A volte c'è due senza tre: le sezioni unite abrogano al terzo tentativo l'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c.
09 Maggio 2017
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Opposizione a decreto ingiuntivo. Il Tribunale la rigetta. La Corte d'appello riforma la sentenza e revoca il decreto ingiuntivo rilevando un vizio della procura conferita all'origine dal creditore in monitorio al proprio legale. Ricorso per cassazione, notificato il 19 marzo 2012: il ricorrente afferma in ricorso che la sentenza della Corte d'appello gli è stata notificata in una certa data (rispetto alla quale il ricorso sarebbe tempestivo avuto riguardo al termine di 60 giorni dell'art. 325,comma 2, c.p.c.), ma non produce la copia della sentenza con la relata di notificazione, secondo quanto prescrive nel modo più chiaro ed a pena di improcedibilità l'art. 369,comma 2, n. 2, c.p.c.. La sentenza con la relata, tuttavia, è improvvidamente prodotta dall'ingenuo controricorrente, forse fidando nel granitico indirizzo giurisprudenziale di cui subito si darà conto. Ecco dunque la questione che ci apprestiamo a presentare come controversa, ma che in effetti fino a qualche tempo fa controversa non era affatto: nel caso considerato (mancata produzione da parte del ricorrente della copia notificata della sentenza impugnata con la relata di notificazione, ex art. 369,comma 2, n. 2, c.p.c., e produzione del documento da parte del controricorrente) il ricorso deve essere dichiarato improcedibile o l'improcedibilità è per così dire «sanata» dalla produzione per avventura effettuata dal controricorrente? b
Come dicevo, parlare in questo caso di orientamenti contrapposti è del tutto fuor di luogo: qui l'orientamento era uno soltanto, netto, chiaro e consolidato. Difatti, il tenore letterale dell'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. non si presta ad equivoco: se il ricorrente per cassazione non deposita la copia della sentenza impugnata con la relata di notificazione il ricorso è improcedibile: senza via di scampo. E la previsione non è certo frutto di un vuoto formalismo fine a se stesso, giacché la sentenza impugnata munita della relata di notificazione è documento indispensabile per la verifica della tempestività del ricorso e, dunque, per la tutela del rilievo pubblicistico della cosa giudicata formale: e certo non sarebbe ragionevole attendersi che il codice di rito affidi la verifica della tempestività del ricorso per cassazione alla eventualità che la copia della sentenza impugnata con la relata di notificazione possa rinvenirsi casualmente nell'incarto processuale. La mancata produzione della sentenza con la relata di notificazione produce perciò irrimediabilmente l'improcedibilità, che è una sanzione per l'inosservanza di un onere processuale imposto dal legislatore per i fini della prosecuzione, fino al suo esito naturale, di un giudizio già introdotto, sicché non è possibile immaginare l'applicazione all'ipotesi considerata del principio del raggiungimento dello scopo previsto dall'art. 156 c.p.c., principio che — quantunque in dottrina si rinvengono senz'altro opinioni anche di segno diverso — opera nel campo della nullità, non nei riguardi dell'improcedibilità. Dinanzi alla incontrovertibilità della previsione dell'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. una parte tanto minoritaria quanto agguerrita della giurisprudenza non si acquieta, invocando il principio dell'effettività della tutela dei diritti (come se tale effettività non potesse realizzarsi mediante l'osservanza del dato normativo, comprensibile a qualunque avvocato, prima di proporre il ricorso per cassazione, si sia dato pena di aprire il codice di procedura civile e leggere le disposizioni che lo regolano), a fronte del quale l'applicazione della norma richiamata non si giustificherebbe ogni qual volta la copia notificata della sentenza impugnata con la relata di notificazione sia stata prodotta dal controricorrente, ovvero sia comunque presente nel fascicolo d'ufficio a disposizione del giudice di legittimità. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione vengono così chiamate una prima volta, circa vent'anni fa, a pronunciarsi sul significato dell'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c.. E ribadiscono il dato letterale: il mancato deposito della sentenza impugnata in copia autentica e con la relata di notificazione determina l'improcedibilità del ricorso per cassazione. Né l'improcedibilità è impedita dalla circostanza che tale copia è prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d'ufficio (Cass., Sez. Un., 25 novembre 1998, n. 11932). Ma la fronda contro l'improcedibilità in discorso non si arresta del tutto. E quindi qualche sentenza, per quanto sporadica, continua a discostarsi dall'orientamento affermato dalle Sezioni Unite in sede di componimento del contrasto. Le Sezioni Unite, allora, intervengono nuovamente, questa volta non con una, ma con due sentenze conformi. Ed affermano che la previsione — di cui al comma 2, n. 2, dell'art. 369 c.p.c. — dell'onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione — a tutela dell'esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale — della tempestività dell'esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l'osservanza del cosiddetto termine breve. Nell'ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev'essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del comma 2 dell'art. 372 c.p.c., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui al comma 1 dell'art. 369 c.p.c., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell'eventuale non contestazione dell'osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d'ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell'impugnazione (Cass., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005-9006). Chiarisco il significato del richiamo all'art. 372 c.p.c., norma che consente nel giudizio di cassazione il deposito, tra l'altro, di documenti concernenti l'ammissibilità del ricorso. Molte decisioni di legittimità avevano in epoca remota detto che la copia notificata della sentenza poteva essere prodotta solo unitamente al ricorso. Già le precedenti Sezioni Unite, cui le due pronunce del 2009 si sono uniformate, avevano invece chiarito che tale copia può essere prodotta anche separatamente dal ricorso, ma pur sempre nel termine di 20 giorni dall'ultima notificazione di esso, il che, evidentemente, non cambia molto i termini della questione. c
Arriviamo al 2016. L'attacco all'improcedibilità riparte, sicché la prima sezione (Cass. 21 gennaio 2016, n. 1081) — con uno sforzo motivazionale effettivamente imponente, fatto di molteplici richiami sia alla giurisprudenza di legittimità che alla Corte EDU — invita le Sezioni Unite a rimeditare la questione: «il principio del giusto processo implica … l'esigenza di tutelare l'esercizio del diritto di difesa, allorquando l'interesse per favorire il quale si giunga alla sua compressione sia stato comunque soddisfatto, nella specie permettendo la copia prodotta nel fascicolo di controparte il controllo del rispetto del termine per impugnare», e ciò in ossequio «della cd. "effettività" della tutela giurisdizionale». d
Come si è tempo fa preannunciato (Di Marzio, Contrordine delle Sezioni Unite: l'omesso deposito della sentenza impugnata non renderà improcedibile il ricorso per cassazione), le Sezioni Unite, rivedendo il loro precedente orientamento, hanno escluso la possibilità di applicare la sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove tale relata risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio. Il ragionamento si compendia in ciò, che il formalismo nel giudizio di legittimità, tenuto conto dell'art. 6, § 1, della Convenzione EDU, che tutela il «diritto a un tribunale», di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto particolare, nonché della giurisprudenza della Corte EDU formatasi al riguardo, è autorizzato in generale e nella sua fase introduttiva in particolare, purché sia superato il consueto vaglio di proporzionalità nel bilanciamento tra esigenza di certezza del diritto e buona amministrazione della giustizia e diritto del singolo al giusto processo; ciò che si verifica quando il singolo requisito formale: a) è funzionale al ruolo nomofilattico della Corte di cassazione; b) non è interpretato in senso eccessivamente formalistico; c) è imposto in modo chiaro e prevedibile; d) non impone un onere eccessivo per chi deve formare il ricorso. Ora — riconoscono le Sezioni Unite con sent. n. 10648/2017 — la mancata produzione, nei termini, della sentenza impugnata o la mancata prova (mediante la relata di notifica) della tempestività del ricorso per cassazione costituiscono negligenze difensive che, per quanto frequenti, in linea di principio non sono giustificabili. Si tratta di adempimenti agevoli, normativamente prescritti da sempre, di intuitiva utilità per attivare il compito del giudice in modo non «trasandato» e conseguente con il fine di pervenire sollecitamente alla formazione del giudicato. Ci si attenderebbe quindi che, non essendo giustificabili, siffatte negligenze non vengano neppure giustificate. Ma le cose non vanno così. Ed infatti, secondo le Sezioni Unite, alla luce dei parametri normativi indicati, essenzialmente desunti dalla giurisprudenza della Corte EDU, la sanzione dell'improcedibilità è incongrua, irragionevole e sproporzionata quando lo scopo di attivare la sequenza procedimentale innestata con il ricorso per cassazione non è impedito o ritardato poiché il documento: a) è stato prodotto dalla stessa parte interessata a far constare la violazione processuale, ossia dal controricorrente; b) è già in possesso dell'ufficio perché presente nel fascicolo trasmesso dal giudice di appello. Sicché il chiaro dettato dell'art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. (norma che, con riguardo al n. 3, neppure la Corte costituzionale aveva ritenuto di poter cancellare, riconoscendo la sua formulazione rimessa alla discrezionalità del legislatore: Corte cost. 24 novembre 1992, n. 471) è stato in buona sostanza abrogato. Il povero debitore, che aveva vinto la causa, forse alla fine la perderà. La fiducia nella stabilità degli orientamenti giurisprudenziali non subisce gran detrimento soltanto per il fatto che nessuno pare più dar credito ad un tale valore. Il senso, infine, dell'atteggiamento giurisprudenziale che emerge dalla pronuncia delle Sezioni Unite è per conto mio questo: il principio dell'effettività della tutela dei diritti non richiede che gli avvocati consultino il codice di procedura civile e si adeguino ai suoi precetti, se non altro quando sono del tutto chiari. Gli avvocati che sono giunti a conclusione della lettura di questa nota, allora, dovrebbero interrogarsi sul perché lo hanno fatto, visto che per la Corte di cassazione non c'è differenza tra un avvocato che rispetta il codice (e che magari si tiene aggiornato compulsando i contenuti di questo Portale) ed uno che neppure lo apre. Mi correggo. Un'utilità dalla lettura di questo commento gli avvocati potranno trarla: quando indossano la veste di controricorrenti, nel giudizio di cassazione, si guardino bene dal produrre la copia notificata della sentenza impugnata. Non si sa mai. |