cass. civ., Sez. Un., n. 14266/2019 in motivazione). Nella successiva evoluzione giurisprudenziale si segnalano alcune pronunce delle Sezioni Unite nella cui scia si colloca la pronuncia attuale. Il riferimento è a:
In questo quadro giurisprudenziale si innesta una ulteriore pronuncia delle Sezioni Unite, n. 14594/2016 secondo cui in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa. A parere delle Sezioni Unite qui in commento tale ultima sentenza fa un'affermazione innovativa, nata dall'esigenza evidente di fissare un limite temporale certo all'onere della parte di attivarsi tempestivamente per compiere la notificazione e per far valere l'esistenza di una causa non imputabile. Tuttavia la questione del termine ha rilievo sia nell'ipotesi in cui l'impugnazione sia proposta nei confronti di alcune solo delle parti del processo, sia nell'ipotesi in cui siano stati citati tutti i corretti legittimati passivi ma, rispetto ad uno o ad alcuni di essi la notificazione sia stata inefficace per omissione o inesistenza, ovvero non ne sia dimostrato il perfezionamento; in entrambi i casi trova applicazione l'art. 331 c.p.c. in ossequio ai principi del giusto processo e del contraddittorio, sicché il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio e non può dichiarare inammissibile l'impugnazione. L'evoluzione nel senso della risoluzione della questione dell'inosservanza del termine per l'integrazione del contraddittorio nella giurisprudenza della Corte di cassazione con riferimento alla parte, contumace nel giudizio di primo grado, colpita da un evento interruttivo. Il quadro finora fornito viene completato con il riferimento ad una ulteriore pronuncia delle Sezioni Unite, la n. 15295/2014, a mente della quale la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. da parte del notificante. Questa pronuncia è il presupposto per la risoluzione della questione attualmente decisa dalle Sezioni Unite visto che in particolare, tale sentenza afferma che in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l'evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall'altra parte o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ex art. 300, comma 4, c.p.c. La questione sottoposta alla cognizione della Corte a Sezioni Unite nella sentenza odierna concerne l'ipotesi in cui la parte sia rimasta contumace nel giudizio di primo grado, in pendenza del quale è avvenuta la sua morte e l'evento non sia stato notificato né certificato ma conosciuto dall'appellante solo in sede di notificazione dell'atto di integrazione ex art. 331 c.p.c. Rimessione alle Sezioni Unite
La rimessione alle Sezioni Unite si è avuta con l'ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione n. 31847/2018. Nella stessa si è rilevato come nella giurisprudenza di legittimità fossero ravvisabili divergenze e oscillazioni sulla questione delle conseguenze processuali nell'ipotesi in cui, morto il destinatario dell'ordine di integrazione del contraddittorio, la parte onerata ometta di citarne gli eredi. La questione precisamente posta all'esame delle Sezioni Unite concerne se «nell'ipotesi cui in sede di integrazione del contraddittorio risulti il decesso del destinatario, debbano ritenersi tuttora validi i principi affermati da Cass. civ., 1° gennaio 2005 n. 1238, con conseguente possibilità di assegnare un ulteriore termine perentorio per procedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della parte defunta, ovvero se, in materia, deve farsi applicazione estensiva dei principi affermati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 17352/2009 e 14594/2016». Soluzione
Le Sezioni Unite risolvono la questione nel senso che, qualora in sede di notificazione dell'atto integrativo del contraddittorio nei confronti della parte contumace in primo grado, la parte attrice venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita di capacità, il termine assegnato dal giudice ex art. 331 c.p.c., è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell'art. 328 c.p.c., inizia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quello iniziale, indipendentemente dal momento in cui l'evento interruttivo si è verificato. É onere della parte notificante riattivare il processo notificatorio con immediatezza, senza necessità di una istanza rivolta al giudice. Soltanto nell'ipotesi in cui soccorrano ragioni eccezionali che devono essere provate dalla parte che rendono tale termine insufficiente ad individuare i legittimati a proseguire il giudizio, l'istante può chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi della regola generale dell'art. 153 c.p.c. Il punto di partenza è la constatazione che il termine assegnato per integrare il contraddittorio ex art. 331 c.p.c. assolve alla specifica funzione di rimediare ad un errore iniziale della parte che non ha notificato l'atto di impugnazione ad uno dei litisconsorti necessari, ovvero nel caso in cui la notificazione, pur effettuata, sia rimasta inefficace. In questo caso il legislatore si è posto il problema di assicurare comunque l'effetto conservativo della proposta impugnazione, anche se rivolta solo nei confronti di una delle parti vittoriose o proposta solo da parte di uno dei soccombenti, evitando che la sentenza passi in giudicato sotto la condizione che venga però rispettato il termine assegnato nell'ordine di integrazione del contraddittorio fornito dal giudice. Questa premessa spiega la perentorietà del termine e la sua improrogabilità; nella sua pendenza le attività che devono essere compiute non sono soltanto quelle relative all'avvio del procedimento ma anche le indagini di stato civile o anagrafiche necessarie per individuare correttamente i destinatari dell'ordine di integrazione del contraddittorio. Ne deriva la necessità anche per il giudice di fissare tale termine in misura tale da consentire le indagini in questione e alla parte di rimediare agli errori in cui sia inizialmente incorsa nella notificazione dell'atto di impugnazione. Tuttavia, partendo dal presupposto che non può essere ritenuta fondata l'idea secondo cui le parti, definito un grado di giudizio tornano nella situazione in cui si trovava l'attore prima di proporre la domanda e, soprattutto, sconfessata l'idea che gli avvocati, lungi dall'essere i tutori dell'interesse sostanziale della parte, debbano essere meri investigatori della capacità processuale dell'altra parte. Sulla scorta di questa affermazione di principio la Corte ritiene che in alcuni casi, come in quello in cui l'impugnazione sia proposta – o debba essere integrata – nei confronti della parte contumace nel giudizio di primo grado, colpita da un evento interruttivo verificatosi nel corso del giudizio e non notificato né certificato, possa non essere semplice identificare nel decorso del termine assegnato dal giudice, quali siano gli eredi cui spetta proseguire il processo e individuarne la residenza ai fini della notifica. Il problema si pone in modo peculiare quando la notificazione intervenga oltre l'anno dalla morte della parte perché in tal caso non opera più l'agevolazione prevista dalle norme processuali della notifica fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto. Va a tale stregua superata l'idea del “termine ragionevole” cristallizzata nella sentenza delle Sezioni Unite n. 14954/2016 già citata. La soluzione delle Sezioni Unite si appunta sulla corretta interpretazione delle norme di cui agli artt. 330 e 328 c.p.c. In particolare, quanto alla prima previsione, l'ultimo comma dell'art. 300 c.p.c. regola il caso in cui l'evento interruttivo si verifichi dopo il compimento dell'ultimo atto di parte del processo e stabilisce che in tal caso esso sia irrilevante poiché in tale momento non vi è più la necessità di preservare l'integrità del contraddittorio, a meno che la causa non venga rimessa in istruttoria. Quindi, a parte l'ipotesi della riapertura dell'istruttoria, l'evento interruttivo in tali ipotesi è irrilevante e diventa importante solo ai fini della notificazione della sentenza e nella, eventuale, fase della impugnazione. Secondo le Sezioni Unite sebbene l'ultimo comma dell'art. 300 c.p.c. si riferisca all'evento interruttivo che si abbia dopo la chiusura della discussione, il rinvio alla notificazione fa presumere che esso debba applicarsi anche nell'ipotesi in cui l'evento si verifichi prima della chiusura della discussione ma sia notificato o conosciuto solo dopo. Di qui l'affermazione contenuta nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite secondo cui l'adeguamento del processo alla situazione che si è verificata nella fase di quiescenza del processo stesso e che si riattiva con la proposizione dell'impugnazione, l'ordinamento detta norme che spostano l'incidenza degli eventi che si verificano a carico della parte o del difensore direttamente sul decorso dei termini per le impugnazioni, con la conseguenza che «l'interruzione viene ad incidere non sul processo ma sui termini». In questo senso bisogna far riferimento all'art. 328 c.p.c. secondo cui qualora si verifichino, durante la decorrenza del termine breve dell'impugnazione, uno degli eventi interruttivi di cui all'art. 299 c.p.c. e 301 c.p.c., il termine de quo è interrotto e il nuovo termine decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata. Questa disciplina si applica senz'altro, precisa la Corte, anche se la parte colpita dall'evento è rimasta contumace e, in questa ipotesi, la rinnovazione della sentenza va fatta a coloro cui spetta di stare in giudizio al posto della parte o del rappresentante legale che siano venuti meno o divenuti incapaci ed essa può essere fatta collettivamente e impersonalmente nell'ultimo domicilio del defunto entro un anno dalla morte. E veniamo al punto fondamentale della motivazione della sentenza. A parere delle Sezioni Unite, pur essendo il disposto dell'art. 328 c.p.c. riferito ai termini per l'impugnazione della sentenza, non vi è motivo per non estenderne l'efficacia analogica ai termini assegnati dal giudice ex art. 331 c.p.c.; ciò perché tali termini assolvono ad una funzione analoga a quelli per l'impugnazione della sentenza, finalità che sarebbe quella di garantire la formazione del giudicato unitario e nello stesso momento qualora al processo abbiano partecipato più soggetti, oltre che garantire l'effettività del contraddittorio. In tale ottica va superata quella giurisprudenza della Corte che ha escluso l'applicabilità analogica dell'art. 328 c.p.c. per la prorogabilità del termine per l'integrazione del contraddittorio nel caso di morte della parte (Cass. civ., 7 ottobre 1991, n. 10469; Cass. civ., 28 novembre 1997, n. 12033; Cass. civ., 5 luglio 2001, n. 9090; Cass. civ., Sez. Un., n. 1238/2005) poiché tali pronunce fanno riferimento apodittico al fatto che l'art. 328 c.p.c. riguarda solo eventi interruttivi verificatisi durante la pendenza del termine per l'impugnazione. Queste considerazioni vanno superate per due ordini di ragioni:
Ne deriva che una eventuale limitazione dell'effetto interruttivo del termine per integrare il contraddittorio ex art. 328 c.p.c. ai soli casi in cui l'evento si è verificato nella sua pendenza significa vanificare la logica della norma mentre la soluzione diversa è una “equilibrata mediazione” tra gli interessi degli eredi del defunto e quelli della controparte che non abbia avuto formale notizia dell'evento o che non sia in grado di sciogliere il dubbio sulla identità del nuovo contraddittore. La parte onerata della notifica può comunque chiedere la rimessione in termini in applicazione della regola generale dell'art. 153, comma 2 c.p.c., laddove, in ipotesi eccezionali, il termine così fissato sia insufficiente per iniziare o completare il procedimento notificatorio. |